1. Domanda secca. A che può servire e a chi può servire, oggi, una scuola di scrittura creativa?
(ANTONELLA CILENTO)
Oggi come da sempre una scuola di scrittura serve a chi si avvicina alla scrittura e alla lettura per un bisogno personale. Questo bisogno è molto vasto: va dalla scolarizzazione interrotta e quindi dal fatto che a parte i temi o i test a scuola si scrive poco e all’università niente del tutto, fino al desiderio di realizzarsi come scrittore in senso professionale. Fra questi due termini ci sono persone che vengono in laboratorio per cercare un contatto più profondo con se stesse, appassionati di lettura cui non basta più leggere da soli ma desiderano confrontarsi con il mondo esterno, insegnanti che vogliono formarsi, studenti che devono decidere per il loro futuro, professionisti di settori non umanistici che hanno voglia di raccontare e molti, molti altri. Le scuole di scrittura servono a far entrare le persone in contatto con la questione del "come si fa": fra tutte le arti, la scrittura, specie in Italia, soffre, di un presupposto romantico che prevede che tutti sappiano scrivere solo perchè sanno tenere in mano la penna. Non è così: si va a scuola per dipingere, come per suonare o danzare, si va in palestra per fare allenamento e lo stesso accade per la scrittura. E’ il luogo dove gli antichi insegnavano retorica e oratoria (gli strumenti sono simili), è lo stesso spazio del trivio medievale. Il creative writing americano e tutte le scuole europee e asiatiche che lo praticano è questo: scoprire qual è il percorso che ci porta ad inventare e a raccontare.
(LUIGI LA ROSA)
Serve a crescere nella maturazione di uno stile di scrittura personale, libero, oltre alla messa a fuoco delle principali tecniche del dire narrativo. Serve a fare in modo che l’approccio alla pagina sia quanto meno aleatorio, meno casuale e improvvisato possibile. Serve a tutti: a chi lo fa soltanto per il puro piacere di esprimersi; a chi vuole imparare come si scrivono romanzi, racconti, poesie e saggi; a chi vuole acquisire consapevolezze nell’ambito della lettura e dell’analisi testuale. Imparare a scrivere significa, di pari passo, apprendere i percorsi e i meccanismi della lettura. Imparando a scrivere s’impara a leggere meglio. Per questo anche l’attenzione didattica da parte delle scuole, cui una sezione dei miei laboratori si rivolge, è nel mio caso fortemente presente e caratterizzante.
2. Credi che in Italia, soprattutto da parte dei "puristi della scrittura" e degli accademici, ci sia una sorta di scetticismo circa le scuole di scrittura, partendo magari dalla considerazione che non si può davvero insegnare a scrivere, per esempio, romanzi o poesie?
(ANTONELLA CILENTO)
E’ una domanda cronica in Italia che, però, negli ultimi anni sta cessando. Dipende dalla formazione crociana del paese, dai concetti di poesia e non poesia, dall’idea romantica, questa volta in senso storico, del talento, del genio, dell’ispirazione. E’ chiaro che una scuola di scrittura non ti dota di un talento che non hai e non ti trasformerà in genio. Ma può farti scoprire, ad esempio, che l’ispirazione, che alata vola sulle chiome del poeta, non esiste. O meglio, che è frutto di un duro lavoro quotidiano che ti porta con lentezza a centrare il bersaglio; che, insomma, la scrittura è una questione di disciplina prima ancora che di attitudine. E la disciplina si può insegnare. Non solo: esistono sistemi, e io punto soprattutto su questi, che inducono o stimolano l’immaginazione in chi si avvicina alla scrittura. La maggior parte delle persone soffrono di blocchi dell’immaginazione, di pigrizie. Io passo molto del mio tempo a inventarmi, oltre alle storie, sistemi per aggirare questi blocchi, per far sì che le persone inventino più liberamente, più agevolmente. Questi trucchi, questi metodi vengono anche da altre discipline e si mescolano con la narrazione: è la ragione per cui spesso propongo con Lalineascritta stages dove coesistono tecniche di meditazione e uso del colore e altri specialisti mi affiancano mescolando le nostre competenze al fine di far creare alle persone con più agilità. Non si insegna a scrivere un romanzo, ma a trovare le vie che portano al romanzo…
(LUIGI LA ROSA)
Credo che questo fosse un pregiudizio sentito soprattutto quindici anni addietro, quando nascevano anche qui da noi le prime esperienze di laboratorio. Oggi, sebbene si verifichino ancora momenti di scetticismo e incredulità più o meno fondati, ritengo ci sia una sensibilità matura, più pronta a cogliere quelle energie che la scrittura creativa è in grado di mettere in gioco. In altri termini, si ha maggiore consapevolezza. E si sta finalmente imparando ad avere, nei confronti del testo, una visione artigianale dell’opera d’arte. Il talento è ovviamente indubbio, e nessuno te lo può insegnare, ma sembra più chiaro che necessitano il duro lavoro, la disciplina, l’esistenza di un progetto regolato da principì e armonie formali. E poi, anche il talento stesso, con uno studio approfondito e valido, può essere sicuramente affinato e potenziato.
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3. Quando hai cominciato a occuparti di scrittura creativa?
(ANTONELLA CILENTO)
Nel 1993, quattordici anni fa. Avevo ventitrè anni e venivo da una formazione letteraria e semiologica ma anche da conduzioni di gruppo di psicologia transpersonale, dal teatro e dalla mia scrittura, naturalmente. Avevo iniziato a pubblicare racconti con la Lucarini a diciotto anni e stavo scrivendo i romanzi che sarebbero usciti sette anni dopo. C’erano pochissime esperienze, allora, attive in Italia: a Milano Pontiggia e Crovi, a Roma la scuola Omero. A Napoli non c’era niente, non c’erano spazi dedicati alla scrittura in senso anche generico, così ho iniziato per scoprire chi scriveva in città e in un paio d’anni la sperimentazione è diventata scuola e laboratorio. Tengo alla parola laboratorio perchè Lalineascritta propone percorsi secondo un metodo che ho affinato in questi 14 anni e che è strettamente pratico, senza prescindere dal dato teorico, cioè si fonda sull’allenamento dei partecipanti. Scrivere, scrivere e ancora scrivere. E poi rileggere. E cambiare. E rifare. Oggi, oltre alla mia scuola che lavora in Campania ma anche altrove, e agli allievi migliori che hanno esordito in narrativa e in poesia (Antonella Del Giudice, L’ultima papessa, Avagliano; Rossella Milone, Prendetevi cura delle bambine, sempre Avagliano, e poi Bruno Galluccio che uscirà per Einaudi in poesia, Roberta Scotto che ha esordito con Zandegù, Viola Rispoli, Fosco D’Amelio e altri ancora), oltre ad avere fra di loro una splendida socia, Rossella Milone, che insegna con me a Napoli, da due anni ho anche la direzione scientifica de Le Scimmie a Bolzano, presso l’UPAD, scuola condotta da Giovanni Accardo. E’ una vita, insomma, che insegno, tutti i giorni, con gli adulti e con i ragazzi, nelle scuole, nelle librerie, nelle associazioni…
(LUIGI LA ROSA)
Quasi cinque anni addietro, subito dopo il mio trasferimento a Roma dalla Sicilia. Era un momento particolare della mia vita e delle mie scelte. E la scrittura creativa rappresentava davvero la coniugazione di una passione a uno studio accurato, intenso, applicato ai testi miei e di altri autori.
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4. Qual è la situazione delle scuole di scrittura in Italia?
(ANTONELLA CILENTO)
Molto varia e in ebollizione. Le scuole storiche, fra cui la nostra, che hanno superato il decennale (Omero si avvia al ventennale) sono consolidate e sono un piccolo numero: moltissime nuove, più o meno stabili, condotte da persone più o meno competenti, sorgono come funghi in risposta al buon trend delle iniziative. Ovviamente, durare e formare seriamente è un’altra questione. Si pone ora il problema delle Università: chiameranno le Università gli scrittori ad insegnare (o gli editor, insomma le persone interne alla scrittura) o consegneranno i nuovi corsi a docenti con altre qualifiche già interni al percorso universitario ma senza alcuna formazione specifica? Questa seconda eventualità sta già verificandosi, ahimè, salvo alcune esperienze a Roma, Teramo, Salerno, Siena (dove c’è un master) e alla Cattolica di Milano. Vedremo nei prossimi anni.
(LUIGI LA ROSA)
Credo che sia ottima dal punto di vista della qualità. Nel senso che conosco personalmente scrittori come Antonella Cilento, soltanto per citare qualcuno, che reputo eccezionali sul piano della formazione didattica e dell’insegnamento. Oltre al fatto di apprezzarli anche come artisti e come amici. Ma non c’è ancora un’adeguata attenzione da parte delle istituzioni, del mondo della scuola. Io lavoro moltissimo nelle scuole siciliane, giro continuamente da una città all’altra, ma la formula con cui mi trovo quasi sempre a interagire è quella di una difficile, faticosa collaborazione esterna. Non si ha ancora la coscienza dell’importanza didattica della scrittura. Come se scrivere fosse qualcosa di meno importante e fondamentale dell’imparare la geografia, la storia, o il far di conto. Abbiamo ancora bisogno di crescere, da questo punto di vista.
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5. E all’estero?
(ANTONELLA CILENTO)
All’estero sono decenni che s’insegna scrittura dentro e fuori delle istituzioni: in Francia ci sono ateliers d’écriture, in Germania master e stage universitari, in Inghilterra come negli Stati Uniti la materia s’insegna obbligatoriamente in ogni ordine di scuola. In Giappone ci si laurea con un racconto come successe a Banana Yoshimoto. Negli Stati Uniti generazioni di scrittori si sono formati nei campus nei corsi di altri scrittori (James Gardner, Raymond Carver, Paul Auster, Jay McInerney, ecc…). Insomma, l’Italia soffre di lentezza, come sempre: ma ormai anche qui succede che le nuove leve siano state nostri allievi. Era inevitabile.
(LUIGI LA ROSA)
Questa è una domanda alla quale fatico a rispondere, nel senso che, personalmente, non mi sono confrontato con esperienze di laboratori esteri. Tuttavia, mi capita di sentire sempre più spesso che altrove la scrittura creativa è argomento di studio universitario. Ecco, questo da noi manca quasi del tutto. Si hanno rarissime esperienze dovute alla presenza di professori illuminati, ma niente di più. Ma il problema è che si tratta semplicemente di professori. La scrittura creativa la devono insegnare gli scrittori, non i docenti universitari. Questo è un punto che rischia di generare molte contraddizioni e molta confusione, anche sul piano della formazione.
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6. Raccontaci un aneddoto particolare collegato ai corsi di scrittura che organizzi e gestisci.
(ANTONELLA CILENTO)
Un episodio legato all’insegnamento nelle scuole pubbliche e che dà la misura del bisogno di rialafabetizzare l’Italia al narrare, in certe regioni con più urgenza, è capitato a Frattamaggiore, vicino Napoli: stavo portando ad esempio in una scuola media dove molti studenti erano border line, avevano già abbandonato le aule per essere impiegati nei lavori minorili, la favola di Cenerentola. Questa la conoscete (anzi la "sapete") tutti, no? Silenzio. Non conoscevano Cenerentola. Neanche il film Disney. Quindici ragazzini e ragazzine di tredici anni, qualcuno di sedici, che non aveva la più pallida idea di chi fosse Cenerentola. Ho dovuto raccontare la favola. A questo anche, servono in Campania le scuole di scrittura.
(LUIGI LA ROSA)
Posso raccontarti questo esempio di semplicità e di umiltà artistiche. Ogni mese invito puntualmente scrittori e intellettuali a tenere lezioni ai ragazzi su vari argomenti di discussione. Il mio primo corso di scrittura nasceva sui banchi di un pub, nei pressi del rione Monti a Roma. Ebbene, durante quel mio primo anno di incontri, uno degli ospiti invitati fu lo scrittore Luca Desiato, che veniva a parlarci di un suo romanzo, poi credo vincitore dello Strega, dedicato alla vita tormentata del Caravaggio. Ricordo che giunti all’appuntamento trovammo l’autore davanti alle porte ancora chiuse di questo pub semideserto. Stava lì, in anticipo di qualche minuto, ad attendere che arrivassero i ragazzi e che si parlasse della sua letteratura. Fu un esempio che mi colpì moltissimo, e che mi commosse. Soprattutto in tempi di sempre più plateali – e sempre meno pensate – poetiche del disimpegno. Era la lezione di un impegno letterario che si coniugava con la vita e con la semplicità del confronto diretto. Era la lezione di un maestro che non ho mai dimenticato. Che aggiungere di più?
Io qualche volta faccio incontri di scrittura nelle scuole. Racconto subito che, nel campo della letteratura, non esistono “regole” valide per tutti e in ogni corcostanza. Quello che può andar bene a me non andrà bene a XY, quello che aiuta JH ostacola CR, lo stile di PL è l’opposto di quello di BN, il modo di scrivere di WZ non è trasmissibile a EU e così avanti. E allora l’unica cosa che (a mio avviso) un “corso di scrittura ” può fare è mettere a nudo i procedimenti che usa quel determinato “docente”, mettendoli a confronto con quelli usati da altri scrittori. Si può anche svelare alcuni trucchi (ad esempio come superare il panico da foglio bianco, come costruire una storia partendo da alcuni elementi disomogenei, come mettere in rapporto le proprie esperienze personali con la propria scrittura, come migliorare un testo, come essere leggibili). Si possono aiutare le persone a trovare fiducia in se scoprendo il gusto della lettura e della scrittura.
Ma nulla di più: le scuole che promettono grandi risultati sono (secondo me) delle mezze truffe. Queste scuole di scrittura che illudono i partecipanti (facendoli pagare) alla fin fine servono solo a chi le organizza.
Antonella Cilento in qualche modo fa un riferimento alla scuola o pensiero crociano.Non è la prima volta che ci si rifà a Croce e mi domando se oggi abbia ancora senso parlare di Croce. Io credo che le giovani generazioni sappiano poco o niente di Croce e dell’influenza che lui ha avuto nel pensiero italiano. I punti di riferimento oggi sono molti altri e fra questi credo proprio che non ci sia il filosofo napoletano.
Ragazzi, trovare un’intervista al mio amico Luigi mi pare già straordinario, che dire di più? Che lo rivoglio qui in Sicilia!! Un corso di scrittura è vero che forse non ti insegna a scrivere se cmq non sei portato, ma ti aiuta ad ampliare la mente, a metterti a cfr con gente che ha le tue stesse passioni, e a condividere idee e opinioni.. Insomma, w la scrittura creativa!
Nelle librerie americane ci sono decine di libri dedicati alla scrittura : write like a pro; the new Oxford guide to writing etc. Indubbiamente questo tipo di analisi della scrittura può essere utile, se non altro perchè si legge un altro libro. Mi sono sempre domandato poi quanto sia importante la forma rispetto ai contenuti e sono giunto alla conclusione che se non c’è contenuto la forma serve poco.
Per chi si scrive?
Se si scrive per noi stessi le scuole di scrittura sono inutili: l’uso corretto (e desueto nella pratica) della d eufonica e di tante altre corbellerie da editor frustrato non rendono migliore il proprio stile. Se invece si vuole pubblicare bisogna ritenere questi corsi come un velo di belletto ai propri lavori. Ma a chi affidarsi?
Alcuni scrittori vengono addirittura criticati per il loro stile e poi tengo anche dei corsi…
ho ricevuto la mail di auguri dalla newsletter e sono venuta a leggere:
l’unico modo per imparare a scrivere è leggere.
nelle scuole di scrittura (o peggio ancora quelle di poesia) si soffoca l’individualismo, l’autoreferenzialità, la libertà di pensiero. si omologa il tutto allo stile del “maestro” di turno al quale bisogna spesso versare un onorario cospicuo
per “imparare”cose che si possono travora su una buona grammatica, o su internet.
le scuole di scrittura sono solo pubblicità per chi le tiene e per i suoi eventuali libri scritti.
null’altro.
chi ha bisogno di scrivere lo fa senza pensare ad imparare a scrivere e magari si scopre pure bravo,
anzi facilmente, la sua bravura la scopriranno i posteri
un saluto
paola
Cara Paola,
non so perché la polvere ti sia tanto cara però consentimi di esprimere il mio disaccordo con quanto sostieni. Io credo che le scuole di scrittura (quelle buone, quelle vere) consentano soprattutto un importantissimo confronto non solo con la propria scrittura, ma anche con gli altri e con se stessi. Spero proprio di riuscire a trovare il tempo per iscrivermi a uno di questi corsi.
E ringrazio Massimo per il post.
Ho frequentato una scuola di scrittura, qualche anno fa.
Perchè l’ho fatto? Un po’ per curiosità di vedere come un adulto si poteva trovate tra “i banchi di scuola”, un po’ perchè ritenevo che la mia scolarizzazione di natura tecnico-economica mal si avvicinasse alla mai nuova passione.
L’ho iniziata con tanto entusiasmo e un pizzico di disagio: mi sembrava di essere una mosca bianca capitata per caso in un’aula di “veri scrittori”.
Ora, dopo qualche anno, ritengo quel corso di sei mesi svolto in una scuola di Torino il migliore investimento: ho imparato a leggere i libri in modo diverso, ho capito che non tutti, pur avendone il desiderio, sanno scrivere ma soprattutto che la scrittura è un dono, non un mezzo per fare soldi.
Sono una sognatrice? Certamente.
Lo ero anche prima di frequentare una scuola di scrittura, ma poi ne ho avuto la consapevolezza e mi sono sentita meno sola avendo conosciuto dei sognatori come me…
Dimenticavo: ho anche acquisito quella parte teorica dello scrivere che prima non avevo 🙂