Parliamo di William Shakespeare, uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi.
Comincio subito con alcune domande.
Vi siete mai interessati a Shakespeare?
A vostro giudizio, che contributo ha dato alla letteratura mondiale?
Quali sono le vostre preferite, tra le tante opere da lui firmate e messe in scena?
Non è un caso se ho intitolato questo post: Shakespeare, il misterioso. Il mistero deriva soprattutto dai dubbi sulla sua identità.
William Shakespeare è stato proprio William Shakespeare?
Di recente, il prestigioso Wall Street Journal ha preso posizione in merito ospitando l’opinione del giudice John Paul Stevens, della Corte Suprema americana. Per Stevens, giudice di 88 anni, Shakespeare era solo un prestanome dietro il quale si nascondeva Edward de Vere, diciassettesimo lord Oxford.
I dubbi sull’identità di Shakespeare hanno data antichissima. Anche gente nota, del calibro di Orson Welles e Oscar Wilde, ha appoggiato la tesi del prestanome. C’è da dire che i candidati alla vera identità del celebre drammaturgo sono più di uno. Oltre a quello di de Vere, un altro nome indicato con una certa frequenza è quello di sir Henry Neville.
Bill Bryson, però, noto scrittore americano non è d’accordo con queste tesi. A suo parere si tratta di fantasie romanzesche più vicine alle teorie dei complotti che non a seri studi. Così si evince dal suo libro “Il mondo è un teatro. La vita e l’opera di William Shakespeare“ – Guanda (pp. 246, euro 15, traduzione di Stefano Bortolussi).
Ne parliamo con Domenico Seminerio, autore del bellissimo romanzo Il manoscritto di Shakespeare (Sellerio). Nel libro di Seminerio un vecchio maestro elementare – che vive in Sicilia – è convinto che il noto drammaturgo fosse stato in realtà un siciliano, costretto dai casi della vita a emigrare e cambiare nome. Il maestro sa bene che la teoria non è nuova, ma afferma di avere prove certe.
Ci fornisce approfondimenti sul romanzo la professoressa Maria Rita Pennisi, con la recensione che potrete leggere di seguito.
Subito dopo, troverete un articolo sul libro di Bryson firmato da Ranieri Polese e pubblicato sul Corriere della Sera del 20 aprile 2008. In coda al post vi attende un interessante pezzo di Enrico Franceschini – pubblicato su Repubblica del 9 marzo 2009 – relativo al… vero volto di Shakespeare.
Massimo Maugeri
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IL MANOSCRITTO DI SHAKESPEARE
recensione di Maria Rita Pennisi
Il manoscritto di Shakespeare, (2008) terzo romanzo di successo per Domenico Seminerio, dopo Senza re né regno (2004) e Il cammello e la corda (2006.) Tutti pubblicati dalla Casa Editrice Sellerio di Palermo. Siamo in un paese immaginario della Sicilia, Castelgrotta, e un affermato scrittore si gode l’estate nella sua casa, accudito dal cameriere Stanlay. La sua vita scorre lenta, in questo luogo silenzioso e quieto. Una mattina però per lui tutto cambia. Una notizia sconvolgente bussa alla sua porta, concretizzandosi nella persona di Gregorio Perdepane, vecchio maestro elementare in pensione, che gli chiede udienza. Lo scrittore lo riceve e Perdepane, dopo qualche indugio, comincia a raccontargli una storia che sa dell’incredibile. Da quel momento la vita dello scrittore cambia. La voglia di saperne sempre di più su quella storia, si impadronisce di lui. Ci vuole tempo però per sapere bene i fatti, perché Perdepane parcellizza le sue scoperte, mentre le riferisce allo scrittore, quasi volesse creare una sorta di suspance. Da quel momento lo scrittore attende le ore che lo separano dal suo interlocutore. Emerge così dagli abissi della nostra memoria, un personaggio simile a quello di Shahrazàd de Le mille e una notte. Non si tratta però della bella fanciulla che inganna la morte con le parole, bensì di un vecchio maestro in pensione che con il gioco, più o meno voluto, delle rivelazioni e delle attese tiene desta la curiosità dell’incredulo scrittore. Viene fuori così che, dopo la guerra, Perdipane ha comperato due libri da una donna, che nonostante fosse vestita di stracci, rivelava un aspetto nobile. Tra i mucchietti di libri ne nota uno. Si tratta di un libricino foderato di cartapecora, come si usava nel Settecento. Più tardi scoprirà che si tratta di un libro di aforismi, molto più antico di quel che credesse. Vorrebbe acquistarlo, ma la donna, dato che lui ne ha acquistato altri due, glielo regala insieme ad altri fogli che erano nel libricino. La nobildonna caduta in bassa fortuna è il tramite tra Perdepane e una verità che preme per essere rivelata. Che la nobildonna che si nasconde sotto abiti dimessi incarni la Conoscenza che nonostante tutto riesce sempre ad emergere dalla notte buia dell’ignoranza, quando sente che qualcuno è pronto ad accoglierla? Forse, ma in ogni caso questa notizia esplosiva è arrivata nelle mani sbagliate di Perdepane. Nessuno darebbe retta a un vecchio maestro in pensione, con la fama di essere un po’ matto. Questo lui lo ha messo in conto ed ha anche risolto il problema. Nessuno crederà a lui, ma tutti daranno credito all’opinione di uno scrittore affermato. Ecco perché si è rivolto a lui. Sarà lui a far conoscere la verità su Shakespeare, facendo riemergere la figura del siciliano Michelagnolo Florio, dagli abissi del tempo. Lui? Che sia davvero matto il maestro Perdepane? Pensa lo scrittore di Castelgrotta. Con grande perizia Domenico Seminerio ci guida e a volte ci catapulta nel dedalo di questa intricatissima storia, che a tratti si tinge di giallo. Definire questo romanzo un giallo però sarebbe riduttivo, al massimo questa potrebbe essere una chiave di lettura, forse la più semplice. Il romanzo dice molto di più. Potremmo definirla la storia delle verità nascoste? La storia di quelle verità, che sono sotto gli occhi di tutti e a cui nessuno fa caso? La lettera rubata di Edgar Allan Poe docet. A mio parere, la verità ha una sua sacralità è può rivelarsi, se vuole, solo a un occhio attento e devoto. Ma forse qualcuno penserà che sia più prudente non rivelarle certe verità o addirittura non cercarle nemmeno. In ogni caso immaginare uno Shakespeare messinese, uno Shakespeare italiano è affascinante. Ma dopo tutto, qual è una delle più grandi doti di un autore, se non quella di scrivere un romanzo che fa discutere? I lettori che amano il mistero e il dubbio, troveranno in questo romanzo tutto ciò che cercano. Chi ama invece le verità cristalline, le certezze assodate potrà gettarsi a capofitto nella lettura di questo romanzo e ne uscirà stupito, rigenerato, confortato dal dubbio, che è quello che dà l’input alla vita e che ci apre gli orizzonti perduti.
Maria Rita Pennisi
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«Il mondo è un teatro. La vita e l’opera di William Shakespeare» di Bill Bryson – Guanda (pp. 246, euro 15, traduzione di Stefano Bortolussi)
recensione di Ranieri Polese (da Corriere della Sera del 20 aprile 2008)
Un thriller (W di Jennifer Lee Carrell), la biografia ipotetica di Anne Hathaway (Shakespeare’ s Wife di Germaine Greer), la ricostruzione romanzesca di un episodio minore della vita del drammaturgo (The Lodger di Charles Nicholl): sono i casi più recenti di quell’industria di congetture legata al nome e ai misteri del Bardo di Stratford upon Avon. Il primo indaga su un’opera teatrale perduta, il Cardenio, ispirato al Chisciotte di Cervantes; il secondo immagina tutto quello che non sappiamo della donna che sposò Shakespeare nel 1582, gli dette tre figli, restò vedova nel 1616 (ottenendo nel testamento solo «the second best bed», nemmeno il letto matrimoniale!) e morì nel 1623; il terzo estrapola i possibili retroscena del fatto che Shakespeare, nel 1604, vivesse in affitto in una casa della City, proprietà di Christopher Mountjoy, un ugonotto francese stimato fabbricante di cappelli per signora. La sua presenza in quella casa è attestata dagli atti di un processo del 1612, quando il drammaturgo fu chiamato a testimoniare nella causa intentata dal genero di Mountjoy contro il suocero che non gli aveva corrisposto la dote promessa. Con una vita densa di opere (38 drammi, 154 sonetti, due lunghi poemi e due altri componimenti in versi) e poverissima di fatti documentati, Shakespeare (1564-1616) non ha mai cessato di ispirare ogni genere di supposizioni. Su di lui, peraltro, ogni anno escono mediamente quattromila studi: è un soggetto inesauribile per ogni genere di indagine. Anche quelle più bizzarre, come «Mal d’orecchi e omicidio nell’Amleto» o «Shakespeare e la nazione del Quebec». Ma cosa possiamo dire di sapere veramente su di lui? A questa esigenza di semplificazione e di ripulitura risponde il lavoro di Bill Bryson, lo scrittore americano autore di brillanti libri di viaggio (Notizie da un’ isoletta, America perduta) e di una divertente miscellanea su tutto quello che non sappiamo della scienza (Breve storia di – quasi – tutto). Pubblicato nella collana di Atlas Books (HarperCollins) dedicata alle biografie, Shakespeare: The World as a Stage, è uscito in traduzione italiana da Guanda, con il titolo Il mondo è un teatro. La vita e l’ opera di William Shakespeare (traduzione Stefano Bortolussi, pp. 246, 15). Troppe congetture. Secondo un esperto citato da Bryson «ogni biografia di Shakespeare è formata al 5 per cento di fatti e al 95 per cento di congetture». In caccia di fatti, molti studiosi, pertanto, si dedicano alle ricerche di archivio, nella speranza di trovare il nome del poeta in qualche carta. Lo spoglio sistematico dei documenti d’archivio era cominciato ufficialmente agli inizi del ‘900, quando una coppia di americani (Charles e Hulda Wallace) passò lunghi periodi in Inghilterra esaminando milioni di documenti dell’ epoca. A loro si deve la scoperta della testimonianza resa da Shakespeare nel processo contro Mountjoy (1612, con firma dello stesso poeta). Deluso per i mancati riconoscimenti, Charles Wallace se ne tornò in America, dove fece fortuna come proprietario di pozzi di petrolio. Da allora la ricerca prosegue; potrebbe ancora dare dei frutti anche se, nota Bryson, da queste indagini escono solo atti legali e certificati di proprietà. Sulla personalità del poeta, i suoi affetti, i suoi interessi culturali gli archivi tacciono. Le critiche e il sarcasmo di Bryson, però, si appuntano soprattutto sui fabbricanti di congetture, che nei loro lavori passano con grande disinvoltura dalle ipotesi alla certezza assoluta. Per esempio, nel caso dei cosiddetti Lost Years, gli anni perduti (1585-1592), il periodo in cui Shakespeare lascia moglie e tre figli a Stratford per trasferirsi a Londra e cominciare a lavorare in teatro e di cui non sappiamo niente. Partendo dal fatto che Shakespeare produce diversi drammi di ambiente italiano, molti studiosi hanno sostenuto che in quegli anni il giovane William visitò l’Italia. Illazione non proprio lecita, dice Bryson, oltretutto perché i drammi italiani di Shakespeare offrono solo informazioni confuse, inverosimili (per esempio, nella Tempesta e nei Due gentiluomini di Verona, per raggiungere rispettivamente Milano e Verona si va per mare) che tutto provano fuori che una conoscenza diretta del Paese. Più complessa l’altra ipotesi secondo la quale Shakespeare in quegli anni avrebbe prestato servizio come tutore presso una famiglia di nobili cattolici del Nord dell’ Inghilterra. Quella di uno Shakespeare segretamente cattolico è una teoria che ha affascinato molti, ma le prove addotte sono poco consistenti. Si dice, per esempio, che fra gli insegnanti della Grammar School presumibilmente frequentata dal giovane William (ma i registri sono perduti) c’era il fratello di un missionario cattolico scoperto e messo a morte nel 1582. Poi si aggiunge la notizia del ritrovamento verso la fine del ‘700, durante dei lavori nella casa di Shakespeare, del «testamento spirituale» del padre di William, John, che si dichiarava cattolico. Peccato, scrive Bryson, che quel testamento fu perduto poco dopo, e che quindi non si possa valutare la sua autenticità. Peggio di tutti, comunque, sempre secondo Bryson, si comportano quegli studiosi che passano dall’ esame dei testi (frequenza di certe parole, uso di determinate espressioni, ecc.) per arrivare a conclusioni assolutamente ingiustificabili. Fra gli altri, quelli che da due sonetti (37 e 89) deducono che Shakespeare zoppicava; o quelli che si immaginano uno Shakespeare marinaio (addirittura insieme a Sir Francis Drake) vista la frequenza di termini marini. William chi? La controversia sulla vera identità di Shakespeare (una sorta di Questione omerica per il più grande poeta dell’età moderna) nasce relativamente tardi. Nel 1857, quando un’americana, Delia Bacon, pubblica The Philosophy of the Plays of Shakespeare Unfolded (La filosofia delle opere di S. rivelata). Lì si sostiene che a scrivere i drammi del Bardo fu il filosofo Francis Bacon. La Bacon basava la sua argomentazione sul fatto che le opere di Shakespeare mostrano conoscenze fuori dal comune per un provinciale venuto a Londra per fare l’attore; ma aggiungeva di essere arrivata alla verità grazie alle sue particolari doti intuitive. (Tornata in America nel 1859, la poverina finì i suoi giorni in un manicomio). Il partito dei «baconiani» riscosse subito grande successo, fra l’altro ottenne l’ adesione di Henry James e Mark Twain. Comune a tutti i cosiddetti «antistratfordiani», quelli cioè che non riconoscono la paternità dei drammi all’uomo di Stratford, c’è il pregiudizio di uno Shakespeare troppo rozzo e senza cultura per poter scrivere le opere che vanno sotto il suo nome. Così, nel 1918 si volle «dimostrare» che l’autore vero di drammi, poemi e sonetti era Edward de Vere, conte di Oxford, colto e raffinato uomo di mondo, protettore di una compagnia teatrale e ammirato dalla regina Elisabetta. Peccato – nota Bryson – che Oxford muore nel 1604, quando ancora dovevano nascere molti capolavori shakespeariani. Un altro candidato, inevitabile, è Christopher Marlowe: molti sostengono che non morì nella rissa alla taverna di Deptford nel 1593, ma sotto copertura continuò a scrivere. Anche una donna appare nella lista dei pretendenti, Mary Sidney, sorella del poeta Philip Sidney. Infine – ed è la tesi ripresa dal thriller W di Jennifer Lee Carrell – c’è anche l’idea che dietro il nome di Shakespeare si celassero molti personaggi, fra cui lo stesso Philip Sidney e Walter Raleigh. Ma che valore hanno tutte queste supposizioni? Per Bryson nessuno, sono solo fantasie romanzesche più vicine alle teorie dei complotti che non a seri studi. Ai cultori di questa mania moderna (curiosamente, per circa 200 anni, nessuno mise mai in dubbio l’ identità del poeta), ossessionati dal fatto che di un genio così grande si conosca così poco, Bryson ricorda che dei poeti e drammaturghi contemporanei di Shakespeare si conosce molto meno. E ci sono rimaste molte meno opere.
Ranieri Polese – Corriere della Sera del 20 aprile 2008
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Il vero volto di Shakespeare
di Enrico Franceschini (da Repubblica del 9 marzo 2009)
LONDRA – Trentotto opere teatrali lo hanno reso immortale, ma il giallo che ci ha lasciato dopo la sua morte potrebbe avere finalmente una soluzione. Di William Shakespeare, considerato il più grande drammaturgo di tutti i tempi e il poeta dell’animo umano, si ignora molto, al punto che circolano teorie secondo cui non fu lui l’autore dei testi che gli vengono attribuiti, o che addirittura non sia mai esistito. Il mistero è accresciuto dal fatto che finora non si era mai saputo con certezza nemmeno quale fosse il suo volto: uno dei suoi ritratti più famosi è stato identificato come un falso, su altri esistono forti dubbi che la persona che vi appare sia il Bardo di Stratford-upon-Avon. Ma ora, quasi quattrocento anni dopo la sua scomparsa, un quadro dimenticato per secoli nella magione di campagna di un’aristocratica famiglia inglese potrebbe contenere l’ultimo segreto dell’autore dell'”Amleto”.
Secondo coloro che lo hanno scoperto e identificato, si tratta dell’unico ritratto di Shakespeare dipinto quando lo scrittore era ancora in vita, e per il quale è dunque verosimile che abbia posato. Ed è grazie all’immagine di questo quadro che il mondo può dunque conoscere la sua vera faccia.
Il quadro in questione giaceva da tre secoli nelle residenze di campagna dei Cobbe, una famiglia inglese di sangue blu, che recentemente lo aveva trasferito nel suo più bel maniero, ad Hatchlands, nel Surrey, un edificio amministrato dal National Trust per il suo valore architettonico e artistico. Del quadro era noto l’anno in cui è stato dipinto, il 1610, epoca in cui Shakespeare aveva 46 anni: sarebbe morto sei anni più tardi, nel 1616. Ma i Cobbe non avevano idea di chi fosse il personaggio ritratto nell’antico dipinto, sebbene inclini a pensare che si trattasse di sir Walter Raleigh, un poeta contemporaneo di Shakespeare, al quale alcuni attribuiscono la paternità delle opere del Bardo.
Tutto ciò sarebbe rimasto a far parte di discussioni davanti a un caminetto, se Alec Cobbe, membro della famiglia e di professione restauratore d’arte, non avesse visitato la mostra intitolata “Searching Shakespeare” (“Alla ricerca di Shakespeare”), allestita nel 2006 dalla National Portrait Gallery di Londra. L’esibizione raccoglieva da mezzo mondo alcuni dei più famosi ritratti, o meglio presunti ritratti, di Shakespeare, appunto per cercare di dare un volto sicuro al grande scrittore. C’era il Flowers Portrait, l’immagine più nota di Shakespeare, poi risultata un falso, perché il giallo ocra usato nel quadro è stato inventato solo nel 1814. C’era il Chandos Portrait, dipinto attorno al 1610, ma poi risultato non avere nulla a che fare con il Bardo. E c’era il Janssen Portrait, un ritratto meno conosciuto, opera di un pittore fiammingo che lavorò in Inghilterra nella prima metà del 17esimo secolo.
Davanti a quest’ultimo quadro, Alec Cobbe rimase interdetto, notando la somiglianza con il dipinto di proprietà della sua famiglia. Seguì un confronto tra i due quadri presso la National Gallery, e poi una serie di test di ogni genere, infine suffragati dal parere del professor Stanley Wells, docente di studi shakesperiani alla Birmingham University, curatore della sua opera magna, considerato il massimo esperto di Shakespeare al mondo.
La tesi è la seguente: il quadro di Janssen, eseguito dopo la morte di Shakespeare, fu ispirato dal quadro di proprietà dei Cobbe. Che, prima di finire nelle loro mani, apparteneva al terzo conte di Southampton, uno dei mecenati che finanziarono la messa in scena delle opere di Shakespeare. Il vero volto del Bardo sarà mostrato al pubblico per la prima volta stamane a Londra. Il mistero sembra risolto. “Essere o non essere”, continueremo a chiederci, ma almeno sapremo che faccia aveva colui che scrisse quelle parole.
Enrico Franceschini – da Repubblica del 9 marzo 2009
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AGGIORNAMENTO DEL 29 aprile 2009
Shakespeare era siciliano? Aggiorno il post inserendo di seguito tre video tratti dalla trasmissione Voyager di RaiDue dell’11 febbraio 2009, a cui ha partecipato anche Domenico Seminerio, dedicata proprio a Shakespeare e alla tesi della sua sicilianità.
Shakespeare era siciliano? – VOYAGER – (video 1/3)
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Shakespeare era siciliano? – VOYAGER – (video 2/3)
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Shakespeare era siciliano? – VOYAGER – (video 3/3)
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È da giorni che preannuncio questo post su Shakespeare.
Eccolo!
Credo sia davvero molto interessante.
Intanto mi piacerebbe discutere con voi sulla figura e sulle opere di questo grande autore.
Dunque, partiamo subito con le domande…
Vi siete mai interessati a Shakespeare?
A vostro giudizio, che contributo ha dato alla letteratura mondiale?
Quali sono le vostre preferite, tra le tante opere da lui firmate e messe in scena?
Provate a rispondere, se vi va…
Magari, giusto per gioco, potremmo provare a “eleggere” la migliore opera di Shakespeare…
(Vi piacerebbe?)
E comunque c’è un’altra questione…
William Shakespeare è stato proprio William Shakespeare?
La domanda qui sopra non è peregrina.
Come ho scritto sul post… di recente, persino il prestigioso e serioso Wall Street Journal ha detto la sua in merito ospitando l’opinione del giudice John Paul Stevens, della Corte Suprema americana. Per Stevens, giudice di 88 anni, Shakespeare era solo un prestanome dietro il quale si nascondeva Edward de Vere, diciassettesimo lord Oxford.
Le tesi su Shakespeare-prestanome hanno data piuttosto antica.
E varie celebrità della cultura e della letteratura hano contribuito a portarle avanti.
Bill Bryson, autore di “Il mondo è un teatro. La vita e l’opera di William Shakespeare“ (Guanda), non è d’accordo. A suo dire queste tesi non sono condivisibili. Anzi, trattasi di semplici congetture…
Ospite d’onore di questo post è Domenico Seminerio autore di tre romanzi editi da Sellerio.
Il più recente si intitola “Il manoscritto di Shakespeare”. L’ha recensito per noi la professoressa Maria Rita Pennisi (che invito a darmi una mano a moderare il post).
Il romanzo come avrete modo di constatare è perfettamente in tema.
Per il momento mi fermo qui. Vi lascio il tempo di leggere il post (che è piuttosto corposo).
Domenico Seminerio sarà a vostra disposizione per eventuali domande.
Troppo interessante!
Io amo Shakespeare e proprio poco tempo fa ho visto il film di Branagh tratto da “Molto rumore per nulla”…
Non saprei cosa scegliere tra le opere del Sommo, che chiunque sia stato è un genio assoluto della letteratura universale. Mi piacciono molto anche i sonetti, specie il 116 per motivi… austeniani, perché è quello che ama Marianne Dashwood di “Sense and sensibility”…
Hamlet? Il dramma della sensibilità, dell’individuo solo contro una dinastia, un destino, il caso, l’amore, la guerra.
Romeo and Juliet, il dramma dell’amore per eccellenza?
Othello, ovvero il diverso che si scontra con l’invidia, la gelosia, l’odio?
E poi la scrittura, scintillante, piena di metafore, immaginosa e popolare, sublime e bassa al contempo…
Direi che nella storia della letteratura la posizione del Bardo possa essera solo dietro a Dante e a Omero, forse.
Poi sono con Maria Lucia nel volere ricordare la bellezza e l’importanza dei sonetti. Quanto al teatro la scelta è veramente difficile: Romeo &Juliet, sicuramente, e poi Othello, ma anche Giulio Cesare, La Tempesta, Macbeth, Kig Lear, e poi le commedie: Il sogno di una notte di mezza estate…
Se dovessi sceglierne uno ci penserò ancora, e mi farò vivo di nuovo.
Quanto alla teoria su chi fosse realmente se ne sono dette tante, anche che fosse Tommaso Moro. Io non so se fosse altri da William Shakespeare di Stratford on Avon, e non so se lo sapremo realmente mai. Che fosse un italiano mi farebbe piacere, e potrebbe essere anche motivo d’orgoglio.
Si dice però che molti indizi non facciano una prova, e se è per questo trovo molto convincenti e affascinanti le teorie di felice Vinci riguardo alla guerra di Troia combattuta nel baltico e dell’odissea ambientata tra le coste del baltico stesso e il mare di Norvegia; secondo Vinci il racconto omerico sarebbe una reminiscenza di miti nordici importati dagli Achei, invasori in grecia venuti dall’estremo nord. La tesi non sembra trovare però grande successo. Tra i suoi sostenitori però c’è anche la Calzecchi-Onesti.
Caro Massimo, ti ringrazio per inviarmi il tuo sempre interessante Letterattitudine. Spesso non partecipo delle discussioni proposte ma le seguo. Riguardo a Shakespeare, siamo proprio al top della letteratura mondiale. Shakespeare è per me la massima espressione della creatività letteraria e teatrale. Recentemente sono stata a Londra e ho visto “La bisbetica domata” in un’allestimento moderno, divertente, femminista. Era come se fosse stata scritta per quella serata.
La mia pièce preferita è “Hamlet” che avrò visto non solo in teatro ma in cinema (indimenticabile l’interpretazione di Laurence Oliver, attore cresciuto nel culto di Shakespeare) e che avrò letto parecchie volte e in varie lingue. Però non posso non citare “Re Lear”, “La Tempesta” e Romeo e Giulietta come grandi opere!
Consiglio a tutti l’eccellente racconto di Jorge Luis Borges “La memoria di Shakespeare” in cui un uomo compra la memoria del geniale inglese e … Non vi racconterò quello che succede. È uno dei quattro ultimi racconti scritti da Borges. L’ho letto in spagnolo ma deve essere già stato tradotto in italiano.
Un abbraccio,
Christiana
Amo Schakespeare in un duplice modo. Lo amo così proprio da leggere perchè è bello. LO amo perchè ci ha questa intrinseca canovaccitudine questa cosa che lo sposta nella zona degli archetipi da ridire, da stravolgere da dabzare da rileggere. Amo cercare la shakespereanità nelle riedizioni più impensate. Che ne so, il Romeo e Giulietta di Luhrmann, certi Shakespeare harlemeschi dove sono tutti neri. E’ questa potenza simbolica che lo mette assieme ai Dante e Omero. Dopo di che se se chiamava Shakespeare o Lord Pippis mi pare un fatto di nomi.
Il racconto di Borges “La memoria di Shakespeare” segnalato da christiana de caldas brito è stato pubblicato in italiano da Adelphi nella raccolta di racconti “Il Libro di sabbia” (2004). Naturalmente è memorabile (come tutto Borges).
Unico, immenso, immortale,inimitabile ,ma per sempre rappresentabile,attraverso i secoli come Omero, Dante e pochi sommi anche della musica,attorno ai quali sempre regna un alone di mistero.Sarebbe bello lasciarli lì,in quell’alone imperscrutabile e accessibile soltanto attraverso le loro opere.Amo le tragedia, Romeo and Juliet,Othello,Mac beath, re Lear.I drammi dialettici Hamlet, di cui ho ricordi di film e di interpretazioni bellissime,ma anche le commedie Sogno di una notte di mezz’estate, le allegre comari di windsor e molto rumore per nulla. Sicuramente molta filmografia tende a legarci alle immagini,che sono meno aperte e belle di ciò che le parole del nostro William ogni volta ci lasciano immaginare.
Mi piacerebbe sapere da Domenico Seminerio da dove è nato lo spunto del romanzo.
P.s. La Tempesta …che mi pare in tema con il clima uggioso e ventoso di questa sera napoletana.
Zauberei scrive (e in fondo sono d’accordo con lei): “se se chiamava Shakespeare o Lord Pippis mi pare un fatto di nomi”. Il che mi ha fatto tornare in mente una battuta meravigliosa sull’argomento (e mi pare fosse di Woody Allen):
“Shakespeare non è mai esistito. Tutte le sue opere sono state scritte da uno sconosciuto che aveva il suo stesso nome”.
Caro Massimo, io credo che nell’opera di Shakespeare ci sia tutto, ma proprio tutto. Nessun autore, a mio parere, è capace di descrivere la vita come lui. La sua galleria di ritratti corrisponde perfettamente ai tipi di persone che si possono incontrare in ogni epoca. Ecco, io penso veramente che la bellezza di questo autore risieda proprio in questo, riesce a descrivere persone e situazioni perfettamente attuali in cui tutti noi possiamo riconoscerci.
Il romanzo di Domenico Seminerio sembra avvincente, perché ovunque ci sia un'”indagine” c’è un intreccio che attira il lettore nel percorso dello svelamento del mistero. E poi c’è un ennesimo “omaggio” a Shakespeare.
Certo, non credo che questo genio fosse di origine siciliana, né italiana: lascerei agli inglesi il loro grande drammaturgo, anche perché, pur essendo molte vicende ambientate in Italia, il “modo” in cui sono trattate non è “italiano”, se si pensa anche al teatro italiano di quell’epoca.
Rispondo alle domande di Massimo: Shakespeare è uno di quegli autori che quando lo avvicini non puoi non “innamorartene”. Credo che la sua grandezza risieda soprattutto in questo: piace sempre a tutti. Piace a tutte le età. Io lo “sperimento” da anni: quando si vuole appassionare gli studenti al teatro, non c’è che da far vedere o leggere una commedia o una tragedia o di Shakespeare, con lui “partecipano” anche gli allievi più “svogliati”.
Le mie opere preferite: Amleto, sicuramente; Macbeth; La Tempesta; Il Sogno di una Notte di Mezz’estate; Come vi piace. Ma non c’è da “preferire”…. sono tutte belle.
@Maria Rita Pennisi
Avrei voluto scrivere ciò che lei ha appena scritto: è verissimo.
Bravissima.
Tante domande, una sola risposta: Shakespeare è Shakespeare, un drammaturgo sommo, forse il più grande, le cui opere attirano ancor oggi, a riprova che si tratta di capolavori.
Sinceramente non mi sono mai posto il problema se William Shakespeare sia un nome di fantasia e chi si celasse dietro esso. A me interessano solo le opere, uniche nel loro genere, e non so dire quale preferisco, anche se, forse per ragioni campanilistiche (sono mantovano con sangue veronese) ho simpatia per Romeo e Giulietta e anche per Il mercante di Venezia.
@ Maria Rita:
mia cara, la tua recensione è bellissima!E…sai che nel tuo commento hai perfettamente riassunto la teoria di uno dei più grandi studiosi di Shakespeare?
Si chiama Harold Bloom ed è il più celebre e influente critico letterario americano. Nel 2001 pubblicò per Rizzoli un saggio meraviglioso: “Shakespeare, l’invenzione dell’uomo” (non so se l’hai letto) in cui sosteneva la singolare teoria per la quale il poeta, inventando quello che è diventato il metodo più consolidato di rappresentazione del carattere e della personalità umana attraverso il linguaggio, aveva anche inventato l’uomo come lo conosciamo noi.
Shaekespeare sarebbe cioè un esempio di come sia la letteratura a incidere nella vita e non viceversa.
Per rispondere alla domanda di Massi, dunque ( che contributo ha dato il drammaturgo alla letteratura mondiale) prenderò a prestito le parole di Bloom:
“Dobbiamo sforzarci di leggere Shakespeare con tutta l’attenzione possibile, pur sapenndo che i suoi drammi leggeranno noi con forza ancor maggiore”…
Una serena notte a voi tutti!
Shakespeare, o chi per lui, un grande analizzatore dell’anima umana.
Amleto, la sua creazione più completa sulla tragicità della vita che evidenzia come il processo storico liberatorio dell’uomo trovi difficoltà a realizzarsi, quando la vita viene assunta senza gli ideali dell’elevazione nel sacrificio.
In questa figura, vedo tracciati i contrasti della natura umana. Da una parte la virtù che sprona al progresso e dall’altra la perfidia che lo frena.
All’infuori di tante interpretazioni che sono state date a questo episodio, nel quale il rapporto perenne tra il divino e l’umano trova sempre una sua nuova dimensione e applicazione, si riflette il difficile e articolato percorso dell’uomo a elevarsi dalla sua limitatezza.
È proprio in questo sostare in uno stato di nebulosità, che l’uomo si lascia trascinare e dominare dagli effetti vani e pericolosi, come vanità, presuntuosità, egoismo, mescolati e addirittura dominati spesso dalla misticità, nel credo di poter sopravvivere solo seguendoli e sottostandovi.
La storia è ricca di esempi, che ci riflettono le difficoltà dell’uomo a emanciparsi dal suo destino crudele.
Eppure, è lui stesso a tracciarlo, almeno in parte, e quindi starebbe anche a lui di modificarlo, impiegando più sforzi, tenacia e coraggio, nel credo che in certe situazioni sarebbe meglio rinunciare alla vita, piuttosto che soccombere alla sua perfidia e inganno.
Il male (mediocrità, ignoranza, limitatezza) va superato con la propria disposizione di saper rinunciare alla sua più esplicita espressione: la vita. Essa, senza il senso, di percorso verso la propria salvezza, non è altro che un perdersi nel suo stato di malvagità e degrado.
Ogni martire della sua fede segna la condanna del male, perché un fatto lui mai vorrebbe, che l’uomo lo rinneghi rinunciando ai suoi effetti abbaglianti elencati sopra.
Alla fine è il cristianesimo che, con la sua annunciazione di non reagire con le stesse armi del male, ci libera da lui, ci eleva dalla nostra limitatezza e ci dona in cambio la salvezza dell’anima.
Siamo troppo attaccati alla vita, da non sapervi rinunciare, quando invece la rinuncia significherebbe la nostra liberazione ed elevazione.
Shakespeare, o chi per lui, mette a nudo la natura primitiva dell’uomo; il tragico è che fino ad oggi non si riscontra una gran miglioramento.
Saluti
Lorenzo
Vi ringrazio di cuore per questi primi commenti.
Ho inviato una mail a Domenico Seminerio per notificargli la pubblicazione del post.
Credo che interverrà a partire da domani.
(Ponetegli domande, se volete).
@ Francesca Giulia
Ho messo in grassetto la tua domanda per Seminerio… così si nota di più.
@ Domenico Seminerio
Ha svolto attività di ricerca (magari propedeutica alla scrittura del libro)?
Se, sì… come l’ha impostata?
@ Domenico Seminerio
Era a conoscenza del citato articolo del Wall Street Journal?
Per il momento chiudo qui.
Ringrazio e saluto: Maria Lucia, Carlo, Christiana de Caldas Brito, Zauberei, Francesca Giulia, Maria Rita Pennisi, Roberto, Renzo, Simona, Lorenzo.
Auguro una serena notte a tutti!
Mi piacciono molto i racconti, ambientati ai giorni nostri, in cui un enigma semirivelato induce a scavare e ad indagare sui secoli passati. Una specie di “Voyager” romanzato e su carta, insomma. E’ il mio genere preferito. Conosco poco Shakespeare, ma la mia domanda è questa: ammesso che fosse uno pseudonimo, tutte le opere a lui attribuite sono riferibili ad un unico autore?
@Simona
che frase strepitosa di Bloom hai riportato su Shakespeare!
E’ vero: sono i suoi drammi che ci “catturano”, è proprio così.
Sì, vabbe’, ma perchè fare tante storie per una Giulietta di 15 anni?
Bellissimo post. Complimenti.
Grande. Grande Shakespeare. Le sue opere? Tutte capolavori. Personalmente amo in particolare l’Amleto.
Per Domenico Seminerio.
Lei cosa pensa di queste teorie sull’identità di Shakespeare?
Il male fatto dagli uomini sopravvive a loro, il bene viene seppellito con le loro ossa. (da Giulio Cesare)
La bellezza tenta i ladri più dell’oro. (da Come vi piace I, 3)
Sii casta come il ghiaccio, pura come la neve, tu non sfuggirai alla calunnia. (da Amleto, atto III, Amleto)
è lui che ha dato vita alle ombre, poesia alla morte, voce all’infelicità, levità alla passione
e ha colto in maniera somma l’amore.
ne sono affascinata da sempre.
Che combinazione, Massimo! Il 23 aprile, probabile anniversario della nascita del Bardo, ho riesumato due articoli apparsi nel 1964.
E’ il mio piccolo contributo a questo dibattito:
http://www.bartolomeodimonaco.it/online/?p=3381
Bart
la combinazione degli articoli presentati è perfetta. complimenti anche da parte mia.
mi piaccione le citazioni. ce ne sono alcune di shakespeare che contengono verità assolute.
ne inserirò altre nella speranza di fare cosa gradita.
Oh Cielo misericordioso: uomo, non calcarti il cappello sulle sopracciglia: dai parole al dolore; il dolore che non parla, sussurra al cuore sovraccarico e gli ordina di spezzarsi. (da Macbeth, atto IV, scena III, Malcolm)
Siciliano Shakespeare? Ma via…sapete che in Albania insegnano agli alunni che Alessandro Magno era albanese? Sì, perché secondo l’archeologia nacque da quelle parti…2500 anni fa tipicamente albanesi, ovviamente.
Intrigante l’idea dello Shakespeare siciliano. Mi immagino il personaggio di questo romanzo, questo vecchio maestro elementare che è convinto di avere tra le mani la prova definitiva. Bella la recensione. Acquisterò il libro di Seminerio.
Di Shakespeare amo tutte le opere. Come si fa a sceglierne una?
Sono opere che sono entrate nell’immaginario collettivo. Pensate: Otello, Giulietta e Romeo, Amleto.
Bellissime.
Spegniti, spegniti, breve candela! La vita non è altro che un’ombra che cammina; un mediocre attore che si pavoneggia e si dimena sul palcoscenico per il tempo della sua parte e poi non si ode più oltre. È una favola narrata da un idiota, piena di strepito e furia e senza significato alcuno. (da Macbeth, atto V, scena V, Macbeth)
La fortuna guida dentro il porto anche navi senza pilota. (da Cimbelino)
Io sono di Messina, e qui da noi è ormai da parecchi anni che si dibatte su una tv privata condotta da un noto personaggio messinese(Mino Licordari) che spinto da uno storico molto apprezzato e preparato, Nino Principato, e da vari altri personaggi del luogo, continuano a propagandare notizie che sembrano abbastanza veritiere, analizzando gli scritti e mettendo in evidenza come fatti e luoghi di cui parla con convinzione Shakespeare, vedi per esempio “Molto rumore per nulla” potrebbero essere citati solo da chi è nato da queste parti. Vi invito per esempio a leggere su questo argomento(Shakespeare) sul sito http://www.granmirci.it dove si trovano molte informazioni utili. Saluti.
*A vostro giudizio, che contributo ha dato alla letteratura mondiale?*
Rispondo con un’altra domanda: cosa sarebbe la letteratura senza Shakespeare?
Cosa perderemmo?
Io adoro SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE…
*L’amore può dar forma e dignità a cose basse e vili, e senza pregio; ché non per gli occhi Amore guarda il mondo, ma per sua propria rappresentazione, ed è per ciò che l’alato Cupido viene dipinto col volto bendato.*
Al prof. DOMENICO SEMINERIO
Lei quale preferisce tra le opere di Shakespeare?
Ci sono opere di Shakespeare meno conosciute, ma non meno belle. Mi piace citarne tre, le prime due sono definite “dark comedies”, la terza una tragedia:
-Troilo e Cressida
– Misura per Misura
– Timone d’Atene. Quest’ultima di una indicibile amarezza.
A proposito di “Misura per Misura” riporto un breve brano di Gabriele Baldini, uno dei più grandi conoscitori italiani di questo drammaturgo:
” Chi ha voluto mettere in rilievo, come il Wilson Knigth in The Wheel of Fire, tutto il fine ed elaborato tessuto dei motivi che legano “MEASURE FOR MEASURE” alle parabole dei Vangeli, ha forse inteso più a fondo degli altri la vera natura di questo dramma, pur così poco caritatevole, appunto perché la carità, in esso, non sa sempre incontrare il merito. Pure è singolarissimo che MEASURE FOR MEASURE — una commedia che sopra tutte le altre di Shakespeare sembra voglia attaccarsi alle convenzioni, come quella del lieto fine, anche se per far riflettere sulla natura della giustizia — vada tanto oltre nella critica di alcune convenzioni sociali, che pur potevano essere, per allora, universalmente accolte.”
da: Gabriele Baldini: Manualetto shakespeariano- Einaudi-Torino-1964.
@Domenico Seminerio
Volevo chiederLe: quando ha “scoperto” Shakespeare per la prima volta? Era molto giovane?
Cosa Le piace di più in questo grande drammaturgo?
Grazie.
e se i dubbi sull’identità di shakespeare li avesse messi in giro proprio lui? ne sarebbe stato capace. per il resto mi trovo d’accordo con carlo ritenendo il Bardo di poco inferiore a Omero e a Dante. La potenza lirica, l’epica, la scrittura, la complessità dei personaggi, il loro amalgama con la storia è inimitabile. Ho letto tutto o quasi, compresa una poco “reclamizzata” Cressida and Troilus che a me pare un portento della natura.
quasiscrive: ti secca che non sia inglese o che sia siciliano?
🙂
Neanche io credo alla fantaletteratura, ma se ci sono seri indizi… purtroppo non ci sono le certezze. Ma in fondo forse è meglio così, almeno continueremo a dibattere per l’eternità.
Una delle cose che mi colpiva, quando studiavo Shakespeare, era una testimonianza secondo cui il William avrebbe parlato inglese con accento straniero.
!?
Questa cosa risulta a Seminerio, sicuramente. Conferma?
E se invece Shakespeare fosse un prestanome utilizzato da diversi autori?
Il mio intervento potrebbe limitarsi a sottolineare che condivido quanto hanno scritto Zauberei e Simona Lo Iacono, ma non posso fermarmi qui.
Devo fare i complimenti a Massimo per questo post perchè mi riporta ai primi momenti di Letteratitudine.
Macbeth è uno dei miei preferiti. lo considero un precursore della figura del Capitano Achab di Melville o del giudice Holden in Meridiano di sangue di Cormac McCarthy. Shakespeare, infatti, inventa dei tipi umani che poi la letteratura ha ripreso in diversi modi. Egli costruisce l’uomo con le sue parole e quell’uomo sarà per tutti gli anni a venire.
Non credo ad uno Shakespeare misterioso, nonostante le posizioni della Yates. Eppure ritengo che nei suoi confronti non possa esserci nulla di più simile al rispetto che nutriamo per il mistero. Qualunque energia creatrice provoca lo stesso effetto.
Quando apro un vecchio libro rosso con tutte le opere del bardo, un libro ricevuto in dono quando ne avevo ancora troppo pochi per tentarne la lettura, ebbene per quelle pagine provo un grande senso di rispetto e di gratitudine. Ogni volta scopro che hanno qualcosa da insegnarmi come un vecchio saggio che non mi ha mai abbandonato.
Measure for Measure… ho visto il film con Al Pacino… gli ebrei purtroppo venivano utilizzati come vilain, come cattivi, in commedie e drammi. Ieri sera vedevo il “David Copperfield” sub specie fiction ed ho pensato ad Uriah e all’ebreo di Shakespeare, che nel suo monologo splendido fa venire fuori la sua condizione di emarginato e disprezzato benché ricco e temuto.
Bellissima commedia con un fondo di amarezza indicibile. Concordo con Gregori.
Uno dei temi chiave di Shakespeare è appunto la misura. Nel senso aristotelico, credo. Est modus in rebus, c’è una misura per tutte le cose. I personaggi shakesperiani spesso sono come certi attori hollywoodiani: larger than life, più grandi della vita. Enormi, smisurati. L’amore immenso di Romeo e Giulietta li conduce alla rovina, Othello è accecato dalla gelosia e smisurato nella sua reazione, Hamlet è fuori misura rispetto alla marcia Danimarca…
Ciao Pasquale!
Maria Rita, un bacio! Purtroppo quando hai presentato Seminerio ad Acireale l’ho perso… bella recensione.
@eventounico
anch’io ho la stessa sensazione, quando avvicino quei volumi…e anche su Melville sono d’accordissimo, perché Moby Dick è cosparso di echi shakespeariani.
@Maria Lucia
è semplicemente assurda l’ipotesi che Shakespeare non sia inglese…
ma sono molto belle le cose che ci scrivi su William:)
Che combinazione! Sto leggendo proprio questo romanzo di Domenico Seminerio (sono quasi a metà). E’ una lettura appassionante, anche se qualche volta l’ho trovata un tantino ripetitiva. Parto, infatti, dal presupposto che già il titolo svela l’oggetto del mistero e che dunque il girare intorno alla questione da parte di Perdepane va a scapito della tensione narrativa. Per fortuna questo piccolo aspetto è largamente compensato da una scrittura godibilissima e dalla consueta abilità dello scrittore a sviluppare ancora una volta una trama avvincente (mi è piaciuto moltissimo “Senza re nè regno”, che ho letto e fatto leggere).
Una domanda poco letteraria per Domenico Seminerio, autore che, a mio modesto avviso, è una figura di tutto rilievo nell’attuale panorama letterario: in che misura, in questo romanzo, lo scrittore si è identificato con il professore/narratore?
Per quanto riguarda, invece, Shakespeare, è davvero difficile dire quale sia la sua opera migliore. Personalmente forse preferisco il dramma Hamlet.
Per concludere, non mi dispiacerebbe scoprire che il grande Shakespeare in realtà era un siciliano!
Cara Lea, nel giallo classico l’assassino si scopre alla fine, ma in altri tipi di giallo non conta chi è l’assassino, ma contano il movente, l’investigazione e tutto ciò che conduce alla scoperta della verità. Così è nel romanzo di Seminerio in cui, come tu giustamente sottolinei, già dal titolo sappiamo che l’oggetto attorno a cui ruota tutta la vicenda è il manoscritto di Shakespeare, ma ciò che è importante è come si arriva alla scoperta di tutto ciò. Perdepane è il tramite tra il manoscritto e lo scrittore. Personalmente mi piace questo povero vecchio maestro schiacciato da una vita opaca, ma nello stesso tempo sostenuto dalla voglia che la verità venga a galla e il significato nascosto di quest’opera, indubbiamente simbolica, in cui la verità per farsi conoscere aspetta anche secoli pur di cadere nelle mani giuste. Con simpatia Maria Rita Pennisi.
Cara Maria Rita, sono d’accordo con te su tutta la linea e voglio precisare che anche a me piace molto il personaggio di Perdepane e quel suo modo di parlare che mi è così familiare.
E’ solo che ho la sensazione che il racconto di Perdepane proceda verso la verità con un andamento “a spirale”, e questo a prescindere che si tratti di una verità già nota al lettore.
Parlavo infatti di tensione narrativa in senso lato, cioè non di quella comunemente riferibile a un classico giallo.
Naturalmente il mio è solo un punto di vista e come tale opinabilissimo.
Cari amici, credo che tra poco Domenico Seminerio si connetterà e così potrà rispondere a tutte le nostre domande. Spero che nessuno abbia mai le prove certe dell’identità di Shakespeare perché, secondo me, non c’è cosa peggiore di un mistero svelato. Mi auguro che questo affascinante personaggio ci possa per sempre guardare con un sorriso sornione. Chissà! Magari tra le lettere dei suoi scritti si cela il segreto del suo vero nome in modo così palese, che nessuno ci fa caso? Maria Rita Pennisi
Cari amici, vi ringrazio tutti per i vostri splendidi commenti.
Ne approfitto per salutare i nuovi intervenuti: Maurizio De Angelis, Ernesto, Margherita, Carmelo Antoci, Cristina Bove, Bartolomeo Di Monaco, Quasiscrive, Rosa, Domenico Sergi, Antonella Ligresti, Giovanna, Enrico Gregori, Eventounico, Alfredo C., Lea Olivieri (spero di non aver dimenticato nessuno).
Forse tra voi c’è qualcuno che è intervenuto per la prima volta: in tal caso… benvenuto/a a Letteratitudine!
Stamattina ho sentito per telefono Domenico Seminerio. Era fuori sede.
Mi diceva che sarebbe rientrato in serata. Per cui credo che risponderà alle vostre domande (e sollecitazioni) più tardi o domattina.
@ Carmelo Antoci
Grazie per le citazioni. Sono graditissime.
@ Eventounico
Caro Evento, come va? Grazie mille. Proprio vero… ai primi tempi di Letteratitudine incrociavo spesso vari articoli (in tema) di giornali italiani ed esteri.
@ Lea Olivieri
Che bella combinazione! Leggere un libro mentre c’è un dibattito in corso sullo stesso libro, avendo la possibilità di interagire con l’autore…
Grazie per i tuoi commenti.
Per il momento chiudo qui.
Vi ringrazio ancora.
Finalmente posso rispondere. Non l’ho fatto prima perché fuori sede. Morivo dalla voglia di sapere cosa avete detto sul mio romanzo e quali erano le domande a cui dovevo rispondere. Innanzitutto grazie a tutti per gli interventi, belli, e per le questioni postemi, a cui cercherò di dare una risposta. Prima cosa: l’idea per il romanzo m’è venuta leggendo uno studio di Martino Iuvara, prof. di letteratura inglese a Ispica, il quale sosteneva la sicilianità del Bardo in base a diversi indizi. La cosa mi ha intrigato, come si dice, ho fatto le mie ricercuzze, mi sono convinto che l’ipotesi di Iuvara poteva ben stare alla pari con le molte altre che circolavano sulla vera identità di Shakespeare e, anzi, con qualche elemento di probabilità in più. Ne ho fatto un romanzo, mescolando, come ovvio, elementi di pura fantasia agli indizi tratti dallo studio di Iuvara, cui se se sono aggiunti altri.
E gli indizi sono veramente tanti, forse troppi, e tutti univocamente orientati. Un dato: di William di Stratford sappiamo veramente poco e quel poco assolutamente incompatibile con le opere a lui attribuite.
Facile concludere che fosse il prestanome di un personaggio che non amava firmare i suoi drammi o, forse, uno pseudonimo.
Lunghissima la schiera di personaggi riconosciuti di volta in volta come il vero Shakespeare, vuoi per alcune vicende biografiche, vuoi per qualche peculiarità stilistica. Ma tutti inglesi. E poi ecco Iuvara che si imbatte quasi per caso in tal Michel Agnolo Florio, nativo di Messina, emigrato verso i vent’anni in Inghilterra. Molte vicende biografiche di Michel Agnolo Florio sembrano fatte apposta per spiegare con estrema naturalezza e semplicità quel che non sappiamo di Shakespeare, a cominciare proprio dal nome. La madre di Michel Agnolo si chiama Guglielma Crollalanza: Guglielma=William; Crolla, cioé Scrolla=Shake;
lanza, cioé lancia=Speare. Per motivi che non sappiamo, Michelangelo Florio adotta un nuovo nome, adattandosi quello della madre.
Non mi pare il caso di farla lunga: tutti gli indizi disponibili sono stati riportati nel romanzo, tranne due, che ho trovato dopo per la cortesia di un illustre studioso di storia del diritto, il prof. Manlio Bellomo.
Proprio nel Mercante di Venezia il Bardo rivela una approfondita conoscenza della legislazione veneziana del tempo, completamente diversa da quella vigente in Inghilterra e che nessun inglese del tempo conosce così bene. C’è di più: il maestro Bellario, citato nel testo, adombra un personaggio realmente esistito e molto famoso nell’ambiente giuridico padovano, il prof. Ottonello Discalzio.
Sempre a Padova risultano iscritti due studenti danesi che, strabiliante, hanno gli stessi identici cognomi dei due studenti danesi che compaiono nell’Amleto. E siamo sulle tracce di altri indizi, un tantinello più cogenti.
Capisco le perplessità: abituarsi a uno Shakespeare non inglese è difficile, veramente. per alcuni semplicemente impensabile. Come impensabile dovette apparire a molti la tesi che la terra girava attorno al sole e non viceversa, come pure attestavano i sensi e tutte le scritture precedenti, sacre e non. Tant’è. Il cammino della conoscenza e della verità riserva di questi scherzi.
Che bello trovare Domenico Seminerio qui! Anch’io ho letto il “manoscritto di Shakespeare” e ne sono rimasta rapita e affascinata. Davvero bello. E l’ipotesi di uno Shakespeare siciliano è anch’essa affascinante. Complimenti a Seminerio per il libro ed a Maugeri per il blog.
Una risposta a Lea. Agostino Elleffe, lo scrittore, non sono io, così come Perdepane non è Iuvara. Siamo “tipi” completamente diversi. non nego che qualche somiglianza e qualche coincidenza ci possa essere, magare per giocare un po’ col lettore.
Sono lieta che Seminerio interagisca con noi…
Da una parte uno Shakespeare sicilian mi piacerebbe eccome, dall’altra vorrei, come Maria Rita, che potessimo disquisirne all’infinito senza arrivare alla certezza… il mistero è pane quotidiano dello scrittore e sapere la verità
ci deluderebbe un poco…
I nomi Elleffe e Perdepane sono pure simbolici? Perdepane mi rimanda a paneperso, LF a…?
auguri e complimenti a domenico seminerio per il romanzo.
io adoro shakespeare. ci vado pazza. la mia opera preferita è ROMEO E GIULIETTA.
posso scrivere qualche passaggio di seguito?
lo faccio………
Dimenticavo una cosa. Su La Repubblica del 19 aprile ho letto quanto riferito dal Wall Street Journal circa la “sentenza” della Corte Suprema USA. In effetti chi studia la questione non può che giungere a una e una sola conclusione: William di Stratford non può in nessun caso essere l’autore delle opere a lui attribuite. Per quanto riguarda lord De Vere, identificato col vero autore delle opere, non molti indizi e di poca consistenza, mi pare: sappiamo che fece un viaggio in Italia del Nord, che aveva molti libri ed era molto colto, a differenza di William Stratfordiano che lasciò per sempre la scuola a undici anni, non si mosse mai dalla sua isola, non lascio un solo libro né una sola pagina manoscritta. A occhio e croce, mi pare che gli indizi a favore di Michel Agnolo Florio siano molti di più e più stringenti. Ma certo i giudici della suprema corte nulla sanno di Florio e dell’ipotesi siciliana.
dalla SCENA QUINTA
–
–
ROMEO (a Giulietta): Se io profano con la mia mano indegna questa sacra reliquia (è questo il peccato dei pii), le mie labbra, arrossenti pellegrini, sono pronte a render più molle, con un tenero bacio, il ruvido tocco.
–
GIULIETTA: Buon pellegrino, voi fate troppo torto alla vostra mano, che ha mostrato in ciò la devozione che si conviene: poiché i santi stessi hanno mani, che le mani dei pellegrini possono toccare, e il giunger palma a palma è il bacio dei pii palmieri.
–
ROMEO: I santi non hanno essi labbra, ed i pii palmieri anche?
–
GIULIETTA: Sì, o pellegrino, labbra che essi debbono usare nella preghiera.
–
ROMEO: Oh! allora, cara santa, lascia che le labbra facciano ciò che fanno le mani; esse ti pregano, tu le esaudisci, per timore che la fede non si cambi in disperazione.
–
GIULIETTA: I santi non si muovono, ancorché esaudiscano le altrui preghiere.
–
ROMEO: Allora non muoverti, intanto che io raccolgo il frutto della mia preghiera. Ecco, le tue labbra hanno purgato le mie del loro peccato. (La bacia)
–
GIULIETTA: Allora è rimasto sulle mie labbra il peccato che esse hanno tolto alle vostre.
–
ROMEO: Il peccato dalle mie labbra? O colpa dolcemente rimproverata!
Rendimi dunque il mio peccato.
–
GIULIETTA: Voi baciate con tutte le regole.
a domenico seminerio
perché allora non inviare ai giudici della suprema corte il materiale con gli indizi di indizi a favore di michel agnolo florio?
Bellissima questa idea di un dibattito su S. e tante davvero tante le cose da dire.
Il suo posto nella letteratura occidentale? La risposta è facile: con Omero e con Dante a formare una triade difficilmente modificabile. Naturalmente non si può parlare di come certi autori dell’800 (Tolstoi, Dostojevski tanto per citarne due) poi del ‘900, cresceranno ancora nei secoli, siamo ancora troppo vicini nel tempo. Direi che fino al ‘700 compreso è difficile trovare qualcun altro, ci possono essere delle singole opere che possiamo mettere al piano più alto ma se si parla di autori (fatto salvo il fatto che Omero è probabilmente una scrittura collettiva, specialmente nell’Iliade), ho pochi dubbi. Naturalmente se si parla di letteratura mondiale è più difficile pronunciarsi perchè occorre avere una competenza che non ho.
Più difficile pronunciarsi sulle opere perchè è fra quegli autori di cui è difficile trovare opere minori. Prendiamo i sonetti: è ovvio che è talmente importante la sua produzioine teatrale che rischiano di essere oscurati da quella, ma sono un’opera assolutamente straordinaria, forse con lo sguardo rivolto all’indietro e che potrebbe curiosamente portare acqua al mulino di un’origine siciliana. Intendo dire questo: quando leggo i sonetti mi sembra di leggere l’ultimo dei classici, c’è un filo diretto con la cultura pagana e poi neoplatonica, sembra proprio dentro l’alveo di una tradizione che ha le sue origini nel mondo mediterraneo e naturalmente penso a qualcosa di diverso dal petrarchismo che imperversava in Europa.
Sul teatro ripeto, non trovo opere minori e allora parliamo di gusti: King Lear, Macbeth, Giulio Cesare, Misura per Misura, Amleto forse l’ho visto troppe volte e con troppi commenti, compresi i miei.
Sulle ipotesi leggerò quanto prima il libro di Seminerio perchè mi affascina in sè e perchè, pur avendo già sentito parlare di uno S. siciliano, non ne so davvero nulla sul piano documentale. In attesa di capire se ne sarò convinto, io rimango fermo a un’ipotesi intermedia e cioè quella di S. geniale capocomico e uomo di teatro, capace di adattare il testo di volta in volta prima di fissarlo nei suoi termini definitivi, ma che si serviva dei consigli (e forse in alcuni casi di una scrittura a quattro mani) probabilmente di Southampton, il suo grande protettore.
In ogni caso, a parte la geniale battuta di Woody Allen rimane il fatto che le sue opere sono scritte in inglese, in un inglese magistrale e di cui è difficile pensare che fosse una seconda lingua, però….
dallacSCENA SECONDA – Giardino dei Capuleti
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GIULIETTA: O Romeo, Romeo! Perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre; e rifiuta il tuo nome: o, se non vuoi, legati solo in giuramento all’amor mio, ed io non sarò più una Capuleti.
–
ROMEO (fra sé): Starò ancora ad ascoltare, o rispondo a questo che ha detto?
–
GIULIETTA: Il tuo nome soltanto è mio nemico: tu sei sempre tu stesso, anche senza essere un Montecchi. Che significa “Montecchi”? Nulla: non una mano, non un piede, non un braccio, non la faccia, né un’altra parte qualunque del corpo di un uomo. Oh, mettiti un altro nome! Che cosa c’è in un nome? Quella che noi chiamiamo rosa, anche chiamata con un’altra parola avrebbe lo stesso odore soave; così Romeo, se non si chiamasse più Romeo, conserverebbe quella preziosa perfezione, che egli possiede anche senza quel nome. Romeo, rinunzia al tuo nome, e per esso, che non è parte di te, prenditi tutta me stessa.
–
ROMEO: Io ti piglio in parola: chiamami soltanto amore, ed io sarò ribattezzato; da ora innanzi non sarò più Romeo.
–
GIULIETTA: Chi sei tu che, così protetto dalla notte, inciampi in questo modo nel mio segreto?
–
ROMEO: Con un nome io non so come dirti chi sono. Il mio nome, cara santa, è odioso a me stesso, poiché è nemico a te: se io lo avessi qui scritto, lo straccerei.
–
GIULIETTA: L’orecchio mio non ha ancora bevuto cento parole di quella voce, ed io già ne riconosco il suono. Non sei tu Romeo, e un Montecchi?
–
ROMEO: Né l’uno né l’altro, bella fanciulla se l’uno e l’altro a te dispiace.
–
GIULIETTA: Come sei potuto venir qui, dimmi, e perché? I muri del giardino sono alti, e difficili a scalare, e per te, considerando chi sei, questo è un luogo di morte, se alcuno dei miei parenti ti trova qui.
–
ROMEO: Con le leggere ali d’amore ho superati questi muri, poiché non ci sono limiti di pietra che possano vietare il passo ad amore: e ciò che amore può fare, amore osa tentarlo; perciò i tuoi parenti per me non sono un ostacolo.
–
GIULIETTA: Se ti vedono, ti uccideranno.
–
ROMEO: Ahimè! c’è più pericolo negli occhi tuoi, che in venti delle loro spade: basta che tu mi guardi dolcemente, e sarò a tutta prova contro la loro inimicizia.
–
GIULIETTA: Io non vorrei per tutto il mondo che ti vedessero qui.
–
ROMEO: Ho il manto della notte per nascondermi agli occhi loro; ma a meno che tu non mi ami, lascia che mi trovino qui: meglio la mia vita terminata per l’odio loro, che la mia morte ritardata senza che io abbia l’amor tuo.
–
GIULIETTA: Chi ha guidato i tuoi passi a scoprire questo luogo?
–
ROMEO: Amore, il quale mi ha spinto a cercarlo: egli mi ha prestato il suo consiglio, ed io gli ho prestato gli occhi. Io non sono un pilota:
ma se tu fossi lontana da me, quanto la deserta spiaggia che è bagnata dal più lontano mare, per una merce preziosa come te mi avventurerei sopra una nave.
–
GIULIETTA: Tu sai che la maschera della notte mi cela il volto, altrimenti un rossore verginale colorirebbe la mia guancia, per ciò che mi hai sentito dire stanotte. Io vorrei ben volentieri serbare le convenienze; volentieri vorrei poter rinnegare quello che ho detto: ma ormai addio cerimonie! Mi ami tu? So già che dirai “sì”, ed io ti prenderò in parola; ma se tu giuri, tu puoi ingannarmi: agli spergiuri degli amanti dicono che Giove sorrida. O gentile Romeo, se mi ami dichiaralo lealmente; se poi credi che io mi sia lasciata vincere troppo presto, aggrotterò le ciglia e farò la cattiva, e dirò di no, così tu potrai supplicarmi; ma altrimenti non saprò dirti di no per tutto il mondo. E’ vero, bel Montecchi, io son troppo innamorata e perciò la mia condotta potrebbe sembrarti leggera. Ma credimi, gentil cavaliere, alla prova io sarò più sincera di quelle che sanno meglio di me l’arte della modestia. Tuttavia sarei stata più riservata, lo devo riconoscere, se tu, prima che io me n’accorgessi, non avessi sorpreso l’ardente confessione del mio amore: perdonami dunque e non imputare la mia facile resa a leggerezza di questo amore, che l’oscurità della notte ti ha svelato così.
–
ROMEO: Fanciulla, per quella benedetta luna laggiù che inargenta le cime di tutti questi alberi, io giuro…
–
GIULIETTA: Oh, non giurare per la luna, la incostante luna che ogni mese cambia nella sua sfera, per timore che anche l’amor tuo riesca incostante a quel modo.
–
ROMEO: Per che cosa devo giurare?
–
GIULIETTA: Non giurare affatto; o se vuoi giurare, giura sulla tua cara persona, che è il dio idolatrato dal mio cuore, ed io ti crederò.
–
ROMEO: Se il sacro amore del mio cuore…
–
GIULIETTA: Via, non giurare. Benché io riponga in te la mia gioia, nessuna gioia provo di questo contratto d’amore concluso stanotte: è troppo precipitato, troppo imprevisto, troppo improvviso, troppo somigliante al lampo che è finito prima che uno abbia il tempo di dire “lampeggia”. Amor mio, buona notte! Questo boccio d’amore, aprendosi sotto il soffio dell’estate, quando quest’altra volta ci rivedremo, forse sarà uno splendido fiore. Buona notte, buona notte! Una dolce pace e una dolce felicità scendano nel cuor tuo, come quelle che sono nel mio petto.
–
ROMEO: Oh! mi lascerai così poco soddisfatto?
–
GIULIETTA: Quale soddisfazione puoi avere questa notte?
–
ROMEO: Il cambio del tuo fedele voto di amore col mio.
–
GIULIETTA: Io ti diedi il mio, prima che tu lo chiedessi; e tuttavia vorrei non avertelo ancora dato.
–
ROMEO: Vorresti forse riprenderlo? Per qual ragione, amor mio?
–
GIULIETTA: Solo per essere generosa, e dartelo di nuovo. Eppure io non desidero se non ciò che possiedo; la mia generosità è sconfinata come il mare, e l’amor mio quanto il mare stesso è profondo: più ne concedo a te, più ne possiedo, poiché la mia generosità e l’amor mio sono entrambi infiniti. (La Nutrice chiama di dentro) Sento qualche rumore in casa; addio, caro amor mio! Subito, mia buona nutrire! Diletto Montecchi, sii fedele. Aspetta un solo istante, tornerò. (Esce)
–
ROMEO: O beata, beata notte! Stando così in mezzo al buio, io ho paura che tutto ciò non sia che un sogno, troppo deliziosamente lusinghiero per essere realtà.
GIULIETTA: O padre consolatore! Dov’è il signor mio? Io mi ricordo bene in qual luogo debbo essere; e infatti ci sono: ma dov’è il mio Romeo?
(Si sente del rumore)
–
FRATE LORENZO: Sento del rumore. Fanciulla, esci da cotesto nido di morte, di contagio, di sonno artificiale; una potenza superiore, alla quale noi non possiamo opporci, ha attraversato i nostri disegni:
vieni, vieni via; tuo marito giace costì morto, accanto te, e Paride anche; vieni, io ti metterò in un convento di sante monache; non mi chiedere spiegazioni, poiché la guardia arriva. Vieni, andiamo, mia buona Giulietta (il rumore si avvicina) io non oso restare più a lungo.
(Frate Lorenzo esce)
–
GIULIETTA: Va’, fuori pure di qui, poiché io non anderò via. Che cosa c’è qui? una tazza che il fido amor mio tiene stretta in mano?
Comprendo: il veleno è stato la causa della sua fine immatura; oh cattivo! lo ha bevuto tutto, e non ne ha lasciato una benefica goccia, che dopo lui aiutasse me? Voglio baciare le tue labbra; forse vi rimane ancora un po’ di veleno, che basti per farmi morire con le dolcezze di un cordiale. (Lo bacia) Le tue labbra sono ancora calde.
–
PRIMA GUARDIA (di dentro): Guidaci, ragazzo, quale strada dobbiamo prendere?
–
GIULIETTA: Che! del rumore? Allora bisogna far presto. Oh, pugnale benedetto! (Afferrando il pugnale di Romeo) ecco, il tuo fodero è questo: (si colpisce) arrugginisci qui dentro, e fammi morire. (Cade sul corpo di Romeo, e muore).
scusate, ma non ho resistito… 🙂
Ho letto le sue opere maggiori e francamente mi sembrano una scopiazzatura e riduzione per teatro di testi tratti dalla Bibbia, che rimane comunque molto più interessante.
la bibbia è il libro dei libri ed ha influenzato tutta la cultura occidentale. riferimenti biblici si trovano un po’ ovunque, ma non credo che l’opera di shakespeare sia una scopiazzatura e riduzione per teatro di testi tratti dalla bibbia. credo, invece, che sia una bellissima interpretazione della vita umana in varie sfaccettature. talmente efficace che risulta attualissima anche oggi, nonostante il decorso del tempo.
Ringrazio Lucy per Giulietta e Romeo, rileggendo mi ridico per la prima volta che non ci sono opere minori in S. e allora diciamo pure che me lo prendo tutto.
grazie franco 🙂
Rispondo a Lucy così:
Essere o non essere, questo è il problema. È forse più nobile soffrire, nell’intimo del proprio spirito, le pietre e i dardi scagliati dall’oltraggiosa fortuna, o imbracciar l’armi, invece, contro il mare delle afflizioni, e, combattendo contro di esse metter loro una fine? Morire, dormire. Nient’altro. E con quel sonno poter calmare i dolorosi battiti del cuore, e le mille offese naturali di cui è erede la carne! Quest’è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire, dormire. Dormire, forse sognare. È proprio qui l’ostacolo; perché in quel sonno di morte, tutti i sogni che possan sopraggiungere quando noi ci siamo liberati dal tumulto, dal viluppo di questa vita mortale, dovranno indurci a riflettere. È proprio questo scrupolo a dare alla sventura una vita così lunga! Perché, chi sarebbe capace di sopportare le frustate e le irrisioni del secolo, i torti dell’oppressore, gli oltraggi dei superbi, le sofferenze dell’amore non corrisposto, gli indugi della legge, l’insolenza dei potenti e lo scherno che il merito paziente riceve dagli indegni, se potesse egli stesso dare a se stesso la propria quietanza con un nudo pugnale? Chi s’adatterebbe a portar cariche, a gèmere e sudare sotto il peso d’una vita grama, se non fosse che la paura di qualcosa dopo la morte – quel territorio inesplorato dal cui confine non torna indietro nessun viaggiatore – confonde e rende perplessa la volontà, e ci persuade a sopportare i malanni che già soffriamo piuttosto che accorrere verso altri dei quali ancor non sappiamo nulla. A questo modo, tutti ci rende vili la coscienza, e l’incarnato naturale della risoluzione è reso malsano dalla pallida tinta del pensiero, e imprese di gran momento e conseguenza, devìano per questo scrupolo le loro correnti, e perdono il nome d’azione. (Amleto – atto III, scena I)
Scopiazzature e riduzioni per il teatro di episodi biblici? Ohibò! L’opinione si commenta da sola.
Caro Domenico, sono lieta di poter parlare con te. La tesi sulla sicilianità di Shakespeare, che sostieni nel tuo romanzo, secondo me, ha delle basi solide. Se aggiungiamo ciò che si evince da “Il mercante di Venezia” queste basi diventano solidissime. Il pensiero di uno Shakespeare messinese, trasferitosi in Inghilterra ancor giovanissimo, è plausibile, soprattutto se si pensa al momento storico-politico di allora e della realtà della Messina di quel tempo. Certo una verità del genere, ovviamente è scomoda e non facile da radicare, ma, come dico nella mia recensione sul romanzo “La verità ha una sua sacralità e può rivelarsi a un occhio attento e devoto”.
A proposito dell’Amleto e dell’essere o non essere vi offro questo video:
http://www.youtube.com/watch?v=kwd98zMxKEg
Una bellissima interpretazione di Kevin Kline: Atto III, scena I. il video è del 1990.
per Domenico Seminerio.
cosa pensa dell’articolo di Enrico Franceschini (pubblicato su Repubblica) sul presunto vero ritratto di Shakespeare?
Ho letto con piacere la citazione dal “Giulio Cesare” postata da Carmelo Antoci..piacere dovuto al fatto che è in parte contenuta nel titolo originale di “W.” di Jennifer Lee Carrell.”W.” ruota proprio attorno al mistero dell’identità di Shakespeare,mistero che appassiona chiunque,come me,ha studiato e letto le opere del Bardo non solo a scuola e all’università,ma anche per puro diletto.
Non ho ancora letto il libro di Domenico Seminerio,ma lo farò quanto prima.Intanto mi chiedo e gli chiedo se conosce il romanzo da me menzionato e se ci sono dei tratti comuni.
A proposito delle opere di Shakespeare da me preferite la mia scelta cade su “Amleto”-è banale,lo so-,”King Lear”,”Measure for Measure” e non dimentichiamoci dei sonetti.
Carissima Maria Rita, la recensione è davvero bella e mi pare che abbia colto nel segno. Grazie
Cari amici, vi ringrazio tutti per i nuovi commenti. Sono molto contento dello sviluppo preso da questa discussione.
Un ringraziamento e un caldo benvenuto, qui a Letteratitudine, a Domenico Seminerio che intervenuto più volte fornendo ulteriori stimoli e dettagli.
Caro professor Seminerio, molto spesso chiedo agli scrittori che ospito se è possibile riportare tra i commenti un testo (una pagina, un brano) tratto dal libro ogetto della discussione.
Avrebbe la possibilità, con il permesso della Sellerio, di inserire un “piccolo assaggio” del suo Il manoscritto di Shakespeare’?
@ Antonella Leogrande
Grazie per il tuo commento. “W.” di Jennifer Lee Carrell è, in effetti, un testo piuttosto noto: http://bur.rcslibri.corriere.it/bur/libro/2368_w_carrell.html
Ne ha fatto cenno anche Ranieri Polese nell’articolo del Corriere che ho inserito nel post.
Ringrazio Lucy e Giacomo R. per aver riportato bellissimi stralci tratti dalle opere di Shakespeare.
Carissimo Massimo, voglio complimentarmi ancora una volta per il blog. E’ bellissimo che tanta gente che non si conosce di presenza, possa dialogare su argomenti che li appassionano e scambiarsi opinioni comuni o anche divergenti, che in ogni caso servono a confrontarsi e a riflettere. Queste del blog sono esperienze che fanno crescere e che rendono felici, perché ci si rende conto che la cultura tanto maltrattata ai giorni nostri, in fin dei conti è amata da tanti. Colgo l’occasione per salutare Maria Lucia, Simona, Lea e Roberta.
Ne approfitto per salutare tutti i nuovi intervenuti (un saluto speciale per Franco Romanò).
AGGIORNAMENTO IMPORTANTE
Ho appena aggiornato il post inserendo tre video tratti dalla trasmissione Voyager di RaiDue dell’11 febbraio 2009, a cui ha partecipato anche Domenico Seminerio, dedicata proprio a Shakespeare e alla tesi della sua sicilianità.
Date un’occhiata… sono una vera chicca.
Li trovate in alto, in coda al post.
Cara Maria Rita, ancora grazie a te.
Stasera pubblicherò un nuovo post, ma – per quanto mi riguarda – la discussione qui è tutt’altro che conclusa. Anzi, provo a… rinvigorirla.
Tra le domande che vi avevo posto, c’era questa: Quali sono le vostre preferite, tra le tante opere da lui firmate e messe in scena?
Molti di voi hanno risposto (giustamente) che tutte le opere di Shakespeare sono capolavori.
Vero.
Ma provo a forzarvi…
Caro Domenico,
sono io che ti ringrazio. Se ho potuto scrivere una recensione che ti piace lo devo solo a te, che avendo scritto un romanzo così ricco di fascino e di mistero, mi hai condotto sui miei sentieri preferiti. Non c’è cosa che mi piaccia di più di un mistero che aleggia tra le pagine di un vecchio testo, se quel mistero poi si chiama Shakespeare mi si drizzano le antenne. Se il mistero si insinua tra Molto rumore per nulla e Il mercante di Venezia, svelandoci l’identità di Shakespeare, il simbolismo de La Tempesta, potrebbe spiegarci a quali studi era dedito il bardo e quali ambienti bazzicava.
(Sulla scia di un giochino proposto tempo fa…)
Immaginate che per un motivo imprecisato tutte le opere di Shakespeare verranno distrutte.
Voi avete la possibilità di salvarne una (una sola).
Quale scegliereste?
Ringrazio Domenico Seminerio per la gentile risposta e approfitto dell’occasione per complimentarmi con Massimo Maugeri che ha avuto la bellissima idea di mettere in comunicazione autore e lettori e che gestisce in maniera simpatica e stimolante questo bel blog.
Caro Massimo volevo ringraziarti per lo splendido lavoro che fai con il tuo blog. Da quando ho scoperto letteratitudine ho spento la televisione.Grazie. Bellissimo questo speciale-Shakespeare.
Cara Lea, cara Annalisa… grazie mille a voi.
Come ho anticipato, a breve pubblicherò un nuovo post.
Ma spero davvero che la discussione qui possa continuare.
Qualcuno di voi ha vistoi video di Voyager che ho inserito sul post?
Mi piacerebbe che li commentaste…
Una sola da salvare? La scelta è improba, ma forse opterei per Il mercante di Venezia, forse l’opera che più si adatta ai nostri tempi.
Caro Massimo,
per tempo non avevo letto il post con la recensione a cui fai riferimento a proposito di “W”-non trovi,non trovate,ridicola la traduzione del titolo?E pensare che l’originale cita proprio il “Giulio Cesare”-recupererò presto..salvare una sola opera di Shakespeare..è difficile scegliere..parliamo di uno degli autori che hanno fatto la storia della letteratura mondiale,un pilastro,la letteratura inglese.Bisognerebbe trovarne una che racchiuda tutto:l’amore,l’ambizione,la follia,l’inganno,lo sberleffo,la poesia dei sonetti,il teatro stesso,la morte,la passione,la filosofia..io mi ripeto:”Amleto”.E’ la prima che ho letto,da liceale,in lingua originale.L’unica,l’irripetibile,almeno a mio modesto parere.Sarà una scelta banale,ma contiene tutto l’universo shakespeariano..si tratta pur sempre di una mia opinione.
Anche io salverei Amleto,l’opera più completa, perchè nel suo personaggio ricco di sfumature si può trovare ogni aspetto della tragicità degli interrogativi umani….però senza farmi vedere da Massimo metterei in tasca una copia di Sogno di una notte di mezza estate per i momenti scuri e per continuare a sognare.
una buona notte a tutti
Belle domande Massimo! Allora: L’Amleto di Carmelo Bene in primis, quello che tenta l’intepretazione più azzardata sulla scia di Freud e trasforma Ofelia nella parte femminile di Amleto stesso. Sul piano più canonico, mi è piaciuto l’Amleto di Giancarlo Sixti, quasi un melodramma piuttosto che una tragedia.
Ricordo un memorabile Misura per misura con il povero Vannucchi. Sono i primi che mi vengono in mente, dopo gli storici anche cinematografici dell’Amleto di Lorence Olivier e di Albertazzi.
Cosa salverei? Beh dovendo pensare non solo al gusto ma alla completezza (come dice Francesca), sceglierei Amleto anch’io perchè c’è proprio dentro tutto, anche nel senso della ridondanza non sempre riuscita (e infatti nessuno la mette più in scena per intero), ma da quel libro si possono dedurre gli altri, farlo proliferare.
Romeo e Giulietta. L’amore totale. La fede infinita che sia possibile.
Lo salverei tra tutti.
Romeo e Giulietta.
Se proprio bisogna salvarne uno solo, ebbene sceglierei Amleto. Peraltro condivido la lettura scelta da Franco Romanò. Cosa sarebbe Amleto senza Ofelia ? E’ la ninfa Eco a conferire senso a Narciso.
Grandi rinunce sarebbero Macbeth, Romeo e Giulietta e Sogno di una notte di mezza estate, nonchè i sonetti.
Davvero crudele questa domanda, Massimo. Per farti perdonare dovrai scegliere anche tu.
Premetto che, degli esperti ed autori sopra citati, conosco soltanto Bryson, che ritengo un “simpatico giovanottone americano bevitore di birra”. Per carità, non voglio assolutamente essere offensivo, ma non ritengo Bryson in grado di realizzare serie riflessioni su un tema così scottante. Voyager, mi dispiace, ma la ritengo la peggiore trasmissione televisiva pseudo-scientifica dell’intero palinsesto televisivo. Shakespeare ha avuto un ruolo importante nella letteratura mondiale ? E’ come chiedere se Napoleone è stato un grande condottiero. Domanda inutile. Porsi delle domande sulla vera, o presunta vera, identità di Shakespeare ritengo sia altrettanto inutile. Ciò che conta è ciò che ci ha lasciato dal punto di vista culturale. Una cosa è certa: scriveva con la tipica mentalità della nobiltà inglese. Che cosa salverei tra i suoi capolavori ? Romeo e Giulietta, ovviamente.
non sono d’accordo con andrea su quasi tutto.
la domanda non era se shakespeare ha avuto un ruolo importante nella letteratura mondiale, ma che contributo ha dato alla letteratura mondiale. dunque richiede un po’ di riflessione, perché la risposta non è così immediata. per es. confrontando shakespeare con altri grandi – dante, tolstoj, dostoievskj, ecc. – non è così scontato tentare di dare un giusto peso.
mi ero persa questa puntata di voyager. strano, perché in genere la seguo. non è una trasmissione pseudo-scientifica. cura reportage interessanti, in modo intrigante.
su romeo e giulietta, però sono assolutamente d’accordo con andrea 🙂
Carissimo Massimo, grazie per l’invito, gli interventi, le belle cose che hai detto sul mio romanzo. Che dire sugli interventi? Grazie a tutti, anche per quelli che non mi trovano d’accordo. Una riflessione: trovare la vera identità del Bardo non è un giochino inutile di studiosi che non hanno altro da fare, ma dare un senso più profondo e più vero alle bellissime cose da lui scritte. Le amo tutte, ovviamente, dello stesso amore viscerale, con una piccola preferenza, una sfumatura appena, per La tempesta.
Carissimo Domenico, grazie mille a te.
È stato un vero piacere ospitarti. Ne approfitto per farti i migliori auguri anche per le tue future opere.
Ma avremo modo di sentirci.
Continua pure a intervenire, se puoi e se ne hai voglia…
Ragazzi, grazie per aver espresso le vostre preferenze:-)
@ Evento
Hai ragione, amico mio. La mia domanda è proprio crudele (ma come fate a sopportarmi? 🙂 ).
Ammetto che io stesso ho difficoltà a rispondere…
Ummh… sono un po’ indeciso tra l’Amleto e Romeo e Giulietta.
Fatemi pensare e risponderò.
Abbiate pazienza,eh!:-)
@Andrea
Sono d’accordo con te+ con Franco Romanò, quando scrive:
“In ogni caso, a parte la geniale battuta di Woody Allen rimane il fatto che le sue opere sono scritte in inglese, in un inglese magistrale e di cui è difficile pensare che fosse una seconda lingua, però…”.
Rispetto le posizioni del romanziere, e penso che il suo romanzo sia bello, sicuramente interessante dal punto di vista della “simbolica ricerca della verità”, ma lascierei a Shakespeare i suoi natali in terra britannica, decisamente.
Cosa si direbbe se un giorno si ipotizzasse che Dante non era FIORENTINO, ma in realtà era nato nello Yorkshire? Tutte le tematiche dantesche riportano alla Firenze di quegli anni e anche la sua lingua è fiorentina. Allo stesso modo il teatro di Shakespeare è ELISABETTIANO e di italiano o siciliano non ha nulla.
@Massimo
alla domanda “crudele” rispondo: Amleto. Ma é crudele, come dice Eventounico.
@Maria Rita Pennisi
Ricambio affettuosamente i suoi saluti.
scusate: lascerei
Carissimi, un saluto a tutti e un saluto caro a Massimo, Rita, il maestro Seminerio e tutti gli amici cari. Torno da due giorni di assenza, e trovo un post pieno di commenti, di splendidi interventi. Per non parlare della bella recensione di Maria Rita – sempre così attenta, così esatta e scrupolosa nel formulare i suoi giudizi letterari e artistici. Carissima, mi colpisce molto il tuo tono sereno, limpido, rilassato, che aiuta a penetrare gli argomenti che tratti con grande onestà intellettuale. Sei come una finestra che di colpo si spalanca sulle cose, facendole vedere da più angolazioni. E poi, come dici tu, quale idea più affascinante di uno Shakespeare italiano? Io credo che la tua recensione abbia centrato davvero il bersaglio: sicuramente una cosa l’ha fatta, acuire la curiosità che mi spingerà immediatamente ad acquistare il romanzo di Domenico Seminerio e tuffarmi nella lettura. E’ uno di quei testi che ho in mente di leggere da troppo tempo ormai. Sta in una lista che si va assottigliando, e sento che finalmente è il suo turno. E con esso, il mio. Di aprirmi, di scoprire mondi, di lasciarmi trascinare dalla musica possente del dire. E parlo con quell’unico pizzico di orgoglio che quest’oggi mi voglio concedere: da messinese. L’idea che il più grande poeta di tutti i tempi, il più profondo cantore dell’animo umano abbia radici legate a questo mio stesso suolo cittadino mi sconcerta e mi appassiona a un tempo. E’ come scoprire che la grandezza ha qualche legame con luoghi che conosci, spazi entro i quali hai imparato a respirare e a muovere i tuoi passi. E poi, che bello questo alone di ipotesi e di incertezza, questa nebbia fitta e chiaroscurale nella quale gli scrittori dànno forma a pensieri ultimi e profondi sull’esistere. Sono certo che si tratterà di un libro formidabile, a giudicare le tue parole, cara Rita. Invece, conosco benissimo l’altro libro, quello di Bryson, perché l’ho appena letto e lo consiglio caldamente a tutti. Il tono, l’ironia, la semplicità con la quale anche il Sommo diventa argomento di riflessione, di spunto, e stimolo a nuove suggestioni sulle vite dei poeti. Bel libro, che fa sorridere, ma che mette in luce l’umana fragilità dei grandi. E tra i grandi, probabilmente, del più grande in assoluto. Bel post davvero, bravo Massimo, e bravi tutti. Rita, mi hai convinto: prossima lettura: Seminerio, cui auguro tutto il successo che merita per il suo impegno. Grazie davvero a tutti, un saluto, buonanotte…
Grazie a te, caro Luigi.
E un saluto a Roberta.
Caro Luigi,
grazie delle tue belle parole sulla mia recensione. Sono felice di aver suscitato in te tanta curiosità. Il romanzo di Seminerio, secondo me merita di essere letto, non solo per l’argomento e la bravura indiscussa dell’autore, ma anche per l’amore che lui ha messo in questo suo lavoro. Voglio raccontarti una cosa. Ricordo che con Mimmo Seminerio ci incontrammo casualmente alla Ciminiere a Catania, durante una serata di Etnafest organizzata dal poeta Angelo Scandurra. Io gli chiesi a che punto era il suo nuovo romanzo e lui mi disse che era già a buon punto- Mi rivelò anche l’argomento e mi disse che il bardo sarebbe stato il protagonista del suo scritto, ma trattato in una nuova veste, quella del giovane Michel Agnolo Florio, messinese. A me sembrò un’idea grandiosa. Mentre me ne parlava, lui aveva una felicità negli occhi e un entusiasmo, che lo illuminavano tutto. Ecco, mostrava una grande umanità, che nel suo romanzo traspare tutta quando ci presenta la figura del vecchio maestro Perdepane e in anche altri momenti intensi del libro. Ecco perché vale la pena di leggere questo romanzo, perché leggendo questo libro conosci l’autore. Grazie ancora Luigi e buona giornata. Un saluto affettuoso a Domenico Seminerio e a Massimo Maugeri.
Grazie Rita, grazie ancora. Le parole che dici rivelano ciò che ho sempre pensato: la letteratura, la grandezza “irradia”. E un grande artista non può che manifestare quella luce, quel brillio degli occhi. Il romanzo rivela una autenticità che è anche quella dell’uomo Seminerio probabilmente, della bella persona che tu racconti nel tuo scritto. Sono davvero molto curioso di leggere presto il suo romanzo, anche perché – piccola anticipazione – pure il romanzo che sto scrivendo io ha a che fare col grande Shakespeare, e tutto quel che lo riguarda diventa implicitamente oggetto d’attenzione, oltre che di passione. Grazie per i suggerimenti e per le indicazioni. Appena avrò letto ti dirò. Un abbraccio…
Per gli appassionati di cinema+ di Shakespeare, mi permetto di inserire anch’io un link, come Martina che ci ha segnalato un’ interpratazione dell’Amleto. Secondo me nessun regista ( neanche Kenneth Branagh) è riuscito meglio di Roman Polanski a rendere meglio il MACBETH: è un film che riesce a trasmettere allo spettatore in maniera “teatrale” ( in mancanza dell’atmosfera teatrale) l’atmosfera di questa magnifica tragedia.
Il breve brano del video è il famoso monologo del V°atto : “Domani e domani e domani…”
http://www.youtube.com/watch?v=LAi4qzNHtwY
Anche io ho scritto un romanzo su William! e non sapevo che ci fosse già uno bello pronto da leggere! 🙂 ho trovato questo articolo mentre cercavo di contattare il prof Iuvara… volevo chiedergli qualcosa sulla sua tesi…io sono strasicura che sia Italiano e MESSINESE…x me è sempre stato ovvio! ESSERE O NON ESSERE!
🙂
@ Antonio Paoletti
Carissimo, ho spostato le sue poesie su “iperspazio creativo”:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2006/11/02/iperspazio-creativo/comment-page-6/#comment-74110
Grazie mille e a presto.
Salve a tutti,sto scrivendo la mia tesi su Shakespeare e il cattolicesimo!Avreste dei libri critici da consigliarmi?Grazie a tutti!Alessia
Il dipartimento di letterature comparate di Roma Tre ha organizzato una giornata di studi dedicata al ruolo delle opere di Shakespeare nel 2010.
Shakespeare 2010 http://www.uniroma.tv/?id_video=15935
Ufficio Stampa di Uniroma.TV
info@uniroma.tv
http://www.uniroma.tv
Un grande in bocca al lupo al dipartimento di letterature comparate di Roma Tre per la giornata di studi dedicata al ruolo delle opere di Shakespeare nel 2010.
Teneteci aggiornati in merito.