25 ANNI DALLA MORTE DI ALBERTO MORAVIA
Nel novembre del 2007 pubblicai un post dedicato a Alberto Moravia in occasione del centenario della sua nascita (avvenuta a Roma, il 28 novembre 1907). Nei giorni scorsi è stata celebrata un’altra ricorrenza: il venticinquesimo anno dalla morte (avvenuta a Roma, il 26 settembre 1990). Per l’occasione vorrei riproporre quel vecchio post del 2007 (contenente anche un contributo di Massimo Onofri tratto dal volume “Tre scrittori borghesi. Soldati, Moravia, Piovene” – Gaffi, 2007).
Ne approfitto altresì per proporvi questo video che contiene:
– uno “scherzoso” scambio tra Indro Montanelli e Alberto Moravia (1959)
-un’intervista di Pasolini a Moravia sul tema dello “scandalo amoroso” (1965)
– una trasmissione dedicata a Moravia, condotta da Mirella Serri con il contributo critico di Antonio De Benedetti (incentrata sui “gusti letterari”)
– una trasmissione dedicata interamente al profilo dello scrittore (con una serie di interviste molto interessanti)
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Dedico, dunque, questo “spazio” alla memoria di Alberto Moravia con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questo nostro grande scrittore a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.
Sono graditi (e ringrazio anticipatamente i partecipanti) interventi, contributi vari e la segnalazione di link attinenti ai contenuti di questo post.
Di seguito, il post pubblicato nel novembre del 2007.
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CENTO ANNI DALLA NASCITA DI ALBERTO MORAVIA
(post del 25 novembre 2007)
Cent’anni fa nasceva Alberto Pincherle, in arte Alberto Moravia. Per l’esattezza il 28 novembre 1907.
Mi piacerebbe che ne parlassimo qui a Letteratitudine, ricordando la sua figura di grande scrittore e i suoi libri.
Vi fornisco uno spunto avvalendomi di un testo di Massimo Onofri, estratto dall’ottimo saggio “Tre scrittori borghesi. Soldati, Moravia, Piovene” appena edito da Gaffi editore.
Si tratta della raccolta di alcuni scritti nati in circostanze differenti per “celebrare tre scrittori – tre uomini – sorprendentemente affini ed in concorrenza, nella diversa declinazione d’una borghesia che fu anche il loro modo di vivere ed interpretare una vicenda fin troppo italiana. Borghesia come condizione storica e proposta metafisica: a definire il rapporto che intrattennerò con se stessi e il mondo”.
Aspetto i vostri contributi.
Massimo Maugeri
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Un borghese contro se stesso: Moravia 1927-1951
di Massimo Onofri
Non mi fa fatica affermare che la pubblicazione dei Racconti (1927-1951), nel 1952, felicissima antologia d’autore, rappresenta un evento capitale, tanto nella già molto folta vicenda editoriale di Moravia, quanto nella storia della cultura letteraria italiana di quegli anni. Ma molto folta, vorrei aggiungere, è dire in fondo poco: se è vero che, come scrivono Simone Casini e Francesca Serra nell’Introduzione al notevole Racconti dispersi (1928-1951), stampato da Bompiani nel 2000, Moravia, a quell’altezza cronologica, ha già pubblicato otto romanzi, da Gli indifferenti (1929) al Conformista (1951), e scritto «ben duecentotrenta racconti più o meno lunghi». Lascio ancora, e volentieri, la parola ai due giovani filologi: «Certo, non tutti i racconti esclusi nel 1952 vanno considerati tra i dispersi, abbandonati cioè dallo scrittore dopo la loro prima comparsa su questo o quel periodico. Una cinquantina, per esempio, di carattere allegorico o fantastico, confluirà nei Racconti surrealisti e satirici del 1956; qualcun altro verrà recuperato in raccolte posteriori come L’automa; e ben trentaquattro, comparsi sul “Corriere della Sera” dall’inizio del 1949, inauguravano la lunghissima e fortunata serie dei Racconti romani (1954). Dopo aver fatto tutti i conti del caso e verificato di non incorrere in errori per via delle ingannevoli metamorfosi di titolo o di forma, rimane tuttavia un dato sorprendente di cui prendere atto: i racconti scritti da Moravia tra il 1927 e il 1951 che rimasero sepolti nelle pagine dei quotidiani o delle riviste sono più di cento».
Da queste non molte ma assai precise parole si possono ricavare almeno due notizie fondamentali. Che i due volumi antologici del 1952 hanno un valore davvero quintessenziale – ventiquattro antologizzati (alcuni molto lunghi) su duecentotrenta scritti – nella produzione moraviana. Che, nella loro quintessenzialità, essi vanno a toccare solo il versante borghese, certamente e di gran lunga il più importante, di un’opera sterminata:distinguendosi, appunto, non solo dai racconti di tematica popolare o romana (nati dentro la specialissima esperienza che lo scrittore fece del Neorealismo), ma anche da quelli di disposizione fantastica o allegorica. Ho detto borghese: che è un aggettivo, oggi, disusato, se non screditato, e carico di troppe implicazioni, ma che s’impiega qui in un’accezione storica e di minima sociologia: quando è vero che, di questi ventiquattro racconti, borghese è esattamente l’ambientazione delle vicende e l’anagrafe dei personaggi: d’una riconoscibilissima borghesia italiana, sostanzialmente, neghittosamente, impolitica, silenziosamente fascista prima, perbenista poi. Non è un mistero per nessuno: negli Indifferenti Moravia non usa mai la parola fascismo, ma noi non ci dimentichiamo nemmeno per un solo istante, durante la lettura, che gli anni sono quelli delle domenicali adunate in orbace, del fascio littorio e del fez. Ma, dire borghesi questi racconti, significa nominare anche la provenienza sociale di chi li ha scritti: e che, pur nella spietatezza d’una narrazione oggettiva, non riesce a non trasferire, sulla pagina, le componenti di un’inquieta, insoddisfatta, se non guasta autobiografia. Come avviene nel caso di uno dei più bei racconti del Novecento italiano: Inverno di malato. Ma andiamo con ordine.
Articolo, novella, racconto, saggio, racconto lungo, romanzo breve, romanzo, romanzo-saggio, teatro, in perenne osmosi l’uno con l’altro genere: non v’è pratica della scrittura che Moravia, nella sua lunga vita, non abbia frequentato. E che testimonia d’una necessità biologica e d’un impegno quotidianamente imprescindibile che hanno però dello straordinario: a testimonianza d’una fede, non dico d’una religione, che è stata l’unica, forse, a non abbandonarlo mai, ed esercitata con puntualità inesorabile nelle prime ore della mattina. Ogni giorno un segno inciso nel legno storto della propria umanità: perché, per Moravia, l’uomo è innanzi tutto – vichianamente, crocianamente – ciò che fa. Un’operosità straordinaria ed in polemica implicita, direi naturale, con ogni idea di vita eccezionale, eroica.Contro D’Annunzio, insomma, letterato e vate sempre sopra le righe: il quale ancora rappresentava molto, e non soltanto per la patria letteraria, in quegli anni Trenta e Quaranta, quando Moravia scriveva la più parte dei racconti inclusi nel 1952: spunti d’un dannunzianesimo d’interni e sentimenti non mancano, del resto, nelle pagine più antiche della raccolta, per esempio quelle di Cortigiana stanca (1927). Un’operosità straordinaria, ripeto: come virtù, appunto, eminentemente borghese, di quella borghesia, però, subito disprezzata e deprecata. In effetti, come il borghesissimo Croce, rimasto sepolto per molteore nel 1883, giovanissimo, sotto le macerie di Casamicciola, nell’isola d’Ischia, accanto ai propri famigliari morti, anche Moravia ebbe, negli anni decisivi dell’adolescenza, il suo privato terremoto, e nemmeno troppo simbolico. E come Croce ne ricavò, precocemente, imperativi inderogabili per la sua implacabile etica del lavoro.Ecco: il 1916 volge alla fine quando, a soli nove anni, mentre il padre lo accompagna a scuola, cade a terra per un fortissimo dolore alle gambe. La diagnosi è spietata: una tubercolosi ossea all’anca, la malattia che segnerà tutta la sua giovinezza sino ai diciott’anni. Cominciano così i lunghi periodi d’immobilità a letto, gli studi irregolari affidati perlopiù ad insegnanti privati, se non a governanti, le letture disordinate, ma matte e disperatissime (da Dante e Ariosto a Goldoni e Manzoni, da Shakespeare e Molière a Rimbaud e D’Annunzio, al fondamentale Dostoevskij): sino al ricovero nel sanatorio di Cortina d’Ampezzo, tra il marzo 1924 e il settembre 1925, ed alla convalescenza a Bressanone, in un Kurhaus, un albergo con assistenza medica. Moravia lo definirà più volte come il fatto più importante della sua vita: bisognerà prenderlo alla lettera. Non per niente, il già citato Inverno di malato, che trasporrà sulla pagina proprio questa esperienza in sanatorio, può essere letto come un racconto aurorale e fondativo, di larga parte della sua opera e di tutto un atteggiamento: quello conflittuale e risentito con la propria classe d’appartenenza, e magari letto anche col valore di un’autogiustificazione a posteriori, quanto alla luce feroce che illumina i personaggi e gli eventi che s’accampano negli Indifferenti, autogiustificazione che Edoardo Sanguineti, nel 1962, in chiave rigorosamente (e limitativamente) marxista, ha preferito tradurre coi termini di «coscienza» e «ideologia».
Scritto presumibilmente nell’estate del 1929 a Divonne-les-Bains, come confidò ad Alain Elkann nel 1990 (altrove, però, parlerà anche dell’autunno del 1925, collocandolo dunque a ridosso della stesura del romanzo d’esordio), Inverno di malato, terzo testo antologizzato nei Racconti, fu pubblicato da Pietro Pancrazi su «Pegaso» nel 1930, quindi incluso nella prima raccolta del 1935, La bella vita, poi ristampato nell’Amante infelice (1943). Ilperno attorno a cui ruota tutto il racconto è il rapporto tra il giovane protagonista (che ha più o meno l’età di Moravia quando entra in sanatorio), «di famiglia una volta ricca e ora impoverita», e il suo compagno di stanza, il Brambilla, «viaggiatore di commercio e figlio di un capomastro», personaggio che nasce dalla condensazione di due ospiti dell’Istituto Coldivilla di Cortina d’Ampezzo conosciuti da Moravia: il primo e momentaneo compagno di stanza, appunto un volgare rappresentante di commercio, e il più che ventenne e triestino Faloria, figlio d’un sarto, giovine leggero e non problematico, don Giovanni al naturale, per il quale lo scrittore in erba prova una vera e propria infatuazione.
C’è da domandarselo, inseguendo indebitamente la biografia fin dentro la letteratura, braccando quell’io che vive sotto le mentite spoglie dell’io che scrive: che cosa sarebbe stato il rapporto di Moravia con la sua classe se non fosse passato al vaglio feroce d’uno sguardo “altro”, non borghese, epperò classista e risentito, come quello che ci restituisce qui il Brambilla, il quale non avrebbe forse ragioni da accampare – e il giovanissimo Girolamo lo sa bene nei rari momenti di lucidità -, se non quelle dell’azione, meglio: dell’attivismo e del vitalismo, e d’una certa braveria, d’una facilità di vivere, che a Girolamo, dal fondo della malattia e della sua paralisi, delle sue velleità, possono parere addirittura le ragioni stesse della salute e della virtù. Lo veniamo a sapere sin dalle prime righe: il Brambilla «l’aveva a poco a poco convinto, in otto mesi di convivenza forzata, che un’origine borghese o, comunque, non popolare fosse poco meno che un disonore ». Sia detto per inciso: proprio il primevo e positivo sentimento del popolo può dirsi alla base, dunque antica e dissimulata, di quelle cautissime illusioni populiste che Moravia vivrà tra i Racconti romani e i Nuovi racconti romani (1959).
Intendiamoci: se abbiamo scavato nel racconto in direzione della vita, se abbiamo finto un’identità tra le verità del testo e quelle dell’autore, non è per il fatto che vogliamo sottovalutarne la letterarietà.Quella che già nel 1938, molto tempestivamente, e come a rimproverargliela, Eurialo De Michelis sottolineava vigorosamente: magari segnalando calchi di Dostoevskij e Manzoni.
Epperò il fatto d’una sintassi dello sguardo che trapassa dalla vita all’opera – se inteso, diciamo, in senso trascendentale, come a fornirci una delle condizioni di possibilità del mondo moraviano, una sua chiave d’accesso – ci pare sia da privilegiare: a motivare meglio anche la qualità eccezionale dei racconti più lontani: non solo di Inverno di malato, ma anche di Cortigiana stanca, Delitto al circolo di tennis (1927), Fine di una relazione (1933). Insomma: il giovanissimo Moravia presta molto di sé al Girolamo di Inverno di malato, che è poi, in versione adolescente (o poco più), il Michele degli Indifferenti, o, per pescare a caso anche in questi Racconti (1927-1951), il Gianmaria dell’Imbroglio (1937), il Giacomo di Luna di miele, sole di fiele (1951), inserito però a partire dalla ristampa del libro del 1953, col suo amore «fatto più della volontà di amare che di sentimento vero»: inetto, velleitario, dilemmatico e inadeguato alla vita. Il giovanissimo Moravia, ripeto, presta molto di sé a Girolamo: ma sospingendolo subito dentro una luce che è già, insieme, di pietà e di condanna. Ecco: ricerca morale della verità o pregiudizio immoralistico? Distacco moralistico dalla propria materia autobiografica e di classe o adesione senza riserve? Furono proprio queste le domande che impegnarono e divisero i primi recensori degli Indifferenti, che oggi ci appaiono, quasi tutti, con le armi spuntate di fronte a quell’aggressività implacata ma fredda di Moravia, a quel fuoco sempre bagnato, però, dalle ragioni d’una strana pietà.Pietà e rifiuto, insomma: laddove, in Inverno di malato, nel serrato confronto tra Girolamo e Brambilla, tra un borghese inconsapevole di sé (e delle sue radici di classe) e un giovane del popolo, finisce per esplicitarsi, e per chiarirsi a se stessa, quella dialettica che, invece, negli Indifferenti resta muta, nel cerchio conchiuso e strozzato d’un interno pariolino dove, come notava Pancrazi recensendo il romanzo, manca davvero l’aria, sicché verrebbe la voglia d’aprire subito una finestra o scambiare due parole con la serva di casa. In Inverno di malato Moravia si serve d’un Brambilla insolente, sadico e persecutorio, anche un po’ mascalzone – quel Brambilla che giganteggia dentro la coscienza larvale di Girolamo -, per fare subito i conti con la sua classe sociale d’origine. Ma, dentro quel conto, saranno proprio le ragioni della pietà a impedirgli di riconoscersi positivamente in Brambilla, nel suo vitalismo, insomma in tutte le mitologie piccolo-borghesi con cui la malata borghesia italiana s’illuse di rivitalizzare se stessa e che culminarono nella barbarie del fascismo.
Ho parlato dello sguardo, della sua peculiare disposizione, che, da questo racconto aurorale, trasmigra, fondandola, dentro larga parte dell’opera moraviana, fino al suo punto terminale, passando, ovviamente, per tutte le metamorfosi che la borghesia italiana, con la sua realtà di riferimento e d’espressione, conoscerà nei decenni del secolo scorso, arrestandosi al principio degli anni Novanta, con la morte dello scrittore. Dovrei parlare ora – e sempre in termini trascendentali – del sesso e delle donne.
Perché, affrontare la questione del sesso in Moravia, significa, inevitabilmente, entrare nel merito di quell’aggressione in cui consiste il movimento del personaggio uomo, quando si rapporta, eroticamente, al personaggio donna. Un’aggressione che sta sempre nella lente ferocemente millimetrica d’un uomo che guarda: e che, non di rado, si traduce anche in violenza reale ed omicidio, come accade in Delitto al circolo di tennis. Partiamo, ancora una volta, da Inverno di malato: Girolamo, per ottenere da Brambilla una patente di virilità, studia di sedurre Polly, la paziente inglese quattordicenne con cui, per volontà dei genitori di lei, è solito conversare. Quella di Polly è, sin da subito un’«intorpidita» e «ritardata infantilità», che la fa terrorizzata e atona alle goffe avances del ragazzo, il quale, in quei rapporti voluti con tutto se stesso, e contro la sua stessa inadeguatezza, non s’impedisce di avvertire subito un che di «illecito, triste, torbido», fino alla convinzione «di essere guasto, senza rimedio».Ecco: il sesso è in Moravia, e sin da subito, qualcosa di agognato e ineludibile, ma anche di irreparabile, e che ha a che fare con la mortificazione e la perdita di sé.Il personaggio di Polly, poco più che una bambina, induce meno lo scrittore a quel moto aggressivo di cui s’è detto, rivolto più a se stesso, in questo caso, al suo io vicario. Tutto risulta più chiaro quando, sulla scena, campeggiano donne mature.Prendete Cortigiana stanca: «Per strada, la sua fantasia si era accanita con una specie di rabbiosa volontà a immaginare una Maria Teresa carica di autunni, dai seni pesanti, dal ventre grasso tremolante sulle giunture allentate dell’inguine, dai fianchi impastati e disfatti». Laddove, però, la logica stessa del desiderio nei suoi momenti più accesi, se non addirittura quella stessa dell’amore, si alimenta proprio di quanto c’è di più penoso nel commercio della carne: «Non se lo confessava, ma l’avrebbe amata di più, mille volte di più, […] se avesse sentito sotto le sue mani irrequiete una carne ancora più stanca di quella, una pelle ancora più vizza e sfiorita. Tutto il suo amore avrebbe dato ad una povera donna matura che non senza disgusto avrebbe tenuto sopra le sue ginocchia e stretta contro il proprio petto». Anche alla donna di Fine di una relazione – che non si trova nell’incipiente autunno della vita come Maria Teresa, ma nella pienezza della sua fresca maturità – il suo infastidito amante non riserva premure migliori. E nello sguardo feroce e disturbato di lui, i suoi sono «occhi neri e inespressivi», per «una serenità indolente e un po’ bovina», di «animale inabile».
Il culmine di questa aggressività maschile, però, s’era già toccato dall’inizio, in Delitto al circolo di tennis, dove la «principessa», una donna invecchiata male, ma di ancor vive ambizioni, viene invitata al ballo di gala al Circolo, corteggiata e illusa, sbeffeggiata e umiliata, denudata e stuprata collettivamente, sino all’omicidio. Ecco: «lo scolorimento della carne ingiallita e grinzosa rivelava il disfacimento dell’età». E ancora, nei modi d’un dileggio che arriva al linciaggio: «La trascinarono daccapo alla tavola, quella resistenza li aveva imbestialiti, provavano un desiderio crudele di batterla, di punzecchiarla, di tormentarla». Si tratta di una modalità di rappresentazione che resisterà negli anni: ed I racconti ne danno continua e prolungata testimonianza.
Prendete L’imbroglio (1937), là dove compare in scena Santina, la fanciulla tutt’altro che sprovveduta da cui il protagonista maschile sarà prima irretito e poi ingannato: «Attonito e tuttavia incuriosito, Gianmaria notò soprattutto il singolare contrasto tra la gracilità infantile di questo corpo e le due macchie rotonde dei capezzoli che trasparivano sotto il velo verdognolo della sottoveste, anormalmente larghe, quasi mostruose, grandi e scure come due soldoni; e i peli lunghi, folti e molli che nereggiavano sotto le ascelle di quelle magre braccia alzate».
All’avvenente Gemma della Provinciale (1937) non tocca migliore destino: «Aveva il naso aquilino, la bocca grande e sdegnosa e, sotto capelli crespi, la carnagione delicata e malsana, ora diafana ora chiazzata di macchie di rossore. Certa peluria, che le adombravale braccia e la nuca, faceva pensare ad un corpo villoso ed infuocato pur nella sua sgraziata magrezza». Ma anche in Luna di miele, sole di fiele (che chiude la raccolta del 1952), il protagonista in questi termini s’esprime sulla moglie, all’indomani delle nozze: «Ella non era alta, ma aveva le gambe lunghe, di fanciulla, e magre, soprattutto nelle cosce che, nei calzoncini corti, mostravano sotto l’inguine quasi una fessura. Erano bianche, queste gambe, di una bianchezza fredda, casta, lucida. Ella aveva i fianchi stretti, la vita snella e poi, solo tratto muliebre, se si girava a parlargli, si profilava sotto la maglia il petto gonfio e basso, simile, sul busto esile, ad un peso aggiunto ed estraneo, penoso a portarsi».
Penoso a portarsi quel seno gonfio e basso: come sempre, in questi racconti, penoso è fare all’amore. Già, fare all’amore: tutto ciò che abbiamo per incontrarci e conoscerci in quanto essere umani, ma anche tutto quello che dobbiamo sopportare e soffrire.Aveva ragione Enzo Siciliano nel 1998: «In Moravia la sessualità diventa il segno tangibile della crisi del personaggio uomo – e lo stile, il lessico lo documentano». E ancora: «C’è in Moravia il torbido languore che segue al coito, una felicità offuscata da un rimorso senza nome, o la consapevolezza che si è vittime di noi stessi – la nostra persona è soltanto il risultato di un conflitto mal domato». Parlando di Agostino (1944), Umberto Saba disse che Moravia «sporcava l’amore». E Siciliano, molto giustamente commentò: «Voleva dire che Moravia piegava il sesso sul versante della tenebra piuttosto che su quello della luce». Il sesso e la sua natura di tenebra: parrebbe, il fare all’amore, l’unica declinazione dell’esistenza che abbia a che fare con una qualche idea di felicità, mentre invece si nutre, «oltre che di torbidi desideri, di sentimenti così poco amorosi come il disgusto, la crudeltà e il disprezzo», per usare le parole con cui Paolo, nella Provinciale, giustifica la sua «passione grossa e furtiva» per Gemma. Il giovane Moravia ha già capito tutto quello che c’era da capire, e continuerà a ribadirlo per tutta la sua vita di scrittore: la natura dell’uomoè ignota a se stessa, nonostante tutta la scienza che su tale natura è stata costruita, psicanalisi compresa. Il sesso è esattamente la dimensione in cui l’inconoscibilità della nostra natura arriva a palesarsi fulmineamente in quanto tale: disperatamente inattingibile.
Quale atto sostanzialmente aggressivo, il sesso è, così, anche un’aggressione alla stessa verità: per come ci appare, identica a se stessa, integra eppure incomprensibile. Fateci caso: che cosa rimane, a tutti i personaggi maschili, al termine dell’inappagata espugnazione che finisce per essere, ogni volta, il rapporto sessuale con una donna? Nient’altro che la proclamazione spazientita e insoddisfatta d’un mistero. Prendete Cortigiana stanca. Dopo l’amore, appena il suo amante s’è liberato dal viluppo delle coperte per andarsene via, Maria Teresa comincia a piangere «senza rumore, senza scosse, silenziosamente, come scorre il sangue da un corpo ferito a morte». L’amante ne ascolta le disperate parole – «è duro essere costretti per la prima volta a mendicare la vita» – quindi assiste a quella sorta di riflusso per cui Maria Teresa si richiude nell’impenetrabilità del sonno: «Gli pareva, di fronte a questa immobilità, che ella non avesse mai parlato; dubitava dei suoi occhi e delle sue orecchie; avrebbe voluto rivedere la smorfia lacrimosa, riudire la voce piangevole. La guardava e gli pareva di vedere la faccia stessa dell’esistenza, un momento rivelata e parlante, ora di nuovo muta e immobile». Già, la faccia stessa dell’esistenza che si rivela alla luce, per ritornare nella tenebra muta della sua immobilità. Siamo agli esordi: ma questa epifania del mistero della vita attraverso la donna è già un patrimonio morale ed esistenziale conquistato dal giovane scrittore. Inesorabile il suo giuoco di diastole e sistole, nella sua intera opera, attraverso personaggi femminili sempre più enigmatici: da Cortigiana stanca, appunto, a L’amore coniugale (1949), al postumo La donna leopardo (1991), per attenerci a tre diverse altezze cronologiche, per sottolinearne la prodigiosa continuità, anche di tenuta letteraria. Epifania del mistero della vita attraverso la donna che, guarda il caso, si realizzaanche nelle ultime righe dell’ultimo racconto della raccolta, così come Moravia ha perentoriamente voluto a partire dall’edizione del 1953, Luna di miele, sole di fiele: «Giacomo la strinse a sé e quasi subito, mentre lei cercava, sempre piangendo, il suo abbraccio, penetrò dentro di lei, facilmente e agevolmente. Ebbe la sensazione come di un fiore segreto, formato di due soli petali, che si schiudesse, pur rimanendo sepolto e invisibile, a qualche cosa che era il sole per la buia notte carnale. Nulla era risolto, pensò più tardi, ma per ora, gli bastava sapere che ella si sarebbe uccisa per lui».
Massimo Onofri
(Copyright Alberto Gaffi Editore)
TRE SCRITTORI BORGHESI di Massimo Onofri
Alberto Gaffi Editore in Roma, 2007
pagg. 112, euro 10
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Mi raccomando. Aspetto molti contributi su Moravia.
Chi desidera informazioni biografiche può cliccare sul nome dell’autore (all’inizio del post) per leggerle su wikipedia.
Complimenti a Alberto Gaffi e Massimo Onofri per il bel libro.
Aspetto considerazioni sul centenario.
Ricordi di letture.
– Il libro di Moravia che vi è piaciuto di più. E perché.
– Quello che vi è piaciuto di meno. E perché.
Il ruolo e il “posto” di Moravia nel Novecento letterario.
E altro ancora…
Vi propongo pure questo articolo comparso sul quotidiano “Il Mattino” di oggi 25/11/2007, intitolato:
“Moravia, l’uomo del Novecento”.
Il sottotitolo recita: “Il grande semplificatore aveva la rara capacità di saper porre domande. Per questo oggi manca”
L’articolo è firmato da Raffaele Manica.
–
Possiamo dire che la forma principale di Moravia fu l’interrogativa. I suoi romanzi e i suoi saggi procedevano così, come un séguito di domande espresse sulla pagina (o, molto spesso, sottintese): basti pensare all’Attenzione o a La vita interiore o al famoso scritto su Claudia Cardinale. Gran parte dei suoi libri erano risultanze di interviste implicite. Addirittura la sua autobiografia fu in forma di intervista (la Vita di Moravia raccolta da Alain Elkann). Dunque, nell’occasione del centenario – nacque come Alberto Pincherle il 28 novembre del 1907 a Roma dove morì il 26 settembre del 1990 – , non potrebbe esserci omaggio migliore a Moravia che porsi due o tre domande su di lui. Un centenario che è una sorpresa se, poco dopo i suoi ottanta anni, lo scrittore si stupì di avere quell’età («Quando scoppiò la bomba dei miei ottanta anni…», diceva sornione) e poco mancò che, anche in quell’occasione, chiedesse come mai era successa una simile cosa. Tre domande, dunque: alla moraviana maniera. Che cosa ci manca di Moravia? Che cosa resta di Moravia? Che cosa rimane da fare per Moravia? Quel che manca di Moravia – non paia un girare intorno alla questione con le parole – è la sua capacità di porre domande e la sua capacità di dare pronte risposte. Moravia, si è spesso ripetuto, era un grande semplificatore. Ma rileggendo i suoi libri ci si accorge che Moravia era piuttosto uno che prendeva di petto le questioni, senza fronzoli. Il suo dire era funzionale in massimo grado e in massimo grado aborriva la decoratività. Una scrittura di grande pulizia, quale ne fosse l’oggetto: decisa, o magari impaziente e scontrosa, ma mai compiaciuta di sé, e in fuga dalla prosa d’arte in mezzo alla quale era pur nata, stando alle date. In un «incontro», il suo amico Montanelli scrisse che Moravia era il contrario del «fine dicitore». Riguardando i filmati, si può concordare: «Parla come i canguri saltano, a frasi rotte, smozzicate, ad affermazioni categoriche… ma quel che dice è di prima qualità». Dunque, di Moravia ci manca la capacità di fare domande, per scritto o a voce, per sé e per noi; la capacità di dire in due o quattro parole perché preferire Dostoevskij a Flaubert, o Rimbaud a tutti i poeti. Possono farlo solo coloro di cui molti dicono ancora: era l’uomo più intelligente che abbia mai incontrato. Quel che resta di Moravia non va neanche ripetuto per l’ennesima volta; diamolo per scontato: una messe di racconti tra i più belli del Novecento, da Inverno di malato in poi; quattro o cinque romanzi che hanno fatto epoca (Gli indifferenti aspettarono comodamente adagiati che arrivasse Sartre a dare un nome a ciò che ne costituiva il mood: l’invenzione dell’esistenzialismo) o sono diventati addirittura un fatto di costume (come essere meglio identificati nella categoria degli intellettuali, negli anni Sessanta, se non infilando un paio di occhiali scurissimi dopo aver messo sotto il braccio La noia?). E resta di Moravia quella chiave che per lui fu accesso alle dinamiche del mondo, per qualunque tipo di rapporto interpersonale: la lettura del sesso. Resta quella capacità di produrre serialmente ad alta qualità, e con infinite variazioni: soprattutto nei racconti, che si concentravano nella quantità di battute necessaria ad inquadrarli in due colonne del «Corriere della Sera»: uno simile all’altro e uno dall’altro diverso. Tutti più o meno da non potersi trascurare, dai Racconti romani in poi. Restano le pagine di viaggio scritte con la sprezzatura di chi conosce tutto e ancora una volta va a vedere se davvero conosce tutto; scoprendo l’Africa, in vecchiaia, come un’immagine della giovinezza del mondo. Resta la capacità di buttar via. Poco o nulla rimaneva di conservato dopo che l’opera era apparsa a stampa; e desta stupefazione la disinvoltura per cui uno dei suoi libri più belli, gli articoli di viaggio mai raccolti prima in volume, fu un libro postumo, dovuto alla sicurezza con cui Enzo Siciliano sapeva destreggiarsi tra le carte del Maestro. Quel che rimane da fare per Moravia è innanzitutto rileggere bene la sua stagione tarda, sulla quale maggiormente si sono accentuate le riserve che lo accompagnarono per tutta la vita (il libro precedente era sempre migliore, così pareva, del libro appena apparso: ma se così era, da quale altezza mai partiva la sua opera? E dove sarebbe andata a finire?). Chiunque può rileggere La donna leopardo per vedere che cosa quello scrittore avanti negli anni e sempre più claudicante nella persona (una figura, una sintesi del Novecento) sapeva maneggiare con una cura che non ci sarebbe aspettati dalle sue mani grandi e nodose; per vedere che cosa, quale meditazione metafisica e quale telaio narrativo gli presentava la chiave del sesso al tramonto della vita. E per vedere come si schiarivano le sue idee col passare degli anni, sempre più sobrie e sempre più nella verità delle cose (uno scheletrirsi o una spoliazione). Moravia appartiene per sempre a quel Novecento in cui Picasso era il pittore, Stravinskij il compositore. In cui le arti avevano una loro certezza di fondamento. Ed è stato lo scrittore, da tutti conosciuto, anche senza averne mai letto una riga. Raccontò Fellini, inventando, che in Groenlandia vide improvvisamente una fotografia di Moravia sulla copertina della Romana e si sentì meno sperduto. Paradossale destino, se proprio Moravia sosteneva che ciò per cui si viaggia è sentirsi spiazzati: un modo per destare l’attenzione. «Se si facesse più attenzione forse non si morirebbe affatto» si dice nella Donna leopardo; e a Raffaele La Capria, che un giorno gli chiedeva perché mai aspettasse un temporale con tutto quel sereno, Moravia rispondeva che le cose capitano quando meno te le aspetti, senza preannuncio.
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Fonte: http://www.ilmattino.it
Faccio mie le domande di Manica e ve le ripropongo.
Secondo voi:
– Che cosa ci manca di Moravia?
– Che cosa resta di Moravia?
– Che cosa rimane da fare per Moravia?
Ci ho impiegato:
Gli indifferenti, Agostino, La romana, L’amore coniugale, Il conformista, Racconti romani, Il disprezzo, La ciociara, La noia e Io e lui
per arrivare a capire che di Moravia me ne frega pochissimo. Non mi ha lasciato nulla quasi certamente perché mi ha sempre dato l’impressione di scrivere per se stesso. Cosa ammissibile e magari anche origine di capolavori, ma non per i miei gusti. Potevo smettere di leggerlo al secondo libro, ma insistevo caparbiamente di fronte alla celebrità del suo nome. Paradossalmente è forse lo scrittore che ho letto di più e anche quello di cui mi importa meno. Mi suona fasullo e non ci posso fare nulla.
E con ciò un romano come me ha “sistemato” un altro romano come Pincherle. Evidentemente tra capitolini c’è molta meno solidarietà che tra siciliani
🙂
…E un altro romano – anche se rinnegato – che non ama il ”sor” Pincherle e’ il sottoscritto. Pero’ io l’ho letto meno di Gregori. in ogni caso Moravia rappresenta il caso italiano piu’ clamoroso di sopravvalutazione di un autore. La Storia pero’ lo ha gia’ rimesso a posto, visto che giustamente a molta gente Moravia non manca affatto. Cio’ che infastidisce (anzi che disturba) di lui e’ la sua fredda razionalita’, quel senso di estraneita’ alle disgrazie altrui che traspare spesso. Poi… anche una certa turpitudine, una ambigua torbidita’ morale onnipervasiva – ed accentuata nelle pubblicazioni della vecchiaia.
I lati positivi di Pincherle, tuttavia, sono la franchezza e la denuncia delle falsita’ borghesi. Anche lo stile narrativo, soprattutto ne ”I racconti”, e’ accattivante e fortemente comunicativo: una lingua media molto scorrevole e dalla affabulativita’ garantita. Innegabili pregi.
Quantunque in Inghilterra il suo pessimo ”L’uomo che guarda” fu l’addio del dignitoso popolo britannico a Moravia, che dopo non venne piu’ tradotto nel Regno Unito, va detto che l’autore de ”Gli indifferenti” e’ stato un utile medio scrittore italiano. Utile ma non indispensabile, direi. Sarebbe oggi tanto meglio scoprire una terzina inedita di Dante che tre romanzi nelle cantine di Moravia.
Il franco
Sergio Sozi
Non lo dico per fare il bastian contrario, ma a me Moravia manca molto. L’ho detto in tempi non sospetti in un commento sul sito della Perrone. La mia, poi, è una nostalgia paradossale, in quanto retrospettiva: sono del ’79, e Moravia l’ho conosciuto tramite i suoi libri e i suoi articoli quando era già morto da un pezzo. Comunque, se oggi molti lo hanno ridimensionato, è anche vero che alcuni giovani blogger bibliomani lo citano come uno dei loro autori preferiti. Anche Genna, su “I Miserabili”, ha inserito degli scritti di Moravia. Personalmente quello che mi manca di lui è il suo approccio “psicanalitico” alla realtà, e poi quella sua “visionarietà pigra” e anche un po’ kitsch. Forse la nostalgia per questo autore è anche la mitizzazione di un’epoca che non ho vissuto. Come diceva Enzo Biagi (un altro “grande medio”) il passato ha sempre il sedere più roseo. E, a proposito di glutei, consiglio di leggere la similitudine “ippica” con cui Moravia descrive il fondoschiena di Cecilia ne “La noia”: pura poesia. Con innegabili meriti della Musa ispiratrice. Buonanotte a tutti
Dopo aver cominciato a leggere nell’85 “L’uomo che guarda”, mi appellai, dopo una decina di pagine al III Comandamento di Daniel Pennac del libro (non ancora scritto allora) “Come un romanzo” e spostai il tomo di Pincherle in un angolo buio della libreria e della mia memoria, da dove ogni tanto fa capolino solamente il flashback di quella splendida creatura che lo truffò gioiosamente alfin della sua vita: concordo coi due mostri sacri “Sozigregori”.
Ciò detto.
Mi preme ricordare un gustoso anedoto, sempre di Pennac nello stesso libro che lo riguarda e che un po’ si riallaccia al vecchio post dei “due libri da salvare”
UE Feltrinelli – pg.114 :
“…Alberto Moravia ed Elsa Morante, costretti a rifugiarsi per diversi mesi in una capanna di un pastore, erano riusciti a salvare solo due libri:
“La Bibbia e I Fratelli Karamazov”. Da ciò, un atroce dilemma: quale di questi due monumenti utilizzare come carta igienica? Per quanto crudele, una scelta è una scelta. Con la morte nel cuore, scelsero.”
Incredibile caso di sincronicità. Sto rileggendo un bellissimo libro di Alba de Cespedes, autrice da rivalutare, per la sua sconcertante attualità. E proprio stanotte mentre leggevo pensavo alle figure femminili che ho conosciuto nei miei primi approcci con la lettura attraverso l’opera di Moravia.
Ricordo un torrido luglio del del 1981 in cui invece di andare al mare mi chiudevo con le imposte serrate, stesa sul letto a leggere i libri di Moravia. Si può dire che “Gli Indifferenti” “La Romana” ” La ciociara” e “Il conformista” furono per me un vero e proprio traghetto verso quel mondo adulto che in me suscitava tanta curiosità ma anche repulsione.
E’ vero Moravia borghese, Moravia un po’ porco e rincoglionito degli ultimi anni, ma, cavolo quanto aveva ragione sui meccanismi che reggono i rapporti umani. E poi ditemi c’é forse qualche scrittore che non provenga dalla borghesia? Mi viene in mente solo Erry de Luca operaio per scelta, gli altri non so…
Rileggendo in questi giorni “Dalla parte di lei”della Cespedes un libro del 1949 sembra di entrare nelle case e nelle vite raccontate da Moravia. E mi dicevo stanotte che dopo tanti anni, di inutile letteratura “ombelicare” finalmente ritrovavo la Storia con la S maiuscola e il senso profondo che c’é dietro ogni narrazione. Mostrarci per quello che siamo, vili, meschini mediocri; Solo alla donna é concesso il dono della compassione e della pietas e questo Moravia ha saputo ben raccontarlo.
Moravia è uno dei più grandi autori del Novecento. Su questo non c’è dubbio. E il fatto che abbia detrattori, come si evince anche da questo post, è la dimostrazione che la sua opera omnia non è stata concepita per fini strappapplausi.
Moravia autore borghese, Moravia autore psicologico, Moravia autore capace di rappresentare pezzi significativi della società italiana.
E’ ovvio poi che ognuno ha i suoi gusti. E de gustibus…
Aggiungo che dai suoi libri sono stati tratti grandi film. Sig. Maugeri, secondo si potrebbe parlare anche di questo. Complimenti per il sito.
Mi sembra fuori luogo creare due “partiti”, e mi auguro che nessuno abbia in mente di farlo perché (come giustamente sottolinea Germano) qui si tratta di gusti. Io, pur non apprezzando Moravia, capisco perfettamente i suoi sostenitori. E’ vero che è stato abilissimo nel comprendere i meccanismi che regolano i rapporti umani. Ma questi meccanismi, certamente, li ha capiti da solo anche Francesco Di Domenico trasportando tutto il giorno sul suo bus migliaia di esseri umani. Forse Dostoevskji (per esempio) è andato un po’ oltre Moravia.
I meccanismi che regolano i rapporti umani si possono capire guidando un autobus, o facendo la fila alla posta, o a volte semplicemente guardandosi allo specchio. Se la mettiamo così possiamo arrivare alla conclusione che è meglio smettere di scrivere.
Dostoevskji, secondo me, è superiore non solo a Moravia, ma a tutta la categoria dei romanzieri al completo.
Restiamo in Italia. Dal punto di vista della narrativa psicologica credo di poter sostenere con convinzione che Moravia è secondo soltanto a Svevo.
Quello che mi ha colpito maggiormente di Moravia e` stato la sua straordinaria lucudita` analitica nel descrivere i sentimenti e le passioni dei suoi personaggi. Non vi era pero` il distacco alla Zola oppure quella sterilita` emotiva che contraddistingue molti giovani scrittori attuali.
Era semplicemente la sapienza nel creare distacco dai propri personaggi, riuscendo al contempo a coinvolgere il lettore nelle loro vicende.
Io invece, come già Francesco Di Domenico, concordo con Sozi e con Gregori (pur non avendolo letto con la stessa caparbietà): proprio la sua impressione che scrivesse per se stesso è quella che ho avuto anch’io. Arte masturbatoria. E anche in questo genere c’è chi par concentrarsi sulla Venere di Milo o del Botticelli, chi su Marylin, chi sulla Bellucci o su Charlize Teron, chi su Jessica Rizzo.
Moravia (particolarmente quello delle ultime opere) mi dà l’idea si concentrasse essenzialmente sul proprio pene (la quintessenza della masturbazione).
E’ solo la mia opinione, con tutte le dovute scuse a chi invece lo ama.
Carlo Speranza
Non vorrei essere polemica. Solo che a volte penso a grandi autori come Moravia (un vero monumento, per me) e a quelli che scrivono oggi. E mi rattristo, perché ritengo che siamo proprio messi male.
Scusate, ma questa cosa la penso e la dovevo dire.
Stefy
Anche a me Moravia non entusiasma, ho letto alcuni suoi libri ma non è che abbia fatto salti di gioia. Concordo sulla sua straordinaria lucidità analitica nel descrivere i sentimenti e la passione dei suoi personaggi, ma per il resto… La sua popolarità è esagerata, a mio parere, rispetto alle opere che ha prodotto, forse dovuta al fatto che era ben introdotto negli ambienti letterari romani. Penso ai grandi, ai geni, a Buzzati, calvino, Landolfi. Moravia non regge il confronto.
Mi spiace, ma non sono d’accordo. Secondo me è Calvino a essere sopravvalutato, non Moravia. E comunque quelli citati sono tutti grandi autori.
Ripeto, de gustibus…
La venere di Milo a me non piace (e non perchè io non comprenda l’arte), non ci andrei neanche a letto, se fosse più morbida del marmo s’intende, ciò non toglie che m’inchino all’universalità dell’esegesi artistica che la considera un capolavoro.
Quelli che scrivono oggi:
bhe, a Pavese, ieri (anni ’30) lo consideravano uno che voleva pubblicare i diari di un disturbato mentale, poi la storia fermenta le cose!
Molti scrittori minori di oggi, fra trent’anni…
Per Salvo Zappulla.
“La sua popolarità è esagerata, a mio parere, rispetto alle opere che ha prodotto, forse dovuta al fatto che era ben introdotto negli ambienti letterari romani”.
Salvo, non dimentichiamo che Moravia fu costretto ad autopubblicarsi “Gli Indifferenti”. Poi è ovvio che quando diventi famoso è tutto più semplice, ma non mi pare giusto dimenticare le difficoltà dell’esordio.
Cara Stefania, sai quanti editori a pagamento prendono come esempio questo fatto per spennare soldi a tanti poveri esordienti? “Si ricordi che anche Moravia, la prima volta ha pubblicato a sue spese”. So benissimo questo particolare ma non è che voglia sottovalutare Moravia, per carità. Solo che per me la letteratura è esplosività, fuoco di giochi pirotecnici ed amo in particolare i grandi surrealisti, quelli capaci di tirare fuori dal cilindro storie incredibilmente fuori dalla norma e dalle regole. Buzzati per me è il massimo (tanto per restare dentro i nostri confini). Anche Achille Campanile è un genio, forse sottovalutato. Moravia non mi entusiasma, che ce posso fa’.
Di Moravia ho letto solo Agostino (lettura imposta a livello scolastico) e Gli indifferenti. Non mi ha scosso, leggerli o non leggerli sarebbe stato uguale. Con questo non voglio negare le capacità dello scrittore in sè, solo affermare che un libro che non mi dà emozioni – positive o negative che siano- è un libro che non rimane dentro. Dopo le due esperienze di lettura sopra citate, sinceramente non ho più avuto curiosità nei confronti di Moravia.
Salvo, ognuno ha i suoi gusti come dice Germano. Volevo solo sottolineare che Moravia ha cominciato dal basso pubblicando ha proprie spese l’opera prima. Che poi questo aneddoto viene preso da esempio degli pseudoeditori furfanti per offrire agli scrittoripolli contratti a pagamento lasciando intravedere possibili esiti alla Moravia, questo è un altro discorso. Peggio per gli scrittoripolli che si fanno fregare.
Ciò non toglie che Moravia è partito dal basso e la sua fama è stata conquistata sul campo.
Poi una volta che diventi famoso detti legge, ma questo è un altro discorso ancora.
Ciao
Aiutoooo!!! Per errore ho scritto “ha proprie spese”. Per pietà, Massimo Maugeri, correggi con “a proprie spese”.
sulla legittimità ed autonomia del gusto personale non si discute. però, attenzione. io ho letto sia l’eneide che la parodia di walt disney a fumetti “papereneide”. potrei dire che secondo i miei gusti papereneide è superiore all’eneide. ma che valore avrebbe questa mia dichiarazione?
Moravia ti ha fatto sbagliare. Il suo fantasma, da dietro, ha pigiato una “h” a tua insaputa. Sai che boicottò il libro di Stefano D’arrigo? Questa, noi siciliani, non gliela possiamo perdonare.
Ciao,
concordo con Francesco Di Domenico, Sergio Sozi ed Enrico Gregori e, soprattutto con Carlo Speranza: arte masturbatoria.
Moravia ha avuto fortuna, perché su Calvino, la critica era/è divisa. Concordo, con molta simpatia, anche con Silvia Leonardi: i libri di Moravia, “leggerli, o non leggerli sarebbe uguale”.
Meglio quelli delle mogli, soprattutto la prima, Elsa Morante.
@ Francesca Serra: condivido la tua opinione su Alba De Cespedes, andrebbe rivalutata! ( non è male, ANZI, nemmeno La bambolona)
Salvo, è che di queste diavolerie informatiche non ci capisco una “h” 🙂
Forza Moraviani!!! Dove siete? Fatevi avanti!
Complimenti a Onofri per il libro. Condivido in pieno la scelta di unire Moravia, Soldati e Piovene considerandoli come tre scrittori borghesi.
I racconti di Moravia sono dimenticatissimi e bellissimi. E’ un consiglio di lettura.
Ma quel che è giusto è giusto: gli ultimi romanzi, tipo il famigerato 1934, sono davvero banali e brutti. Ormai Moravia probabilmente era preda dell’industria editoriale.
Concordo con Di Lorenzo. Tra le cose di Moravia da rivalutare ci sono senz’altro i racconti.
Stefania, bellissima la battuta. In quanto alle diavolerie informatiche, pensa che io fino a poco tempo fa comunicavo con i segnali di fumo. sono arrivati i Moraviani a dar man forte. Si è ristabilità la parità.
Per dire qualcosa di serio su Moravia: trovo molta similitudine tra il suo modo di esprimere erotismo attraverso la letteratura e quello di Jun ‘ichiro Tanizaki
Moravia grande Moravia indifferente.
Leggendo ogni post sull’argomento mi accorgo che quanto ha pubblicato comunque stimola una presa di posizione.
Un aneddoto.
Negli anni sessanta Moravia fu candidato al premio Nobel. Si pensava che avesse tutte le caratteristiche per concorrere alla pari con altri grandi scrittori: peccato che il suo presentatore lo descrisse alla Commissione in modo un po’ troppo critico e poco elogiativo.
Perse ogni possibilità di aggiudicarsi l’ambito premio. Passato quel treno………..
Non lo sapevo! Io e Moravia siamo nati nello stesso giorno! Il 28 novembre… A parte questo, ho letto tutto doi Moravia. Lo considero uno dei più grandi narratori italiani contemporanei. Uno scrittore vero. Credo che si poteva fare a meno di pubblicare un datato inedito come quello uscito da poco…
Gordiano Lupi
http://www.infol.it/lupi
Io sono un moraviano, ma questo non esclude che sia anche un calviniano e un pavesiano. Persino un pasoliniano, un cassoliano, un chiariano, uno sgorloniano, un tobiniano, un aldozelliano (pure se questo non lo conoscete ma era un grande)…La narrativa italiana pre sperimentalismi era grande narrativa. E perchè Vittorini, Buzzati, Landolfi… dove li mettiamo? E chissà quanti ne ho dimenticati!
Gordiano Lupi
http://www.infol.it/lupi
Non per ingraziarmi Maugeri (che ormai detesto da quando ha inventato il gioco dei due libri da salvare), ma tal Ercole Patti (catanese trapiantato a Roma) scrisse a mio avviso un romanzo come “Un amore a Roma” che (ovviamente secondo me) dà dei punti a qualunque libro di Moravia.
Ercole Patti è l’autore de La seduzione? Il romanzo dal quale è stato realizzata la sceneggiatura dello stupendo film di Fernando di Leo con Jenny Tamburi? Se è lui perchè metterlo in contrapposizione con Moravia? E’ autore molto moraviano e sa parlare di erotismo a livello di Moravia. Certo, Moravia ha fatto altro che narrativa erotica. Agostino, Gli indifferenti, I racconti… sono opere importanti. Per me è sttao importante anche La vita interiore e ho amato pure Io e lui.
Lupi
Silvia, davvero ti imposero Agostino a scuola? Io lo dovevo leggere di nascosto… il tema scabroso di Agostino (incesto) nella scuola che ho conosciuto io (anni Settanta) era da libro all’indice…
Lupi
@ gordiano:
il film è quello ma il romanzo di Patti dal quale fu tratto era “Graziella”. Che dirti? Hai i tuoi sacrosanti gusti e li rispetto. Per me Patti ha un altro passo rispetto a Moravia.
Verissimo! Hai ragione. Il romanzo è Graziella. Pensare che ho finito adesso di scrivere un libro su Fernando di Leo e lo cito pure… Conosco poco Patti, a dire il vero, difficile dare un giudizio solo da un film tratto da un suo libro. La seduzione – comunque – è molto bello e credo che parte del merito sia anche di Patti che ha collaborato alla sceneggiatura. C’è una descrizione accurata della provincia siciliana, ci sono immagini di un mondo che non esiste più, insomma, è un film (e credo anche un libro) da riscoprire.
Gordiano Lupi
I libri di Ercole Patti ambientati in Sicilia hanno un’atmosfera particolare, le calde serate siciliane, la campagna, la brezza del mare. Anche il suo erotismo è molto più raffinato, impalpabile, lascia spazio all’immaginazione e non scade mai nella volgarità. C’è una scena ne “La cugina” in cui il protagonista possiede la cugina, di spalle mentre lei appoggiata sul davanzale della finestra saluta il marito che sta andando via. Una scena di una carica erotica straordinaria, senza bisogno di soffermarsi a descrivere i dettagli.
A Miriam, che ha parlato della De Cespedes, e a tutti:
il 14 novembre scorso, ricorreva il decennale della morte di Alba De Cespedes. Ne ha parlato Laura Lilli su ”la Repubblica” il 13 novembre u. s. Insieme all’articolo vi son anche due lettere inedite della scrittrice romana ad Arnoldo Mondadori.
Speriamo che questo pezzo sia un buon viatico per una rimmemorazione dell’autrice del ”Quaderno proibito”.
Sergio Sozi
A Lupi:
Tu scrivi ”La narrativa italiana pre sperimentalismi era grande narrativa”. Sono d’accordo. Ma posso chiederti se collocheresti anche Gadda fra gli sperimentalisti?
Sozi
P.S.
Scusatemi se sono andato fuori tema. Chiudo qui.
A Sergio: grazie, mi era sfuggita la notizia. Ciao, Miriam
Eccomi.
Intanto grazie mille per i commenti. Vi siete divisi in moraviani e antimoraviani (si fa per dire, s’intende).
Per me Moravia è un grande autore. Così mi schiero dalla parte dei moraviani. Come tutti i grandi autori (per di più prolifici) ha prodotto ottimi libri, libri buoni e libri meno buoni.
La penso un po’ come Gordiano Lupi. Mi piace Moravia, mi piace Calvino e mi piacciono tutti gli altri autori che Gordiano ha citato.
Raccolgo l’invito di Enrico Gregori e dico che, sì, Ercole Patti (catanese a Roma) è stato un ottimo autore e mi sento legato pure ai suoi libri. Peraltro la figura di Patti è stata oscurata da quella dell’amico Brancati (mi pare di capire, Enrico, che tra Patti e Brancati prediligi il primo).
Patti e Moravia hanno senz’altro in comune “l’approccio erotico” della loro narrativa. E sono entrambi autori pubblicati da Bompiani. Anche se i diritti di alcuni libri di Patti li detiene Avagliano, tra cui quelli relativi a “Graziella”… il romanzo che avete citato.
Però, Enrico, pur essendo catanese, ed essendo (lo ripeto) molto legato ai libri di Patti non posso non sottolineare che Moravia ha avuto ben altro peso, ben altra grandezza.
–
P.s. a proposito di Ercole Patti vi invito a leggere questo post che pubblicai tempo fa:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/01/29/roma-amara-e-dolce-di-ercole-patti/
Un’ultima cosa su Patti (prima di ri-passare nuovamente a Moravia). Per me il suo miglior libro rimane “Un bellissimo novembre”, che poi è anche il romanzo più noto.
Gordiano se non l’hai letto… procuratelo!
@ MASSIMO
grazie di tutto e “Un bellissimo novembre” me lo procurerò anche io
Moravia.
Che belli i suoi racconti!
Mentre scrivo tengo sulle gambe la copia di un suo libro. Una raccolta di racconti che Bompiani pubblico nel 1963.
Copertina rigida. Celeste. Carta lievemente ingiallita.
Fu la prima cosa che lessi di Moravia. Un volume trafugato dalla libreria di mio padre.
La raccolta si intitola “L’automa”. Già il titolo la dice lunga.
Per Moravia, nel 1963, l’uomo moderno, l’uomo contemporaneo, era già un automa. Credo che questa raccolta possa rileggersi ancora oggi con immutato interesse. L’uomo di oggi, in fondo, non è ancora più automa di quello dei primi anni Sessanta?
Mi innamorai di un racconto intitolato “La camera e la strada”.
C’è quest’uomo che si sveglia da un incubo. Si alza, esce, va al lavoro. Una giornata come un’altra. Finito il lavoro torna a casa con l’autobus. Si distrae e dimentica di scendere alla sua fermata. Una volta in strada si ritrova in una zona del suo quartiere che non gli è familiare. Cammina e incontra una donna. Bionda. La vede di spalle.
Lei lo attrae e lui le va dietro.
Comincia uno strano pedinamento. Il protagonista segue la donna fin dentro l’androne di uno stabile. Lei sale per le scale e lui sempre dietro.
Poi la donna si volta e solo in quel momento l’uomo riconosce la moglie. E il palazzo dove abita. Sua moglie era bruna. Ed è appena tornata dal parrucchiere: nuova acconciatura e capelli biondi.
Pensai: basta poco, a noi automi, per farci perdere il senso dell’orientamento e forse anche il senso dell’esistenza.
Quel racconto mi folgorò.
Avevo quattordici anni e lo ricordo come fosse ieri. Da lì iniziai a leggere Moravia.
La lettura è sempre un’esperienza personale. Una combinazione di parole che crea un effetto magico. Per te. In quel particolare momento della tua vita.
Bello, vero?
Grazie a te, Enrico.
Ho aggiornato il post con un video di Moravia. Si tratta di un’orazione funebre in occasione del funerale di Pasolini. Credo sia interessante. date un’occhiata.
Ma il dibattito continua.
Vero?
“…e uscimmo a riveder le stelle…”
Penso che con questa bellissimo brano Massimo abbia chiuso il post…
Siete bella gente ragazzi, ma veramente!
No, Francesco. Il post è tutt’altro che chiuso.
Ma ti ringrazio molto. Tra la bella gente ci sei anche tu.
😉
Lo stesso sento io per Francesco, che saluto col cuore.
Per quanto riguarda Moravia, vorrei riportare qui tre passi del famosissimo critico Giuseppe Petronio. Stanno nel suo ”L’attivita’ letteraria in Italia” (1985).
1) Bilancio su Alberto Moravia, relativo alle opere dal 1929 al ’40):
”(…) e’ costante l’attenzione a un motivo, che ritornera’ anche in libri successivi; l’attenzione a quel motivo dell’inettitudine che era stato al centro di tanta ricerca novecentesca: inettitudine che e’ anche incapacita’ di rapporti con gli altri, solitudine interiore, fallimento nei tentativi di uscire da se’, concezione del mondo come di un carcere chiuso: i temi di Montale, di Pavese, di Buzzati. Questi motivi esistenziali Moravia li esploro’ acutamente con l’ausilio anche della psicanalisi, in un’opera, dunque, varia e diversa, ma che pare approdare sempre – attraverso le piu’ varie combinazioni di casi e di caratteri – allo stesso scontato risultato.”
2) Il Moravia post-bellico:
”La guerra parve rinnovare Moravia, fu questa, certo, l’illusione dei lettori e fu, forse, quella dello stesso scrittore; e la sua narrativa negli anni del dopoguerra e del neorealismo pote’ parere anch’essa neorealistica. (…) Ma erano illusioni: i nuovi personaggi popolani dei ”Racconti romani” (…) non hanno tratti che li differenzino da quelli borghesi degli altri libri di Moravia (…) Percio’ i libri ”neorealistici” di quegli anni (”La romana”; ”La ciociara”) non escono dalla tematica consueta di Moravia: fallimenti di inetti (…) mentre si salvano solo le donne (…), che accettano invece la propria sorte e si chiudono anzi in essa, rassegnate o addirittura soddisfatte.”
Insomm, Petronio conclude, a proposito del Moravia 1948-’57, che:
”In questi libri dunque, del neorealismo Moravia accolse alcuni temi e alcuni tratti di poetica, non gli essenziali. (…) E infatti presto Moravia abbandono’ ogni illusione o apparenza di neorealismo, e il romanzo ”La noia” del ’60 torno’ scopertamente alla tematica decadentista.”
3) Gli anni ’60.
”Questi ultimi anni sono stati ricchi anche di opere di viaggi e di saggistica” (cita ”L’uomo come fine” del ’64 e altri titoli) ”ma anche in essi sono i limiti gia’ indicati per i romanzi: un certo dilettantismo e come una sproporzione tra le ambizioni e i risultati, quasi che lo scrittore – non riuscendo a sfuggire al demone di quell’industria culturale e di quella civilta’ dei consumi, dei cui limiti e’ pure teoricamente cosciente – voglia essere sempre presente sulla scena, anche quando non lo soccorrono la preparazione culturale e la riflessione critica necessarie.”
Fin qui, Giuseppe Petronio, nel 1985, in ”L’attivita’ letteraria in Italia”, scritta alla fine degli anni Settanta e pubblicata da Palumbo nel 1985.
Sergio Sozi.
P.S.
Io, da fervido anti-realista ed anti-neorealista, non ho portato qui questa posizione del Petronio per lamentarmi della mancanza di ”neorealismo” in Moravia, quanto per sottolineare l’aderenza alle mode dell’autore e confortare la mia tesi: Moravia, nell’affermarsi in quanto scrittore, e’ – secondo me malsanamente – ricorso ad un continuo camuffamento, ad una continua strumentalizzazione ad usum letterario e direi ”pro domo sua” della sua profonda indole egoistica, nonche’ delle sue, personalissime e varie, ossessioni e frustrazioni sessuali.
Nel dare dell’ ”automa” all’alienato uomo novecentesco, l’autore ha manifestato la sua unica percezione di se’ in quanto, appunto, ”automa”.
Il popolo questo suo ”raffinatamente diabolico” aspetto non lo ha capito, magari – perche’ tutti lo hanno letto e dunque possiamo dire ”il popolo” – ma molti critici avvertiti fortunatamente si’, cosi’ smascherando (lustri fa) quella sottile vena di superiorita’ e godimento delle disgrazie altrui che io, nel mio piccolo, vedo e sento in Moravia. Una superiorita’ veramente brutta in quanto sovente mascherata da osservazione psicanaliticamente distaccata.
S.
@Maugeri
Era una delle mie solleticanti e colorate performance da “Littizzetto” dei forum…da Grillo Parlante – non mi sarei permesso di chiudere a chiave la casa d’altri, non a caso la vivisezione di Moravia continua con una scientificità formidabile da parte di Monsieur Sozi.
E’ un “Desert Storm”analitico precisissimo, meno male per me che sono d’accordo con te Sergio…
@ francesco:
ragioniamo, io e te siamo d’accordo con Sozi.
Maugeri la pensa diversamente da me, te e Sozi.
Intravedi un’occasione migliore di questa per far litigare Sozi con Massimo?
Dai, aizziamoli! 🙂
Tanto, Enrico, non riuscirai mai a far litigare Massimo con qualcuno. Soprattutto all’interno di questo blog.
Io non ho letto tutte le opere di Moravia, però concordo con chi lo considera un grande autore del Novecento, al di là dell’innegabile fatto che l’autore si è un po’ ripetuto nel tempo. Ma quella del riproporsi con opere allo specchio è tipica di molti grandi autori, italiani e stranieri. Non solo di Moravia.
Smile.
E non dimentichiamo gli ottimi film tratti dai romanzi di Moravia!
Smile
@ Gordiano
Eh si, Agostino me lo fece leggere la prof di italiano al liceo. In realtà ci diede più titoli di Moravia, e io scelsi quello a istinto. Mi soprese, in effetti, il tema, ma in classe se ne parlò molto tranquillamente. Solo che allora non mi lasciò nessuna particolare sensazione. Rileggendolo adesso, chissà…
@Massimo
Adesso mi hai fatto venire la curiosità…voglio leggere anch’io “Un bellissimo novembre”! Ti farò sapere.
@ Miriam
grazie per la solidarietà! 🙂
Alberto Moravia,
borghese «annoiato» del Novecento
–
Avrebbe compiuto cento anni il 28 novembre, ma nessuno potrebbe immaginarlo vecchissimo, nonostante sia morto a 83 anni (il 26 settembre 1990).
–
da “Il Tempo” del 26/11/07
–
Perché Alberto Moravia, in fondo, aveva un volto da ragazzo maturo, con i capelli bianchi e la sua andatura claudicante per i postumi di quella maledetta tubercolosi ossea che lo colpì a soli 9 anni, costringendolo a cinque anni di letto, di cui due presso il sanatorio di Codivilla a Cortina d’Ampezzo.
Eppure, proprio quegli anni di malattia e solitudine, che non gli permisero di frequentare e continuare la scuola fino alla fine, formarono il suo carattere e la sua cultura. Leggeva molto: Fëdor Dostojeskij, Joyce, Goldoni, Shakespeare, Molière e Mallarmé. E Dante. Imparò da solo le lingue straniere, il francese come l’inglese. Era sempre curato: con una eleganza tutta sua, mescolava pullover di shetland, rosso o azzurro, con camicie scozzesi e giacche di tweed abbinate alle sue coloratissime cravatte. Il gusto per i colori veniva dall’Oriente e dall’Africa soprattutto. Alberto amava il Terzo Mondo, mentre non era attratto dai paesi occidentali, dalle metropoli consumistiche. «L’Africa è la cosa più bella che esista al mondo. Il suo odore e i suoi finti cavalli, ovvero le zebre, non si dimenticano mai», raccontava al ritorno dai suoi lunghi soggiorni. E amava Sabaudia perché gli ricordava l’Africa. L’unica eccezione che riservava all’Occidente era per Parigi. Lo inorgogliva essere considerato «uno scrittore francese».
Lavorava ogni mattina con metodo, perché era convinto che ogni artista avesse bisogno di aprire una porta che lo trasferisse nel mondo dell’arte, della narrazione. Per accedervi era indispensabile praticare dei riti. Così, Alberto preparava le sue tazze di tè e iniziava a disegnare caricature sui suoi fogli. Ovunque si trovasse, le sue abitudini erano imprescindibili: scrivere e leggere la mattina, andare al cinema il pomeriggio, bere un aperitivo prima di cena, mangiare con regolarità. Adorava i ristoranti giapponesi e cinesi, usava i bastoncini per prendere il riso con le sue mani nodose e poderose come le fronde delle querce. Era brusco e gentile. Sofferente e sorridente. Ingenuo e cinico. Un viaggiatore inesausto che amava i salotti e le finezze. Ma soprattutto era un romanziere: «Nonostante una lunga vita piena di difficoltà, alla fine mi considero un privilegiato per il fatto di essere un artista».
Era un pensatore vigile e senza tabù: per questo, ancora è letto dalle giovani generazioni. Il parallelismo tra intellettuale e artista è la caratteristica più appariscente di Moravia. La sua presenza nei dibattiti culturali ha influenzato gli interventi critici sulla sua produzione artistica. Resta la sua doppia tendenza: da una parte, il Moravia sostenitore dell’ideologia del “borghese onesto”; dall’altra, il Moravia “artista”, creatore del messaggio estetico. Ma spesso si è trascurata la produzione di Moravia dopo “La noia” (1960). Si è ritenuto che a partire da questo romanzo l’intellettuale, l’ideologo, il presenzialista, sensibile alle mode culturali, abbia preso il sopravvento sull’artista. Nasce così la questione del rapporto fra prodotto letterario e contesto storico-sociale per un autore tanto “impegnato”. “Gli indifferenti” (1929), “La mascherata” (1941), “La vita interiore” (1978), sono emblematici di un continuum dello scrittore.
I cattolici hanno contestato a Moravia il suo essere “seguace della psicanalisi freudiana”, l’aver ridotto “tutta la vita alla dimensione sessuale”. Altri lo ricordano come uno scrittore ribelle e anticonformista, ma sostanzialmente innocuo, perché la sua ideologia è rimasta pur sempre all’interno dell’orizzonte borghese.
Ma critiche a parte, Moravia (alias Alberto Pincherle figlio di un architetto ebreo e di una marchigiana di origine dalmata) si sentiva «un vero artista». “Gli indifferenti” è il suo capolavoro: con una prosa asciutta, essenziale, fredda, analitica e le atmosfere che rievocano le pellicole di Antonioni, ha anticipato i temi esistenzialisti sviluppati da Jean Paul Sartre ne “La nausea”. Per passare alla storia basta scrivere un solo capolavoro. E Moravia, a parte “Gli indifferenti” (che narra la decadenza e lo sfacelo della borghesia italiana durante il regime fascista) e i due discutibili romanzi postumi (“La donna leopardo” e “I due amici”), di sicuro ha scritto più di un capolavoro.
26/11/2007
Fonte: quotidiano “Il tempo”
Mercoledì 6 settembre, a venti giorni esatti dall’anniversario della morte di Alberto Moravia, Antonio Debenedetti pubblicò in prima pagina sul «Corriere della sera», un articolo dal titolo: “Dieci anni dopo. Quegli amici smemorati di Moravia”.
«C’era una volta, dieci anni fa, Alberto Moravia, lo scrittore più celebre e più intervistato d’Italia». Questo, il suo amaro incipit.
Dal giorno della sua morte, da quella mattina del 26 settembre 1990 in cui fu trovato morto nel bagno del suo appartamento in Lungotevere della Vittoria – sostiene con amarezza Debenedetti – Moravia «ha continuato a morire socialmente, a morire nella memoria della collettività», a tal punto che i suoi romanzi si leggono sempre meno e non si scrive quasi più nulla – nemmeno le tesi di laurea – «di questo autore che rimane tra i più grandi del nostro Novecento».
A suo parere, le ragioni del declino della fortuna di questo mostro sacro della nostra letteratura, sono da ricercare al di fuori della letteratura. Una parte di responsabilità spetterebbe, secondo Debenedetti, ai sessantottini, rei di averlo considerato «una specie di ras della carta stampata, dell’editoria e del giornalismo». La sua figura di intellettuale controcorrente è stata così assimilata a quella dei professionisti del potere, e la sua sorte postuma ha finito per risentire di quel processo in cui è stata condannata tutta la classe dirigente della Prima Repubblica.
In secondo luogo – prosegue Debenedetti – il silenzio, seguito alla sua morte, «ha tolto il velo all’ipocrisia di quella corte di amici e discepoli», con cui Moravia era sempre estremamente disponibile. Insomma, «si è finito con il far scontare all’opera di Moravia il lutto per la perdita del personaggio Moravia, il dispetto appunto causato dalla sottrazione della sua insostituibile vitalità». Tra gli amici e collaboratori, a mantenere viva la memoria dell’autore de Gli Indifferenti, secondo Debenedetti, è rimasto solo – e sempre più solo – Enzo Siciliano.
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Fonte: http://www.italialibri.net/appendice/1000-1.html#Top_of_Page
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Antonio Debenedetti, “Dieci anni dopo. Quegli amici smemorati di Moravia”, dal «Corriere della sera», del 6 settembre 2000
Tratto da Wikipedia Inglese
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Alberto Moravia, born Alberto Pincherle, (November 28, 1907 – September 26, 1990) was one of the leading Italian novelists of the twentieth century whose novels explore matters of modern sexuality, social alienation, and existentialism.
(…)
Themes and literary style
Moral aridity, the hypocrisy of contemporary life, and the substantial incapability of people finding happiness in traditional ways such as love and marriage are the regnant themes in the works of Alberto Moravia. Usually, these conditions are pathologically typical of middle-class life; marriage, in particular, is the target of works such as Disobedience and L’amore coniugale (“The Conjugal Love”) (1949). Alienation is the theme in works such as Il disprezzo (“Contempt” or “A Ghost at Noon”) (1954) and La noia (“The Empty Canvas”), from the 1950s, despite observation from a rational-realistic perspective. Political themes are often present: an example is La Romana (“The Woman of Rome”)(1947), the story of a prostitute entangled with the Fascist regime and with a network of conspirators. The extreme sexual realism in La noia (“The Empty Canvas”) (1960), introduced the psychologically experimental works of the 1970s.
Moravia’s writing style was highly regarded for being extremely stark and unadorned, characterised by very elementary, common words within an elaborate syntax. A complex mood is establish by mixing a proposition constituting the description of a single psychological observation mixed with another such proposition. In the later novels, the inner monologue is prominent.
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Fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/Alberto_Moravia
Bravissimo Massimo! Il racconto che citi non lo conosco, ma hai fatto venire sicuramente voglia di leggerlo. Lo andrò a cercare. Grazie.
Forza Moraviani!!!
Cicerone, ma chi ti ha detto che in questo blog capiamo l’inglese?
Smile
Faccio una proposta ai Moraviani e agli Antimoraviani. Una proposta di quelle che unisce.
Votiamo il miglior libro di Moravia?
A prescindere dal fatto che Moravia ci piace molto o ci piace poco.
Che dite?
Massimo, scusa se ti rubo il lavoro.
A Sergio Sozi: il “computatore letterato”. Sei disponibile?
Smile
Vorrei dare un contributo alla discussione su Moravia. Credo che ci sia un capitolo della sua produzione poco conosciuto. E che a mio parere è importante e meriterebbe di essere conosciuto e discusso. Nel romanzo Il Conformista del 1951 Moravia si è ispirato alla vicenda dei fratelli Carlo e Nello Rosselli uccisi a Parigi nel 1937 dai caguolards fascisti con la complicità del fascismo italiano. I Rosselli erano cugini di Moravia. Voglio accennare soltanto al problema. In questo momento non ho tempo per riprendere in mano il romanzo e quindi non cito i nomi dei personaggi. La cosa importante è che l’antifascista che viene ucciso non viene messo in buona luce, è un borghese idealista e il suo antifascismo è salottiero, inoffensivo. Ha una moglie lesbica (scrivere questo nel 1951 non era come scriverlo oggi). Insomma il narratore mostra forte antipatia per lui. Del resto Moravia ha dichiarato spesso che negli anni trenta egli era in disaccordo con i cugini che diventeranno martiri dell’antifascismo. Non li stimava, non li amava. C’è da domandarsi perchè a 14 anni dalla loro morte quando erano diventati oggetti di culto per l’antifascismo italiano, Moravia senta il bisogno di farne dei personaggi, se non del tutto negativi, almeno fortemente ambigui e antipatici.
Il mio intervento è un invito a leggere il romanzo e a risolvere questo giallo, questo punto oscuro della biografia e della narrativa di Moravia. Non voglio dare l’impressione, con questo, di denigrare lo scrittore, la cui grandezza e importanza nella letteratura del novecento è fuori discussione.
Un buon saggio sulla questione da me sollevata è quello di Marino Biondi, “Il fascismo secondo Moravia. Il Conformista e il capitolo escluso” nel vol. collettaneo CULTURA E FASCISMO, ed. Ponte alle Grazie 1996.
Grazie e un saluto cordiale,
Leandro Piantini, FIRENZE
@ Henry Gregori (capire l’inglese, io mi affidavo alle traduzioni di Renzo Arbore: “Smorz en light”-Spegni la luce).
Tu tieni la capa fresca Enrì, e poi ti pagano mentre fai i forum, perciò c’è la crisi dell’editoria e i giornali vendono gadget.
Già me l’immagino: “Questa settimana, in allegato a “Il Messaggero” le scarpe con cui Enrico Gregori intervistò il “Mostro di Centopalle” – a sole 6.90 Euro in più. Dalla prossima settimana le “Nike” di Maurizio Costanzo.
Come fai a far litigare Ghandi-Maugeri Con Sozi-Guevara?
Vado al lavoro divertitevi!
Elektra, grazie per l’invito, ma forse stavolta si tratta solo di discutere criticamente la vicenda del signor Pincherle. Senza litigare con nessuno, figuriamoci. I voti, dopo la spanzata che ne ho fatto, io adesso li abolirei per legge!
Sorriso
Sergio-Computator
@ francesco:
certo, con elektra che fa da crocerossina è un’impresa ardua. ma non dispero
🙂
@ elektra:
di quelli che ho letto “La ciociara” è quello che mi piace di più, forse perché è il meno autoreferenziale, manicheo, cattedratico, spocchioso, snob e ipocrita.
Enri’… certo che tu ci vai giu’ duro con gli aggettivi, eh? Le dichiarazioni d’amore (diciamo) le fai con la Colt in mano? O ti accontenti della Beretta d’ordinanza dei giornalisti?
S.
Per Sergio-Computator. Ripensaci, dai!
Per Enrico. Io preferisco “Gl indifferenti”, ma da “La ciociara”, che è un ottimo romanzo, è stato tratto un film eccezionale entrato nella storia del cinema mondiale.
Crocerossina? La smetti di sfottermi! Sei solo geloso del capo. Ecco.
Che ci posso fare se Maugeri è il Massimo e Gregori è solo l’Enrico?
Smile
@ elektra:
come diceva Nero Wolfe quando riteneva stolido e patetico un discorso…..”pfui!”
Per Enrico.
Come scrisse Alberto Moravia: “Le amicizie non si scelgono a caso ma secondo le passioni che ci dominano”. (da “La provinciale”, ne “I racconti”, Bompiani).
Smile
La Ciociara si, non è poi da buttare. Di molti suoi romanzi, confesso, proprio non riuscendomi a prendere la lettura, ho solo visto i film, come nel caso del Conformista.
Peraltro proprio questo rappresenta un pò una svolta nel cinema di Bertolucci che, a partire da questo incontro con Moravia, si fa sempre più esteriore e un pò pomposo, talvolta megalomane, molto narcisista.
Non che non abbia fatto poi qualche altro buon film, ma per me il suo capolavoro rimane La Strategia del Ragno, quello immediatamente precedente a questa svolta. Ma forse lui non se ne era accorto.
Carlo Speranza
@Elektra
Crocerossina è un bellissimo aggettivo, ottocentesco, pruriginoso poi, scendere in campo contro Gregori…uno se lo deve aspettare.
Ma adesso, seriamente.
Ho avuto problemi col mio figlio sedicenne, aveva detto che non gli piaceva leggere. Gli ho propinato la trilogia di Lucarelli sul “Commissario De Luca”: l’ha sbranata in Metropolitana.
Ora vuole altri libri – “Papà però gialli, non mi dare cose pallose!”.
Gli ho infilato nello zaino “Il porto delle nebbie” di Simenon: dovevo mettergli “La Noia”? Non dite “La Cociara” che mi diventa cieco con quelle “cose li”.
Francesco, giallo per giallo gli potevi dare “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”.
Smile
Scherzi a parte. Un romanzo breve come “L’amore conigale” potevi anche proporglielo al ragazzo. E’ breve. E’ erotico senza essere volgare. E’ interessante. E’ scritto bene.
Più di questo?
Smile
Ovviamente intendevo scrivere “L’amore coniugale”.
Maledetti tasti.
Smile
@ Francesco di domenico
Pensa se leggesse “Un Tè prima di morire” dell’ ottimo Gregori!! 🙂
@ silvia:
vacci piano sennò poi scoprono che ti passo uno stipendio per dire queste nefandezze. piuttosto, siccome Maugeri ha il cervello obnubilato dalla badante-elektra, sta temporeggiando oltremodo nel dedicare un post al tuo romanzo “Allo specchio” del quale, peraltro, gli ho mandato la mia recensione da utilizzare nel suddetto post.
Insomma, basta con Moravia e Calvino. Largo alla letteratura dirompente dei Sozi, Leonardi, Di Domenico, Costantini e Gregori.
🙂
Troppo buono Enrico!Però il fatto dello stipendio potevi tenerlo per te… 🙂
…credo che il post sul libro di Silvia ci sarà presto.
Quando un valido esponente della “letteratura dirompente” può contare su cotanta recensione non può rimanere a lungo sotto silenzio.
Intervengo volentieri al dibattito, anche perché Moravia è l’autore italiano che più ha a che fare con la Bompiani, dal momento che la casa editrice è in sostanza nata con lui, come struttura culturale pubblica, a partire dall’uscita nel 1929 di “Gli indifferenti”. Da quel momento, la storia della Bompiani è stata, per molti versi, storia dell’attività editoriale di Moravia, essendo state tutte le sue opere ospitate nelle collane della Bompiani e continuando a esserlo. Bisogna ricordare a questo proposito che dal 2000 la Bompiani ha messo in cantiere la ripubblicazione nei Classici Bompiani dell’intero corpus delle opere moraviane, con una novità essenziale. Per la prima volta, esse vengono presentate secondo l’ordine cronologico e soprattutto secondo le raccolte originarie: un’operazione doverosa, per restituire uno sguardo filologico corretto e rigoroso su questo grande scrittore che ha rappresentato e tuttora rappresenta l’anima e la coscienza dell’Italia, nel suo concreto divenire storico-culturale e antropologico. Merito, questo, di Enzo Siciliano, che ha sostenuto fortemente il progetto, e di Simone Casini, curatore effettivo a tutt’oggi dell’opera omnia. Solo adesso, quindi, possiamo dire di (cominciare a) possedere un Moravia autentico, il che editorialmente non è cosa di poco conto. E poi, in occasione del centenario della nascita, sono state varate iniziative molto importanti: la pubblicazione del romanzo inedito “I due amici”, la riproposta di cinque “Racconti romani”, e infine l’uscita, proprio in questi giorni, di un cofanetto che contiene l’edizione critica di “Gli indifferenti” e sei cd che permettono al lettore di ascoltare la voce di Toni Servillo mentre legge e interpreta il testo, recuperando quindi il suo valore “orale”; valore che il testo ha già in sé, dal momento che, come è ben noto alla critica, i racconti e i romanzi di Moravia sono dei perfetti congegni a orologeria in cui il ritmo interno del discorso sembra quasi tendersi verso una possibile lettura a voce alta. Ora, grazie alla tecnologia digitale, questo è possibile, e un “nuovo” Moravia è di fronte a noi e a tutti coloro che non possono dimenticare chi del resto è indimenticabile. Vorrei aggiungere che la polemica anti-moraviana che periodicamente in Italia si ripresenta come una sorta di tormentone, risulta forse un po’ sterile qualora si consideri che Moravia non è certo, come scrittore, un “tradizionalista”. Fu tra i primi, infatti, con “La noia” – ma è solo un esempio – ad aprirsi alle suggestioni del romanzo dialogico ed esistenziale, e il suo stesso stile appare sempre modernissimo, capace, attraverso la compattezza delle sue strutture narrative, di richiamare suggestioni che vanno ben al di là dei vari frammentismi su cui si sono spesso arenati molti talenti italiani, di ieri e di oggi. Insomma, Moravia è vivo, come disse una volta (tanto per fare un accenno “internazionale”) il grande Mishima, che era un suo fervente ammiratore. A ragione.
Elisabetta Sgarbi
Ringrazio tutti per i nuovi interventi.
Un ringraziamento particolare a Elisabetta Sgarbi, direttrice editoriale Bompiani. E complimenti alla Bompiani per il lavoro meritorio svolto nella cura delle opere di Alberto Moravia.
Ed Ercole Patti (aggiungo).
Interessante l’intervento provocatorio di Leandro Piantini.
Se qualcuno ritiene di aver elementi per rispondergli si faccia avanti.
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Interverrò più tardi.
Grazie ancora a tutti.
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(off topic)
A gentile richiesta parleremo presto del libro di Silvia Leonardi.
Cara Elisabetta Sgarbi,
benvenuta di nuovo a Letteratitudine. L’operazione della Bompiani e’ benemerita e lodevole. Cosa ne penserebbe, a questo punto, di dedicare uno dei ”Classici Bompiani” ai romanzi di Umberto Eco? O di rischiare con qualche bravo scrittore contemporaneo sloveno come ha fatto sin dall’inizio la sconosciuta ed encomiabile editrice Zandonai di Rovereto?
In ogni caso, i miei complimenti Le giungano soprattutto per un’opera che mia moglie ha appena finito di tradurre – ed io di prefare – in lingua slovena: ”Nuova grammatica finlandese” di Diego Marani (in uscita in Slovenia nella primavera prossima).
Pero’ – mi permetta di dirlo chiaramente – un tantino piu’ di vette le potreste raggiungere, voi grandi editori, se evitaste di calcolare e/o azzeccare troppo il ”pubblico di arrivo” di un’opera letteraria. La Letteratura e’ fatta di libri belli e di libri brutti, non di libri ”per qualcuno” o ”per qualcun altro”. Rischiate di piu’, almeno voi che ve lo potete permettere, sui libri buoni.
Saluti Cari
Sergio Sozi
Caro Sergio,
intanto Elisabetta Sgarbi ha già rischiato, intervenendo qui, di beccarsi i tuoi consigli.
😉
Ora torniamo a discutere di Moravia.
Articolo di Paolo Bianchi su “Il Giornale” del 25 novembre 2007
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MORAVIA CHI? TUTTI INDIFFERENTI
In fondo, a parlarne meno volentieri oggi sono gli scrittori più giovani, quasi provassero imbarazzo a doverlo definire o a riferirsi a lui. Alcuni, Alberto Pincherle, in arte Moravia, nato a Roma il 28 novembre di 100 anni fa, dicono addirittura di non conoscerlo. Le opinioni che abbiamo raccolto hanno caratteri discordanti, forse perché fotografano una personalità umana e letteraria che racchiudeva elementi controversi e non sempre decifrabili. Difficile dire quale sia oggi l’eredità spirituale e letteraria di questo prolifico scrittore, molto vezzeggiato in vita dall’establishment letterario, ma anche ferocemente attaccato da una critica che non gli risparmiava accuse di narcisismo e opportunismo, a partire da quel Moravia desnudo, di Sergio Saviane, suo collega all’Espresso, un pamphlet che nel 1976 scoppiò come una piccola bomba satirica nella stagnante quiete dei salotti romani.
VINCENZO CERAMI (scrittore e sceneggiatore): «Parlo come uno che gli è stato molto amico, specialmente negli ultimi anni. È stato lo scrittore italiano che per primo ha posto particolare attenzione alla sessualità. Raccontava l’anima dei suoi personaggi attraverso il loro rapporto con il sesso. Del resto gli interessava raccontare la borghesia come categoria economica; una borghesia giovane, immatura, poco colta e lontana dai problemi sociali. Non amava Pirandello, che a sua volta descriveva la crisi della borghesia attraverso l’infedeltà coniugale, ma in questo modo le dava anima. Per Moravia la borghesia era cinica e indifferente, complice del fascismo. Ma a lui interessava farne un ritratto intimo, non storico. Poi, dopo la morte, è stato dimenticato, come capita a molti, come è capitato a Comisso e ad Anna Banti, per fare qualche esempio. Ma è possibile che venga anche riscoperto. Va aggiunto che Moravia ha usato una specie di “lingua di servizio”. Non si è preoccupato dello stile dello scrivere, ma piuttosto dell’uso di un linguaggio universale e perciò è stato molto tradotto».
MARCELLO FOIS (scrittore): «Sono scarsamente moraviano. Mi interessa più come giornalista che come scrittore. Non è mai stato un mio punto di riferimento per la narrativa. Piuttosto, allora, Elsa Morante. Moravia rappresenta qualcosa che la mia generazione ha cercato di superare dal punto di vista del potere editoriale. Ci siamo dovuti confrontare in modo diverso e alternativo, direi quasi “contro”, questo tipo di scrittori e di scrittura. Anche perché quel tipo di atteggiamento ci aveva precluso ogni altra possibilità. Perciò siamo diventati giallisti: per uscire dalla triade Moravia-Pasolini-Calvino».
MARIO ANDREOSE (direttore editoriale Bompiani, casa editrice di tutte le opere di Moravia): «Alcuni critici lo considerano tra i più importanti scrittori del Novecento, altri ne rilevano la visione ripetitiva nel ritrarre una borghesia malata, in cui le donne apparivano solo come strumento di piacere. Tuttavia, in un’epoca di cultura provinciale, con gli intellettuali italiani chiusi nei loro giardini, lui conosceva le lingue, era inviato di grandi giornali, lavorava per il cinema (sua la sceneggiatura di Ossessione di Luchino Visconti) e per il teatro. Non c’è forma espressiva che non abbia praticato, e in particolar modo ci preme riproporre la sua produzione saggistica. Dopo aver appena pubblicato l’inedito I due amici, abbiamo deciso la ristampa di Impegno controvoglia, raccolta di saggi del 1980».
ANDREA DE CARLO (scrittore): «Quando l’ho conosciuto avevo letto i suoi romanzi più recenti e non mi avevano appassionato. Poi ho letto i romanzi brevi, come Agostino, L’amore coniugale e La noia e trovo che lì abbia dato il meglio, raccontando sentimenti significativi come la noia, appunto, o l’insoddisfazione. Ho la sensazione che oggi non sia letto molto e che non abbia avuto un’influenza in generale sulla letteratura italiana. Rappresentava però meglio di altri lo scrittore-scrittore, più che il critico, e io detesto la figura dello scrittore intellettuale».
ANTONIO DEBENEDETTI (critico, giornalista, scrittore): «Attraverso di lui, scrittore borghese in fuga dalla borghesia, si capisce che cosa c’era nel Dna della nostra classe media negli anni Trenta, Quaranta, Cinquanta. Ci sono scrittori più magici e incantevoli, come Mario Soldati, o la Morante, lui però racconta in modo insostituibile ciò che accade dietro le finestre della borghesia italiana. Di Moravia restano attuali lo sguardo (la città, la gente, le persone) e l’impegno serio verso la letteratura. I suoi personaggi che dialogano con se stessi sono poi in molta parte della letteratura di oggi, ma è un’eredità invisibile, che inconsciamente si tende a rimuovere».
LIDIA RAVERA (scrittrice): «Moravia era un intellettuale completo, non semplicemente uno scrittore. Vedeva e descriveva situazioni e geografie politiche. Era un maestro di sguardo, mentre molti scrittori odierni hanno una visione restrittiva del mondo. Devo dire che i suoi ultimi romanzi non mi hanno entusiasmato, preferisco la sua prima produzione, e poi i reportage e gli elzeviri. Era anche un instancabile animatore culturale. Quando scrissi il mio secondo romanzo, ero una ragazza, mi convocò a casa sua sul Lungotevere e mi trattò senza paternalismi, dicendomi cose buffe sulla mia sessualità. Era il 1977. Mi piacque questa sua apertura anche un po’ trasgressiva. Adesso gli scrittori sono tutti molto chiusi nel loro enclave minimale».
ALAIN ELKANN (scrittore, autore di Vita di Moravia): «Non so dire quale sia la sua eredità spirituale, ma certo metteva la letteratura al di sopra della politica. E poiché la letteratura è qualcosa di “contro” e lui era in fondo un borghese, conosceva quel mondo e lo poteva criticare. Per Moravia la scrittura era impegno di vita. Aveva fatto proprio il motto di Flaubert: “Il talento è lavorare ogni giorno”. Poi aveva una concezione anche estetica dell’atto di scrivere. Non l’ho mai visto sciatto, o spettinato o con la barba lunga. In questo era come Montanelli. La loro era una lezione di dignità e di disciplina. Se Moravia doveva passare del tempo in albergo, per prima cosa depositava sul tavolo la macchina da scrivere e una risma di carta. E poi conosceva le lingue, era un genio educato a diventare intelligente. I suoi romanzi sono drammi teatrali travestiti da romanzi. Aveva capito che l’intellettuale non è un uomo politico né un uomo d’azione. Anche la sua elezione all’Europarlamento l’aveva impiegata per spendersi contro il pericolo atomico. Oggi non esiste una “scuola moraviana” perché lui aveva amici, non discepoli. Ma io vedo poche voci, oggi, in grado di applicare quella sua regola: “In fondo allo sconosciuto, cercate il nuovo”».
GIUSEPPE SCARAFFIA (scrittore e critico letterario): «Da un lato Moravia ha lasciato un’eredità nefasta. Ha egemonizzato la letteratura italiana producendo e garantendo una serie di mediocri. Era anche un uomo dalla morale spregiudicata: nel ’39 andò a Parigi con Julius Evola. Come scrittore era buono nei racconti, ma aveva il fiato corto nei romanzi. Andavamo al cinema. Prendeva il tram per avarizia. Mi diceva: “Si trova sempre un’anima persa per andare al cinema”, e poi approfittava della sua sordità per sentire solo quello che voleva».
@ Sergio:
ti rispondo a suon di manuali e enciclopedie a partire dal prossimo commento
😉
Da “STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA” di Enrico Malato, vol. 18, pag.782.
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Sarebbe troppo riduttivo restringere l’importanza di Moravia a pochi libri: quali infatti che ne possano essere gli esiti, in ognuno di essi, così come in ognuno dei frequentissimi interventi polemici, mondani o saggistici che hanno caratterizzato l’attiva, instancabile presenza pluridecennale di questo scrittore certamente “scomodo” nel mondo della cultura italiana, sussiste evidentissima un’altissima sincerità di intenti, il desideriodi capire e farsi capire, di comunicare, diaggiornarsi, di non sentirsi un sopravvissuto; e soprattutto c’è in lui una profonda fede nel “mestiere” di letterato e nella funzione sociale dell’intellettuale vigile e partecipe nel proprio tempo.
Giuseppe Scaraffia, con sacrosanta sincerita’, di Moravia dice che: ”Da un lato ha lasciato un’eredità nefasta. Ha egemonizzato la letteratura italiana producendo e garantendo una serie di mediocri. Era anche un uomo dalla morale spregiudicata: nel ’39 andò a Parigi con Julius Evola. Come scrittore era buono nei racconti, ma aveva il fiato corto nei romanzi. Andavamo al cinema. Prendeva il tram per avarizia. Mi diceva: “Si trova sempre un’anima persa per andare al cinema”, e poi approfittava della sua sordità per sentire solo quello che voleva”.
Bene. Confermo la sua avarizia per credibile testimonianza di un mio vecchio amico poeta e critico umbro, il quale mi confido’ anni fa che ando’ a pranzo a Roma con Moravia (lui giovane studente squattrinato, Moravia gia’ affermatissimo sulla sessantina abbondante) e che gli tocco’ pagare il conto. Ecco la sensibilita’ del fine letterato psicanalista.
Sergio Sozi
Da “STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA” di Giulio Ferroni, vol. 15, pag. 67
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Moravia è stato certamente un “narratore nato”, dotato di una spontanea e immediata vocazione a narrare, a trasformare ogni dato dell’esperienza in situazione narrativa: la sua è un’invadente energia fabulatoria, che precede la sua stessa coscienza di scrittore e intellettuale, e prescinde da una vera ricerca linguistica e stilistica. Egli non è uno di quegli scrittori che si macerano sulla pagina, che lottano con le parole e con le cose: ogni testo si esaurisce per lui nel momento in cui viene concluso e pubblicato.
@ Sergio.
Se dovesse capitare di andare a pranzo offri tu, eh?
L’importante è che poi – tra vent’anni – non mi rinfacci la mia “sensibilita’ di fine letterato psicanalista”.
😉
@ Sergio (ancora):
dell’articolo di Bianchi leggili tutti i commenti, non solo quelli che ti fanno comodo.
Euterpe!
Massimo, meglio i manuali e le enciclopedie che i giornali di oggi. Almeno sono scritti in maniera decifrabile, grazie agli esami preliminari di proto e redattori che invece non esistono piu’ nei quotidiani. Se vuoi, comunque, potrei anche dire che Enrico Malato non mi sembra si sia troppo lambiccato il cervello per aggiungere qualcosa di notevole a quel che sappiamo gia’ sul sor Pincherle.
Meglio allora Asor Rosa nel ’79 (Sintesi di storia della letteratura italiana, La Nuova Italia):
”egli continua infatti a narrare la storia di un’impotenza, che, destituita ormai d’ogni caratterizzazione sociale e ridotta a meccanismo biologico elementare, puo’ passare di travestimento in travestimento senza mutare un solo ingranaggio, limitandosi ad allargare la sfera dei referenti sociologici, perche’ un numero sempre maggiore di lettori possa dire ”che bello, poteva accadere anche a me!”. In opere come ”Il disprezzo” e ”La noia”, che ritornano alla rappresentazione di ambienti piccolo e medio-borghesi, il meccanismo e’ ormai diventato talmente scontato, da assumere un’aria vagamente surreale, come d’esercizio di scrittura fine a se stesso, operazione di letterato svolta con sicura coscienza di professionista, che assolve ai doveri che il mercato gli impone sotto forma di richiesta di sminuzzamento e volgarizzazione delle sue primitive tematiche.”
Sergio Sozi
(Va bene, Massimo. Allora paghi tu.)
Sergio
@ Sergio: che nostalgia il Petronio! La mia prima storia della Letteratura!!!
@ Elisabetta Sgarbi: ci dia una possibilità! Voi editori “grandi” dovreste scommettere di più su noi scribacchini che vorremmo essere letti fuori dal nostro condominio…
Concordo con lei e con i “moraviani” sull’importanza del Moravia narratore. Certi “Racconti romani” mi sono rimasti impressi da quando li lessi a scuola. Poi, però, non ho cercato particolarmente di approfondire il Moravia scrittore. Ho letto qualcuno dei suoi articoli ma nulla di più. Non so se perché mi appare datato, troppo legato al proprio tempo e quindi effimero o perché sommamente impoetico, cosa che io cerco anche nello scrittore più realista. Chiusura e sconforto, ecco i sentimenti che mi suscita. Sarebbe bello però che il centenario riaprisse il dibattito su una figura archiviata già a pochi anni dalla sua morte…
Grazie Massimo come sempre per le “provocazioni”.
Simo: baci sempre…
L’avevo auspicato per scherzo, ma per fortuna Sozi e Maugeri si stanno dando battaglia a colpi di pamphlet e citazioni…per ora. Attendo con fiducia una scazzottata senza sapere per chi tifare 🙂
Alla cortese Elisabetta Sgarbi mi preme dire che ritengo la Bompiani una casa editrice illuminata, priva della prosopoea intellighente e putrida di certo sbobismo letterario.
Mi pare anche ovvio e meritorio l’impegno e l’ardore in favore di Moravia che, della Bompiani, è uno dei fiori all’occhiello.
Nondimeno, però, continuo ad avere la sgradevole sensazione che i suoi romanzi siano frappè di aria fritta allungata con la Sangemini. Catullo, Saffo e Ovidio (tanto per fare alcuni esempi) avevano trattato erotismo e sessualità nella letteratura quando l’uomo e la donna avevano scoperto da poco cosa avessero tra le gambe. Qui invece sembra che solo grazie a Moravia ci si sia misurati con immagini di copule e trastulli vari. Rispetto l’opinione di Elisabetta su Moravia precursore del romanzo esistenziale. A me, però, vengono in mente altri espempi tipo Camus, Sartre, Cassola o Bassani che, sempre secondo me, stanno a Moravia come Diego Armando Maradona sta a Egidio Calloni.
Andando in un negozio di strumenti musicali si può acquistare un trombone da 200 euro o un trombone da 5.000 euro. Moravia sarà da 5.000, ma comunque trombone. L’umano libero aribtrio, a parer mio, non ha bisogno di lezioni da parte di chi guarda il mondo dal buco della serratura. Perché, avrà pur viaggiato per i suoi interessi o per lavoro, ma l’impressione dominante resta quella che a Moravia sembra che il mondo gli infanghi i vestiti e, quindi, lo disturbi.
Gli auguro di riposare in pace e di continuare ad avere la considerazione che ha. Con il massimo rispetto.
@ Maria Lucia:
“Sarebbe bello però che il centenario riaprisse il dibattito su una figura archiviata già a pochi anni dalla sua morte…”
Infatti, Maria Lucia. È proprio ciò che auspico.
Grazie a te.
@ Enrico:
Al massimo Sergio e io potremo arrivare a picchiarci con gli spigoli delle copertine rigide dei volumi enciclopedici.
Guarda che ce n’è anche per te, Enrico!
–
@ Sergio:
Dell’enciclopedia di Enrico Malato ho citato solo un piccolo stralcio (va be’, lo ammetto; quello a me più congeniale).
Posso trarre una (transitoria) conclusione un po’ ”bastarda”?
Mi sembra che sotto sotto Moravia sia stato personalmente antipatico a tutti. Lo si vede anche da certe affermazioni ambigue di Ferroni (”non è uno di quegli scrittori che si macerano sulla pagina, che lottano con le parole e con le cose: ogni testo si esaurisce per lui nel momento in cui viene concluso e pubblicato”) o dall’elusione dei suoi difetti che furbescamente praticano molti critici timorosi di inimicarsi il ”padrone” degli ambienti letterari – romani e di mezza Italia.
Ora possiamo dire quel che vogliamo, per buona pace di Trevi, Nuovi Argomenti e compagnia bella. Ora siamo liberi.
Sergio
Da “STORIA GENERALE DELLA LETTERATURA ITALIANA” di Nino Borsellino e Walter Pedullà, vol. XIII, pag. 560
Contributo di Renzo Paris
–
“Quella di Alberto Moravia è una presenza massiccia e incombente, sulla narrativa italiana del nostro secolo, e non pare proprio possibile farne a meno. Negli anni successivi alla sua morte si è manifestato un atteggiamento volto a ridurne il peso e gli effetti, come reazione forse comprensibile al troppo di attenzione e di riconoscimenti che l’autore degli “Indifferenti” aveva meritato nella sua lunga carriera; ma se si volesse davvero procedere a sradicarne l’opera, o anche solo a metterla tra parentesi, l’intero panorama del nostro romanzo novecentesco apparirebbe come una radura privata a un tratto di una quercia dalla radice enorme.”
–
Sergio, beccati questa!
”Chiusura e sconforto, ecco i sentimenti che mi suscita”. Grazie Maria Lucia: hai sintetizzato tutto tu!
Sergio
Sei messo male, eh?
Io continuo a citare testi enciclopedici e tu che fai? Ti limiti a citare la pur brava e simpaticissima Maria Lucia.
Che delusione!
😉
… che… che… ”una presenza massiccia e incombente”, dice Walter Pedulla’? ecco, si’: ”incombente” come le divinita’ ctonie, dalle quali non si puo’ prescindere.
A parte gli scherzi. Vabbe’. A Pedulla’ piace e lo si vede. A me infatti non piace Pedulla’ – anche se mi segnalo’ una silloge poetica otto anni fa, al premio ”Sandro Penna”. Io non guardo in faccia a nessuno. Tranne che ad Enrico Gregori, al quale vedrei bene addosso una bella barba da Palazzeschi in eta’ di saggezza.
S.
Da “GUIDA AL NOVECENTO” di Salvatore Gugliemino (Principato editore, ediz. 1988), pagg. 241-242
–
“La carriera letteraria di Moravia inizia in modo che, più che insolito, si potrebbe considerare senz’altro eccezionale: col suo primo romanzo – Gli indifferenti (1929) – scritto a vent’anni, centra perfettamente, di primo acchito, i motivi più genuini della sua ispirazione, dà piena espressione al suo mondo: comincia cioè con un’opera che normalmente nella carriera di un narratore è possibile riscontrare come approdo, come conclusione.
(…)
Non hanno tutti i torti però quanti sostengono che nella sua lunga carriera di narratore Moravia non ha fatto altro che riscrivere “Gli indifferenti”. Al che l’autore obietta: Si può dire che io sono uno scrittore monotono: ripeto infatti gli stessi temi come certi uccelli ripetono lo stesso verso, ma di anno in anno va mutando il mio modo di vedere questi temi.”
Sto finendo le mie cartucce.
–
da Le Garzantine “LETTERATURA”, ediz. 1993 (ristampa 2003), pag. 686
–
“L’opera (Gli indifferenti) rivelò immediatamente, nella incisività diuna prosa secca e analitica, la maturità di uno scrittore capace fin da allora di far tesoro delle diverse lezioni dei grandi modelli europei, dalla oggettività di De Foe alla problematicità dei romanzieri russi (specie Dostoevskij), al realismo tipologico dei francesi dell’Ottocento.
(…)
Il personaggio dello scrittore e dell’intellettuale militante, disponibile a intervenire in campi diversi, in nome di una passione civile e di una curiosità culturale rimaste intatte attraverso decenni, rende Moravia esemplare di un “impegno” teso costantemente alla razionalità.”
da “TEORIE GENERALI DELLE LETTERATURE E STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA”, di Nino Frassica, vol. I, pag. 1
–
“Non è bello ciò che è bello… ma che bello, che bello, che bello.”
–
Scusate, ma si è fatto tardi.
Buonanotte!
Aaaah… mi provocasti, Maugger?!
Allora incassa qua:
”sembra che Moravia vagheggi, in questi romanzi, un mondo anteriore alla moralita’ e a ogni divieto, un mondo di naturalita’ primordiale, lontano da ogni ipocrisia e da ogni convenzionalismo sociale. Ma e’ un ideale che appare nella sua opera sostanzialmente indefinito, e l’autore, piuttosto che alla costruzione di nuovi valori, sembra inteso a una critica dissolvente, a una spietata presa di coscienza, non immune da una sensibilita’ decadentistica, della crisi del nostro tempo, soprattutto di quella riguardante la borghesia, priva di ideali e schiava del sesso e del denaro. Per questo concordiamo con un critico francese, il Fernandez, quando afferma che Moravia ”apporta alla comprensione dei problemi umani l’appoggio di una intelligenza agile e libera, ma pone questi problemi in termini esclusivamente psicologici, e se libera la realta’ psicologica dell’uomo da ostacoli e pregiudizi, non pensa di fare di nessuno dei casi che analizza il punto di partenza di un’avventura spirituale”. Tale giudizio concorda, in pratica, con quello di molti critici italiani (…).”
Voila’
Sergio
Ho dimenticato autore e fonte: Mario Pazzaglia, ”Letteratura italiana”, Zanichelli, terza ed. 1992.
1. Qual è la fonte?
2. Non è che quest’ultima che citi sia una critica così devastante!
–
Buonanotte. Davvero.
Perdonate la traduzione “di servizio”…
Tanto per capire cosa diceva wikipedia…
Enciclopedia utile, per carità, ma che a me non piace tantissimo…
Consultate qualche buona storia della letteratura o le prefazioni dei libri, che introducono l’autore molto meglio…
Baci da Maria Lucia proffy…
Alberto Moravia, nato Alberto Pincherle (28 Novembre 1907 – 26 Settembre 1990), fu uno dei principali romanzieri italiani del XX secolo i cui romanzi esplorano i temi della sessualità moderna, dell’alienazione sociale e dell’esistenzialismo.
Temi e stile
L’aridità morale, l’ipocrisia della vita contemporanea, la sostanziale incapacità delle persone a trovare la felicità nei modi tradizionali come l’amore e il matrimonio sono i temi principali dei lavori di Alberto Moravia.@ Sergio Di solito, queste condizioni sono patologicamente tipiche della borghesia; il matrimonio, in particolare, è il bersaglio di lavori come “La disobbedienza” e “L’amore coniugale” (1949). L’alienazione è il tema di lavori come “Il disprezzo” (1954) e “La noia”, caratterizzati da uno sguardo disincantato e da una prospettiva razionale e realistica. I temi politici sono spesso presenti: un esempio è “La Romana” (1947), la storia di una prostituta invischiata col Fascismo e con una rete di cospiratori. L’estremo realismo sensuale de “La noia” (1960) ha dato il via ai lavori psicologicamente sperimentali degli anni ’70.
Lo stile di Moravia è stato molto apprezzato per il fatto di essere estremamente scarno e disadorno, caratterizzato da parole elementari, comuni all’interno di una sintassi elaborata. Un’armonia complessa viene stabilita mescolando una frase che costituisce la descrizione di una singola osservazione psicologica mescolata ad un’altra. Negli ultimi romanzi, il monologo interiore è predominante.
Ah, ecco. Va a dormire, che sei stanco anche tu.
In qualità di ideatore e gestore di questo blog dichiaro, d’imperio, che lo scontro si è concluso alla pari.
Non ci furono né vincitori né vinti.
Ma riprendiamo domani.
Leggete Moravia.
Buonanotte.
(Anche a te, Maria Lucia)
Da ”Sergio Sozi: ambaraba’cciccicocco’, la Buonanotte a te Massimo ora io rendero”’
Sergio
Bene. Ora che abbiamo messo il pupo-Maugger a letto, possiamo dire che la cosa principale che mi fa schifo (pace all’anima sua) dell’autore in questione e’ la sua pretesa di esaustivita’ nell’analisi moral-psicanalitica della borghesia italiana: ma chi puo’ sancire definitivamente che una classe sociale o l’altra sia la cagione principale dei mali degli uomini? Chi puo’ affermare, inoltre, che il matrimonio o l’amore in genere borghesi siano per forza, endemicamente e quasi per antonomasia, sinonimi di malattia dell’anima e di imprescindibile amoralita’?
Chi? Per caso uno che di anima non ammetteva manco quella sua propria?
Scusatemi per la virulenza.
Sergio
Ciao Maria Lucia,
stasera c’e’ stata un po’ di (benevolente) maretta. Grazie per la traduzione!
Solito baciamano
S.
Sono ancora qui. E poi vado. Stavolta davvero.
Quel “mi fa schifo” non mi è piaciuto molto.
Ma il capo ha detto ”stop” ed io obbedisco, come disse Peppe.
Fine delle (fraterne) ostilita’.
Sergio
Ho esagerato, Massimo, ma devi ammettere che Moravia ci sputava a tutti in testa… anche a chi magari non se lo meritava. Non t’arrabbiare, dai.
S.
Tutti a letto? Io rientro adesso.
C’era una strana caciara a Scampia stasera. ho contato quaranta macchine di “é Guardie”, come li chiamano qua, i poliziotti.
Carabinieri con le loro eleganti 159 Alfa; Polizia con i nuovi Subaru Station Wagon mentre controllavano eleganti Panda, guidate da cittadini in cravatta, mentre sfrecciavano motorini da 500 cc con tre persone a bordo. Io stavo leggendo l’Aleph di Borges, mentre un collega mi chiedeva se fosse il testo dell’accordo sul welfare, ho detto che era un libro di cucina. Mi stavo annoiando un pochetto, non tanto – è difficile annoiarsi col divino Borges – però un po’ si, e ho pensato a voi, che stavate sicuramente dibattendo e rimuginavo: ma leggere può annoiare?
E se uno si annoia puo’ smettere di leggere? E se il giorno dopo incontra la sua amica giornalista (belle tette) che gli rimprovera: “Ma come? Non hai letto Celine? Sei drammatico!”
Almeno ti piace “La noia”.
A letto no! Avrei risposto.
E se Moravia avesse annoiato, nonostante la sua Montblanc inanellasse splendidi virtuosi paragrafi come quadri napoleonici di David, belli e noiosi?
Mi chiedo: una letteratura che annoia, da cultura, fa cultura, o annoia e basta?
La letteratura deve arricchire come una vitamina amara, o come una mela gustosa?
@Enrico Gregori, hai dato già tanto, non maramaldeggiare!
Poiche’ sono l’unico ancora sveglio, vi do il buongiorno con questo brano di Ferdinando Camon, estratto dal volume di colloqui con scrittori ”La moglie del tiranno” (Lerici Editore, 1969) ed introduttivo del colloquio con Alberto Moravia. Si tratta di un quadretto sintetico dell’opinione che Camon si e’ fatta del personaggio:
”Egli sposta immancabilmente lo stile e il tono e perfino l’argomento su un binario che non e’ quello su cui si trovavano originariamente, e insomma ragiona per categorie esistenziali piu’ che per categorie storiche, anzi piu’ per dati empirici che per categorie, e mi nasce pertanto il sospetto che qualunque intervistatore, alle prese con Moravia, dovrebbe, sempre, sentire questo scatto del divario tra la domanda e la risposta.”
Poi vi rendo un’opinione condivisibile espressada Moravia e tratta dal colloquio stesso:
”Io ero contro l’impegno, e lo sono tuttora, perche’ pensavo, e penso tuttora, che i romanzi impegnati sono sono dei brutti romanzi e delle cattive opere di propaganda, cioe’ non salvano ne’ le ragioni dell’arte, ovviamente, ne’ le ragioni della politica”.
Cerchero’ un poco di obiettivita’, io, o no?
Sergio
Francesco:
no, ne’ una vitamina amara ne’ una mela gustosa. Una vitamina gustosa, o magari una mela amara. L’alfa e… l’omega (stai leggendo Borges, vero? Uno dei migliori).
‘Notte caro
Sergio
@ sergio e massimo:
non smettete, siete stupendi!
ieri notte ho mollato il pc non per sonno, ma perché impegnato nella lettura del romanzo di Massimo che, per ora, mi sembra migliore di un qualunque Moravia. Ma, dato quel che penso del Pincherle, non mi pare un complimento qualificante. Forse leggerei più volentieri persino quel disturbato di Vito Ferro.
🙂
Per Massimo e Sergio.
Sono d’accordo con Enrico. Continuate, dai. Siete stupendi.
Naturalmente Massimo è un po’ più stupendo di Sergio.
Smile
Provocazione.
Secondo me Massimo, Sergio ed Enrico potrebbero essere tre personaggi moraviani. Tre bellimbusti che spasimano per una donna che nemmeno li guarda. Titolo dell’ipotetico romanzo: “Io, lui, quell’altro e la donna che non guarda”.
O sembra il titolo di un film un po’ spinto?
Smile
Elektra mi hai ricordato un gioco innocente che ho spesso fatto e che ora ho rilanciato sul mio blog: quale personaggio vorresti essere ?
@ Elektra
Potrei essere il portiere dello stabile (un ex ballerino uruguagio di Montevideo scappato dalle Pampas dopo aver sedotto l’amante di un narcos), che è l’autentico amante della donna?
Potrei non far arrivare mai i fiori, che copiosi, i tre macho’s spediscono quotidianamente alla mujer; potrei inviare lettere di passione alle compagne dei tre gauchos per farle ingelosire?
Potrei essere scoperto quando, avuta una mancia dal Gregori, non l’accetterei, non per sdegno, ma per la micragnosità dell’offerta?
Potrei rigare il tetto della macchina di Sozi, con un mio vecchio coltello per macellare tori (dirai: come è passato all’aeroporto? Passa di tutto a Fiumicino, pure il Semtex)?
Oggi è il giorno del centenario della nascita del grande Alberto Moravia.
Buona parte della grande stampa pare essersene dimenticata. È comodo dimenticare uno scrittore “scomodo” come Moravia.
Meno male che esistono posti come questo. Onore e gloria a letteratitudine.
Il fatto che a me Moravia non piaccia mi fa ritenere comunque abbastanza indecoroso che ci sia una sorta di oblìo sul suo centenario. Che sia stato importante e, quindi, meritevole di notizia non ha nulla a che vedere con i gusti personali. Tanto per dire, sarebbe notizia anche l’anniversario della presa del potere da parte di Hitler sebbene il soggetto non fosse proprio un simpaticone.
@ elektra:
la tua idea è carina ma, per quanto riguarda me, troppo surreale. non esiste donna che, conoscendomi, non abbia voglia di guardarmi, et cetera
🙂
Prendo spunto da Francesco, quando giustamente cita il ‘divino’ Borges ed il suo dono di non poter mai annoiare, e torno al mio discorso di ieri sui film Bertolucci: tra le righe volevo dire proprio questo quando ho scritto che per me il suo capolavoro rimane “La strategia del ragno”, che non a caso era ispirato ad una novella di Borges (Il Tema del Traditore e dell’Eroe); poi si ispira a Moravia (Il Conformista) e inizia una parabola (pur con alti e bassi) secondo me discendente; da questo incontro il suo cinema è come se fosse diventato un pò “moraviano”: autocompiacente, borghesemente antiborghese, sostanzialmente un pò falso, a volte decisamente noioso.
Quello che io rimprovero loro (a Moravia, a Bertolucci,…), bando a tutte le citazioni critiche ed enciclopediche, è il lasciarmi privo di un emozione, il non sentirli coinvolti in quello che dicono (scrivono, filmano) ed il non riuscire pertanto a coinvolgere me.
Da questa discussione escono nettamente estimatori e detrattori di Moravia, ma è una battaglia della quale francamente non me ne frega un tubo, del resto del ruolo di Moravia nella storia della nostra letteratura credo si dibatterà ancora a lungo.
Ma vi chiedo: c’è qualcuno che lo ami? Nessuno lo ha peraltro citato una sola volta nel post dei 2 libri da salvare, dove un voto, o una semplice menzione è stata fatta per nomi anche meno altisonanti (e anche più discutibili). In quel gioco c’era tutto l’amore dei votanti per i “loro” libri (LORO perchè diventati parte di sè), e solo questo forse è stato il semplice segreto del suo grande successo.
Ripeto: qualcuno di voi AMA Moravia come vengono amati i Borges, Dostoevskj, Calvino, Levi, Buzzati, Kafka? A me questo francamente interessa per prima cosa, questa è la molla che può spingere anche me a leggerli o rileggerli, a CERCARLI (così mi è successo per Bruno Shulz, grazie a voi; così mi piacerebbe succedesse a qualcuno di voi, forse già Miriam, per Sebald grazie a me).
Poi certamente anche il tema suggerito da Piantini sui rapporti tra Moravia coi cugini Rosselli e “Il Conformista” è molto intrigante (perchè anche questa è un’altra molla di lettura o rilettura: la luce di nuove angolazioni) ma mi pare nessuno sia per ora in grado di approfondirlo.
Carlo Speranza
Caro Gregori, quel che scrive le fa onore. Moravia può piacere o non piacere, ma far finta che non sia esistito mi pare cosa eccessiva e deplorevole.
Scusate se torno ancora sull’argomento, che potrebbe essere un contraltare al post su Camon e il perchè scrivere. Perchè leggere? Cosa vale la pena di leggere? Moravia è fra questi (per restare sul tema) ?
Credo che (perdonatemi la banalità) valga la pena leggere quello che ci resta dentro, che rimane a far parte di noi, che in qualche modo ci condiziona e ci cambia. Credo che in (buona) parte noi siamo un po’ quel che leggiamo. Io sono io anche per ciò che ho letto. Faccio un esempio: negli anni a cavallo tra i 60 e i 70, nel clima politico che tanto ci appassionava, alcuni dei miei amici di allora finirono con l’assaltare sezioni del MSI ed uno di essi finì su di una sedia a rotelle. Io però mi sentivo immune da questo, perchè anni prima avevo letto “I Ragazzi della Via Paal” e mi era rimasto fortemente impresso: vedevo già, con la saggezza di poco più che un bambino, in quell’azione di quindici-sedicenni da loro definita rivoluzionaria e necessaria, più una lotta tra bande di adolescenti che un fare la storia; credo che Molnar mi abbia in qualche modo salvato da Lenin, e continuo ad amarlo.
Ognuno di noi ama i suoi libri indipendentemente dal posto che i loro autori rivestono nella storia della letteratura. Io, nel gioco della torre (i giochi, anche quelli apparentemente cretini, son molto istruttivi), tra “Lo Zen e l’Arte della Manutenzione della Motocicletta” e uno qualsiasi dei libri di Moravia salvo il primo, senza alcuna esitazione, anche se Robert Pirsig potrà apparire uno scrittore generazionale, destinato a scomparire, forse già scomparso. Dentro di me non scomparirà mai. Fa parte di me. Io sono anche quel libro. Moravia no.
Carlo Speranza
@ carlo:
ti meriteresti una risposta da sergio sozi in un momento in cui il “vate sloveno” è in preda a una crisi idrofoba
🙂
Devo una risposta a qualcuno, credo. Per sperimentalismi non parlo certo di Gadda e del suo Pasticciaccio (che pure non amo eccessivamente), grande innovatore del linguaggio. Chi ha letto Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura e Nemici miei (Stampa Altrernativa) sa di che cosa parlo. Inutile ripetersi. Inutile scatenare polimiche che – giustamente – il buon Maugeri non vuole. Qui stiamo parlando di Moravia, scrittore che da sempre prendo a modello quando scrivo di eros, scrittore che reputo narrativa vera, un perfetto narratore di storie. Se non ci fosse stato Moravia il cinema italiano del secondo Novecento non avrebbe avuto abbastanza soggetti. Ercole Patti – invece – credo che sia un autore che dovrò leggere, perchè la tematica de La seduzione (Graziella) mi affascina. Per Elisabetta Sgrabi: grazie di pubblicare narrativa, storie, romanzi. Non cedete anche voi di Bompiani alla narrativa del niente e alla narrativa che non si capisce cosa sia e da chi si voglia far leggere (forse dai critici?).
Gordiano Lupi
http://www.infol.it/lupi
@Carlo Speranza
Nel primo post citavi me per Borges ed hai detto cose luminose, ma nel secondo hai contestualizzzato all’oggi una tragedia cultural/politica, quella italiana che va rivista storicamente quando noi cinquantenni non ci saremo più.
Speravo di accendere il post maugeriano sul piacere della lettura,A letto no! Avrei risposto.
in contrapposizione alla salottiera noia, di leggere per leggere e resocontarlo in giro, mi autocito:
“…E se uno si annoia puo’ smettere di leggere? E se il giorno dopo incontra la sua amica giornalista (belle tette) che gli rimprovera: “Ma come? Non hai letto Celine? Sei drammatico!”
Almeno ti piace “La noia?”
Molnar non ti ha salvato da Lenin, forse da Stalin.
@Enrico Gregori
E’ vero, forse giornali e telegiornali si sono distratti, ma la Barbara Rutella- Palombella ieri gli ha dedicato mezz’ora a RadioDue, emittente ammiraglia della radiofonia italiana, in un’ora di massimo ascolto dalle 13 alle 13.30 (RadioDue-“28 minuti” ore13.00 ogni giorno).
p.s.Non mi hai citato, non ti andava bene essere fatto becco dal portiere?
@Elektra
La questione sta più in là, voi donne guardate tutti: è surreale per questo. Sta’ finendo la materia prima e c’è una rivalutazione dei mitici ventenni del ’75, quelli che hanno fatto la storia, e pure un poco di geografia.
Il post che ho inviato prima è sballato: rileggere questo!
@Carlo Speranza
Nel primo post citavi me per Borges ed hai detto cose luminose, ma nel secondo hai contestualizzzato all’oggi una tragedia cultural/politica, quella italiana che va rivista storicamente quando noi cinquantenni non ci saremo più.
Speravo di accendere il post maugeriano sul piacere della lettura,
in contrapposizione alla salottiera noia, di leggere per leggere e resocontarlo in giro, mi autocito:
“…E se uno si annoia puo’ smettere di leggere? E se il giorno dopo incontra la sua amica giornalista (belle tette) che gli rimprovera: “Ma come? Non hai letto Celine? Sei drammatico!”
Almeno ti piace “La noia?”
Molnar non ti ha salvato da Lenin, forse da Stalin.
@Enrico Gregori
E’ vero, forse giornali e telegiornali si sono distratti, ma la Barbara Rutella- Palombella ieri gli ha dedicato mezz’ora a RadioDue, emittente ammiraglia della radiofonia italiana, in un’ora di massimo ascolto dalle 13 alle 13.30 (RadioDue-”28 minuti” ore13.00 ogni giorno).
p.s.Non mi hai citato, non ti andava bene essere fatto becco dal portiere?
@Elektra
La questione sta più in là, voi donne guardate tutti: è surreale per questo. Sta’ finendo la materia prima e c’è una rivalutazione dei mitici ventenni del ‘75, quelli che hanno fatto la storia, e pure un poco di geografia.
@ francesco
abbiamo fatto la storia? po’ esse. potrei dire “ho fatto il 68”. fu divertente. ma mi son sempre divertito di più col 69
Grazie davvero per i nuovi commenti.
Sto per pubblicare un nuovo post, ma il dibattito su Moravia continua.
Tornerò a intervenire in tarda serata.
A più tardi.
Massimo Maugeri
@Enrico
Infatti era quello quando parlavo di geografia: il 69° parallelo!
Quando il post comincia a calare, Sozi scompare e prendono il sopravvento i goderecci e i lupanari come noi.
p.s. non so’ più quale amica mi suggeriva “Il pasticciaccio…”di Gadda, è veramente il mio più grande rammarico non averlo ancora letto, ho letto fiumi di recensioni e non il libro.
Oh, come diceva Troisi, a scrivere sono in tanti, a leggere sono quasi solo…
@Francesco
Ribadisco: Molnar mi ha salvato da Lenin, che da Stalin ci salva tutti ancor oggi il berlusca. Semmai nessuno mi ha ancora salvato da Bakunin (….ma forse un dì potrebbe folgorarmi la poesia di Sandro Bondi).
Per ampliare il giudizio dei critici affermati su Moravia, segnalo un breve accenno del caro amico Giuliano Manacorda sempre acuto ed obbiettivo nel soppesare le opere degli autori, lo stralcio è tratto dal volume ” Letteratura Italiana d’oggi” 1965-1985- Editori Riuniti (pagine65/ 66):-
“Il primo romanzo di Alberto Moravia “Gli Indifferenti”, era uscito nel 1929, nel momento in cui, da una parte, il potere fascista acquisiva la sua forma definitiva e, dall’altra, la prosa italiana stava tentando nuove vie al dilà delle eleganze della prosa d’arte. Nell’uno e nell’altro campo, l’intervento moraviano lasciò un segno profondo individuando nel sesso e nel denaro i valori autentici di una società vanamente mascherata dietro proclamazioni false e retoriche, e costruendo una narrazione rigorosa che riprendeva la grande tradizione del realismo ottocentesco. In quell’opera prima si contenevano, dunque, motivi oggettivamente di grande importanza, ma venivano anche affermati i termini soggettivi di un lavoro che si sarebbe protratto per oltre mezzo secolo con una coerenza estrema, sino al sospetto talvolta avanzato dalla critica, di una non sempre evitata ripetività.”G. Manacorda
Personalmente ritengo rischioso azzardare un valido giudizio, negativo o positivo, su un contemporaneo e solo il” reo tempo” lo renderà immortale o lo coprirà con un folto velo di oblio.Come lettrice ritengo che nei suoi romanzi, abbia ben descritto e anticipato i tempi scabrosi che stiamo vivendo, con le mille situazioni morbose che ogni giorno ci assediano e minano la serenità del quieto vivere. Se non ho letto e capito male oggi è il compleanno del bravo e stimato Sergio Sozi, al quale auguro ogni possibile bene. Se invece la data è un’altra ,mi scuso per la incombente senilità … l’augurio però, sarà sempre valido…Grazie per
le stimolanti discussioni, sempre degne di essere lette e meditate.
M. teresa santalucia scibona
http://www.scibona.org
Oggi, cari burloni, sarebbe stato il centesimo compleanno di Alberto Moravia. Grazie per gli auguri, dunque, a Enrico Gregori e alla sig.ra Scibona: li includo anticipatamente in quelli che spero mi giungeranno il prossimo tre marzo (per me gli auguri non portano mai sfortuna, manco tre mesi prima del genetliaco).
Poi credo di, insieme, sciogliere il dubbio del sig. Leandro Piantini e rispondere al sig. Mauro Tosto, dicendo che questo centenario moraviano viene oggi ricordato da Nello Ajello su ”la Repubblica”, con grande articolo nelle pagine 48 e 49. In questo articolo, infatti, Ajello prova a spiegare l’antipatia di Pincherle per i cugini Rosselli, come si evince da questo passo dell’articolo di oggi:
”E’ curioso, in proposito, un articolo che il fuoriuscito Carlo Rosselli pubblica nel maggio 1937 su Giustizia e Liberta’ e che (…) si riferisce agli stati d’animo del cugino. ”Uno scetticismo disincantato”, vi si legge, ”un realismo amaro, ecco lo spirito caratteristico della nuova generazione fascista”, di cui ”Moravia resta il rappresentante piu’ espressivo”. Si tratta di addebiti non tanto diversi da quelli che al romanziere rivolge la stampa di regime.”
Fin qui Nello Ajello su ”la Repubblica” di oggi. Il pezzo riguardante l’articolo di Rosselli su Moravia, Ajello lo ha estratto dal volume ”Moravia: una vita controvoglia” di Renzo Paris.
Saluti a tutti!
Sergio Sozi
A Francesco:
secondo me la noia e’ una e ”bina”, direi esagerando un po’ nell’aggettivo. Mi spieghero’: quando la si prova durante la lettura, bisogna farsi un esamino critico-di coscienza e cosi’ chiedersi: ”dipende dal libro o dipende da me?”
Dico questo perche’ alle volte m’e’ successo di non esser in vena di ltture e di essermi forzato con una specie di ”Volli, fortissimamente volli” sopra le pagine di qualche opera. Poi l’ho interrotta per sopravvenuta noia, pensando: ”che libro noioso!”. Dopo qualche giorno ho pero’ ripreso in mano il medesimo libro e l’ho assaporato con vero piacere e godimento, immedesimazione, eccetera. Dunque quel ”tipo” di noia era solo una mia qualita’ dell’anima del momento, ed io l’avevo addossata al libro ingiustamente, magari per giustificare la mia (reale ma inammissibile davanti a me stesso) pigrizia.
Dunque facciamo attenzione: a volte la noia nel leggere dipende da noi stessi.
(Non rigarmi la macchina, ti prego, France’: preferisco personaggi gandiani come Maugger, ma al limite accetterei anche te sottoforma di intellettuale alla Celine!)
Ciao
Sergio
Elektra e Carlo: io i personaggi li costruisco per gli altri quando scrivo racconti e novelle, non per me stesso. Io sono solo Sergio Francesco Maria Quirino Sozi, nato a Roma il tre marzo del Millenovecentosessantacinque ed ancora in carne ed ossa. Un po’ puzzolente ma vivo e vegeto!
Bacioni
Sergio
@ Sergio:
osservazione acuta la tua, come sempre. A me, per esempio, accadde di trovare “Va’ dove ti porta il cuore” una gigantesca cazzata. Poi, un giorno, l’ho ripreso e mi è sembrato stupendo. Questa successiva impressione, però, non dipendeva né da me nè dal libro bensì dal fatto che, avendo finito la scorta di pakistano nero, mi ero fumato le lucine a intermittenza dell’albero di natale.
Allora quella era una noia del primo tipo ma della sottoserie A: dipendeva dal libro e insieme dall’albero di Natale. Se esistesse ancora il Presepio, i tuoi problemi non ci sarebbero stati. Ci sarebbe stata la noia del primo tipo ma della sottoserie B: come faccio a fumarmi il pastorello napoletano in coccio del ‘700?
S.
(Hai letto il mio libro, vero? Se ne vedono gli effetti.).
DICO: ho sciolto il problema sull’antipatia di Moravia pei cugini e nessuno me lo fa notare? Andatevi a rileggere il mio ”post” di poco fa, please!
S.
@ sergio:
il tuo libro è in pole position appena finisco di leggere quello di Maugeri. Tirando le somme, nel giro di poco tempo, avrò letto Vito Ferro, Massimo Maugeri, Sergio Sozi e Silvia Leonardi. E poi vi meravgliate se deliro?
🙂
Anche i tuoi auguri sono in polposiscion: i primi di sicuro!
Sergius Demoniacus
P.S.
Il mio libro e’ stato appena bocciato dal Premio Penne. Autocongratulazioni vivissime.
@ sergio:
ritenta col premio maccheroni
🙂
I maccheroni me li magno alla faccia della Letteratura. Bonappetito.
@ M. Teresa Santalucia Scibona.
Grazie mille per il suo intervento.
Preciso che oggi (ovvero ieri, dato che è passata la mezzanotte) è il compleanno di Gordiano Lupi (nato lo stesso giorno di Moravia), non di Sergio Sozi
@ Sergio.
Ho letto anch’io l’articolo di Ajello.
Ti ringrazio per aver raccolto lo spunto di Piantini.
Curiosità. Quanto costa “Repubblica” lì in Slovenia?
@ Carlo S.
A volte l’amore per un libro dipende da circostanze peculiari. Si può amare un libro perché si è letto a una certa età e in un determinato contesto. Lo stesso libro, letto in etaà diversa e in contesti differenti, potrebbe generare indifferenza, se non fastidio. Chi può dirlo? A parte il fatto che, nella vita, si può sempre cambiare idea.
Io ho particolarmente amato la raccolta “L’automa” di Moravia per i motivi che ho spiegato in un precedente commento.
I giornali italiani, qui, costano in genere qualcosa in piu’ del doppio del prezzo di copertina. E fammi gli auguri, Massimo, eh!
S.
Auguri per aver acquistato Repubblica? Auguri!
😉
Quelli veri te li farò il 3 marzo del 2015, quando compirai cinquant’anni.
(qui festeggiamo solo i centenari, al massimo i cinquantenari, eh!)
Sergiei Ilic non darti pena per il premio e ricambia con una risata. Sai quanto essa possa essere “ricoprente”.
Perché fate leggere tutti i libri a Gregori ? Ha ragione ad essere ridotto così. Enrico apri una pizzeria.
@ Enrico
Ah si…così i nostri libri ti fanno delirare? Più di quanto non deliri normalmente a riposo?
@ eventounico
non dargli man forte!!! buona però l’idea della pizzeria. Poi lo andiamo a trovare insieme!
@ silvia:
non avendo specificato, si potrebbe anche supporre che il delirio sia uno stato di enorme piacere. Non ti darebbe soddisfazione, per esempio, sapere che il tuo libro mi ha fatto entrare in un altro mondo?
🙂
@Silvia
il primo che apre una pizzeria gli chiedo se ha bisogno di qualcuno che serva ai tavoli…
Si vede che questo post non ha più nulla da dare. Siamo passati dal centenario di Moravia alle pizzerie.
Che pizza!
Smile
@ elektra:
certo, come no. se però la pizzeria la aprisse massimuccio-passerotto-trottolinoamoroso, ti ci matteresti a pensione. Ipocrita!
🙂
Per Enrico.
Se la pizzeria la aprisse Massimo sarebbe una pizzeria di classe e culturalmente stimolante. Al posto del parmigiano a scaglie ci sarebbero coriandoli tratti da libri di Tolstoj e Calvino.
Scusa Massimo, ma è tutta colpa di Enrico. E’ un elemento di disturbo.
Smile
pensa che seratina!
Caro Massimo, grazie per la precisazione, con queste date sono proprio
“rincitrullita”(termine toscano..), auguri di cuore al simpatico Gordiano Lupi,
ottimo schermitore con la penna! A Sergio Sozi, lo rincuoro per la sua bravura anche senza il premio, troppo spesso pilotato e assegnato non secondo il merito effettivo degli autori. Spero di ricordarmi la data del 3 di marzo per non ripetere la figuraccia. Un corale saluto da Siena, la vostra
“rimbambina” M. Teresa Santalucia Scibona
da “Panorama” del 28/11/07
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Non poteva che essere lei, Dacia Maraini, la compagna di vent’anni di vita, la fotografa ideale per ricordarlo nel centenario della sua nascita. Il 28 novembre 1907 vedeva infatti la luce Alberto Moravia, morto nel 1990. E negli spazi della Ex Gil a Trastevere (la Casa della Gioventù) a Roma, oggi, fino al 22 dicembre, omaggia lo scrittore de La romana, Gli indifferenti e La noia la mostra “Moravia. Dal mondo intero. Fotografie di Dacia Maraini“.
Dal Mali a Cuba, dagli States al Giappone, quasi cento scatti, in gran parte inediti, di Moravia e Maraini in viaggio, realizzati tra gli anni Sessanta e Ottanta. Rare sono le immagini in cui compaiono entrambi, come sempre accade a chi si sposta in coppia. Ma la presenza di Moravia è sempre percepibile.
Per la ricorrenza, sabato 1 dicembre presso il Palazzo del Comune di Sabaudia si terrà un incontro con Dacia Maraini (dalle ore 10 alle 17) corredato dalla proiezione del docufilm Moravia 99+1 di Gianni Barcelloni e Alain Elkann.
Inoltre l’abitazione romana dello scrittore sul lungotevere della Vittoria, donata dai suoi eredi al Comune di Roma, diventerà Casa museo e sede dell’Associazione Fondo Alberto Moravia, che si occuperà della gestione dell’archivio e della biblioteca, organizzando anche attività culturali.
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Fonte: “Panorama”, 28/11/07
http://blog.panorama.it/culturaesocieta/2007/11/28/centanni-fa-nasceva-alberto-moravia-il-suo-mondo-nelle-foto-di-dacia-maraini/
Siete cortesemente OBBLIGATI ad andare a leggere un mio intervento nel post “Autopresentazione di libri ed eventi”.
Certissimamente, Enrico.
S.
(Inoltre Elkann, detto per inciso, non mi suscita quella ventata di simpatia).
Sozi
Alberto Moravia inseguiva il Premio Nobel per la letteratura da alcuni anni. Aveva ricevuto numerose nomination, ma l’ambito riconoscimento gli era sempre stato negato. In quell’estate del 1981, quando andai a trovarlo nel suo bell’attico sul Lungotevere, era ben determinato a sferrare l’attacco decisivo: “Sto tentando un ultimo romanzo, si chiam “1934”, è un “rétro”: in esso compaiono dei fatti che non poterono che avvenire in quell’anno. (…) Il tema è quello del suicidio ovvero se bisogna o no uccidere in certe circostanze.”
“Lo scrittore lavora col materiale che ha. Qualcuno dice che ho descritto la borghesia: certo, quello era il materiale che avevo. Se fossi nato in una famiglia di operai avrei parlato degli operai.
…
Su “Gli indifferenti” forse il motivo più importante nessuno l’ha mai intuito ed è questo: gli scrittori di solito parlano del passato e io non ho passato perché il mio passato è Gli indifferenti, che esaurì ilpassato che c’era allora.”
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da il Venerdì di Repubblica del 30/11/07 pag. 133-135
Sguardi
Scusate se intervengo con un mio commento forse “sotto/sopra le righe”, a modo mio…
L’immagine che mi deriva osservando i ritratti fotografici di Moravia, è tutta concentrata sul suo sguardo: intenso, di uomo dalla vivida intelligenza creativa. Ieri un filmato televisivo lo ritraeva insieme a Pasolini, altro sguardo penetrante, sofferto, profondo.
Poi c’è la Maraini, bellissima con i suoi occhi di un verde prorompente.
Altro sguardo, denso di esperienze e di promesse.
Questo è il mio piccolo contributo, dal mio punto di vista.
Grazie!
ariaperta, Roma
Pensavamo che Alberto Moravia avrebbe avuto, nelle storie letterarie, non un paragrafo, ma un capitolo. Oggi, a un secolo dalla nascita, non lo legge nessuno. Sbagliavamo noi ieri o sbagliano i lettori oggi? Sbagliano i lettori oggi. I quali non è che lo leggono e lo rifiutano, ma non lo conoscono proprio. Il loro non-leggerlo non è un giudizio, è un’ignoranza.
In Francia vantano Sartre e Camus come scopritori della decadenza borghese, la borghesia che vomita il mondo (Sartre, La nausea), il borghese che se muore sua madre muore un’estranea (Camus, Lo straniero).
Ma ben prima Moravia aveva scoperto la vera malattia della società borghese, l’apatia (Gli indifferenti). La porta, attraverso la quale la letteratura europea entra nell’esistenzialismo, è Moravia.
Visto che i giovani non sanno niente di Moravia, non gli consiglio tante opere, e non Gli indifferenti. Gli consiglio un romanzo breve sul problema dei giovani, la scoperta della vita e del sesso: Agostino, poche pagine, psicanaliticamente ineccepibili. Sesso, violenza, guerra, famiglia, stupro, religione, terrorismo, in Moravia ogni azione è sottoposta non a giudizio, ma ad analisi. I Racconti romani sono assoluti capolavori sulla vita della borghesia romana.
Romana vuol dire uffici e ministeri.
Per avere la fabbrica e l’azienda, bisogna aspettare i narratori del Nord. La borghesia romana di Moravia ha un lavoro ma non lavora, i leghisti la definirebbero «oziosa-viziosa». Moravia la studia, non la condanna.
Se un uomo fa una cosa, ci sono mille ragioni per cui deve fare quella cosa, l’uomo non ha potere su quelle ragioni. Se fa un omicidio, non ha senso condannare l’assassino: «Chi ha ucciso Pasolini?» si domandava Moravia, e rispondeva: «Nessuno». Con ciò rifiutava il Cristianesimo, che rispondeva: «Il Male». Se a uccidere è il Male, tu puoi-devi condannare. Ma se a uccidere è Nessuno, tu non puoi fare niente. E infatti Pelosi è fuori, Maso lavora in una segheria, Erica gioca a pallacanestro.
La crisi dei valori è in realtà l’epoca moraviana. In questi giorni abbiamo tre-quattro delitti mostruosi in ballo, al momento del giudizio i giudici non applicheranno il codice, applicheranno Moravia. Voi giovani potete non leggere Moravia, ma ci vivete dentro.
Leggete L’uomo come fine. E visto che viaggiate tanto, ricordate una cosa: se andate nel Sahara senza leggere le Lettere dal Sahara, capirete poco, se invece leggete quelle lettere, capirete molto. Anche senza andarci.
Ferdinando Camon
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Fonte: Tuttolibri/La Stampa del 1/12/07
Analisi di Moravia in quanto analista. Ottimo lavoro di Camon, il quale mi conduce a pensare che il primo ad essere amorale fosse proprio Moravia stesso. Ed essere amorali, a mio avviso, e’ piuttosto comodo in ogni epoca, anche in epoche ”morali” come l’Evo Antico, durante il quale gli intellettuali cortigiani guadagnavano molto bene ronzando intorno agli Scipioni, ai Mecenati e via dicendo.
Ho detto tutto. Ovvero che anche questa recensione di Camon conferma quanto pensavo e sentivo nei confronti dell’autore in questione.
Sozi
Alberto Moravia è uno degli scrittori che più degli altri mi affascina per la sua precisione nel descrivere tempi e luoghi.Penso che chiunque debba leggere 1 dei suoi libri.Io ho appena finito di leggere Agostino un libro che egli ha scritto nel 1941,molto bello anche perche si incentra su tema pedagogico rivelando problemi e disagi che un bambino all’età di 13 anni può avere.Concludo dicendo che non mi dispiacerebbe leggere altri libri di questo autore…..KISS MEL”91″
25 ANNI DALLA MORTE DI ALBERTO MORAVIA
Care amiche e cari amici,
nel novembre del 2007 pubblicai questo post dedicato a Alberto Moravia in occasione del centenario della sua nascita (avvenuta a Roma, il 28 novembre 1907). Nei giorni scorsi è stata celebrata un’altra ricorrenza: il venticinquesimo anno dalla morte (avvenuta a Roma, il 26 settembre 1990). Per l’occasione vorrei riproporre il suddetto (contenente anche un contributo di Massimo Onofri tratto dal volume “Tre scrittori borghesi. Soldati, Moravia, Piovene” – Gaffi, 2007).
Lo trovate qui sopra…
Ne approfitto altresì per proporvi questo video che contiene:
– uno “scherzoso” scambio tra Indro Montanelli e Alberto Moravia (1959)
-un’intervista di Pasolini a Moravia sul tema dello “scandalo amoroso” (1965)
– una trasmissione dedicata a Moravia, condotta da Mirella Serri con il contributo critico di Antonio De Benedetti (incentrata sui “gusti letterari”)
– una trasmissione dedicata interamente al profilo dello scrittore (con una serie di interviste molto interessanti).
https://www.youtube.com/watch?v=KsMGXiBEC0g
Il video è presente anche sul post (in alto, su questa stessa pagina).
Dedico, dunque, questo “spazio” alla memoria di Alberto Moravia con l’intento di celebrarlo, ma anche con l’obiettivo (e la speranza) di contribuire a far conoscere questo nostro grande scrittore a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.
Sono graditi (e ringrazio anticipatamente i partecipanti) interventi, contributi vari e la segnalazione di link attinenti ai contenuti di questo post.
da La Stampa: Moravia in Oriente. L’intuizione del conflitto di civiltà
http://www.lastampa.it/2015/09/25/cultura/moravia-in-oriente-lintuizione-del-conflitto-di-civilt-T6C6qvPlCdNc3lVYXPm5eL/pagina.html;jsessionid=AE92B0ECC28EA88701F7216B2927AFA2
AGI: Venticinque anni fa moriva Alberto Moravia
http://www.agi.it/spettacolo/notizie/venticinque_anni_fa_moriva_alberto_moravia_suo_erede_e_de_carlo-201509261123-spe-rt10026
da IL SECOLO XIX: Elisabetta Sgarbi: «De Carlo erede di Alberto Moravia»
http://www.ilsecoloxix.it/p/cultura/2015/09/26/ARQyXq5F-elisabetta_moravia_alberto.shtml
La domanda è : come fa uno che è poco più di un ragazzo a scrivere un capolavoro come “Gli indifferenti” considerata anche l’epoca in cui fu scritto?
Gli accademici svedesi del Premio Nobel hanno tanti rimpianti : uno di questi si chiama Alberto Moravia.
Frequento quello che è rimasto del gruppo Moraviano.
Grazie.
Ringrazio Andrea e Claudio per il loro commenti.
Un saluto a entrambi!
Penso che Moravia sia stato una vivacità nel panorama culturale del ‘900 nel senso di avere rappresentato una sua visione del mondo , degli altri e di se stesso senza rancore mettendoci di suo una passione che appartiene a quei caratteri valorosi che hanno una storia di vita dove il sentirsi indifferenti è il modo migliore per non coinvolgersi affettivamente che on-line elicita la sofferenza della perdita; rappresenta la sua narrativa una poesia che anima qualunque si avvicini alla anatomia delle emozioni
grazie per il commento
Grazie a te per il tuo intervento, Gregorio.