Nuova puntata di Letteratitudine Cinema con nuovo intervento di Alessandra Montesanto: critica cinematografica, docente e saggista.
In questa puntata ci occupiamo di Richard Jewell: film del 2019 diretto da Clint Eastwood e basato, appunto, sulla storia della guardia Richard Jewell.
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Richard Jewell
E’ un vecchio saggio, Clint Eastwood: lunga vita e lunga carriera come attore, regista e sceneggiatore può permettersi di guardare in faccia la realtà americana – che ha attraversato in tutte le sue sfaccettature, anche dal punto di vista delle opinioni politiche – e di criticarla con la lucida ferocia di chi ha visto e conosciuto tanto.
La sua ultima pellicola si intitola Richard Jewell, dalle generalità del protagonista la cui vicenda reale risale al 1996, anno in cui ad Atlanta si disputano i Giochi Olimpici. Richard è un trentenne sovrappeso, poco smart, fortemente legato alla propria madre – con cui vive – e al suo mestiere di sorvegliante. Durante un raduno per la competizione sportiva al Centennial Park della sua città, l’uomo vede uno zaino sospetto, abbandonato sotto una panchina, e fa partire i protocolli per la messa in sicurezza dell’area, scongiurando una strage. Ma proprio a causa del suo aspetto bonario, un po’ eccentrico (agli occhi degli omologati), Richard diventa il principale sopettato per l’FBI ed entra, così, in una spirale di sospetti, accuse, minacce e paura.
Vive un momento di forte celebrità, grazie a questo suo atto eroico, lui che fino a poco tempo prima studiava attentamente il codice penale, era appassionato di armi da caccia e videogames, ed era convinto di essere un ottimo tutore dell’ordine per la sua devozioe assoluta al senso del dovere, spinto a questo dal cocente desiderio di diventare poliziotto: insomma, l’emblema dell’Americano medio. Proprio queste sue caratteristiche lo fanno rientrare nel profilo del cittadino ottuso, maniacale e frustrato che farebbe di tutto per quell’attimo di gloria, anche diventare un attentatore solitario.
Ancora una volta Eastwood decide da che parte stare e, ancora una volta, si pone dalla parte del debole: un uomo comune, quasi patetico nel suo essere ingenuo e fiducioso, un “anima candida”, come le definiva Voltaire. Ma un’anima candida cresciuta nell’America profonda, quella della provincia (e non solo), cinica, senza scrupoli, inebetita dalle notizie mainstream, dagli spot pubblicitari e da una comunicazione politica manipolatoria. Il mondo di Richard è composto da una madre in là con l’età, da un amico disoccupato e, a seguire, da un avvocato di poco successo accompagnato da una segretaria-fidanzata di origine russa (e qui sta l’ironia e l’accenno interculturale del plot). Ancora una volta si parla di anti-eroi, quindi.
Trascorrono ben sei anni di persequisizioni, interrogatori estenuanti, ricerca delle prove e vediamo inquadrato un tizio obeso che mangia una ciambella, seduto al tavolo di un diner che crolla psicologicamente ma poco dopo, presso una stazione di Polizia, lo ritroviamo con la divisa tanto agognata: Richard viene a sapere dal suo avvocato che il vero attentatore è stato catturato. Richard è stato prosciolto da ogni accusa (e morirà un paio di anni dopo la notizia a causa di un infarto dovuto al suo pessimo regime alimentare).
Da una parte l’autorità, dall’altra i cittadini, più o meno professionisti e inseriti nel tessuto sociale; Richard applica alla lettera il protocollo di sicurezza, il suo avvocato – senza clienti perchè un altro personaggio anti-sistema – non impronta un’aggressiva strategia di difesa, la madre rimane sconvolta dal fatto che le abbiano perquisito anche i contenitori per il cibo: l’FBI troneggia, invece, in tutta la sua arroganza e superificialità dettata dalla fretta di voler chiudere il caso e dai pregiudizi. Giustizia cieca, quella di uno Stato preopotente, che delle persone mediocri fa carne da macello invece di curarne le fragilità umane ed esistenziali, tema questo ricorrente nella Cinematografia del cineasta: ricordiamo American sniper, Sully, Attacco al treno, Gran Torino, per citare solo alcuni esempi.
La regia ipercontrollata, il montaggio classico (ricordiamo l’alternanza tra le ricerche dell’avvocato e la corsa da record mondiale di Michael Johnson, lui sì che si riscatta con la partecipazione alla gara dei 200 metri!) fanno di Richard Jewell un film da manuale, che non perde però la capacità di emozionare, anzi di indignare chi è ancora in grado di farlo.
Non da meno, in quanto a supponenza, sono gli esponenti dei mass-media e della Cultura, come il giornalista e il rettore universitario che dovrebbero essere in grado di approfondire i fatti e cercare la verità e invece fanno parte dello stesso girone economico-politico-sociale che appiattisce la coscienza. “Look at you”, “Guardati”, dice Bryant Watson a Richard dopo tanto tempo da quella grave disavventura legale: non lasciare che lo sguardo impietoso cada su di te e ti giudichi, ma osservati per quello che sei diventato e impara ad amarti. Grazie Clint, ancora una volta.
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Il trailer ufficiale di “Richard Jewell”
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Credo che sia molto importante, oggi, lavorare con le ragazze e i ragazzi e, per questo, propongo, per le scuole, laboratori anche in Dad di Cinematografia, sul linguaggio filmico e sui temi che, di volta in volta, si vorranno affrontare.
Alessandra Montesanto: (lale.monte@gmail.com – peridirittiumani.com)
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