“So benissimo che, tra le persone apparentemente interessate a scrivere, ben poche sono interessate a scrivere bene. A loro interessa pubblicare qualcosa, e se possibile fare un colpaccio. Essere uno scrittore, non scrivere”.
Quando Flannery ‘O Connor scriveva nei lontani anni Cinquanta queste righe per una lezione sulla natura e lo scopo della narrativa non immaginava quanta attualità avrebbero avuto ai giorni nostri. Anche se insegno scrittura da quattordici anni, non c’è giorno in cui le parole della ‘O Connor non mi accompagnino. Almeno tre volte per settimana mi tocca ripetere ai neofiti dei corsi napoletani de Lalineascritta, o nei corsi dell’Upad di Bolzano, ai ragazzi nelle scuole e ai visitatori del sito (www.lalineascritta.it) che hanno un libro nel cassetto e cui un editore ha chiesto soldi per pubblicarlo, che scrivere è un’arte.
E che davvero non è il ruolo sociale, la cui aura è da troppo tempo scomparsa come diceva Benjamin, dal momento che né un narratore né un poeta vengono ritenuti, di questi tempi, opinion leaders, a contare, ma la fatica, la vocazione, il vero desiderio di far bene quel che si è chiamati a fare.
Ieri sera spiegavo che ho un romanzo in fabbrica da sette anni. Un corsista nuovo alla questione ha sgranato gli occhi: sette anni? E’ terribile! Gli ho detto che non so se questo libro poi, alla fine, funzionerà. Non ho la garanzia, non è una lavastoviglie. Sette anni, ha ripetuto disperato: e io che scrivo solo quando ho voglia! Servissero i corsi di scrittura a far capire che scrivere un libro, un libro vero – non le barzellette dei calciatori o il romanzetto dell’attore o il giallino del magistrato – è una questione di fatica fisica e che, come diceva la ‘O Connor, i denti marciscono e i capelli cadono mentre un romanzo prende forma, sarebbe già un primo risultato.
Di questi tempi di sola immagine, dove la scrittura è finita su Internet e nei blog, in cui gli editori hanno dimenticato il senso delle parole “progetto culturale”, mi sa che bisogna ripetere ad alta voce che scrivere non è fare lo scrittore. Che non c’è un tappeto rosso, che non ci sono guadagni facili né comparsate tv che vi renderanno autori. Che si scrive, come dice Rosa Montero nel suo bellissimo La pazza di casa, contro la morte, perché quel mondo inventato sia davvero simile a come lo avevamo immaginato. Che non si scrive per vedere il proprio nome in calce, ma perché si cerca la verità, per porre domande che non siano oziose, che non si ascoltino nei programmi pomeridiani sui canali nazionali.
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Antonella Cilento (Napoli, 1970), ha pubblicato Il cielo capovolto (Avagliano, 2000), Una lunga notte (Guanda, 2002), Non è il Paradiso (Sironi, 2003), Neronapoletano (Guanda, 2004), L’amore, quello vero (Guanda, 2005), Napoli sul mare luccica (Laterza, 2006).
Una lunga notte ha vinto il Premio Fiesole e il Premio Viadana, è stato finalista al Premio Greppi e al Premio Vigevano. L’amore, quello vero ha vinto il Premo Vitaliano Brancati. E’ tradotta in Germania dalla Bertelsmann. E’ stata finalista al Premio Calvino 1998 con il romanzo inedito Ora d’aria. Ha pubblicato numerosi racconti su riviste.
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Conduce laboratori di scrittura dal 1993 a Napoli e in Campania, dal 2002 in tutt’Italia.
Ha realizzato:
per Cento Lire, a cura di Lorenzo Pavolini, i racconti radiofonici intitolati "Voci dal silenzio" (RAI, Radio Tre, 15-19 gennaio 2001). Attualmente, collabora con "Il Mattino", "L’Indice dei libri del mese". Dal 1998 al 2000 ha collaborato con il "Corriere del Mezzogiorno"(supplemento del Corriere della Sera), nel 2003 con "Il sole 24 Ore Sud", nel 2005 con "Il Riformista". Si è laureata nel 1995 in Lettere Moderne con una tesi intitolata La scrittura di Pier Vittorio Tondelli vincitrice presso la Biblioteca Comunale di Correggio del Premio Tondelli 1999.
Ha scritto la sceneggiatura del corto "Il martirio di Sant’Orsola" per la regia di Mario Martone e Sandro Dionisio (Banca Intesa, 2005). E’ presidente dell’ass. cult. Aldebaran Park con la quale organizza convegni, rassegne autoriali, spettacoli.
Ha organizzato vari convegni, conferenze e seminari culturali e letterari.
Per il teatro, scrive:
"Isole senza mare: omaggio ad A.M. Ortese ed Elsa Morante", 1999 in scena al Teatro Leopardi, Napoli, regia di Cristiana Liguori, interpreti Cristiana Liguori e Giorgia Palombi; "Bambini nel tempo" da I. Mc Ewan, 2000 in scena al Mezzoteatro di Napoli, al Teatro Nuovo di Salerno, regia di Paolo Oliveri e Giorgia Palombi, interpreti Paolo Oliveri e Luana Di Sarno; "Il funambolo" omaggio a J. Genet, 2001, Teatro Garage Genova, Galleria Toledo Napoli, Teatro Colosseo Roma, in tournée attualmente, realizzato con la regia di Laura Sicignano da un’idea di Iole Cilento, interpreti Marco Pasquinucci e Massimiliano Caretta). "Frankenstesin Barausz" di Laura Sicignano e A. Cilento, 2002, Teatro Cargo, Genova. "Ho visto Don Chisciotte", regia e ideazione di Giancarlo Cosentino, in scena al Teatro Diana, Napoli, 2003.
A me questo articolo di Antonella Cilento mi ha messo un po’ i brividi addosso. Soprattutto quando ho letto quella frase della ‘O Connor: “i denti marciscono e i capelli cadono mentre un romanzo prende forma”.
Ammetto di essere tra quelle che avevano preso la scrittura come una chance per uscire dall’ordinario. Credo ci sia molto da riflettere.
Io scrivo e faccio lo scrittore, ma non ho una concezione così sacrale della mia passione/attività: scrivo per dare piacere a me e a chi eventualmente leggerà le mie cose.
“Scrivere è un’arte” dice Antonella. Io non mi considero un artista e dunque sono d’accordo solo parzialmente: a mio avviso scrivere è anche artigianato, anche godimento, anche comunicazione, anche gusto del racconto o della composizione o del suono, anche inseguimento di un’ossessione, anche cedimento alla seduzione di un tema che ci appassiona.
Forse la sola verità è che nella scrittura non esistono regole uguali per tutti e valide per chiunque.
Luciano, pure tu hai ragione. Però è anche vero che tanti considerano la scrittura come un’occasione per “emergere” e non come un modo per dire qualcosa (perché si ha qualcosa da dire) o raccontare una storia (perché si ha una storia da raccontare). O almeno, io ho avuto questa impressione. Tu che ne dici, Luciano?
Mi piacerebbe, pure, che Antonella potesse approfondire la tematica: scrittura come “arte”, o anche scrittura come “artigianato”?
Elektra: d’accordo con la tua osservazione. Per molti pubblicare un libro significa voler apparire, nel tentativo di dotare se stessi di un minimo di illusoria visibilità.
Ma i modi di scrivere sono tantissimi e tra loro diversissimi.
Penso a uno dei libri che preferisco, la STORIA DELLA MIA VITA di Giacomo Casanova (un capolavoro straordinario). Ebbene, lui lo scrisse da vecchio, per rievocare il piacere e il tumulto della propria esistenza. Dell’arte non gliene impippava un tubo, ma il risultato su un’opera immensa (migliaia di pagine) ed eccezionale. Che ancora adesso si legge con un gusto avido e mai saziato.
Ringrazio tutti dei commenti e cerco di approfondire come richiesto da Elektra la questione dell’arte e dell’artigianato. E’ chiaro che ogni attività artistica inizia come artigianato, nel senso concreto dell’apprendistato, dell’allenamento, del bisogno di strutturare tecniche e di entrare nelle esperienze. Sono infinite le cose che ogni scrittore deve approfondire e sviluppare: la capacità di vedere il mondo, la naturale disposizione ad avere visioni, gli strumenti tecnici che portano al racconto e al romanzo, o ad altre forme di scrittura. Però chi incontra la scrittura come vera strada di vita la abbraccia molto oltre l’artigianato stretto e aspira sempre, senza mai essere contento del risultato, a qualcosa di più. A produrre il meglio che può, a sfidare i limiti che scopre di avere. E’ vero che esistono tante forme diverse di scrittura, rapide, con meno responsabilità: un’autobiografia come quella di Casanova che veniva citata è cosa molto diversa dall’architettare un prodotto d’invenzione, per quanto divertentissima e bella e memorabile nel risultato. I libri che ci segnano la vita sono quelli scritti da autori che scelgono la scrittura come strada, come religione in senso autentico, che insomma rischiano nella scrittura il tutto per tutto. Le altre strade sono vie brevi, traverse, a volte vicoli ciechi o strade molto appariscenti e illuminate che presto verrano dimenticate. Che ci si creda o no, si scrive con l’ambizione di restare, tutto il resto è gradevole divertimento. Ripeto, in alcun modo disprezzabile: ci sono moltissime persone che usano a fini personali la scrittura. Ma quello è artigianato, di discreta o cattiva qualità, dipende. Cercare di fare arte è una sfida parecchio più impegnativa, anche perchè, è superfluo ricordarlo, per quanto si possa essere ricordati ogni cosa, anche l’opera più bella, con il tempo si cancella o appanna. Un salutone!
Cara Antonella,
come hai ragione! In Italia ci sono milioni di commissari tecnici della Nazionale di calcio, altrettanti poeti che pensano di essere eredi (almeno spirituali) di Dante e Leopardi,altrettanti “aspiranti scrittori” che desiderano, sognano di creare il best-seller da premio Pulitzer e vivere poi il resto della vita oziando – con i profumatissimi guadagni che ne sono eventualmente derivati – in un’isola incantevole del pacifico…
Per quanto mi riguarda, ebbene sì, lo confesso, sono tra questi e vorrei eccome saperlo scrivere questo benedetto grande romanzo e vivere poi “in eterno” alle Seychelles come un nababbo circondato da donne bellissime e seducenti.
E… invece?? Che ti combino??? Sto li a pubblicare a mie spese libri divulgativi su musicisti lontani mille anni luce dal mondo di carta di oggi: Anton Bruckner, Gustav Mahler, Johannes Brahms…Ti dicono forse qualcosa? Eppure, cara la mia Antonella, tutto questo mi appaga profondamente, quando penso all’ amatissimo Wolfgang Amadeus Mozart morto povero e seppellito, per giunta, in un fossa comune: terribile! Chi sono io allora per meritare una fine migliore di quel incommensurabile Genio? Scrivere è un’Arte per chi è un artista vero. Gli altri, e cioè noi, per la moaggior parte poveri mortali, ci dilettiamo a far della scrittura del “simpatico” artigianato, piacevole spesso solo per noi; D’accordo allora con Luciano Comida. Se poi capita che qualcuno ci “legga” e ci apprezzi per il nostro lavoro,non dobbiamo far altro che RINGRAZIARE e sentirci felici. A me francamente basta questo…”Sogni” anzidetti a parte 🙂
Carissima Antonella Cilento, condivido tutto e in modo particolare quello che affermi nella precisazione, a proposito di atto volontario ed effetto involontario. Musil ha impiegato dieci anni a scrivere “L’uomo senza qualità”, eppure leggendolo sembra scritto così…come una cronaca leggera. Ho l’abitudine di ricopiare su piccoli quaderni le frasi, di un romanzo o di un libro, che più mi colpiscono e che poi mi riguardo , rileggo o addirittura studio con comodità; con piacere. Io scrivo solo per comunicare e visto che il mio “mestiere” è quello del disegno, intreccio forme e parole in progetti di didattica dell’arte. In questi ultimi quattro anni sto lavorando su un unico testo; faccio anche altro, leggo e disegno su altre cose, ma il mio grande impegno è lì, nella ricerca del pensiero moderno. Rubo il tempo ad altri lavori, ma poi tutto si risolve in un grande intreccio e questi scambi di opinione sui blog arricchiscono la mia ricerca. Mi scuso per non aver ancora letto un tuo libro che farò subito, nei prossimi giorni.
Bella la citazione di Flanneri O’ Connor che era tosta più di un toast e che per me ha significato molto, ma questa è un’altra storia.
Complimenti e spero, a presto.
Miriam ravasio
Pienamente d’accordo con la Cilento (io la O’Connor l’ho adorata e la adoro). Anch’io, come Miriam, ringrazio per l’articolo e per l’approfondimento.
Cara Antonella, condivido pienamente le tue parole, diffido sempre di chi dice di aver scritto un romanzo in pochi mesi, questa diffidenza è nata dopo aver letto questi “romanzi” o meglio dopo aver letto poche pagine, saltando di qua e di là da una riga all’altra sbadigliando o arrabbiandomi per i soldi spesi ma soprattutto per la carta consumata. Scrivere è soprattutto lavoro, certo un lavoro che si ama, è ricerca di nuove strade per riuscire a dire sempre meglio ciò che si vuole dire. Ritengo tra l’altro che non si finisce mai di imparare. Ciao Lucia
Parole vere, quelle di Antonella, corrispondenti.
Non solo i denti, non solo i capelli, ma ogni parte di noi stessi intesse una dura battaglia contro il macigno del pensiero che scorre più veloce della penna,degli occhi e dei tasti. Le unghie defilate e i polpastrelli ormai insensibili. La schiena a pezzi e in pezzi. Gli occhi sgranati su quei simboli che si fanno sempre più minuscoli….e la fine che non arriva mai, mentre senti che la tua sta giò nelle tue tasche…
E che sono sette anni, una pausa di scrittura minima. Il mio romanzo vero, quello sognato, se mi va bene, lo scriveranno i posteri, sempre che riescano a mettere chiarezza tra cumuli di foglietti, sottolineature, collegamenti scollegati e titoli pensati e ripensati…una volta che decidi di fare una cosa sul serio, due minuti dopo, ti senti un burlone…La scrittura, non l’auguro a nessuno…e i capeli se sei fortunata ti rimangono vicini come aghi che aspettano di essere attratti dallo schermo che non ti risparmia un campo magnetico abbracciato al magnetismo delle idee, al magnetismo dei colori e al magnetismo che madre natura ti ha destinato di scrivere senza quasi pensare, perchè se ti permetti di farlo, scriveresti cose di altri e questo non serve, o perlomeno, le parentesi usale il meno possibile e le virgolette, come un rito solenne, prima di sederti per iniziare a creare, prendile come fossero formiche e schiacciale tra le dita: il pollice e l’indice della mano destra sono state create per fare questo lavoretto….schiacciare con rabbia quelle virgolette, e di quel maledetto grassetto…certamente non hai ancora ben focalizzato cosa ne vorrai fare, perchè lui è lì che ti guarda alla tua sinistra, un sinistroide tutto nero, nero…che spesso ti fa credere che le persone che leggono, leggerebbero meglio se ti venisse in mente di usarlo..e lo fai, come un pazzo, gioisci nell’immortalare righe su righe tutte super-nere….Ma che vuoi che siano sette anni…denti guasti, unghie incivili, polpastrelli insogliolati..e per finire in bellezza un fondo schiena tra il grottesco e l’insensibile…Forse con un po’ meno di scrittura e con un di più di buone camminate, certi difetti li governi…ma allora non saranno sette gli anni, ma decenni e decenni…Mandatemi un messaggino telepatico, nell’aldilà, dove sarò, quando qualcuno alla fine avrà tra le mani questo mio romanzo vero…talmente vero che se dovessi scrivere in questo momento una parola tronca non saprei dove trovare le vocali con l’accento…tanto lo schema appare annebbiato per la fatica….Ma, credetemi, è tutto vero..come la storia..e in più aggiungerei che ogni scrittore durante il tragitto suo pesante del suo “lavoro” potrebbe procurarsi una quadro metabolico alterato…lo hanno soprannominato quadro metabolico spoetizzante…e non se ne conosce tuttora la cura. Quindi, in ultima analisi, uno scrittore è un potenziale malato incurabile….Auguri agli esordienti…fatemi sapere.
Antonella Cilento è una di quelle che alla scrittura ci crede veramente… e che lavora sodo.
Ed è davvero brava.
Io la ringrazio molto per l’intervento e per lo spunto che ci ha fornito.
Il dibattito, naturalmente, rimane aperto per chi ha ancora voglia di esprimere il proprio parere.
Mi viene in mente un certo signor Stefano D’Arrigo. Ne ho già parlato altre volte, anche su questo blog.
La redazione della sua opera principale, Horcynus Orca (una delle massime opere narrative del Novecento) richiese circa un ventennio.
Pienamente d’accordo con le affermazioni di Antonella Cilento.
Sono poco più che quarantenne, scrivo da non molto tempo e: 1. sebbene abbia vinto alcuni concorsi letterari; 2. sebbene amici, e non, apprezzino molto i miei racconti; 3. sebbene dovrei avere una “certa” maturità. Ebbene, ci ho messo un po di tempo per arrivare a capire che l’importante è scrivere e non pubblicare, che l’importante è riuscire a trovare la propria via per, innanzitutto, divertirsi e fare un viaggio all’interno di emozioni che nemmeno due settimane a Parigi possono darti.
Conclusione: comunque, per una scrittrice affermata dire le cose che dice la brava Cilento, risulta alquanto facile (avrebbe detto le stesse cose prima di diventare la scrittrice che è oggi ?).
Andrea
Scusate se insisto. Ma io sono di coccio.
Nel campo della scrittura non esistono regole valide per tutti. Spartacus citava il grandissimo D’Arrigo che ci mise decenni per realizzare quel capolavoro che è Horcynus Orca. Ma Stendhal scrisse LA CERTOSA DI PARMA in quaranta giorni. E Simenon scriveva spesso i suoi Maigret in una settimana e a volte addirittura in un week-end.
Henry James o Julio Cortazar hanno una scrittura complessa, Carver lineare e ridotta all’osso.
Chi ha ragione?
Importante è trovare la propria voce, il proprio stile, il proprio ritmo. Quando faccio incontri sulla scrittura non mi stanco di dirlo: nella creatività non possono esistere regole uguali per tutti. Dipende.
Io scrivo molto velocemente (e così ho pubblicato quindici libri, con traduzioni in nove lingue), un mio amico carissimo cesella ogni singola frase decine e decine di volte e i suoi racconti sono stati pubblicati in prestigiose case editrici anche straniere.
Chi ha ragione?
Dipende
Luciano, hai ragione mille volte…
E’ sempre una questione di scaletta..
C’è chi fa soltanto lo scrittore e scrive o qualcuno lo fa per lui… e poi ci sono mille altre persone che invece fanno mille cose contemporaneamente…infatti io non ho voluto asserire che per scrivere un romanzo occorrano ventanni, ma per assemblarlo forse sì e ancor più per decidere di pubblicarlo. Del resto, sono convinta di averlo già scritto questo romanzo da un bel pezzo, e tu che lo stai leggendo neanche te ne sei accorto….e già stai pensando solo ai fatti tuoi e ce li hai anche elencati, grazie.
Concordo in pieno con Antonella Cilento che è una grande scrittrice della quale mi vanto di essere amico. Alla presentazione di un suo libro di racconti, mi vennero le lacrime agli occhi mentre ne leggevo in pubblico uno stralcio. Era troppo bello. Non ha peso se s’impiegano 40 giorni o 40 mesi o 40 anni per comporre un’opera: l’importante è, per citare Karen Blixen, che nell’impresa si sia “gettato il cuore oltre l’ostacolo” per catturare ciò che della vita abbiamo percepito. Non ci si può avvicinare alla scrittura con lo spirito di chi vuol fare il calciatore o la velina. E non è vero che Giacomo Casanova se n’imppippava dell’arte: la sua autobiografia è una torcia gettata nel buio dell’avvenire perchè nessuno si dimenticasse di lui. E a tutt’oggi la sua sfida è tuttora vibrante, se ancora se ne parla. Evviva chi scrive con passione! E poi c’è l’artigianato, certo, la fabrica, la pagina scritta e riscritta. Ogni pagina dei miei romanzi è scritta dalle 35 alle 40 volte (e ancora ne riscriverei molte). Ciao, Antonella. Ciao a chiunque scriva con la dovuta serietà. Francesco Costa
Gabry: i miei commenti non erano mica in polemica con te. Neanche un poco.
Io rispetto e accolgo tutti i metodi di scrittura, nessuno escluso: chi scrive velocissimo come King e chi lentissimo come Flaubert, chi sintetico come la Dickinson e chi barocco come Marino, chi lungo come Proust e chi breve con Ungaretti, chi cambiando sempre personaggi come Cechov e chi usando sempre gli stessi come Balzac, chi impiega frasi lunghissime come Berto e chi brevi come Ellroy, chi scrivendo in prima persona e chi in terza persona ma anche chi in seconda oppure al plurale (come a volte Cortazar). Assoluto rispetto e ammirazione per tutti questi diversi approcci (e per tanti altri ancora). Quella che invece non condivido è la pretesa di trovare un modus operandi che sia vincolante per tutti.
Che la scrittura sia (limitatamente ad essa) solitudine e impegno e fatica anche fisica, è vero.
Ma non per tutti è un tormento: per alcuni è anche un godimento.
D’accordo, scrivere è un’arte, ma il mercato italiano di oggi rivela che non tutti la pensano così. Oggi “scrivere” è diventato un business: perché ormai tutti scrivono un libro, che siano attori, calciatori, cantanti… tutti, insomma. Scrivere non è più arte di élite. Si scrive per fare soldi, e finché questo sarà l’unico scopo, il mercato italiano sarà senz’altro qualitativamente basso. Ma in fondo agli editori non importa se la qualità è bassa, poiché a loro importa solo vendere e fare soldi. E’ chiaro che pubblicano volentieri un libro di barzellette di Totti, o un libro di Muccino o di chi altro! Sanno che venderanno un tot copie e a loro di certo non dispiace. Purtroppo, stiamo attraversando un periodo che io definirei come “neo-decadentismo”: e ciò riguarda non solo la letteratura, che come ho detto prima è puro business, ma anche le altre forme d’altre, quali cinema e musica.
Chi scrive con qualità? Pochi, perché alla massa non importa lo “stile”, importa il contenuto. I lettori d’oggi sono superficiali; gli scrittori d’oggi, chiaramente, si adattano alle esigenze del pubblico. Questa è la classica legge della domanda e dell’offerta, dopotutto.
James Utopia
Ciao James,
tu naturalmente hai ragione. L’abbiamo detto
più volte anche su questo blog. Il mercato detta tempi e regole. Però non bisogna essere troppo pessimisti. A ben cercarli i libri di alta qualità si trovano… per esempio quelli della stessa Antonella Cilento.
E poi Letteratitudine è frequentato da bravi scrittori: Roberto Alajmo, Luciano Comida, Gordiano Lupi, Francesca Mazzucato. Ho citato, in rigoroso ordine alfabetico, solo quelli che hanno una loro rubrica qui. Ma ce ne sono tanti altri che bazzicano da queste parti (tutti bravi). Adesso non li nomino perché se poi ne dimentico qualcuno faccio una gran brutta figura. Il più scarso è senza dubbio il sottoscritto. Dunque guardatevi bene dall’acquistare “cose” firmate Massimo Maugeri (il mio editore mi farà fuori) e comprate invece i bei libri degli scrittori amici di questo blog.
E a proposito di amici scrittori ne approfitto per salutare di nuovo il bravissimo Francesco Costa (scrittore Rizzoli).
Francesco, ora ti faccio un po’ di pubblicità, eh? (È gratis… mica ti faccio pagare!)
Dovete sapere che Francesco è alle prese con la trasposizione di un suo romanzo in film (i diritti sono stati acquistati dalla mia corregionale Maria Grazia
Cucinotta). Il libro s’intitola “L’imbroglio
nel lenzuolo” (che è il nome che fu affibbiato al cinema ai suoi esordi, visto come una diavoleria che prendeva vita nel lenzuolo che fungeva da schermo). Pubblicato nel 1997 da Baldini & Castoldi (so che Francesco si sta adoperando per farlo
ristampare in edizione tascabile), è ambientato nel 1905, nei Campi Flegrei, dove l’arrivo del cinematografo sconvolge la vita di varie persone, fra le quali spicca un’erbivendola analfabeta (che sarà, appunto, la Cucinotta).
Fatto!
Un’ultima cosa su questo post. Credo che il dibattito si sia sviluppato in maniera interessante e con toni molto civili.
È così che mi piace.
Grazie mille ad Antonella.
Come Massimo, anch’io ritengo interessante questo dibattito, perché mette in luce i molti pinti di vista circa lo scrivere. Leggendo, ho condiviso il desiderio di approfondire la questione espresso da Elektra, giacché ho molto apprezzato il bel contributo di Antonella Cilento (che ringrazio) e il suo aver sottolineato la fatica che occorre quando si vuole scrivere con serietà. Molto illuminante. Aggiungo che mi hanno colpito anche gli interventi di Luciano e quello di Alessandro Romanelli. Anch’io non credo siano inconciliabili con la Cilento, tutt’altro. Io credo (non so se sbaglio) che Antonella abbia voluto soprattutto sottoporci un modello di scrittura che prevede impegno, sensibilità, tempo, pazienza, esercizio e, come ho già detto, fatica. Tutto questo non esclude la possibilità che poi ciascuno trovi una sua precisa strada e un suo tempo, così come ci suggerisce Luciano con i suoi giusti esempi. Non credo, inoltre, che sia da disprezzare il lavoro d’artigianato, né un’opera divulgativa su musicisti o altro: è certamente un lavoro utile, importante e può (chissà) anche essere arte. Del resto, chi può dirlo? Se questo lavoro, poi, é fatto con rispetto, competenza e serietà, forse ritornano quei canoni richiamati dalla Cilento. Piuttosto, mi chiedo, oltre alle scuole di scrittura, a discutere su come si scrive (cose, ripeto, giustissime ed importanti), non sarebbe anche utile interrogarsi e dicutere su come si legge o si dovrebbe leggere, fatta salva, ovviamente, la libertà di ciascuno. Mi chiedo (e chiedo) ciò perché sento poco discutere su come si può leggere e sugli investimenti culturali circa l’insegnamento alla lettura a partire dai giovani. Forse fornendo alcuni stimoli si potrebbe fornire un contributo alla crescita di ognuno di noi fino alla vecchiaia, migliorando anche la qualità di ciò che si scrive. Perché noi lettori siamo molti di più degli scrittori.
Saluti a tutti.
Gabriele.
Noto che l’interesse per l’argomento mi ha fatto dimenticare di aggiungere il mio nome intero al mio intervento cui segue questa aggiunta extra. Scusatemi: provvedo subito.
Di nuovo, saluti a tutti.
Gabriele.
scusate ma il mio commento è stato cancellato o non l’ho saputo postare io?
Ciao Olimpia.
No, il tuo commento non stato affatto cancellato. Per la verità non l’ho mai letto. Prova a inserirlo di nuovo. Se hai difficoltà mandami una mail.
Per quanto riguarda Gabriele… mi pare che il tuo intervento sia molto equilibrato e condivisibile.
Ciao.
sicuramente avrò creduto di aver postato e invece no… il mio computer è pazzo… cmq in sintesi dicevo, che la voglia di diventare famosi deve essere una spinta a cercare di dare il massimo nella scrittura, non credo che questo desiderio di gloria debba essere visto in modo negativo
Concordo: a me pare del tutto normale che uno/a che scrive abbia voglia di far leggere ad altri (oltre che a se stesso) le proprie opere.
Io ad esempio scrivo per dare piacere a me e agli altri.
E scoprire che alcuni adolescenti hanno scoperto il gusto della lettura anche attraverso i miei romanzi per ragazzi…beh, è una cosa che mi rende pazzamente colmo di gioia.
Sono d’accordo e non sono d’accordo con l’articolo di Antonella. Per quanto riguarda l’arte della scrittura, è un decennio che mi ci cimento, con fasi curiose di scrittura di generi diversi e comparati, e spero nuovi. All’inizio mi consideravo uno scrittore e basta, poi è venuto il teatro, e altro. Ora sono un modello, in sostanza devo guadagnare dei soldi per campare, in quanto non esiste nessun organismo che tuteli uno scrittore. Sul fatto dei corsi di scrittura creativa, ho le mie opinioni, ma rispetto totalmente chi li gestisce, perché alzano l’interesse verso la materia letteraria, la sua creazione. In pratica, e qui chiedo un poco di attenzione da parte di Massimo, credo che la scrittura sia di per sé fortemente creativa, non ci possono essere format e contenitori che la insegnino, casomai dei suggerimenti, che arrivino all’anima. Se questo argomento suscita interesse, vorrei approfondirlo adeguatamente, con un piccolo spazio, se non chiedo troppo. Sono mesi che mi sono iscritto alla mailing list e finalmente mi sono deciso a dire la mia. Grazie.
Nicola: secondo me hai detto benissimo quando hai scritto “credo che la scrittura sia di per sé fortemente creativa, non ci possono essere format e contenitori che la insegnino, casomai dei suggerimenti”
Sono completamente d’accordo con te.
Intanto do il benvenuto a Nicola che interviene per la prima volta con un suo commento.
Tu, Nicola, sostieni che la scrittura è: “di per sé fortemente creativa, non ci possono essere format e contenitori che la insegnino, casomai dei suggerimenti, che arrivino all’anima”.
Capisco cosa intendi. Io in tutta sincerità credo che la scrittura di per sé possa anche essere fortemente pasticciata. Certo, anche i pasticci possono essere considerati creativi. Tutto ciò che “crea” l’uomo è di per sé frutto di creatività.
Così come uno scarabocchio con un pennello può essere considerato arte pittorica astratta. Dipende.
Secondo me, e da questo punto di vista la mia opinione diverge un po’ anche da quella del mio buon amico Luciano, un valido corso di scrittura può aiutare a costruire quel bagaglio tecnico indispensabile (e in maniera più rapida rispetto all’ipotesi di costruirselo da soli in anni di scrittura da autodidatta)… la cosiddetta “cassetta degli attrezzi” dello scrittore. Un buon corso di scrittura, secondo me, può anche fungere da specchio per colui che scrive. Ed è comunque, pur sempre, un’importante occasione di confronto.
Con questo non sto sostenendo che per scrivere o essere scrittori è necessario frequentare per forza un corso di scrittura. Dico solo che può essere utile. E parlo, intendiamoci, di corsi seri… non quelli organizzati da millantatori (e purtroppo ce ne sono tanti in giro).
Messa in questi termini, sono d’accordo: una scuola di scrittura può aiutare a chiarire le idee, può dare dei suggerimenti, può mettere a confronto con il modus scrivendi (esiste questo termine?) di altri, può insegnare dei trucchi, può evitare certi errori. Insomma PUO’ servire.
Quello che però non può e non deve fare è presentare degli schemi fissi e rigidi, dei dogmatici “SI FA COSI’ E COSA'”
E allora secondo me le scuole di scrittura creativa (e ce ne sono!)che danno regole assolute e modelli definitivi sbagaaliano della grossa. E possono fare solo del male.
Oltre che spillare quattrini a chi le paga.
Luciano, ti garantisco che la scuola di Antonella non è né rigida né dogmatica.
E secondo me è una delle migliori in Italia.
Ma come sottolinei tu ce ne sono tante altre che non sono per nulla all’altezza.
Bisogna stare attenti,non c’è dubbio.
Nei miei vari commenti a questo post io non intendevo affatto mettere in dubbio le qualità di Antonella Cilento. Volevo solo dire (e tu mi hai dato spazio a sufficienza) le mie opinioni sulla scrittura in generale e sulle scuole in particolare.
Salve! Conosco Antonella e le voglio bene – ciao antopaolo!!!-, lei è una che scrive e insegna scrittura creativa perché ci crede. Il sacro fuoco non si insegna, ma le tecniche sì. è come andare a bottega: tutti gli artisti più grandi ci sono andati e poi hanno trovato un loro percorso personale. Vero è che molti non vogliono scrivere ma solo pubblicare. Vero è anche che la vita scorre mentre noi facciamo labor limae, ma si scrive per scrivere soprattutto, per bisogno esigenza passione, perché si é scrittori prima che e al posto di fare gli scrittori. La nostra scrittura è una linea parallela a quella della nostra vita ed è bello che sia così. Quindi bene l’ambizione, il desiderio di farci leggere, ma disciplina, tante letture, magari le dritte di chi è più avanti di noi nel cammino interminato dello scrivere e… saremo scrittori invece che scalare classifiche col vuoto pneumatico.
Ragazzi, ero rimasta indietro causa viaggi e corsi vari sulla lettura dei commenti! Un bel dibattito! Un saluto e un omaggio, innanzitutto, a uno scrittore eccezionale come Francesco Costa ed eccezionale amico (che cosa rara e superlativa, un bacio, Francesco), e poi a Maria Lux e al gruppo siracusano tutto, condotto amabilmente da Luigi La Rosa (mi macate, ragazze, devo tornare a Siracusa..)!
Festeggio per altro con voi un po’ di buoni risultati dei corsi di scrittura: nomi che presto vedrete pubblicati (o alla seconda pubblicazione), Rossella Milone, Giusi Marchetta (in finale al premio Calvino), Massimiliano Virgilio. Per fare un buon lavoro in un corso di scrittura bisogna anche incontrare anime dotate di vera vocazione e disposte a prendersi carico della disciplina necessaria. E un caro saluto a tutto il gruppo di discussione di Letteratitudine.
Antonella