Riporto su questo post dedicato a Sergio Rilletti.
Questo post non è più solo… nel senso che in coda troverete un nuovo racconto di Rilletti (alias Mr. Noir). Si tratta di un racconto che fa parte dell’antologia “CRIMINI DI REGIME” (Editrice Laurum).
Sergio si autodefinisce diversamente abile. Per me è abile. Solo… abile.
Bravo, Sergio!
Massimo Maugeri
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Giorni fa scrissi un post dal titolo: Quando un “diversamente abile”… è solo”.
Il protagonista di quel post è lo scrittore Sergio Rilletti (nella foto). Quello che vi propongo qui di seguito è una breve presentazione del racconto “Solo!” scritto dallo stesso Rilletti in occasione di un’esperienza non particolarmente piacevole che è stato costretto a subire. Seguirà il racconto. Il post è un po’ lungo ma vi invito a leggerlo da cima a fondo. Ci tengo molto. Magari salvate la pagina sul vostro pc e leggete off-line. Poi tornate qui e, se vi va, lasciate le vostre impressioni come commento.
Vi ringrazio molto per l’attenzione.
(Massimo Maugeri).
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Un autore di thriller crea i propri alter ego proprio per far vivere loro delle esperienze da brivido, che ovviamente auspica di non dover vivere mai.
Non può certo immaginare che, un giorno, una persona di sua conoscenza lo scambi per il suo eroe seriale e decida di metterlo in una situazione assolutamente poco confortevole!
E’ quanto accaduto a me – creatore di Mister Noir, detective privato in carrozzina -, il 9 aprile scorso al parco di Monza, quando, come avevo brevemente narrato nell’appello pubblicato sullo scorso numero di M-Rivista del mistero, un “branco di amici” mi ha mollato in mezzo al parco di Monza, a bordo della mia piccola carrozzina elettrica, per farsi un giro in risciò. Senza voltarsi più. Costringendomi a cavarmela, e a ritrovarli, da solo.
Sì, Solo!, come il titolo di questo racconto, il primo sequel narrativo di una rubrica della posta.
E, come in tutti i sequel che si rispettano, vengono svelate (parzialmente) le identità professionali di alcuni personaggi, tutte le strategie che ho dovuto attuare, tutte le mie emozioni, e lo stretto rapporto – breve ma intenso – con i due ragazzi che alla fine mi hanno aiutato in modo ottimale e che, come ho scritto nello scorso numero, vorrei assolutamente ritrovare e ringraziare.
Non solo. Ma, come in un enorme gioco dei paradossi, che mi piace tanto sviluppare nei miei racconti, i ruoli si confondono, e chi ufficialmente è considerato un handicappato si dimostra improvvisamente un “super-dotato”, surclassando in capacità chi, invece, deve accontentarsi della sua perenne condizione di “normodotato”.
Oltre 90 minuti di autentica tensione, narrati onestamente in soggettiva, in cui ogni lettore non potrà fare a meno di essere me!
Un racconto che determina la nascita di un nuovo genere letterario: il reality novel!
Sergio Rilletti
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SOLO!
Racconto di Sergio Rilletti
Quest’anno ho scoperto che il Destino è un mio grandissimo fan; un fan un po’ apprensivo, a dir la verità, che, ingiustamente preoccupato che rimanga senza ispirazioni per i miei thriller, me ne fa capitare di tutti i colori. La storia che state per leggere è assolutamente vera. Dopo una lunga e attenta meditazione ho deciso di scriverla “in soggettiva”, telecamera immaginaria alla mano, per portarvi con me, a bordo della mia carrozzina elettrica, e farvi vivere quello che ho vissuto io, esattamente come l’ho vissuto io: pensieri compresi. La data e i luoghi sono veri, i nomi dei personaggi sono ovviamente modificati per salvaguardare la loro privacy. Solo i nomi di Lisa e, mi pare, Mauro (ho una certa idiosincrasia con i nomi maschili), protagonisti assoluti del terzo capitolo, sono veri; e ho voluto mantenerli tali in modo che loro si possano riconoscere e io possa ringraziarli. Ma ora basta con le chiacchiere, e seguitemi nei meandri del parco di Monza e della mia mente. (Sergio Rilletti) .
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Domenica 9 aprile 2006, Ore 13.10 circa, Parco di Monza
Vanno. Loro vanno. E io, rimango sempre più indietro.
Certo che seguire due risciò con una carrozzina elettrica di modeste dimensioni e di scarsa potenza come la mia, non mi sembra un’idea proprio geniale, anche perché il terreno qui è sconnesso. Ma come potevo impedire agli altri di andarci? Ora dovrò fare la passeggiata da solo, e accontentarmi dei momenti di contatto che avrò quando si fermeranno ad aspettarmi. Accontentarmi e gustarmeli. Fino in fondo.
Già, accontentarmi. Loro davanti, tutti assieme, che si divertono; e io qui dietro, da solo, che arranco. D’altronde, non potevo certo oppormi, non potevo impedire agli altri di fare questa bell’esperienza.
Ma come ha potuto Carletto fare una proposta del genere?
Speriamo almeno che si fermino. Qui il terreno è accidentato, e la carrozzina traballa.
Sì, sì; sicuramente si fermeranno. Carletto è un professionista: sa quello che fa. Sì, ecco, si fermano. Bravo, Carletto: sapevo di poter contare su di te! Ora vi raggiungo. Ancora qualche metro su questo terreno sconnesso, e sono da voi. Una buca, due buche, una pozzanghera di fango, un dosso di terra battuta, e ancora una buca. La carrozzina traballa per tutto il tempo, ma alla fine vi raggiungo. Sorrido. Anche Carletto sorride, e poi mi fa: “Senti… Possiamo andare avanti?”
A me si raggela il sangue e non dico nulla, paralizzato, sbalordito; ma Carletto non si accorge di niente e prosegue: “Ti fai una bella passeggiata da solo nel parco fino alla cascina. Tanto la strada è facile: vai avanti fino all’autodromo e poi giri a sinistra, costeggiandolo.”
Sconcertato, rispondo di sì. Io non sopporto l’idea di rimanere da solo in un luogo pubblico, soprattutto in un parco; un parco non mi dà alcun senso di sicurezza: si può incontrare chiunque, in un parco, assolutamente chiunque. Ma che diritto ho io di limitare agli altri questa bell’esperienza? Domando di nuovo la strada, con espressione estremamente titubante, per far capire che non sono affatto sicuro, Carletto me la ripete, e io, sempre titubante, li saluto. Tanto, penso, si gireranno. Non mi perderanno certo di vista!
Vanno. Loro vanno. Senza voltarsi.
E mi distanziano sempre più.
Io arranco con la mia piccola carrozzina elettrica. Qui il terreno è asfaltato, procedo abbastanza bene. Li vedo allontanarsi. Già, si allontanano. E non si voltano.
Cazzo, ma voltatevi!
Niente. Non si voltano.
Vedo, lontano, una curva; una curva che devono intraprendere. Sarei tentato di tagliare per il prato, per avere almeno una piccola possibilità di raggiungerli, ma se mi ribalto che faccio? Il terreno erboso è il più insidioso di tutti, perché l’erba copre, e, sotto l’apparenza di un terreno verde e pianeggiante, si cela sempre un terreno accidentato, pieno di dune, pendenze, e avvallamenti. E le possibilità di ribaltarsi sarebbero infinitamente superiori! Non mi fido, e decido di proseguire per la strada principale; anche se sono consapevole che non li raggiungerò mai.
Continuo, senza perderli di vista.
Finché posso.
Poi salgono su una montagnetta; su, su, fino in cima.
Li guardo, per vedere se si girano. Si gireranno sicuramente per salutarmi. Si girano? No, se ne vanno: proseguono. Lasciandomi definitivamente solo.
Oh, cazzo! Speriamo in bene! Avanti fino all’autodromo e poi giri a sinistra, mi hanno detto. Devo costeggiare l’autodromo. Ma dov’è l’autodromo? Speriamo almeno che la batteria della carrozzina duri fino alla cascina, che non si scarichi prima. Proseguo, tesissimo. Maledico il momento in cui ho accettato. Maledetta generosità! Ora loro (Carletto, i due assistenti dell’Organizzazione, e i tre miei compagni) sono tutti insieme a divertirsi, mentre io sono qui a girare da solo come un pirla! Mi impongo di calmarmi, ci riesco; tanto ormai è inutile: sono da solo! Quindi, ho due alternative: o continuare a recriminare o godermi il panorama. Opto per la seconda. Intanto proseguo sempre dritto, per un bel po’. Dritto, e poi all’autodromo a sinistra, costeggiandolo, mi ripeto. Meno male almeno che il tempo è bello. Pensa un po’ se minacciasse di piovere…
Continuo la mia marcia forzata ostentando un interesse particolare per tutto il verde che mi circonda. Laggiù, lontano, vedo anche le montagne innevate. Non che mi interessi in modo particolare un panorama che, andando a questa velocità, cambia poco; ma almeno mi aiuta a distrarmi e a non pensare che sono solo… e che devo trovare la strada per tornare alla cascina. A proposito: dove cazzo è l’autodromo? Ormai è da un po’ che sto camminando. Possibile che sia così avanti? Possibile che siano andati così avanti? Mi fermo, scruto l’orizzonte, ma dell’autodromo non si vede neanche l’ombra. Eppure non è piccolino. È un autodromo, voglio dire: se ci fosse, lo vedrei! Anche lontano, magari, ma lo vedrei! Rischio di farmi prendere dal panico; invece no, non devo!
Aziono la cloche della mia carrozzina, e procedo. Se ti hanno detto vai avanti fino all’autodromo, e non vedi ancora l’autodromo, vuol dire che non sei ancora arrivato. Semplice, no?
Semplice un corno! Se sei in un posto sconosciuto, hai solo una vaga idea di dove dover andare (sperando, tra l’altro, di aver capito bene), non vedi mai arrivare questo cazzo di punto di riferimento (peraltro neanche tanto piccolo), ti guardi intorno e ti sembra tutto uguale, e non puoi neanche chiedere una conferma a qualcuno perché le tue difficoltà motorie ti creano qualche problemino nel farlo, allora no, non è affatto semplice essere sicuri di non aver sbagliato strada. Ma proprio neanche un po’. E comunque non ti preoccupare, mi dico. Appena non ti vedranno arrivare, ti verranno sicuramente a cercare! Ora non devi fare altro che andare avanti fino…
Mi blocco.
Mi raggelo.
Ma no… non è possibile!
E mo’, dove vado?
MA DOVE CAZZO E’ L’AUTODROMO?!
Sono arrivato a un incrocio a T. Davanti a me la strada è sbarrata da un paio di panettoni. O meglio: non è che sia proprio sbarrata, ma comunque il passaggio non è abbastanza largo per un risciò. E poi, al di là dei panettoni, il terreno sembra sabbioso. Evidentemente è qui che devo girare a sinistra. Sì, ma… Dove è l’autodromo?
Vado. Ma le cose non stanno andando come previsto. E questo non mi piace neanche un po’. Sto abbandonando il viale principale. Non è prudente, lo so, ma per un po’ rimarrò comunque ben visibile: se ripassassero, mi vedrebbero sicuramente! E poi, loro mi aspettano in cascina. L’appuntamento è là!
Arrivo a un altro incrocio. Ora ho tre possibilità: o attraversare la strada e proseguire diritto (però quella mi sembra una zona un po’ troppo boscosa), o immettermi in questa strada dove scorrazzano le auto (e non ci penso proprio!), oppure seguire questo controviale pedonale che costeggia la carreggiata delle auto. Sì, questa terza soluzione mi sembra la migliore: la seguo. Anche perché, in effetti, quelle auto devono pur fermarsi da qualche parte. Non è detto, ma magari vanno proprio all’autodromo. Procedo lungo il controviale, mentre le auto continuano a sfrecciare alla mia sinistra. Ecco. Ora ho completamente abbandonato il viale principale, non lo vedo più; e per ogni metro che faccio su questa strada, la tensione aumenta. Speriamo in bene, speriamo di aver fatto la scelta giusta!
No!…
Rallento.
No!…
Rallento.
No!…
Mi fermo.
Di nuovo. Per forza.
Nooo!… Ma porcaputtana! Ma non è possibile!… E che è?!
La strada è sbarrata, di nuovo. E questa volta non si tratta di semplici panettoni, tra cui, magari, potrei passare; no, è proprio sbarrata, chiusa!
Ansimo. Sento un brivido corrermi lungo la schiena: parte dalla cervicale e si snoda in tutto il corpo. Dondolo la testa da una parte e dall’altra, per sgranchire i muscoli del collo e scaricare la tensione. Scoppio in una risata isterica, giro la carrozzina, e mi affretto a tornare indietro. Ecco, ora sono proprio nei guai. Ma proprio Guai Guai Guai! Non vedo l’ora di tornare sul viale principale. Cazzo, adesso come faccio? Magari mi si scarica pure la batteria della carrozzina! Ma che coglioni!
Sono tornato sul viale principale, finalmente. Giro fiducioso la testa a destra e a sinistra, ma di Carletto & Co. neanche l’ombra. Ma che coglioni! Vado a destra e poi torno indietro, mantenendo una posizione ben centrale. Vedo scorrazzare molti risciò, ma nessuno con tre persone a bordo. Finalmente ne vedo uno con tre passeggeri. Mi sento sollevato. Alzo la mano sinistra e preparo un bel sorriso, pronto a fare un allegro cazziatone; ma quando il risciò si avvicina… devo ritirare tutto: mano e sorriso. Non sono loro! Ma che cosa aspettano a venirmi a cercare? Non si sono accorti che non ci sono? Qui devo razionalizzare i movimenti, non posso continuare così! Se mi si scarica la carrozzina, sono guai! E sì che Carletto è un professionista: dovrebbe ben sapere che potrebbe scaricarsi la batteria. Ma che coglione! Torno indietro, fino alla mappa del parco che avevo notato, e guardo dov’è la cascina. È un po’ lontana, ma decido di riprovarci.
Parto. Comincio a ripercorrere la stessa strada di prima, ma la tensione e la rabbia hanno raggiunto livelli ormai incontrollabili. Ma guarda un po’ cosa mi doveva capitare: il professionista coglione! Ma quando arrivo a casa, quelli dell’Organizzazione mi sentono! Che poi loro, quelli dell’Organizzazione, in effetti non hanno colpa: Carletto ha un curriculum favoloso, è normale che scegliessero lui! Chi poteva immaginare che, uno con un curriculum favoloso come il suo, potesse combinare una stronzata del genere? E ora, che faccio? Sto percorrendo di nuovo questa strada, e loro non ci sono ancora! Non posso continuare a girare così a caso: la carrozzina rischia di scaricarsi! Devo chiedere aiuto. Ma a chi? Anche ammesso di riuscire a parlare in modo abbastanza chiaro da farmi comprendere, a chi chiedo informazioni? Qui è pieno di gente, è vero, ma sono comunque tutti dei passanti: non è detto che sappiano dove è la cascina. Mentre cerco invano la figura di Carletto & Co., uno spiraglio si apre. Uno spiraglio di speranza. A forma di entrata. A circa venti metri da me, sulla destra, c’è una deviazione che porta a due colonne che delimitano l’entrata di un rione. Mentre mi avvicino guardo meglio: sembra un quartiere agricolo, e ci sono delle case. Sono un po’ in dubbio se entrare o no: si tratta comunque di abbandonare di nuovo il viale principale; consumerei batteria, il terreno lì è molto sconnesso, e il risultato è incerto. Ma comunque, se voglio chiedere aiuto, è lì che devo andare.
Varco l’entrata, e mi sembra di ritrovarmi in aperta campagna. Vado avanti per il sentiero sterrato stando ben attento a dove metto le ruote, per non ribaltarmi. Alla mia sinistra vedo un vecchio contadino raccogliere legna, qualche metro dietro a lui c’è un bel fuoco, e, un po’ più lontano, quasi di fronte a me, leggermente alla mia destra, una donna bruna sbuca dal cortile del rione, camminando a passo spedito. Sarà per l’aspetto giovane ed eretto, sarà perché, per esperienza, so che le donne sono spesso più sveglie di noi uomini, sarà per la mia naturale propensione verso il sesso femminile, ma opto per lei. Io opto per lei ma lei non opta per me, e devia verso un altro sentiero. Rimango stupito: pensavo che la mia fosse l’unica strada per entrare e uscire da quel rione; e invece, a quanto pare, no. Capisco subito che non la raggiungerò più e mi dirigo verso l’agglomerato di case, disposte a ferro di cavallo. Entro nel cortile e mi colloco nel centro. Lo spettacolo è deprimente e angosciante; mi sembra di essere capitato in una città fantasma. Case bianche e fatiscenti, con persiane verdi e porte marroni. Forse, una volta, erano belle, ma ormai i muri sono sporchi e scrostati, logorati dal tempo, e le porte, anche se chiuse a chiave, non danno certo l’idea di sicurezza e protezione.
Comincio a gridare (“Aiuto! Aiuto! Aiuto!”), ma la parola Aiuto ha una combinazione di lettere davvero ostica per me, quindi riesco a pronunciare solo la A, mentre tutte le altre lettere mi muoiono in gola.
Nessuno si affaccia. È inutile rimanere oltre.
Decido di tentare con il contadino. Torno indietro, ma… No! Dov’è?… Dov’è finito il contadino? Mi dirigo nell’esatto punto dove l’avevo visto prima; mi guardo intorno: il fuoco c’è ancora… ma il contadino no. No, non è possibile! Ho perso l’unico contatto che avevo! Calma, calma. Sta’ calmo e ragiona. Se ha preso della legna e al fuoco non c’è, vuol dire che l’ha portata da qualche altra parte. Ma dove?… A casa, certo: è andato a casa! Torno nel cortile, e scruto tutte le porte delle case. Laggiù, in fondo, ce n’è una aperta. Il contadino dev’essere là! Mi avvicino. Il contadino esce, mi guarda incuriosito, e mi viene incontro. “Hai bisogno di aiuto?“ mi chiede.
La sua voce fessa non promette nulla di buono, ma io faccio cenno di sì.
“Ti sei perso?”
La risposta esatta sarebbe “No, mi hanno perso”, ma, per semplificare, taglio corto e rispondo di sì.
Eh-eh! E mo’ viene il bello! In casi come questo, quando devi spiegare una tua impellente necessità ad un estraneo, devi proprio dimenticarti qualsiasi forma di preambolo, di sintassi, e di educazione, che impegnerebbero l’attenzione e il tempo dell’altro inutilmente, e concentrarti solo sull’informazione primaria in sé. Sono un po’ incerto sull’informazione da chiedere. Indicargli la borsa, per fargli prendere la mia agenda e telefonare a qualcuno, mi sembra troppo complicato; quindi, mi rimangono due possibilità: Cascina o Autodromo? ‘Fanculo l’autodromo!, mi rispondo. Lo guardo fisso negli occhi, e, scadendo bene le parole, dico semplicemente: “Cascina Costa Alta.”
“Cascina Costa Alta?! mi ripete. Come, mi ha capito? Sono sinceramente stupito: non mi aspettavo che ci saremmo capiti così, al primo colpo; mi affretto a dire di sì. Lui mi guarda un po’ perplesso. “Sei un po’ lontano: la cascina che dici tu è a due chilometri da qui.”
Io lo guardo sbigottito. Rimango senza parole, anche nella mente.
“Guarda: Tu, uscito da qui, vai a sinistra; poi, a un certo punto, vedrai un cartello con l’indicazione ‘Bocciodromo’. – Il contadino mi spiega tutta la strada, sembra facile, ma poi conclude: – Comunque, secondo me, non ce la fai ad arrivare, perché alla fine c’è una salita così. Hai capito?”
Dentro rabbrividisco, ma comunque non posso chiedergli di più: rispondo di sì, lo ringrazio, e, anche se insicuro, vado. Incontro di nuovo la donna bruna; sarei tentato di chiederle aiuto, ma ho paura che il contadino, vedendomi, possa rimaner male. Proseguo senza dir niente.
Esco dal rione e comincio a cercare febbrilmente l’indicazione per il bocciodromo, sperando sempre che la carrozzina non si scarichi. Finalmente la trovo, esulto, e la seguo. Ma anche quella strada porta da nessuna parte. Torno indietro sul viale principale, e mi guardo intorno. Ci sono? No, macché! Ma che gruppo di coglioni!… Ma che branco di handicappati! Decido di andare ancora alla mappa, per chiedere aiuto da lì. Ma che imbecilli! La mappa, oltre alla cartina del parco, mostra, in basso, sei cerchi con i luoghi più importanti del parco. Io mi posiziono il più vicino possibile, in modo da poter indicare con facilità Cascina Costa Alta. Comincio a gridare agitando le braccia, per attirare l’attenzione; le persone, però, non mi degnano neppure e tirano dritto.
Dopo un po’ vedo arrivare una famigliola – papà, mamma, e bambino -, e io, avendo una fiducia smodata nelle famiglie, gesticolo ancora di più. L’uomo mi vede sbracciarmi e gesticolare, mi guarda, e, con lo sguardo assente come il suo cervello, mi risponde: “Ciao!”
“Eh, Buonanotte!” lo saluto io.
Finalmente arriva un giovane pattinatore, castano e riccioluto; arriva sparato sui rollerblade, e, dopo qualche giravolta di rallentamento, si ferma proprio accanto a me. Io gli indico la cascina, e lui mi indica la strada; si assicura che abbia capito, e poi se ne va, sparato com’era arrivato. Vado, ricordandomi che a un certo punto devo girare a sinistra. Io vado, ma qui è tutto uguale. Dov’è che devo girare? Sono depresso, angosciato, non ce la faccio più. Il mio sguardo vaga alla ricerca di Carletto & Co., oppure, in alternativa, di qualche vigile o poliziotto a cavallo (so che esistono). Avrei voluto evitarlo, ma dopotutto… Cazzi loro: a mali estremi, estremi rimedi!
Non vedo nessuno.
C’è un viale a sinistra: lo prendo; ma mi sembra dannatamente uguale a quello che mi aveva portato alla strada carreggiata e al controviale pedonale senza uscita, e mi faccio prendere dal panico. Sono sull’orlo d’una crisi di nervi. Incrocio un uomo; vorrei chiedergli aiuto, ma è troppo impegnato con il suo cellulare. Proseguo.
Pochi metri davanti a me compaiono due ragazzi: lei è una deliziosa biondina, con i capelli lunghi e il viso rotondo, pieno di nei ma “pulito”; lui è bruno, capelli corti, viso tendente al rotondo ma con lineamenti più marcati. Mi vengono incontro. Io devo avere un’espressione abbastanza spaventata, perché lei mi chiede subito se mi serve aiuto, senza bisogno che io dica A: io mi affretto ad annuire.
“Ma è da solo?” si chiede lei con stupore e voce carezzevole, guardandosi intorno. E poi, rivolgendosi a me: “Ma eri con qualcuno?”
“Con un gruppo.”
“Vedi, era con un gruppo!” esclama, rivolta al ragazzo.
“Ma io non vedo nessuno”, risponde lui, scrutando l’orizzonte.
“Neanch’io” ribadisce lei.
Io scoppio in una piccola risatina isterica. Eh! Non ditelo a me!
“Guarda nella sua borsa, magari ha un numero da chiamare”, dice lei.
Io sto per assentire, ma lui, con un tono dolce e imbarazzato, dice: “No… Non me la sento di mettergli le mani in borsa .”
“Vabbe’… Andiamo in là, vedrai che li troviamo!” dice la ragazza, rivolgendosi a me. Io non sono proprio così ottimista, ma capisco che non mi abbandoneranno, e mi sento al sicuro. Li identifico subito come due angeli custodi mandati da Dio, e lo ringrazio. Sul serio! Io non sono particolarmente avvezzo a questo tipo di pensieri, non mi capita molto spesso di ringraziare Dio, e quasi mai lo faccio tempestivamente; ma, questa volta sì.
C’incamminiamo, e io mi mantengo qualche metro davanti a loro; abbastanza vicino perché capiscano che sono sempre con loro, ma abbastanza lontano perché possano continuare a godersi un po’ di intimità. Li sento ridere e scambiarsi paroline affettuose. È un piacere sentirli: mi fanno andare indietro nel tempo; agli amori giovanili dei miei primi amici. Sì, è proprio un piacere sentirli. Parlano tra loro, ma so che sono con me. Sì, loro sono con me, e sento lei dire: “Ma l’hanno lasciato solo? Ma che gente è?… Ma come si fa a lasciarlo solo?”
Sogghigno, con soddisfazione e sollievo. La tipa è sveglia, ha colto proprio nel segno: non pensa che mi sono perso, pensa che mi hanno perso!
Arriviamo al viale principale, ci guardiamo intorno, ma… Toh, che strano. Non c’è nessuno.
“Io non vedo nessun gruppo. Se ci fosse un gruppo, lo vedremmo”, dice lei con aria smarrita e stupefatta.
“Che facciamo, chiamiamo i vigili?” propone lui.
“No, aspetta. Magari in borsa ha un numero da chiamare!”
“Ma a me non va di mettere le mani nella sua borsa”, ribadisce lui, timido e imbarazzato al tempo stesso. Mi fa proprio una bella impressione: il rispetto, quasi reverenziale, che ha per me e per la mia privacy mi colpisce e mi commuove. Ma questo non è il momento della riservatezza, e faccio chiaramente capire che non deve farsi problemi e di guardare pure nella mia borsa.
“Ecco, vedi, vuole che guardiamo nella sua borsa; giusto?”
Annuisco con veemenza. “Ho una agenda” mi dico, scandendo bene le parole.
“Hai un’agenda?” ripete lei. Poi, vedendo la mia espressione meravigliata, mi fa: “Sei stupito perché ho capito? Ma io sono abituata con i bambini, faccio la maestra. Eh sì: la maestra Lisa capisce sempre tutto!”
Maestra? Ma come maestra? Io pensavo che andasse ancora a scuola.
Chiedendomi ancora una volta il permesso, il ragazzo comincia a frugare nella mia borsa, maneggiando ogni cosa come fosse una reliquia antica di immensa fragilità, finché trova la mia agenda.
“Chi dobbiamo chiamare?” mi chiede Lisa.
La cosa più facile sarebbe far aprire l’agenda alla prima pagina, dove ho i numeri dei miei familiari e parenti, e far chiamare i miei genitori. Ma, se lo faccio, mia madre si terrorizza. So di non avere il numero di quell’imbecille di Carletto, ma so di avere quello di Filomena, una delle assistenti che era rimasta in cascina con altri ragazzi. So di avere il suo numero di casa; spero di avere anche quello di cellulare. Dico di aprire l’agenda alla lettera F, indico il nome di Filomena, ma… Ho soltanto il suo numero di casa! Il cuore mi sale in gola, ma non dico niente. Lisa prende il mio cellulare, lo accende, ma si accorge che dovrebbe mettere il pin per attivarlo; e, anziché chiedermi il codice, mi rimette via il telefono, chiedendo al ragazzo di usare il suo. Io lo lascio tentare. C’è ancora una piccola possibilità, una fievole speranza: Asdrubale, il neo-ex fidanzato di Filomena, in quel momento potrebbe essere proprio lì, a raccogliere le sue cose.
Asdrubale risponde. Il ragazzo gli parla, e deve ripetergli due volte che mi hanno trovato a girare da solo in mezzo al parco di Monza, e che sono molto agitato; gli dà il suo numero di cellulare, di cui, purtroppo, memorizzo solo le prime tre cifre, e gli dice di richiamarlo per fargli sapere dove dobbiamo trovarci. Riattacca, e ci riferisce che Asdrubale si è incazzato e ha detto frasi del tipo: “Ma come da solo?… Ma sono impazziti?”
Il cellulare suona: è Carletto. Il ragazzo non riesce fargli capire dove siamo, e allora gli dice che li aspetteremo all’incrocio dove c’è la mappa.
Ci avviamo. Io vorrei chiedere al ragazzo il suo numero di cellulare, per poterli richiamare, ringraziare bene, e magari, perché no, rivederli con un po’ più di tranquillità per chiacchierare un po’; vorrei proprio farlo, ma, invece, mi blocco: mi stanno aiutando, stiamo procedendo verso un obiettivo ben preciso, non voglio distogliere la loro attenzione, per magari agitarli o imbarazzarli. Tanto, penso, Carletto e Asdrubale ce l’hanno. Sicuramente me lo daranno. Do la precedenza a una parola, una soltanto, che devo per forza dire ora, se no poi, nella confusione, magari non riesco più a pronunciare: “Grazie.”
“Di niente, figurati!” risponde prontamente lei.
Chiedo a lui come si chiama.
“Mauro”, dice sorridendo.
Lei si affretta a ridirmi che si chiama Lisa, ma in realtà il suo nome l’ho già memorizzato da prima. “E tu?” fa lei, con voce gioiosa.
“Sergio.”
“Ah, Sergio.”
Arriviamo all’incrocio, e ci mettiamo proprio accanto alla mappa; così, giusto per essere sicuri che ci vedano. Lisa e Mauro sono di fronte a me, e, mentre stiamo aspettando che arrivino, inaspettatamente, veloce come un lampo, tra loro schiocca e sboccia un bacio. È un bacio-lampo, reciproco e simultaneo, un bacio giocoso, uno di quelli che solo due fidanzatini possono scambiarsi. Un bacio fresco, giovane, primaverile, che si fonde perfettamente con i colori di questa bella giornata. Non posso trattenere un moto di contentezza. Loro se ne accorgono e scoppiano a ridere, creando tra noi un legame magico e indissolubile.
Arriva Carletto, incredibile ma vero, con il pulmino dell’Organizzazione. Scende e, anziché dire frasi del tipo Come stai?… Scusami. Ma che pirla sono stato! oppure Grazie, ragazzi! Davvero, grazie mille!, comincia a sfottermi dicendo che non ho il senso dell’orientamento; e quando Lisa gli dice “Guarda che era molto spaventato! “ lui rincara la dose, facendo i versi che di solito si riservano ai bebè, e sostenendo che mi stavano cercando dappertutto e che, comunque, era tutto sotto controllo.
Minchia! Lo mando subito, e più volte, affanculo. Non gli dico dove deve mettersi il pulmino solo perché sul pulmino devo salirci anch’io. Mentre uno degli assistenti, senza proferir parola, mi carica di gran carriera, ho solo il tempo di un ultimo fugace sorriso con i due ragazzi. Lisa e Mauro sono lì; probabilmente si aspettano che Carletto dica loro qualcosa. Io lo guardo con due occhi grandi così. Adesso li ringrazierà, sì. Arriverà a capire che deve ringraziarli! No, macché! Carletto non arriva a capire neanche questo! Sale sul pulmino, e parte.
Mi guardo intorno, e mi accorgo che la compagnia è cambiata, a parte Carletto e l’assistente che mi aveva caricato sul pulmino. Non sono quelli che erano partiti con me dalla cascina, sono quelli che erano rimasti dentro. E ci sono pure dei miei compagni in carrozzina! Sono scioccato. Ma come? Venite a cercare me, e, anziché organizzare un gruppo di soli assistenti in modo da poter essere più liberi nei movimenti, vi portate dietro le carrozzine? No, non è possibile! Non è proprio possibile!
Filomena, seduta accanto a me, è al telefono con Asdrubale. Mi dice che Asdrubale poi mi darà il numero di cellulare del ragazzo, e io, contento, lo ringrazio. Filomena comincia a farmi domande a raffica, come se potessi spiegare in cinque minuti cosa mi era accaduto, e alla fine, bella bella esclama: “Sai, Sergio, di questa storia potresti scrivere un racconto!”
“Sì, sì… Contaci!”
Cascina Costa Alta, Ore 15.30
Mi trovo qui, nel salone. Sono tornato da poco, e ora sto mangiando. Mi sento ancora un po’ scosso per quello che mi è accaduto. Tutti mi hanno accolto con un grande applauso, è vero, ma nessuno mi chiede niente. Perché? Neanche Guido e Viola, i due assistenti con cui ho più confidenza, mi chiedono niente; neanche come sto. Perché? Il cellulare di Carletto suona: è mia madre. Carletto le dice “che ho fatto una cosa…!”, facendole supporre che si tratti di una bricconata.
La saluto, dicendole solo che ora sto bene. Tanto, penso, ho tutto il tempo per far rabbrividire familiari, parenti, e un nugolo di amici!…
Quando ho iniziato a scrivere questo racconto, non immaginavo che venisse così lungo. Il fatto è che nelle mie molteplici narrazioni orali, per quanto fossero dettagliate, ho sempre tagliato i particolari dei miei pensieri, delle sensazioni, e degli imprevisti che incontravo, parti fondamentali della vicenda, per non affaticare troppo l’ascoltatore; quindi, quella che mi ricordavo all’inizio, al momento della premessa, era solo la versione “orale”, non quella “integrale”. Poi, scrivendo, mi è riaffiorato in mente tutto. E solo così, solo mettendo tutto quello che avevo visto e provato e pensato, espressioni da educanda infuriata comprese, potevo trasmettere esattamente quello che avevo vissuto, scandendo l’evoluzione della mia paura “momento per momento”, che comunque ho sempre dominato. Ma se la paura non ha mai governato la mia mente, ha però dominato quella degli assistenti, che, accomunati da un malsano concetto di unione di gruppo, si sono fatti fagocitare tutti dal terrore. E questa vicenda, purtroppo, ha un epilogo delirante. Io, in cuor mio, so già che deciderò di non querelare Carletto, anche se potrei diventare ricco con estrema facilità; un po’ perché appartengo comunque a una famiglia di santi, e un po’ per non creare dei problemi all’Organizzazione, che, in fondo, non ha colpa. Però non mi va di dirlo subito, e lo tengo per me. Filomena mi scrive un’e-mail dove mi dice che mi ha visto un po’ agitato e di confidarmi pure con lei, se voglio. Io mi fido, le scrivo in due righe quello che penso di Carletto, e lei non mi dice più nulla, né per e-mail né a voce. Gli altri assistenti, anche quelli che credevo affezionati, non mi dicono più nulla al riguardo; e quando mi vedono, fanno finta che sia successo niente. Non solo. Ma non riesco neppure a ottenere il numero di cellulare di Mauro: né Carletto né Asdrubale, che oltretutto me l’aveva promesso, l’hanno tenuto, compiendo così un atto gravissimo, deplorevole e senza senso (senza senso in tutti i sensi!), degno di un racconto non giallo, ma noir. E pensare che io li volevo solo ringraziare, quei due ragazzi. E l’ho più volte specificato a Carletto, ad Asdrubale, e all’Organizzazione, che volevo solo ringraziarli… L’unica vera soddisfazione in questa vicenda è essere riuscito a cavarmela in una situazione difficile e imprevedibile, e di aver scoperto di possedere, forse, più capacità di quelle che sospettavo. Quest’anno il Destino si è dimostrato un mio grandissimo fan, procurandomi parecchi colpi di scena… tra cui l’incontro con Lisa e Mauro. Spero proprio che un giorno, magari con l’aiuto di qualcuno o la complicità di qualche appuntamento di Alacran Edizioni, possa procurarmi un altro colpo di scena e farmeli incontrare di nuovo.
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COME IN FAMIGLIA
di Sergio Rilletti
Zagarolo, ottobre 1943
Lisa, uno scricciolo biondo di appena otto anni, era là fuori, a guardare l’immensa distesa verde che si estendeva verso nord-ovest. Alla sua sinistra c’era il bosco; alle sue spalle, la casa; e, sparsi un po’ ovunque, compreso lungo il sentiero da dove arrivavano le persone, una moltitudine di filari di vigneti diversi.
Sì, Lisa era lì, immobile, a pochi metri dal bosco.
Ma lei non aveva paura del bosco; perché, dal bosco, non spuntavano i lupi. Almeno non per lei.
I lupi, per Lisa, avevano le ali.
Lei li sentiva arrivare quand’erano ancora lontani. Arrivavano rombando, e devastavano tutto l’ambiente con i loro proiettili e le loro bombe.
I lupi volanti non ululavano, ma facevano ululare le sirene d’allarme nelle città.
Lei, però, non era più in città, a Milano, vicina ai suoi genitori e alle sue sorelle; era a Zagarolo, una località agricola vicino alla capitale, dalla famiglia di zia Nella. L’aveva portata lì suo padre, circa due mesi prima – a causa degli incessanti bombardamenti che subivano le grandi città – lontano da loro, ma al sicuro tra le braccia accoglienti di zia Nella.
Erano passati due mesi, ormai, e lei era ancora lontana dalla sua famiglia: senza avere la possibilità di avere notizie, senza telefono. Ma lei, Lisa, era sempre in contatto con i suoi genitori: ogni giorno si metteva ai margini di quell’immenso prato verde, sempre a guardare nella medesima direzione, e con la forza dell’immaginazione lo percorreva fino all’orizzonte, fino a Milano.
Improvvisamente lo sentì arrivare, rombando.
Lei si paralizzò. La voce spiegata di Marta, che stava sopraggiungendo di corsa dalla casa, sovrastava il ringhio del lupo volante. Il rombo dell’aereo diventava sempre più forte, le grida concitate di Marta si avvicinavano. Il lupo si scaricò, e, mentre l’ordigno precipitava a meno di cinquanta metri da lei, Marta stava arrivando a tutta velocità.
La bomba precipitò, e si infossò nel terreno; non esplose, per fortuna, ma sollevò un’immensa coltre di scorie che offuscò il cielo. Marta, dall’alto dei suoi vent’anni, si tuffò sul corpicino dell’adorata cuginetta, proteggendolo dalla pioggia di detriti.
Quando la pioggia cessò e il rombo dell’aereo scomparve, Marta si sollevò, guardò Lisa, ed emise un profondo sospiro di sollievo.
Si avviarono verso casa. Zia Nella corse loro incontro con due braccia larghe così; le abbracciò.
Il pomeriggio, Lisa lo trascorse in compagnia di Marta e Guglielmo, in salotto, ad osservare i loro sguardi e ad ascoltare l’Italiano stentato di lui. Marta sorrideva, impegnandosi con caparbietà nel suo ruolo di maestra.
Era una scena divertente, per una bambina come Lisa, e anche Marta – con la sua lunga chioma riccia e nera – sembrava divertirsi; anche se in realtà, all’insaputa della piccola, le orecchie della ragazza erano ben tese verso l’esterno, pronte a captare qualunque segnale d’allarme. Non che Zia Nella avesse qualcosa da nascondere, non per il suo animo almeno, ma rispetto a certe persone che frequentavano la casa, sì, era meglio che non mostrasse quanto fosse grande il suo animo.
E i suoi figli, Dario e Marta, avevano preso da lei.
Dario in quel periodo era a letto ammalato, ma Marta si stava impegnando, da parecchi giorni, ad insegnare l’Italiano a Guglielmo. Non perché lui fosse analfabeta, ma perché non era italiano.
Né lui né Bruno e Franco, i suoi due compagni.
I loro veri nomi erano William, Frank, e Brown; lui e Frank erano americani, Brown era inglese.
Fuggiti da chissà dove, erano sopraggiunti qualche giorno prima e avevano chiesto di rifugiarsi lì; e Zia Nella, per la quale tutti gli esseri umani bisognosi d’aiuto erano un essere umano unico, aveva accettato.
Non era detto, però, che tutti quelli a cui prestava aiuto era opportuno che si incontrassero; specialmente in quel periodo, in cui i ruoli dei nemici e degli alleati non erano più ben definiti e si rischiava di essere mitragliati da aerei americani che fino a pochi giorni prima erano nostri nemici, o di essere uccisi da soldati tedeschi che fino a pochi giorni prima erano nostri alleati. Oppure, per non far morire un regime ormai agonizzante, di essere perseguitati da militi in camicia nera che erano addirittura nostri connazionali.
Zia Nella comunque aiutava sempre tutti. Molti anni prima che Fabrizio De André componesse la sua canzone-capolavoro Il pescatore, Zia Nella aiutava già tutti. Indistintamente.
E Marta non era da meno. Lì, bella sorridente e con tutti i sensi all’erta, stava insegnando l’Italiano ad un fuggiasco americano, con soldati tedeschi installati nel circondario che potevano venire da un momento all’altro.
Arrivò la sera, e Dario era ancora a letto con la febbre.
Lisa, Zia Nella, Marta, e altri due cugini dell’età di Lisa – ospiti anche loro di Zia Nella -, erano in salotto, quando arrivarono Hans e Fredric, due soldati tedeschi che ogni sera andavano a gustarsi un bel bicchiere di vino prodotto da quella famiglia.
Entrarono allegramente in quella casa, dove sapevano di trovare un po’ di calore umano, uniti da un senso di simpatia, da parte dei tedeschi, e di fraternità, da parte di Zia Nella.
Già, ma come avrebbero reagito i due simpatici tedeschi se avessero scoperto che quell’accogliente famiglia prestava attenzioni anche ad un gruppo di loro mortali nemici? La famiglia di Zia Nella non lo sapeva, ma era opportuno non scoprirlo. I due soldati erano simpatici, ma era meglio non scoprire fino a che punto erano stati condizionati dal loro esercito.
Hans depositò un sacco di arance sul tavolo, e scompigliò allegramente i capelli biondi di Lisa.
Zia Nella ringraziò mestamente per le arance, che dovevano essere trasformate in spremute per Dario, e le affidò a Marta, che andò subito in cucina.
Mentre Marta preparava la spremuta, Zia Nella riempiva i bicchieri col loro buon vino per riscaldare l’animo di quei due soldati che erano lontani da casa, e Hans aveva preso sulle ginocchia Lisa esclamando – Pella Pampina Pionda! Ja, ja! –, dal piano di sopra si udì un tramestio e una breve frase concitata.
I due tedeschi si guardarono. Né Hans né Fredric avevano capito le parole, ma non sembrava la stessa lingua di quella famiglia.
Il silenzio fu totale.
Hans e Fredric notarono anche quello. Fredric si alzò. Aveva ancora le mani sul tavolo, quando la vocina di Lisa lo fermò: — E’ Guglielmo –.
— Gugljelmo??? – le domandò Hans con espressione buffa.
Zia Nella decise di intervenire: — E’ un nostro cugino –.
Marta comparve sulla soglia, con un bicchiere di spremuta in mano. – Vado da Dario – disse con un sorriso che irradiava gioia di vivere.
Fredric si mosse.
— Vuoi venire anche tu? – disse, inarcando le sopracciglia in modo ospitale. – Dài, vieni! –
Marta era snella e graziosa, era bello seguirla.
Passarono davanti alla camera degli ospiti, ma da lì non proveniva più alcun rumore: Guglielmo e i suoi compagni si erano paralizzati.
— Gugljelmo? – chiese il soldato, fermandosi per puro caso davanti alla camera giusta.
Marta si girò. – No, è per Dario – disse mostrando il bicchiere e fingendo di non capire. Si avviò a passi lunghi verso la camera del fratello.
— Dove è Gugljelmo? – la bloccò di nuovo Fredric, scandendo bene le poche parole che sapeva.
Lei si voltò piano. – Boh!… Sarà in bagno – rispose, stando ben attenta a non guardare verso la stanza degli ospiti.
Bussò ed entrò da Dario. Andò subito dal fratello, porgendogli la spremuta. – Ciao, come stai? –
Lui grugnì qualcosa dondolando la testa, e bevve.
— Guarda, è venuto Fredric a trovarti! –
Lui si avvicinò e gli disse, in tono affettuoso, un’incomprensibile frase in tedesco.
— Ja, ja! – rispose Dario a qualunque cosa avesse detto Fredric. Il tedesco scoppiò a ridere, confidenzialmente, a denti stretti.
Marta si congedò dal fratello, muovendo le dita della mano per salutare, e uscì. Arrivò davanti alla stanza di Guglielmo & compagni e, senza alterare il passo, l’oltrepassò; Fredric la seguì.
Giunto di nuovo in sala, Fredric si sedette e, in compagnia del suo amico Hans e di quell’allegra famiglia, bevve quel bel bicchiere di buon vino che gli aveva versato la donna.
I minuti trascorsero inesorabili, e per i due soldati venne il momento di tornare dai loro commilitoni. Zia Nella li accompagnò fuori dalla porta, con Marta alla sua destra e Lisa al centro.
— Cjao, Pella Pampina Pionda! – disse Hans, scompigliandole i capelli. Lisa ricambiò con un bellissimo sorriso.
Improvvisamente, vedendo Marta, Fredric si rabbuiò un po’: c’era un fatto che non era stato chiarito. Alzò lo sguardo lasciandolo vagare al piano superiore, dove era stato con la ragazza dopo aver sentito il rumore e quelle strane parole.
I cuori di Marta e Zia Nella si fermarono, ma le due donne mantennero la loro compostezza, infondendo sicurezza e serenità a Lisa.
Hans, conoscendo bene l’amico, lo distolse dal suo pensiero spronandolo ad andare.
I due soldati tedeschi e la famiglia italiana si salutarono cordialmente, dandosi appuntamento per l’indomani sera. Come sempre.
Lisa li salutò con la manina, aspettandoli per il giorno dopo e spalancando, per sempre, il suo cuore verso gli altri. Verso tutti gli altri.
Sono passati tanti anni, e Lisa è diventata una donna (nonché mia mamma); anche se, in effetti, non sono ben sicuro che si chiami proprio così.
Zia Nella, Marta, e gli altri personaggi di quella famiglia non li ho mai conosciuti, ma sono sempre stati dei miti per me, protagonisti di tante storie incredibili. Questo racconto vuole essere un piccolo omaggio a loro, anche se nella realtà hanno nomi diversi, a cui sarò sempre molto grato per aver protetto così bene la mia futura mamma.
Sì, perché la storia che ho raccontato è basata su fatti realmente accaduti; il minimo di finzione che ho aggiunto serve soltanto ad esaltare in poche righe ciò che quella famiglia ha fatto per molti mesi.
E tutto è andato bene, per fortuna. Altrimenti non avrei potuto raccontarvi questa storia.
Né questa né altre storie.
Perché non sarei mai esistito.
©Sergio Rilletti, 2007
sì, è un vero thriller, e dei tuoi migliori, sergio!
grazie, per averlo condiviso con noi
(le riflessioni personali, te le mando per email)
Isabella
p.s. grazie ancora, massimo!
Dal punto di vista letterario: meraviglioso!!!
per ogni altro giudizio moral/emozionale:
non ho parole…
Sei un grande!!!
Maobao
un racconto coinvolgente ed emozionante.
spero anch’io che tu possa incontrare nuovamente i tuoi “angeli”.
Ringrazio tutti per l’affetto e la solidarietà che mi state dimostrando.
Vi invito calorosamente a leggere anche il mio intervento pubblicato tra i commenti del post precedente, QUANDO UN “DIVERSMENTE ABILE”… E’ SOLO, in cui non parlo solo di questa vicenda (con tanto di “identikit” dei due ragazzi che sto cercando), ma anche di me, come persona e come scrittore.
E’ un po’ lungo, lo so, ma era l’unico modo per ripagarvi della festosa accoglienza che mi avevate riservato.
Grazie a tutti!
Sergio Rilletti
Quando ho letto il racconto di Sergio Rilletti devo dire che mi ha davvero appassionato. Credo che Sergio sia riuscito nel suo intento: ovvero… farci vivere quella sua esperienza, farci vedere il mondo coi suoi occhi, farci viaggiare con la stabilità precaria della sua carrozzina elettrica.
Dopo quell’esperienza Sergio avrebbe potuto cedere allo sconforto e alla rabbia (come la maggior parte di noi al suo posto). E invece è riuscito a trasformare dolore e disagio in energia positiva, poi immortalata nelle parole del suo bel racconto.
Seguendo il messaggio originario di Isabella Rinaldi (che saluto affettuosamente) avevo definito, nell’altro post, Sergio Rilletti come “diversamente abile”. Dopo aver letto il racconto “Solo!”, e per le motivazioni enunciate, credo che Rilletti più che “diversamente abile” sia “abilmente diverso”.
Anch’io voglio provare a essere “abilmente diverso” (e non c’è retorica in ciò che sto scrivendo), tenendo a bada le lagne e impegnandomi a trasformare le difficoltà che incontrerò nella vita in occasioni per rilanciare me stesso.
Non sarà facile, ma ci proverò.
Grazie Sergio! Grazie per il racconto. E grazie anche per il lungo commento scritto sull’altro post. So che non puoi essere velocissimo nel digitare i tasti… e questo ti rende ancora più grande.
Solo abile !
I veri diversi sono coloro che hanno bisogno di distinzioni, ma nell’intento di cercarle riescono a costruire una reale solitudine.
Doni come questo scritto, pur facendoci sentire indegni, ci riportano dentro la vicenda dell’esistenza.
Grazie.
Ringrazio Rilletti per il bel racconto e Maugeri per l’opportunità datagli.
“Eventounico”, Maugeri ha ragione quando parla di abilmente diversi. Si può essere diversi in meglio o in peggio, nel bene o nel male.
Non è vero che “i veri diversi sono coloro che hanno bisogno di distinzioni, ma nell’intento di cercarle riescono a costruire una reale solitudine”. Quelli sono i meri esibizionisti.
I grandi uomini e le grandi donne della Storia sono stati indubitabilmente diversi e diverse nella loro grandezza. Abilmente diversi.
La definizione di “abilmente diverso” è meritoria e bisogna conquistarsela.
Io almeno ho interpretato così l’espressione usata da Maugeri.
bello davvero. Io ho molti amici che vivono su una carrozzella, sono straordinari. ciao Giulia
…Erika stavo guardando “altrove”
Assolutamente pazzesca la vicenda (non c’è limite all’imbecillità), assolutamente realistica e convincente la narrazione.
(Soprattutto per chi, come me, ha il senso dell’orientamento di una talpa con il raffreddore e sa cos’è un attacco di panico…)
Tral’altro, essendo di Monza, non ho fatto fatica a vedere lo scenario. (Non immaginate un ordinato parco cittadino: di cascine non c’è solo quella Alta, e in alcuni punti è un vero bosco!)
Racconto bellissimo ed emozionante…
Uno spaccato di come a volte la stupidità umana prende il sopravvento anche in situzioni di apparente ordinarietà.
Hai fatto bene Massimo a postarlo! Buona domenica a te e all’Autore.
Elisabetta
Grazie Elisabetta, buona domenica a te!
Per Erika e Eventounico: “l’abilmente diverso” era anche frutto di un gioco di parole. Ciò che conta è la sostanza: ovvero il bel racconto di Sergio e la sua capacità di farci entrare “dentro di lui” e rivivere “con lui” quell’esperienza.
Un saluto a entrambi.
Un grazie a Massimo e Isabella per avermi fatto scoprire un autore interessante. La vicenda narrata stringe il cuore, negli altri commenti è già stato detto tutto a riguardo; ma soprattutto è un gran racconto, quindi bravo Sergio!
Ringrazio di nuovo tutti, e in modo particolare Andrea Carlo Cappi, scrittore e direttore editoriale di Alacran Edizioni, per avermi concesso di pubblicare SOLO! su questo blog.
Per quanto riguarda l’espressione “abilmente diverso”, a me è piaciuta davvero tantissimo. Penso proprio che l’adotterò! 🙂
Grazie Sergio.
Sono lieto che abbia gradito l’espressione “abilmente diverso”.
Più che un’espressione in realtà è un titolo di merito (ha detto bene Erika) che bisogna conquistarsi sul campo.
Pur conoscendo gia la tua avventura, sono stato nuovamente ed emotivamente molto coinvolto.
Un bellissimo racconto di una brutta avventura realmente vissuta e sofferta.
Comunque, Caro Mister Noir, Noblesse Oblige!
Un forte abbraccio, Enzo.
Ho letto il racconto e devo dire che mi ha veramente colpito: l’ho trovato molto bello, sinceramente, perchè è intensissimo e sincero e produce un meccanismo di immedesimazione potentissimo, e poi è ben calibrato e ricco di sfumature!
Insomma: COMPLIMENTI!!!!
Caro Sergio,
mi è piaciuto tanto il tuo racconto. Sei stato bravissimo ad esprimere il disagio, l’ansia che hai provato. Il racconto mi ha preso a tal punto che sono arrivata alla fine stanca per l’ansia che anch’io ho provato immedesimandomi in te.
Devo dire però che non mi sento di rimproverare completamente i tuoi assistenti perché possiamo considerare questa un’esperienza pedagogica, un’esperienza che ti fa fare un salto verso l’indipendenza. Quell’indipendenza che tu tenacemente cerchi di conquistare ogni giorno.
Bravo Sergio e avanti così.
Grande Sergio! Il mio miglior amico è anche il mio scrittore preferito… incredibili certe coincidenze!!! Ad Amalia vorrei dire questo: meno male che questa grandiosa ESPERIENZA PEDAGOGICA si è risolta per il meglio, perchè se no alcuni di quegli arguti assistenti avrebbero dovuto far i conti con chi, come me, ama Sergio alla follia e annienterebbe all’istante chi, con una così evidente superficialità, dovesse procurargli qualche disgrazia!
Un bacio grande a Sergio e… GRAZIE DI ESISTERE!!!
Simy
E BRAVA SIMO!!
HAI PROPRIO RAGIONE.
Secondo me, l’indipendenza si deve conquistare.. ma in un altro modo!! Perchè, se Sergio non avesse incontrato I due Angeli sarebbe forse un POCHINO PIU’ SCOSSO…
poteva scaricarsi la batteria della carrozzina o capitargli qualsiasi altra cosa (come ha scritto abilmente nel racconto).
Comunque, BRAVO SERGIO!!
HAI FATTO UN CAPOLAVORO!!!
Greta 9 anni
P.S.
Sergio, l’indipendenza l’ha già conquistata.
Scrive al computer DA SOLO, fa un sacco di altre cose DA SOLO, E, SOPRATTUTO FINCHE’ NON SONO ARRIVATI I DUE ANGELI SE L’E’ CAVATA DA SO-LO!!
Quindi non ha bisogno ndi ESPERIENZE PEDAGOGICHE….
PERCHE’ E’ FNTASTICO GIA’ COSI’!!!!!!!!!!!!!!!!
Un abbraccio forte a Sergio!
Greta 9 anni
Bah!… Io, se fossi stato in Sergio Rilletti, li avrei querelati tutti.
Altroché “esperienza pedagogica”!
Per non parlare, poi, della storia del numero di cellulare… Veramente allucinante!
Comunque, scusami l’ironia Sergio, meno male che le cose sono andate così; altrimenti non avremmo noi non avremmo mai potuto leggere un racconto così bello e coinvolgente!
Grande Sergio!!!
Veramente coinvolgente ed appassionante. Devo dire che rispetto ai tuoi primi racconti scrivi molto meglio, in modo fantastico.
Non so se la cosa ti farà piacere, ma ho rischiato in alcuni momenti di farmela addosso dal ridere. Ad esempio per la battuta sul pulmino ( da usare come supp…. ).
Sono anche convinto che i tuoi amici Carletto & C. siano straordinariamente felici di essere stati catalogati come “coglioni” alcune decine di volte…ma forse in fondo se lo sono meritato. Mi hanno fatto venire in mente quella volta che tu ricorderai bene, quando una persona di tua conoscenza, ti ha scaraventato giù per una discesa sulla passeggiata di Varazze!!!
Un abbraccio…
Bravo Sergio, ti ammiro molto sia come persona che come scrittore !!
Un abbraccio. Elena
Caro Sergio,
che dire,
mi associo a tutti quelli che ti hanno fatto i complimenti per il racconto. Io come tua sorella sai che sono da anni una tua fan! D’altra parte, letture condivise di autori a noi noti hanno prodotto buoni frutti!!!Il tuo racconto é scritto molto bene, con quel giusto filo che tiene viva anzi vivissinma l’attenzione e un’ottima intrspezione psicologica.
Inoltre ancora una volta ho potuto constatare la tua grandezza d’animo (quando rispondi affermativamente a loro che ti chiedono se possono andare avanti…. e poi pensi: quanta generosità! Tu sei speciale per questo! Capace di dare amicizia e affetto con il cuore aperto. L’episodio del numero di cellulare sparito é stato veramente la ciliegina sulla torta. Fatto molto grave a mio avviso. Spero tanto a questo punto per tua e a questo punto nostra soddisfazione che tu possa trovare quei due “Angeli” e poter ringraziarli come hai già fatto in tutti i modi a te possibili.
Grande Sergio!
Un bacio
Sonia
Sergio, questa mattina ho letto il tuo racconto, che aspettavo, tutto d’un fiato. Mi sono immedesimata in te, ho cercato, per quanto possibile, di guardare con i tuoi occhi. Conosco bene il parco di Monza quindi ne vedono i luogi mentre leggevo. Si sono susseguiti in me vari stati d’animo; dall’incredulità, allo stupore, alla rabbia, all’illarità per la tua ironia, ammirazione per il tuo, nonostante la situazione, coraggio. Per la tua calma nel cercare di non perdere quel controllo che ti serviva. Grazie per averci fatti partecipi della tua esperienza che spero serva, non solo a chi ti ha messo in una simile situazione ma soprattutto a chi che spesso è indifferente alle persone che le circondano.
P.S. ho stampato il tuo racconto voglio leggerlo ai miei bambini
Brave Sonia e Teresa!!
Mi aggrego a voi per fare per l’ennesima volta grandissimi complimenti a Sergio, che è riuscito a farci vedere con i suoi occhi le difficoltà chesi incontrano quando si è “ABILMENTE DIVERSI” (aggettivo pienamente giusto.
Sergio è riuscito a farci vivere la sua avventura e lo ringrazio tantissimo perchè leggendo il suo racconto mi sono trovata in un turbine di emozioni.
Un abbraccio
Greta 9 anni
P.S. Sergio sei mitico, vai avanti così e scusami se scrivo parecchio su questo blog, ma, ogni volta che entro in questo sito per vedere se hai ricevuto altri commenti, e vedo il tuo racconto il desiderio di elogiarti prende il sopravvento.
Tu ti meriti di essere elogiato per come scrivi perchè scrivi proprio BENISSIMO!!!!
Un bacio grande
Greta 9 anni
Carissimo Sergio,
je suis vraiment contente d’avoir enfin pu lire ton histoire!
Che emozione; leggendo mi sono venuti i brividi!
Ma come è possibile???
Sei forte, veramente incredibilmente forte e ti ammiro di essere riuscito a tenere il tuo “sang froid”; ho ascoltato anche la trasmissione su Rai Radio Uno e spero che ritroverai questi due angeli anche se ho capito che non è una missione molto facile.
Ho letto Solo!….. e penso che Carletto sia fuori….. ma veramente fuori….
Ogni altro commento è superfluo.
P.S.
Secondo me da questo racconto ci scapperebbe bene un cortometraggio…
un vero CAPOLAVORO!!!!
anche da modena arrivano i complimenti da maestre, amici e da altre educatrici come me…. faccio lo stesso lavoro che fà carletto….Sergio sei sempre più grande e dopo aver letto il tuo racconto in un minuto con il fiato sospeso senza neanche più ascoltare chi mi parlava, mi associo a riccardo..devo dirti che sei riuscito a far rabbrividire, arrabbiare, sconvolgere e anche ridere(!!) tutto insieme!!! Non credo siano in tanti a saperlo fare così bene….io il parco di monza non lo conosco eppure ero davvero lì con te come tutti quelli che ti hanno letto sono convinta…Amico, mito da SEMPRE…Ma soprattutto per me sei SCRITTORE ALLA GRANDE e quindi aspetto sai tu che cosa….VOGLIO LEGGERTI SEMPRE DI PIU’ … Quindi SCRIVI, SCRIVI, SCRIVI….!!!! i modenesi!!!!
sono d’accordissimo con ezio per il corto….!!!!!
Ciao Sergio, ho letto “solo” è veramente bello, sorprendente e coinvolgente.
Credo che il “signor Carletto” al momento sia stato anche incoscente in buona fede me la vicenda del numero di cellurare indica che dopo è stato proprio stronzo!
Tanti non riescono a capire che se una persona non ha mai fatto certe cose da solo si può trovare veramente in difficoltà anche se quello che deve fare può apparire semplice.
CONCORDO CON ADELMO.
IL TUO INTERVENTO E’ EQUILIBRATO E VA ALL’ESSENZA DELLA COSA.
GRAZIE ANCHE DI AVER SOTTOLINEATO L’EPILOGO “CELLULARE”: FATTO RILEVANTE NELLA COMPLETA RICOSTRUZIONE DELLA STORIA.
GRAZIE ANCHE A GRETA, 9 ANNI MA TANTA SENSIBILITA’ SULL’ARGOMENTO.
SOPRATTUTTO UNA VISIONE PULITA E ESSENZIALE DISARMANTE SENZA LE SOVRASTRUTTURE CHE A VOLTE CI CREIAMO NOI ADULTI. COMPLIMENTI PER LA TUA PARTECIPAZIONE SENTITA E ATTIVA.
Greta, anche io sono d’accordo su quello che hai scritto tu.
Sergio ieri sera ho letto il racconto ai miei bambini (Matteo e Alessia) sono stati in silenzio per tutta la mezz’ora di lettura. Naturalmente il loro commento è che non ci sono parole per Carletto e per te invece che sei un grande. Matteo mi suggeriva che sarebbe bello farne un film.
Alla prossima
Desidero solo ricordare che il buon senso dovrebbe guidare le nostre azioni nel quotidiano……. ma quando succede? Non abbiamo sufficiente cultura!
Anch’io ieri ho letto il racconto !!!
Mi e’ piaciuto molto e mi hai fatto commuovere…
Mentre rivedevo nella mia mente il tuo racconto, anche io come Ezio, me lo immaginavo come un film !!! Secondo me se le immagini trasmettessero tutto cio’ che hai scritto sarebbe troppo bello !!!
Hai scritto delle frasi veramente belle…
Anch’io ieri ho letto il racconto !!!
Mi e’ piaciuto molto e mi hai fatto commuovere…
Mentre rivedevo nella mia mente il tuo racconto, anche io come Ezio, me lo immaginavo come un film !!! Secondo me se le immagini trasmettessero tutto cio’ che hai scritto sarebbe troppo bello !!!
Hai scritto delle frasi veramente belle…
Devo ringraziare Isabella Rinaldi (e di conseguenza anche Massimo Maugeri – ospite eccellente, ma non solo) per le sue parole, le sue “parole per dirlo”. Conosco Sergio da quando aveva poco più di due anni e da allora è entrato prepotentemente nel mio cuore. La sua determinazione, la sua caparbietà, la sua forza, mi hanno fatta sentire sempre “inadeguata” e molto spesso “inferiore”. Hai colto di Sergio la vera essenza, quella che solo i tanti che lo amano sono in grado di “sentire”, ed è anche per questo che ti ringrazio, Isabella. Quelli che assolutamente NON ringrazio, ma anzi ODIO profondamente, sono quelli che del tutto “gratuitamente” gli fanno del male, quelli che toccando profondamente la sua sensibilità lo mortificano, lo offendono, lo feriscono. Sergio regala a tutti allegria e gioia, ma anche serietà d’animo e correttezza. Sempre. E quindi la pretende. Sergio è anche tutto questo. E tu (voi) l’avete capito. Grazie di cuore, Luciana
Ieri ho letto il racconto, anzi il fatto concreto realmente accaduto a Sergio, mi è piaciuto molto e ho scritto subito due righe di riflessione, ma il racconto si presta bene per degli spunti di riflessione sulla nostra attuale società.
Penso a tutti gli sforzi che si sono fatti negli ultimi 40 – 50 anni per fare capire alla società, alla gente, che il disabile è una persona come le altre, che ha gli stessi diritti, che non deve e non può fare paura a nessuno, che deve essere rispettato nella sua dignità umana, che non è perché non parla (o parla male) può essere trattato come un ebete o un bimbo di 15 mesi, ecc. ecc.
Beh! Devo dire che questa storia indica che qualcosa è passato, qualcosa è cambiato nella nostra società, e come tutte le cose che si modificano si portano appresso sia gli aspetti positivi che quelli negativi. Intendo dire che forse 50 anni fa, in una situazione analoga, Sergio non avrebbe trascorso un ‘ora e mezza solo ma forse meno di 10 minuti,nel senso che il primo che lo avrebbe visto si sarebbe preoccupato, terrorizzato, scandalizzato. “ma come? Uno così come fa ad essere in giro solo? Com’è possibile” avrebbero detto i cittadini di allora, la gente, la società di un tempo. Io, nonostante tutto credo che il fatto che Sergio abbia potuto girovagare per il parco di Monza, in un bel giorno festivo di primavera, in mezzo a tanta gente che passava e che sicuramente lo avrà notato (lo dico per chi legge questo blog senza conoscere Sergio, non voglio offendere Sergio, ma, che Sergio, da solo in mezzo al parco di Monza con la sua bellissima carrozza, sia abbastanza appariscente, vistoso è un fatto certo, sicuramente lo avranno notato in tanti), beh, io tutto questo lo valuto positivamente! Certo! Sergio ha passato un’ora e mezza di panico, paura, se i due Angeli fossero arrivati prima sarebbe stato meglio. O, per meglio dire, se i primi passanti che lo incontrarono gli avessero prestato più attenzione e gli avessero dato una mano, lui avrebbe potuto evitare di avere una brutta esperienza ma, non dimentichiamolo, la cavolata l’hanno fatta Carletto & Co. non la società, cioè i passanti.
Io ritengo che tutti quei passanti abbiano, in qualche modo, dato dignità a Sergio, gli hanno riconosciuto la sua giusta autonomia e autosufficienza. Il fatto che oggi un disabile possa andare in giro, nei luoghi pubblici, anche da solo, senza che abbia tutti gli occhi puntati addosso è un fatto positivo. Perché, uno come Sergio non può farsi una passeggiatina nel parco senza che nessuno gli rompa le scatole? Poi è difficile per un passante capire, con uno sguardo indiscreto, lo stato d’animo interiore di una persona. Certo è che i più bravi di tutti sono stati i due ragazzi, i due Angeli, come li chiama Sergio, loro hanno saputo guardarlo negli occhi e capire di che cosa avesse bisogno.
Mi hanno colpito molto le due “comparse” di questa storia, e cioè il contadino e il pattinatore, questi due personaggi hanno avuto un contatto con Sergio, lo hanno capito straordinariamente, poi gli hanno dato delle indicazioni, anche loro gli hanno riconosciuto tutta la sua autonomia e indipendenza (e quindi è positivo), poi però sono stati un po’ sciocchi, superficiali, non hanno saputo andare oltre e dire “si però questo qui come fa?”. Il pattinatore lo ha guardato bene bene, gli ha girato in tondo, si è preoccupato che si avviasse nella direzione giusta, così come indicata, poi se ne è andato bello tranquillo e sereno Bah! Il contadino è riuscito a fare un passo in più. La domanda se l’è posta e glielo ha detto in faccia “si ma tu non ce la farai mai ad andare fino là” (anche questo è positivo) gli ha riconosciuto dignità e tutta la libertà decisionale possibile, però poi? Dopo queste considerazioni come ha fatto a lasciarlo andare? A volte riuscire ad entrare nella mente dell’individuo è proprio difficile!
Io penso che tutto questo significa che ancora la gente non sa, non conosce, non è consapevole. Abbiamo fatto un buon lavoro, la mentalità della gente rispetto alla tematica dell’handicap si è modificata da 40 – 50 anni a questa parte ma, ancora la gente non sa!
Io penso che una società che non conosce i problemi dei propri membri, non sia ancora una società sana, questo vale, ovviamente, sia per l’handicap sia per qualsiasi altro problema. Penso che fino a quando la società non si guarda dentro e non conosca i problemi dei propri membri non potrà mai risolverli o, come ci indica questa storia se riesce ad eliminare certi problemi inevitabilmente se ne accolla altri.
@delmo
Bah!… Mi pare che la tua analisi sia un po’ troppo ottimistica.
Rilletti non ha fatto nessuna bella passeggiata nel parco: nel racconto lo si capisce benissimo!
Chiedeva aiuto, e i passanti o non lo degnavano proprio oppure lo salutavano!
Non forniamo alibi a Carletto & Co., che rimangono comunque una massa di imbecilli!!!!!!!!!!!!!!
Ho fimalmente letto “Solo!” e mi unisco al coro dei complimenti: mi sono piaciute molto la scelta della prima persona e del ritmo che lo sostiene.
Bello!
Innanzitutto, Grazie per tutti i complimenti alla mia persona.
Provvederò ad informarla!
Sì, è vero, sono un Gran Simpaticone, e mentre descrivevo certe scene – sempre rigorosamente “in soggettiva”, senza inventare niente -, mi accorgevo che erano ambivalenti e che, pur avendole vissute in modo intenso e drammatico, raccontate potevano assumere un tono quasi-umoristico.
E questo mi piaceva. Molto!
Perché la vita è così, offre sempre due aspetti. E io – un po’ per natura, un po’ per “deformazione professionale” – sono abituato a coglierli entrambi.
Sì, è vero che – come ha detto Riccardo – Carletto e gli assistenti dell’Organizzazione li ho insultati un cospicuo numero di volte, ma, avendo scritto questo racconto “in soggettiva”, penso proprio che non si offendano.
Sergio Rilletti
Ho sottilieato solo l’aspetto ironico nel mio commento precedente, perchè conosco Sergio da 40 anni ( si si ci conoscevamo già quando eravamo nelle pance delle nostre mamme! ) e la prima cosa che mi viene in mente di lui è il sorriso ed il buonumore che lo accompagnano sempre.
Conosco bene le sue difficoltà e posso immaginarmi benissimo il senso di disagio che ha vissuto durante quella brutta avventura.
Il bello di Sergio è proprio questo, riesce da qualunque esperienza, anche negativa, a tirare fuori il lato ironico……..impariamo…
Ciao
Caro Sergio, mi complimento con te per il tuo sense of humour. Mi raccomando… provvedi quanto prima a informare la tua persona dei complimenti ricevuti.
Per Stefano Re… ma ti chiami davvero così o è solo uno pseudonimo, magari ispirato da uno dei personaggi principali del mio romanzo “Identità distorte” (e che si chiama, appunto, Stefano Re)?
Sono davvero impressionata, quanti consensi!!!! Invito tutti ad andare a leggere i tanti articoli-racconti di Sergio su M-RIVISTA DEL MISTERO e a seguire le avventure del suo Mister Noir… Aiutiamolo a diventare uno scrittore di successo! Se lo merita!!!
Simy
Caro Sergione,
di nuovo mille complimenti!!! Secondo me questo racconto (e il blog) ci dice chiaramente che, quando si ha un autentico talento come il tuo, la scrittura può veramente smuovere gli animi!
Ciao Sergio, ho letto la tua storia, i tuoi commenti etc..
Sei stato bravo a scrivere di questo.
La necessità di uscire dai propri schemi mentali, dalle proprie impostazioni, si fa sempre viva e pressante proprio nei momenti in cui meno ce lo aspettiamo. Perché la nostra attenzione dovrebbe essere sempre vigile – e non quando noi decidiamo che è il momento – per cogliere il senso di quello che ci viene proposto in ogni giornata.
Il risultato è che difatto tutti noi siamo davvero poco attenti e poco disposti a vedere le cose semplicemente per quello che sono.
Il tuo racconto è come una parabola, quel Carletto è
l’uomo con tutti i suoi limiti e portatore di quell’handicap che è la cecità verso il senso della vita. Il senso della vita comprende certamente il senso della propria vita, ma sempre legato a quello della vita degli altri. E il senso della vita non è qualcosa di astratto, astruso, letterario, difficile, non è una definizione. Il senso della vita è dare valore al susseguirsi delle ostre giornate, delle nostre ore, di tutte. E’ vivere con consapevolezza.
E riuscire ad essere presenti a se stessi tenendo conto degli altri è sempre difficile. Per quel Carletto come per tutti.
Grazie per lo spunto di riflessione.
Senza nulla togliere al bell’intervento di Laura Lombardi, bisogna però dire che la “cecità” di un professionista nell’esercizio delle sue funzioni, è molto più grave di quella delle altre persone.
Soprattutto se costui lavora per/con persone svantaggiate.
Caro Sergio, il tuo “Solo” mi ha riportato alla mente un vecchio film di Dalton Trumbo: E Iohnny prese il fucile. Non penso che tu lo conosca, perché è del 1971 e anche allora girava solo in certi circuiti. La trama del film è drammatica e tutta la narrazione lascia col fiato sospeso. A raccontare, non è un uomo, perché il suo corpo non c’è più, ce n’è solo un pezzo; a raccontare è il suo pensiero.
Colpito da un obice nella prima guerra mondiale, Johnny non ha occhi, nella bocca, ne’ mani, ne’ gambe, ne’ braccia, solo un tronco con un pezzo di testa che, col passare del tempo egli muove seguendo il ritmo dell’alfabeto morse. E in quel modo, il giovane soldatino, riesce a parlare al mondo. Il tuo racconto ha la stessa forza comunicativa: è raccontato col pensiero e agli altri pensieri si rivolge. Potrebbe diventare anche un film. La descrizione di paura e il senso dell’abbandono, per essere lasciato lì a sbrigartela da Solo, cancellano tutto il resto e noi, lettori, veniamo coinvolti in questa sospensione metafisica. Come in un paradosso, questa dimensione astratta rende il tuo racconto ancora più realista e tutto, assurdamente ancora più vero. Soprattutto nel finale…
Ciao, cari saluti, Miriam
Per Sergio:
sono lieto che il tuo racconto abbia riscontrato così tanto successo!
Per Stefano Re:
ma ti chiami davvero così o è uno pseudonimo il tuo? (magari ispirato da uno dei personaggi principali del mio “Identità distorte”… che si chiama proprio – guarda caso – Stefano Re)
non credo ci sia un criterio per stabilire scale di responsabilità per l’indifferenza…gli amici di sergio hanno fatto una cosa gravissima lasciandolo solo e su questo credo tutti siano d’accordo.. ma quello che ha raccontato sergio va oltre come dice benissimo laura.
Lavoro con i bimbi in difficoltà nelle scuole da 5 anni e non so contare le volte in cui mi sono scontrata contro la “cecità” e la noncuranza delle altre persone..a volte questi bimbi danno fastidio…a volte ci si ‘dimentica’ di loro..a volte si ‘sporcano’ troppo… o gridano troppo..spesso mi viene detto ‘ma come fai?’….la nostra responsabilità di educatori professionisti è grandissima ogni giorno..lo vivo bene sulla mia pelle anch’io.. sergio ha fatto capire bene quanto una nostra negligenza possa mettere in grave pericolo chi la subisce ed è in difficoltà…non voglio davvero giustificare nessuno.. Ma la consapevolezza DEVE allargarsi davvero a tutti..LISA E MAURO DOVREBBERO DIVENTARE ‘TUTTI’…l’aiuto in certi casi dovrebbe diventare una vera consapevolezza per ognuno di noi.. nessuno prima nessuno dopo..scontrandosi se necessario contro i nostri limiti e le nostre paure, ma mai andando oltre, mai tirando dritto se chi chiede aiuto è lì davanti..e lo fà in modo chiaro che non si può ignorare..come lo ha fatto sergio e come lo fanno ogni giorno i ‘miei’ bambini a scuola…Sergio è per questo che ti dico sempre SCRIVI, SCRIVI E SCRIVI e fai parlare…
fede
Grazie mille, Simy e Fede!…
Ci tengo a precisare che Simona – che, nonostante tutta la sua femminilità, è proprio il mio miglior amicO -, si è presentata come una mia fan, prima ancora di diventare mia amica.
“Sei tu Sergio? Ho letto il tuo racconto, è bellissimo!”
Queste sono le primissime parole che mi ha rivolto, in una bella serata d’ottobre di circa vent’anni fa. Una serata destinata a stravolgere (piacevolmente) la mia vita.
Da allora Simona è diventata il mio Primo Lettore: colei che, tempi permettendo, mi dà l’ok prima di inviare un racconto alle stampe.
La nostra amicizia si è fortificata sempre di più. Contro tutte le intemperie che ciascuno di noi ha dovuto affrontare.
Poi è arrivata Federica, la sorella di Simona, che, nonostante la sua proverbiale timidezza, ha cominciato ad accompagnarmi assiduamente agli incontri letterari di Andrea G. Pinketts, con cui è nata subito un’intesa e dove ho conosciuto Andrea Carlo Cappi, il mio futuro mentore. Entrambi mi hanno spronato a scrivere.
Per diversi anni, finché non ha cambiato città, Federica mi ha sempre accompagnato ai loro incontri. Magari gli amici con cui andavamo cambiavano, ma lei veniva sempre.
Sì, lo so, di solito questi discorsi si fanno a carriera già consumata. Ma io, che sono un tipo originale, ho voluto anticipare i tempi.
Sergio Rilletti
Ho visto il tuo racconto ed è bellissimo.
Bravo Sergio!!!
Davvero bravo, di cuore e sinceramente te lo dico!
Sei una persona in gamba, molto superiore alla media delle persone. Mi vergogno un po’ a dirtelo perché può suonare mieloso, ma lo penso davvero: riesci a scavalcare tutti i muri con la tua grinta e il tuo coraggio.
Caro Sergio… che dire sono basita; alcuni passi del tuo racconto sono realmente grotteschi, se non avessi conosciuto l’identita’ dello scrittore avrei sicuramente pensato ad un mare di bugie.
Tra il contadino, il ragazzo dei rollerball ed il resto della varia idrocefala umanità (tralasciando l’Esperto sul quale, direi, ogni commento è superfluo) che quel giorno ti è capitato di incontrare, non saprei chi mi ha piu’ colpito.
Una cosa certa è che il mio recente avvicinamento al mondo del cosiddetto “volontariato” (che poi a me sta’ parola mi infastidisce parecchio… pensa ad un altro termine per noi “volontari” ti prego Sergio!) mi ha resa piu’ consapevole del fatto che i veri “handicappati” non sono sicuramente quelli che la società di oggi ha identificato… ma altri, e direi che tu ne hai incontrati parecchi quel giorno!
Nonostante cio’ una speranza la intravedo: persone come te possono cercare di aprire nuove strade di comprensione su questo argomento e possono in qualche modo far vedere oltre l’apparenza … buon lavoro, caro amico mio; continua a scrivere e -soprattutto – diventa famoso affinchè sempre piu’ persone possano leggerti!… un abbraccio forte Anna La Vecchia
Il racconto è molto bello e rende bene quello che devi aver provato. Direi che se il Destino è un tuo fan ed è intenzionato a farti provare le cose in prima persona, potresti passare dal nero al rosa.
Ovviamente scherzo. Come tutti i Carletti faccio battute un po’ del …
Un bacione da parte della Susy e una pacca sulla spalla da parte mia (non vorrei sembrare troppo affettuoso).
Ciao, Sergio.
Finalmente ho trovato il racconto e l’ho letto…
Sono sconvolta dall’accaduto e profondamente indignata dall’indifferenza, pochezza d’animo e stupidita’ di queste persone che, a quanto ho capito, lavorano con persone diversamente abili…
Io penso che li avrei querelati, non vedo motivi per non farlo.
Una grande rabbia cresce in me nel leggere questo tuo racconto e capisco ancora una volta quanto le persone non sappiano capire l’altro perché non sanno mettersi nei suoi panni.
Il diverso fa paura, sia che si trovi in un letto d’ospedale, sia al lavoro, sia per la strada…
La situazione che ci impone una riflessione seria, molte volte non la vogliamo, la evitiamo.
Molti si danno alla fuga, per fortuna non tutti!
Grazie per averci portato sulla tua carrozzina, è stato un viaggio difficile.
Posso immaginare che da lì, purtroppo, c’e’ un’altra visuale rispetto alla terra o a bordo di una macchina…
C’e’ da chiedersi chi sia il disabile in questa storia…
Tu hai problemi motori e di linguaggio, loro invece sono fisicamente a posto ma privi di intelligenza.
Che dirti Segio? Sono senza parole, la strada che dobbiamo percorrere perché la nostra societa’ possa dirsi “civile” è ancora lunga.
Meno male che è finita bene!
Ciao, Sergio.
Ormai so dove trovare “M-Rivista del mistero”, ho acquistato il numero 2 e ho quindi letto il tuo racconto/resoconto “SOLO!”.
Già conoscevo la vicenda che avevi riassunto nel numero precedente, ma solo dal tuo racconto dettagliato ho capito quanto sia potuta essere per te angosciante la catena di ostacoli che hai affrontato: strade sbarrate, indicazioni approssimative (Dov’è l’autodromo?), svolte impreviste, ritorni, indifferenza dei passanti, tempo che passa e carica della batteria che si consuma, fino alla “salvezza” rappresentata dai due ragazzi.
Il lato più da thriller trovo che sia la cancellazione del numero di cellulare da parte dei due “responsabili”. E’ inquietante, sa di complotto, di minaccia che è ancora viva. Mi sembra di immaginare la scena: “Dài, cancellalo, altrimenti potrebbe avere due testimoni, potremmo rischiare…”.
Se fosse una fiction si potrebbe inserire il tentativo di “far tacere per sempre il disabile pericoloso”, ma siamo nella realtà e non oso neanche pensarlo.
Però i silenzi dei colleghi dll’Organizzazione, il non-parlare della vicenda, nessuna richiesta di scuse, fanno… schifo.
Sì, è vero, l’ho già detto e lo ribadisco: la vicenda del cellulare è stata veramente allucinante, ignobile!…
Non mi stupirebbe affatto se quell’Asdrubale fosse un avvocato!
Riconfermo quello che ti ho già scritto sulla tua grande capacità di scrittore. ho girato via e-mail il tuo racconto ad alcuni amici e parenti e tutti lo hanno apprezzato molto.
riguardo a quello che ti è successo provo molta rabbia.
Lo sò che è difficile ma dovremmo avere il fegato di denunciarli .
ci sono persone ancora più fragili di noi che non hanno la capacità di esprimere quello che gli capita. per questo motivo dovremmo riuscire a reagire anche per loro .
tu devi continuare a scrivere perchè anche questo è un modo per denunciare e in più così puoi far smuovere gli animi della gente.
Aggiungo due riflessioni.
1) E’ vile deridere la paura di chi è in condizioni di inferiorità (mi riferisco al momento in cui ti sono venuti a prendere).
2) Per evitare tutto questo sarebbe bastato qualche accordo, un po’ di
prudenza e ovviamente un po’ di sensibilità. Qualcosa tipo: “Noi andiamo ma uno di noi resta e ti fa compagnia” o almeno “Andiamo tutti ma ti lascio un biglietto con il mio numero di cellulare bene in vista, in modo che in caso di emergenza tu possa chiedere ad un passante di chiamarmi. Questa è la piantina DETTAGLIATA della strada da percorrere. Resta su questa perché se non ti vedo entro tot torno a cercarti”.
Qui la fama comincia a diventare a livello INTERNAZIONALE!!!!
Tra poco sarà possibile incontrarti solo fra un’intervista e l’altra (ma proprio perché sono io e una volta ero la tua assistente prediletta… ahahaha)….
Bravo, bravo e bravo ancora, ti meriti tutto questo e molto di più, per tutto l’impegno, la serietà e la caparbietà con cui porti avanti le tue idee e i tuoi sogni.
Sei un esempio per tante persone e non solo per quelle “non abili”; anzi… sei un esempio anche per me…
E per questo ti ringrazio!
Ciao Sergio!!!
Il tuo racconto è veramente molto emozionante e viverlo deve esserlo stato ancora di più!!!!!
Spero che tu riesca a rintracciare i tuoi due eroi…
Fa molto piacere incontrare ogni tanto questo tipo di personaggi che sembrano veramente piovuti dal cielo…
Caro Sergio,
ho letto il racconto dell’abbandono da Te subito nel parco di Monza e sono rimasto scandalizzato e allibito dalla deficenza innata del tuo “Carletto”.
Lasciami aggiungere che, secondo me, è anche cattivo d’animo perchè, altrimenti, sarebbe stato disperato nel non vederti arrivare e, nel momento del ritrovo, non avrebbe fatto altro che chiederti scusa e ringraziare mille volte, non una, i due ragazzi.
….tu dici che l’Associazione non ha colpa alcuna, e questo è vero, ma non ho capito alla fine da che parte stà; perchè non ti ha passato il n° di cellulare di quel ragazzo…….paura di testimoni ????
Basta polemizzare!!
Complimenti per il tuo modo di scrivere, sai trasmettere emozioni e sentimenti incredibilmente bene. Sei davvero bravo !
Ti auguro ogni bene e spero di poter leggere ancora qualcosa di tuo.
ciao.
… la tua solita matita sempre ben temperata, altro che Stephen King (e dai che abbiamo scoperto a chi si ispira lo Stefano Re del Blog). L’idea di farci un cortometraggio si potrebbe sviluppare, mi vengono in mente gli amici del Teatro Ariosto … Complimenti, arriverà il giorno che ti vedrò entrare in una cabina telefonica per poi vederti uscire volando con un braccio teso ed il mantello svolazzante e sul pertto una grande ESSE, esse di Sergio per l’appunto.
Dario
caro sergio,
racconto pazzesco, bellissimo! altro che il tuo eroe, dal vero sei stato eccezionale. spero tu possa incontrare di nuovo i tuoi angeli ma sono comunque convinta che siano andati a casa felici.
continua a scrivere….!giuli
Ringrazio tutti quelli che sono intervenuti (tutti, nessuno escluso!), tutti quelli che mi hanno lodato, e tutti quelli che hanno partecipato con passione.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno pubblicizzato su altri siti e blog, e tutti coloro che mi hanno scritto via e-mail.
Ho vissuto due settimane da “star”, non c’è che dire!
Ringrazio Isabella Rinaldi e Massimo Maugeri, che hanno permesso tutto questo, e Andrea Carlo Cappi, che per primo ha pubblicato questo racconto (su M-RIVISTA DEL MISTERO “LEZIONI DI PAURA”, Alacran Edizioni).
Concludo questo mio intervento con il motivo per cui è cominciato tutto, ripubblicando la descrizione dei due ragazzi che il 9 Aprile 2006 mi hanno soccorso al Parco di Monza… E che sto ancora cercando.
Lei si chiama Lisa, fa la maestra, ed è bionda (forse tinta), con un viso tondo, pieno di nei ma “pulito”; lui si chiama, mi pare, Mauro o Maurizio (nel racconto opto per Mauro), è bruno, e ha il viso tendente al tondo (non allungato, per intenderci!), ma dai lineamenti più marcati.
Grazie a tutti!
Sergio Rilletti
Ciao, Sergio. Ho letto il racconto della tua avventura.
Confesso la mia ignoranza in materia letteraria, per cui il mio giudizio vale per quello che può valere, comunque a me è parso MERAVIGLIOSO.
Sei proprio bravo a scrivere! Hai reso la tensione del momento alla perfezione, non tralasciando di descrivere minuziosamente ambienti, situazioni e personaggi.
Ma quello che mi è piaciuto di più sono i tuoi commenti ironici e sarcastici riferiti ai tuoi “amici” e ai vari personaggi che hai incontrato.
Confesso che mentre leggevo spesso mi sono ritrovato a sorridere.
Sei veramente forte (anche se questo lo sapevo già, conoscendoti un pochino!).
Per quanto riguarda i tuoi “amici”, la loro meschinità è pari al tuo spessore morale. Credimi quando penso che non hai certamente bisogno di simili cialtroni al fianco, la tua forza interiore, che ti ha permesso di superare questa situazione, è sufficiente a farti vivere serenamente la quotidianità.
Grazie per avermi fatto condividere questa tua esperienza che mi ha arricchito molto, e in bocca al lupo per la tua professione di scrittore(continua così, ne vale certamente la pena!).
Sergio, il racconto è bellissimo come sempre i tuoi scritti…magari fosse frutto della tua fantasia…l’unica cosa che posso dire è che non è tanto la superficialità che mi fa ribollire il sangue quanto la pusillanimità che segue…complimenti ai volontari salvatori dell’umanità!! ci sentiamo presto, lucia
Ciao Sergio.
Grande avventura e grande racconto, come sempre.
Certo che se al tuo posto ci fosse stata una persona un po’ meno ABILE sarebbe magari finita peggio per colpa di quegli irresponsabili !
Sei sempre il migliore !
Con affetto
Massimo
Ciao sergio,
ho letto il tuo racconto.
Mi è piaciuto molto: complimenti!
Tutto è bene ciò che finisce bene… a quasi 365 giorni di distanza rimane vivo ed intensificato dalla tua ben nota abilità narrativa, il ricordo di una domenica trascorsa a Milano… ma perchè non l’hai trascorsa a Celle Ligure !!!! … beh, quasi dimenticavo… questa è un’altra storia….
Saluti a tutti dalla mitica Bipanchina di Celle Ligure … e sono 20!!! Sergio tocca a te dare spiegazioni in merito eh eh eh … a presto
Ciao Sergio,
ho appena letto il tuo racconto e sono rimasta scioccata dal comportamento dei ragazzi dell’Organizzazione! Come si fa ad essere così insensibili!
Per fortuna hai incontrato i due ragazzi che ti hanno dato una mano.
A volte credo davvero che sia stato un aiuto divino!
Giada e il misterioso Bipanchina sono due miei amici che vedo sempre a Celle Ligure (SV), una località balneare priva di barriere architettoniche dove, essendo conosciuto da tutti, posso girare liberamente.
Ringrazio di nuovo tutti coloro che hanno dimostrato interesse per questa mia storia, a cominciare da quelli che finora non ho ringraziato esplicitamente; e, da inguaribile caparbio ottimista, concludo ripubblicando l’”identikit” dei due ragazzi che Domenica 9 Aprile 2006 mi hanno soccorso – in modo assolutamente encomiabile – al Parco di Monza, togliendomi da un gravoso impiccio!
Lei si chiama Lisa, fa la maestra, ed è bionda (forse tinta), con un viso tondo pieno di nei ma “pulito”; lui si chiama, mi pare, Mauro o Maurizio (spero!), è bruno, e ha il viso tendente al tondo (non allungato, per intenderci) ma dai lineamenti più marcati.
Io, questi due ragazzi, li continuo a cercare. Spero, e spererò sempre, che qualcuno possa aiutarmi a rintracciarli.
Se un giorno dovessi riuscire a ritrovarli, vi avvertirò all’istante: promesso!
Grazie a tutti!
Sergio Rilletti
Come alcuni di voi sanno già, DOMENICA 10 GIUGNO sono stato ospite di Luca Crovi nel suo programma Tutti i colori del giallo, in onda su Rai Radio Due.
Era una puntata dedicata ai diversabili; e io, in qualità di scrittore diversamente abile, sono andato lì, con tutte le mie difficoltà di artticolazione. A parlare. In diretta. Di me e dei miei racconti più importanti.
E’ stata un’iniziativa coraggiosa, bisogna dirlo, da parte degli autori… che però ha ottenuto un vivo interesse e davvero molti consensi!
Se volete riascoltare la puntata che mi ha visto co-protagonista, insieme ad altri ospiti, e magari scaricarla su iPod, potete farlo fino a domenica andando sul sito http://www.radio.rai.it/radio2/tuttiicoloridelgiallo/ e cliccando sulla puntata del 10-06-2007.
Un caro saluto a tutti!
Sergio
Desideravo ringraziare pubblicamente Sergio Rilletti per aver citato Letteratitudine nel corso del programma di Luca Crovi “Tutti i colori del giallo”, in onda su Rai Radio Due.
Grande Sergio!
Ciao Sergio, un detto popolare recita “meglio soli che mal accompagnati”. Credo che a Monza tu sia riuscito ad andare oltre: solo e mal accompagnato…. . Siamo in tanti ad aver sentito (e visto) la tua intervista su Radio Due. I tuoi “mail- friends” amentano di giorno in giorno, chissà che nella “rete” non finiscano anche Lisa e Mauro….AAA. Angeli cercasi. Un abbraccio.
Maria Giulia
La bella voce di Luca Crovi ha reso il tuo racconto ancora più emozionante e coinvolgente… complimenti per il tuo intervento e per il tuo bellissimo racconto (sarebbe stato bello poterlo ascoltare fino alla fine!) da tutti noi: Manu, Raffa, Ricky, Claudia, Sara (colleghi Simona).
Ti ho seguito, eccome se ti ho seguito. E’ stata una trasmissione emozionante e – credo – il migliore mezzo possibile per cercare di arrivare agli Angeli. Oddìo, magari se provi a scrivere a Maurizio Costanzo e lui ti dà retta, chissà che non li rintracci davvero…
Anche se io, come già ti ho accennato in privato, ci proverei comunque a rivolgermi alla PM di Monza, magari cercando al suo interno un ufficiale sensibile.
Ciao e ancora complimenti per il coraggio, la simpatia e per la prosa veramente incisiva e accattivante.
Pier Paolo Piccioni
GRANDE SERGIO!
In questa prova emozionante alla radio hai riconfermato per l’ennesima volta le tue doti da campione!
Trovo che tu sia stato eccellente, indipendente e spigliato: il mix per essere MITICO!!
Complimenti, continua così, Sergio e faraiancora tantissima strada!
Un abbraccio
Greta 9 anni
Caro Sergio,
ti ho seguito su RAI RADIO 2 e ho trovato l’intervista interessante.
Le tue risposte sono state centrate ed efficaci. Inoltre tu e Simona eravate ben sincronizzati, e la voce di Simo risultava tranquilla e spontanea. Un bel risultato! Continua così.
Un abbraccio
Sonia
Un bravo a Sergio che, malgrado l’emozione (un invito a Rai Radio 2 non è una cosa da poco!), ha confermato ancora una volta le sue doti di ottimismo e di perseveranza nella ricerca degli “Angeli di Monza” dimostrando l’importanza da lui data ai rapporti umani e all’amicizia, cemento della vita.
Un grazie a Simona che, conoscendo l’amico da anni, ha saputo interpretarne, in maniera sensibile, il pensiero.
E un grazie di cuore a Luca Crovi, bravissimo conduttore che, leggendo come uno dei migliori attori un pezzo del racconto di Sergio, ha saputo farci entrare nella vicenda a tutto tondo, brividi compresi.
Ancora complimenti a Sergio per il racconto, il suo talento in crescita e per la sua partecipazione a “Tutti i colori del giallo” (ancora per pochi giorni online su rai.it). Avanti così! K
Sergio è come l’acqua di fiume: arriva sempre al mare… qualunque sia il percorso!
Grande!
Grazie Sergio! Grazie per come hai vissuto l'”avventura” di Monza e per come l’hai racconta.
Grazie per la prova, non indifferente, che hai affrontato nel presentarti in DIRETTA RAI (!!!), alla RADIO, dove non potevi supplire alla difficoltà di articolazione delle parole, con i tuoi radiosi sorrisi e l’espressione del viso…. E’ vero che c’era Simona (grazie Simona!) a sostenerti e prestarti la sua voce…
E, visto che sono in vena di ringraziamenti, grazie anche all’autore della trasmissione “Tutti i colori del giallo”, Luca Crovi, oltre che per la sua avvincente lettura del testo di Sergio, anche per l’opportunità che ha dato a me e agli altri ascoltatori di conoscere esperienze importanti nel campo della creatività.
Devo ancora aggiungere che ho ormai abitualmente adottato, citandone però sempre la fonte, il capovolgimento dell’espressione “diversamente abile” in “abilmente diverso”, inventato da Massimo Augeri per il caso di Sergio a Monza.
CARO SERGIO, IO NON SO COME FAI AD AVERE TANTE ENERGIE!
TI HO SEGUITO IN RADIO E OVVIAMENTE… SEI STATO “FORTE” COME AL SOLITO. MI SA TANTO CHE FRA UN PO’ PER VEDERTI, SENTIRTI, INCONTRARTI, DOVREMO PRENDERE UN APPUNTAMENTO CON LA TUA… SEGRETARIA E SOPRATTUTTO DARTI DEL “VOI”.
CIAO SERGIO, GRAZIE ANCHE PER ME PER QUELLO CHE FAI!
UN BACIO GRANDE,
LUCIANA
Ho appena sentiito il programma. E’ stato bellisimo!
Mi coomplimento con Sergio Rilletti per l’ironia, con Simona per la puntuale traduzione, e con Luca Crovi per aver dato vita a questo programms.
Invito tutti ad ascoltare la puntata,che sarà on-line fimo a domani sul sito di Rai Radio Due, e auspico che questa sia un’iniativa che si possa ripetere presto!
Ah, dimenticavo!…
Mi unisco ai complimenti per la bella lettura di Luca Crovi, e, come i colleghi ddi Simona, auspico di poter ascoltare, prima o poi, la storia per intero. O, magari, di vederne un film.
L’esperienza a Rai Radio Due è stata veramente fortissima, per me. Non avrei mai immaginato che, un giorno, nonostante tutte le mie difficoltà di articolazione, avrei potuto sostenere un’intervista in diretta radiofonica.
Ringrazio di cuore Luca Crovi, Simona, e tutti quelli che me ne hanno dato quest’opportunità, realizzandola in modo ottimale!
E, come ho espresso in radio, ringrazio tutte le persone, i d.j. e i blogger, che hanno dimostrato un vivo interesse per la mia vicenda.
Grazie a tutti!
Sergio Rilletti
Ho ascoltato in extremis la puntata del 10-06-2007 di “Tutti i colori del giallo”.
Ritengo che Luca Crovi, grazie alla partecipazione di Sergio Rilletti e di Simona, abbia compiuto un’operazione meritoria, dimostrando che le barriere, se si vuole, si possono veramente abbattere!
Prima di chiudere ci tenevo a segnalarvi questo racconto di Sergio Rilletti pubblicato su Thriller Magazine.
Ecco il link:
http://www.thrillermagazine.it/racconti/5959
Un caro saluto ai due ragazzi che il 9 Aprile di due anni fa – era una domenica e, come oggi, era il primo giorno delle Elezioni parlamentari – mi hanno soccorso al Parco di Monza, togliendomi da un brutto impiccio.
Io, cari ragazzi, spero ancora di ritrovarvi!
Ciao!
Sergio
Nel modo più naturale del mondo chiedo alla mia carissima amica Francesca se domani sera andiamo al cinema….
Francesca mi dice così ” Hai presente il cartello , appeso davanti ad alcuni negozi ,con la foto del cane dove c’è scritto IO NON POSSO ENTRARE ? Ecco io al cinema non posso proprio entrare. È un posto dove non sono mai stata. Mi dispiace Myri ma il cinema è pieno di scalini nelle sale, fuori dalle sale. La mia sedia non passa dove bisogna fare la fila e non ci sono altre entrate. Forse sarebbe possibile ma bisognerebbe smuovere mezzo mondo , fare aprire le porte antincendio e poi comunque dentro la sala come si fa ? Non possiamo mi spiace.
Ma che idiota !!! Ma come mi viene in mente una cosa simile? Ma perché non ci ho pensato prima? Era una cosa a cui non avevo mai pensato…eppure è proprio così. Che tristezza. Mi dispiace per la mia amica Francesca, non è giusto. Rimango li senza parole , vorrei poterle dire che non c’è problema che al cinema ci andiamo lo stesso ma purtroppo non si può… porca miseria che nervi !!!
Questo è uno dei tanti raconti del mio blog sulla disabilità… facci un salto. Racconto bellissimo davvero , rabbrividisco solo a leggerlo !
Ringrazio di cuore Myriam per i suoi complimenti e la sua testimonianza.
Myriam non la conosco, è amica di un mio amico. Mi ha scritto qualche settimana fa, facendomi i complimenti per questo racconto.
E’ una ragazza giovane, sensibile, che vuole fortemente diventare un”educatrice.
Invito tutti ad andare a visitare il suo blog sulla disabilità: http://pezzidellamiavita.blogattivo.com/
@ Sergio Rilletti
Un saluto a te e complimenti per la tua attività letteraria.
A proposito… come sta Mr Noir?
–
Ho visto che è “saltata” la foto dal post. Cercherò di rimediare quanto prima.
Grazie, Massimo!…
Mister Noir sta benissimo! Dopo il sorprendente successo della sua ultima avventura, MORS RIDENS, pubblicata su M-RIVISTA DEL MISTERO “ZOMBI PARTY” (Alacran Edizioni), ho in serbo tanti progetti per lui; tra cui, persino, un cortometraggio diretto da me!
Ebbene sì! Non è solo un sogno, è proprio un progetto in fase di realizzazione.
Incredibile ma vero! 🙂
Sergio, NONOSTANTE TU NON MI ABBIA SCRITTO LA MAIL CON IL LINK COME PROMESSO (vago tono di minaccia :-P) sono arrivata al tuo racconto su ThrillerMagazine – che ti commenterò in altra sede – e da quello a questo…
Non so che dire: sai già che dopo il succitato MORS RIDENS sono diventata una tua fan sfegatata (pubblicità progresso: leggetelo tutti, è bellissimo!) ma dopo di questo… dopo questo ho capito che decisamente sei uno scrittore di rara versatilità: come ho riso fino alle lacrime in Mors Ridens, così le lacrime – di coinvolgimento, commozione e, alla fine, sollievo – mi sono scese leggendo SOLO!. La narrazione in soggettiva mi ha fatto immedesimare a tutto tondo, in un’avventura che ha un ritmo da thriller e che regala un coinvolgimento pressochè totale con l’io narrante. Questo mi conferma che con la scrittura puoi toccare varie corde dell’animo umano senza perdere, passando di genere in genere, di sincerità e abilità narrativa.
Bene! Bravo! Non vedo l’ora di continuare a leggerti 🙂
A prestissimo, spero.
v
Grazie mille, Vale!… Inutile dire QUANTO HAI RAGIONE! 😀
–
Ne approfitto per segnalare il mio ultimo racconto pubblicato su ThrillerMagazine: LUI PENSAVA, una short-story – dall’umorismo nerissimo – sulla pena di morte.
Il link diretto per leggerlo è: http://www.thrillermagazine.it/rubriche/6350
Sai cos’è, Sergio?
Dio riesce a scrivere dritto su righe storte. Ti ha mandato due samaritani – quando l’uomo ferito e derubato giaceva per terra senza aiuto, tutti lo guardarono e passarono dritto. Un samaritano, un eretico, oggi sarebbe forse un extracomunitario, un rom, passa, guarda R SI FERMA. Presta aiuto, carica il ferito e lo porta in una locanda, raccomandandolo all’oste, accollandosi le spese.
E poi, da quelle di terrore, di umiliazione, di stanchezza, 100 commenti al tuo racconto, una trasmissione radio, forse una riflessione in più.
Grazie,
Maria Lucia
Sì, cara Maria Lucia, quella volta Dio si è presentato a me tre volte (come contadino, come pattinatore, e come giovane coppia di innamorati), e l’ultima volta l’ho riconosciuto subito!
@Maria Lucia
Ah, dimenticavo!… Grazie per le tue parole: infondono fiducia e speranza!
Carissimi… Qualche giorno fa il sito ThrillerMagazine ha pubbliicato una bellissima recensione di SOLO!.
E’ un vero piacere per me constatare che, nonostante tutto questo tempo, questa storia, che qualcuno aveva tentato disperatamente di insabbiare, riscuota ancora così tanto interesse!
–
Se volere leggere la recensione, il link diretto è: http://www.thrillermagazine.it/libri/7048
Carissimo Sergio, ho scaricato proprio adesso il tuo “Solo” lo leggerò con attenzione!
Sono proprio contenta che tu continui nel tua avventura
di giovane scrittore… e mi fa piacere sempre ricevere tue notizie…
Bacioni da tutti noi!
Licia e le Sisters (se ne è aggiunta una nuova la
dolce Chiara la mia bimba! spero prima o poi che tu riesc a conoscerla
inseme al piccolo Luca)
Bacioni
Cara Licia, grazie mille!… E’ sempre un piacere ricevere notizie da un’amica che non si vede più da tanto tempo!
E poi, è incredibile ma vero: “SOLO!” continua a far parlare di sé (e un po’ anche di me!).
Anzi, ne approfitto per inserire qui il mio intervento che ho scritto per il post “Nessuno è autonomo” che Sara Del Corona, giornalista e collaboratrice della rivista “Marie Claire”, ha voluto dedicarmi sul suo blog “Io ballo col salmone (http://www.marieclaire.it/blog/io-ballo/nessuno-e-autonomo ).
Non è mia abitudine pubblicare interventi che ho scritto per altri, ma penso che questo offra ulteriori spunti di riflessionee.
–
Cara Sara, ti ringrazio molto per avermi dedicato questo post.
Sì, è proprio vero, certi errori altrui ti segnano per sempre. E non sto certo alludendo alla craniata che mi avevi fatto prendere (di cui non mi ricordavo più, e non certo per effetto della botta!), e neanche del mio smarrimento al Parco di Monza, che comunque è un errore di proporzioni molto più abnormi del primo, ma all’improvvisa mancanza di fiducia e di “autonomia intellettuale” che, mio malgrado, ho dovuto constatare dopo quella fatidica Domenica 9 Aprile 2006.
Cos’è accaduto? Semplice: assolutamente nulla!
Nonostante avessi più volte confidato ai due responsabili dell’Organizzazione che mi aspettavo che i volontari coinvolti, ai quali ero affezionato e che possedevano la mia e-mail, si facessero vivi, nessuno mi chiese nulla. Mai! Neanche quando ci incontravamo.
Come se non fosse accaduto assolutamente nulla.
Non so se questo loro comportamento fosse spontaneo o magari “indotto” da qualcuno, ma non mi sembra che cambi un granché.
La mancanza di fiducia è una cosa aberrante. Soprattutto se perpetrata da persone che ti conoscono bene e che sanno che non le metteresti mai nei guai; anche se, per dovere civile, dovresti farlo.
La fiducia è la base del rapporto tra due persone; se viene a mancare è la fine. In un gruppo, ogni persona ha un rapporto personale con ciascun altro; c’è un interesse comune, magari si possono formare dei sottogruppi, ma alla fine ogni singola persona ha un rapporto diverso e “unico” con ciascun altro.
E non esiste motivazione o contesto che possa modificare questo semplice dato di fatto!
Gli altri possono essere d’aiuto o d’intralcio, ma alla fine ciascuno è sempre totalmente responsabile di ciò che fa.
Oltretutto, i volontari, per molte persone “diversamente abili” sono considerati dei veri e propri amici, e ripongono in loro massima fiducia. Sempre.
E da un amico ci si aspetta interessamento. Sempre.
Il disinteressamento è innaturale, e fa pensare; se poi riguarda qualcosa di grave o di “spiacevole”, obbliga a riflettere ancor di più.
Io, come ho scritto in un articolo che è stato pubblicato in un libro, non ho mai confuso i volontari con gli amici. Ce ne sono stati alcuni, come Sara, con cui sono diventato amico, ma non ha mai fatto l’equazione Volontario = Amico.
Eppure, nonostante ciò, l’innaturale indifferenza che ho riscontrato dopo la mia drammatica avventura al Parco di Monza, mi ha ferito molto.
Mi hanno privato improvvisamente di tutto l’affetto e di tutta la fiducia che sembrava avessero sempre riposto in me. Mi hanno trattato come un pericolo da evitare, non come una persona (che oltretutto conoscevano bene).
Hanno preso tutti la medesima decisione, comportandosi tutti nello stesso identico modo, come se avessero pensato con un unico cervello.
La mancanza di “autonomia intellettuale” sancisce, inevitabilmente, la fine della individualità di una persona e, quindi, la fine della stima e della fiducia che si potevano avere in quella determinata persona.
E questo è un rischio che nessun volontario meriterebbe di correre!
Caro Sergio,
sono contenta di ritrovarti con il tuo solito entusiasmo! Ho letto il tuo racconto alla sua pubblicazione e l’ho riletto oggi insieme alla recensione.
Complimenti! Sei mitico!
Un abbraccio
Grazie mille, Paola!… I complimenti mi spronano ad andare avanti!
–
Ne approfitto per ripubblicare il link del blog di Sara Del Corona, che a sua volta ha linkato questo blog, a cui ho acceennato nell’intervento precedente.
Andate a leggerlo, ne vale la pena: http://www.marieclaire.it/blog/io-ballo/nessuno-e-autonomo .
(E speriamo che questa volta venga!) 😉
Oggi è il 9 Aprile, e, come ogni anno, riicordo la mia avventura al Parco di Monza.
Oggi, per “commemorarlo”, ho scritto un post sul blog.
Se volete sapere gi antefatti e i sorprendenti sviluppi di questa mia storia, vi invito caldamente a leggerlo: http://blogs.myspace.com/index.cfm?fuseaction=blog.view&friendID=452216759&blogID=482118968 .
La commemoro volentieri con te con la speranza che non succeda MAI PIU’.
abbraccione
Grazie mille, Patrizia!
io, ogni anno, commemoro questo giorno, perché voglio tenere sempre viva la memoria, affinché fatti come questi non accadano MAI PIU’!
–
Buona Pasqua a tutti!
Bravissimo!
Complimenti
Ho letto la tua storia: accidenti che brutta esperienza.
Naturalmente ogni esperienza negativa è un grande insegnamento dunque potremmo definirla utile, ma ugualmenterimane terribile.
–
Mi piace come scrivi: man mano che leggevo mi hai incuriosita sempre di più perchè davvero si vive la storia immedesimandosi in quel che tu hai vissuto e che hai saputo trasferire pienamente.
La cosa più grave è la reazione delle persone che si sono chiuse completamente. Avevano torto marcio.
Avrebbero dovuto assumersi la propria responsabilità anche rischiando una querela, naturalmente, affrontandoti e scusandosi.
Evidentemente, come per molti, il denaro è la cosa più importante e la paura di perderlo compromette la loro coscienza e a questo punto anche il senso civico che è la parte preponderante del loro stesso lavoro.
Non so se ho capito bene il ruolo dei tuoi assistenti ma direi che questo tipo di comportamento non si sposa bene con l’attività di sostegno ai disabili che svolgono.
Cara Annateresa, hai proprio ragione. Il comportamento che hanno tenuto DOPO la vicenda del Parco di Monza è veramente indegno, senza attenuanti.
Chi non ragiona con la propria testa ha sempre torto!
Soprattutto se non rischia neanche di perdere un posto di lavoro retribuito!
Comunque, tutto ciò mi ha portato molta fortuna, come scrittore, e domani, DOMENICA 14 GIUGNO 2009, comparirà una mia intervista sul quotidiano “IL GIORNO” di Monza-Brianza, che ho rilasciato al giornalista Dario Crippa.
Caro Sergio, bravissimo!!!
Sarebbe possibile inserire la tua intervista qui, tra i commenti?
(o, in alternativa, linkarla?)
Be’… in bocca al lupo e complimenti, caro Sergio!;-)
Grazie mille, Massimo!… E’ un vero piacere, per me, vedere che “SOLO!” continua a destare così tanto interesse!…
Appena riesco a caricare il file .pdf della pagina de “IL GIORNO” di Monza-Brianza che mi riguarda sul mio blog, lo linko qui!
–
E grazie anche per aver pubblicato il mio racconto “COME IN FAMIGLIA”, contenuto nell’antologia “CRIMINI DI REGIME” (Editrice Laurum), curata da Daniele Cambiaso e Angelo Marenzana, dedicata al Ventennio fascista.
E’ la prima volta che vengo pubblicato in appendice… a me stesso! 😉
–
–
Grazie ancora, e A presto!
Bravissimo!!!
Ritmo, intensità, sensibilità…senso della vita!
Un abbraccio
Simo
Hai visto, Sergio? Una bella appendice!
E hai pure ricevuto i complimenti da Miss Premio Vittorini Opera prima 2009:-))
Grazie dell’informazione, caro Massimo!…
Che io e Simona Lo Iacono fossimo sulla stessa “lunghezza d’onda” me ne sono accorto in febbraio, quando ho fatto da moderatore al forum su Sanremo!
Ma ora un dubbio mi assale: i complimenti sono per “SOLO!” o per “COME IN FAMIGLIA”??? 😉
–
–
Comunque, complimenti anche alla Miss!!!!!!!!!!
Caro Sergio, per puro caso oggi ho avuto il piacere di leggere il tuo esemplare racconto nel parco di Monza. Mi sono rispecchiata nei tuoi pensieri e nella tua situazione, anche se con eventi diversi. Purtroppo il
nostro pianeta è affollato di persone come Carletto. Anch’io spesso mi sento un pacco sballotatto da un posto all’altro e vivere diventa una coraggiosa avventura quotidiana. Cosa ci salva? La forza interiore e l’ironia
Grazie di aver suscitato qualche consapevole riflessione in coloro che non devono affrontare i nostri problemi.
Sentimi fraternamente amica.
Tessy
Per entrambi, carissimo Sergio!!!
Confermo: gran ritmo, intensità, sguardo!
Ancora!!!
Massi…è la prima volta che qualcuno mi chiama Miss!
Bacio
Cara Tessy, “SOLO!” è un racconto che non avrei mai voluto scrivere ma che mi sta portando ancora tantissima foortuuna.
Ciò che è accaduto a me, sia al Parco di Monza sia dopo, è deprecabile. E non deve accadere mai più. A nessuno.
“SOLO!” l’ho scritto principalmente nella speranza di ritrovare Lisa e il suo amico, ma anche per sfondare il muro di omertà che si stava ergendo attorno a questa vicenda.
E ogni volta che qualcuno s’interessa a “SOLO!”, propagandandolo, non perdo occasione di informare chi aveva tentato, in tutti i modi, di insabbiare questa brutta vicenda!
–
Grazie!
Sergio
@Simona Lo Iacono:
Grazie ancora, Miss!…
Se vuoi, vieni a trovarmi sul mio blog!
(E’ la prima volta che invito una Miss sul mio blog!) 😀
Caro Sergio, il successo lo meriti tutto, ora poi che l’adorabile Miss Simona
si interessa a te, sei davvero baciato dalla dea fortuna!
Un caro saluto a lei e a te.
Tessy
Sì, sì, sì! Sono proprio contento di tutto ciò!
Grazie mille, Massimo, per avermi dato questa nuova opportunità!
Purtroppo, però, io ho solo la mia intervista originale, non l’articolo che poi Dario Crippa ha realizzato e pubblicato.
Abbi pazienza. Cercherò di trovare una soluzione quanto prima!
–
Grazie ancora!
Assai accattivante e coinvolgente.
I miei complimenti.
Grazie mille, Renzo!…
“SOLO!” è un racconto che mi ha dato molto, e che oltretutto, per un rocambolesco scherzo del Destino, mi ha permesso di scrivere “COME IN FAMIGLIA”!
Carissimo Sergio
ho provato a entrare nel tuo blog…ma non riesco a iscrivermi!
Ti lascerò qui il mio commento e ti leggerò sempre con entusiasmo.
Bellissima la tua presentazione nel profilo generale …che se permetti riporto dopo i trattini , come augurio per i tuoi sogni…
…Che la tua immaginazione aleggi ovunque, che ti faccia vivere tutte le vite, che ti dia ali, sguardi, viaggi. Che ti travesta e ti interpreti, che ti offra volti e corpi, che ti faccia sfiorare code di stelle comete, e con esse, tutte le stelle del cielo …ma che, alla fine, ti riporti al sogno più grande, all’interpretazione più riuscita, alla storia migliore.
La tua.
Un bacio da Simo
—-
Sono un milione le cose di questo mondo che non so fare. Non ho mai saputo colpire d’effetto a una palla, nemmeno quando giocavo al liceo. Non so riparare un rubinetto che perde. Non so andare sugli schettini o cavare da una chitarra un accordo in fa che non dia il mal di pancia. […] Ma se volete che io vi porti via, che vi spaventi o vi avvinca o che vi faccia piangere o ridere, allora sì, posso. (Stephen King, “Misery”)
@Sergio
Caro Sergio, a me è piaciuto molto il tuo racconto “Come in famiglia”, mi ha fatto pensare a quei film in bianco e nero ambientati durante la
Seconda Guerra Mondiale: quei momenti di “panico” tremendo in cui si poteva essere portati via dai tedeschi ( benché “amici” di quella famiglia) o dai fascisti sono resi molto bene.
L’altra vicenda, che, evidentemente hai raccontato per dirci ancora una volta quanta differenza c’è tra esseri umani ed altri esseri umani, è molto triste e fa male sentire che ti è accaduta. Il titolo è così significativo.
Continua a scrivere: qui, e altrove, troverai sempre i tuoi lettori::))
Grazie mille, Simona e Roberta!…
Tra poche ore partirò per una crociera d’una settimana alle isole greche, ma le vostre parole mi hanno scaldato il cuore!
Vi risponderò BENE (spero!) quando tornerò.
–
Grazie!
Sergio
“Solo” per rinnovarti i miei complimenti riguardo il tuo lavoro, che
“come in famiglia” si accompagna e si perpetua racconto dopo racconto.
Grazie, Raffaele!…
E’ una frase “nonsense”, ma piena di “sense”!
Cara Roberta, innanzitutto ti ringrazio ancora per il tuo messaggio, e scusami se ti ho fatto aspettare così tanto.
“Come in famiglia” è una storia che avrei voluto raccontare già da molti anni, e che, scrivendola, mi ha fatto meditare sul “piccolo” particolare che ho espresso nel finale (che non rivelo per non rovinare il colpo di scena a chi non l’ha ancora letto).
“Solo!”, invece, l’ho scritto principalmente per ritrovare Lisa e il suo amico, che mi hanno soccorso con grande efficienza e sensibilità, ma anche per dimostrare e continuare a ricordare a chi ha cercato in tutti i modi di insabbiare questa brutta faccenda, che, in realtà, ha molto meno potere di quello che pensa.
Comunque è un dato di fatto che, per uno strano gioco del Destino che ho raccontato su un post sul mio blog, se non avessi scritto “Solo!” non avrei potuto scrivere neanche “Come in famiglia”
@Simona Lo Iacono:
Cara Simona, innanzitutto grazie ancora per quello che mi hai scritto, e scusami se ti rispondo solo ora.
Mi fa molto piacere che tu abbia visitato il mio blog, le tue parole mi hanno scaldato il cuore. In effetti, per me scrivere è vitale come mangiare e bere. Ho cominciato a scrivere molto prima che cominciassero a pubblicarmi, e penso proprio che continuerei a farlo anche se il mondo dell’editoria svanisse nel nulla.
Frasi come le tue, comunque, mi spronano a continuare!
Grazie!
@Massimo Maugeri, Simona Lo Iacono, Roberta, e tutti quelli che potrebbero essere interessati:
Finalmente, dopo un po’ di tempo e diversi tentativi, sono riuscito a pubblicare sul mio blog l’intervista che ho rilasciato al giornalista Dario Crippa per il quotidiano “IL GIORNO” di Monza-Brianza.
Se volete potete leggerla, in due parti, ai seguenti link:
http://viewmorepics.myspace.com/index.cfm?fuseaction=viewImage&friendID=452216759&albumID=1106805&imageID=11713077#
e
http://viewmorepics.myspace.com/index.cfm?fuseaction=viewImage&friendID=452216759&albumID=1106805&imageID=11713077#a=1106805&i=11713072 .
–
Spero proprio che vi piaccia… e che possa offrire ulteriori spunti di riflessione!
Ciao Sergio!
Mi collego poco ultimamente, ma ho finalmente letto il tuo racconto “SOLO!”, l’ho letto anche ai bambini e si sono appassionati tanto.
Complimenti ancora!!!
Roberto
Grazie mille, Roberto!…
Rimango sempre un po’ stupito dal fatto che “SOLO!” venga letto ai bambini, ma, d’altronde, quando ero al Parco di Monza, m sentivo come Cappuccetto Rosso! ;)\
😉
Carissimo Sergio, ho riletto per l’ennesima volta il tuo racconto “Solo”
e cattura sempre la mia attenzione.Mi ha colpito molto l’altro racconto dal titolo “Come in famiglia” dove mi hai rivelato un altro lato di tua madre e della sua famiglia che ho avuto l’onore di conoscere.
Stai “crescendo “come scrittore e come uomo e non solo ti ammiro,ma ti voglio tanto bene mariuccia
Ciao
ho appena letto il racconto. Veramente molto bello, ben scritto, trasmette intensamente la tensione di quei momenti.
Ho chiesto la tua amicizia su myspace.
Sono ancora impressionato dal racconto e… faccio fatica a raccogliere i pensieri.
Sto riflettendo sul concetto di “normale”, “normodotato” e tutti quegli aggettivi più o meno politicamente corretti per descrivere la normalità… Faccio fatica ad esprimermi… nel tuo racconto la normalità non esiste, il tuo racconto è eccellente, vorrei averlo scritto io.
Saluti, a rileggerti presto.
CHE BELLO!
Finalmente riesco a ricollegarmi ad Internet, e trovo queste due belle sorprese!
Commenterò adeguatamente con più calma.
–
Grazie!
Salve a tutti!… Sono Sergio, lo scrittore “carrozzinato” munito di blog che molti di voi già conoscono.
Assieme ad Elio Marracci sto curando un’antologia di racconti thriller dedicata al mondo dell’handicap.
–
–
L’antologia in questione, “CAPACITA’ NASCOSTE”, ha intenzione di raccogliere racconti thriller con protagonisti disabili, mostrando, attraverso vicende di suspense, cosa sia l’handicap e di come, pur essendovene affetti, si possano affrontare improvvise avversità. (L’idea è venuta a Marracci leggendo il mio “SOLO!”, che potete trovare in questo stesso blog all’indirizzo: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2009/06/16/solo-racconto-di-sergio-rilletti/ .)
–
I racconti devono quindi appartenere alla “narrativa di tensione”, non devono superare le 20.000 battute (spazi inclusi), e devono raccontare storie in cui i protagonisti (disabili), nonostante il proprio handicap (tema portante), riescono a cavarsi da situazioni di pericolo grazie alle proprie capacità.
–
La nostra intenzione è quella di coinvolgere scrittori sia “diversamente abili” che “normodotati”, in modo da avere entrambe le “visioni”, ma comunque professionisti.
–
La data di consegna dei racconti è prevista, indicativamente, per il 31 DICEMBRE 2009.
–
–
L’unico vero “handicap” di questa iniziativa è che, ahinoi!, non possiamo promettere compensi.
–
–
–
Bene, per ora è tutto.
Chiunque fosse interessato a partecipare, può scrivermi a questo indirizzo: sergio.rilletti@fastwebnet.it
@Mariuccia:
“SOLO!” è una storia che non avrei mai voluto scrivere, “COME IN FAMIGLIA” sì, da molto molto molto tempo. Ma hanno due cose in comune: la forza di volontà e la sensibilità d’animo!
Storie che, nel bene o nel male, rischiano di venire occultate. Ma che, invece, vanno raccontate e ricordate.
Sempre!
\@Briacco:
Grazie per le tue parole!… In effetti “normalità” e “disabilità” sono due concetti molto “relativi” e perfettamente interscambiabili.
Come mi disse Andrea G. Pinketts, quando, aiutato da Federica e Simona – due mie carissime amiche -, lo intervistai:
–
“Tra me e te il disabile sono io, perché tu capisci tutto quello che dico, mentre io ho bisogno dell’aiuto della tua amica per capire quello che dici” (Andrea G. Pinketts).
–
Questa, ovviamente, è una battuta; ma è una frase molto semplificativa!
–
–
@Tutti:
Ne approfitto per segnalarvi il blog di Briacco.
Infatti, se cliccate sul suo nome vedete comparire… il mio blog!
L’indirizzo del SUO blog invece è: http://www.myspace.com/briacco .
Sergioooooooo, complimenti complimenti e stra-complimenti!!!
Sei troppo un mito di persona e ti ammiro davvero tanto tanto!
–
Grazie
–
Simo
Ops!… dimenticavo!
I complimenti sono soprattutto per “SOLO!”. Anche “COME IN FAMIGLIA” mi è piaciuto, ma “SOLO!” è troooppo belloooooooooo!
Grazie, Simona!…
“SOLO!” e “COME IN FAMIGLIA” sono due storie vere che meritano di essere raccontate!
E, a proposito di “SOLO!”, sul mio blog ho appena pubblicato il breve articolo “SOLO!… TRE ANNI DOPO (BIS)”, dove parlo anche di questo post di Massimo Maugeri. Se qualcuno vuole leggerlo, come spero, il link diretto è: http://blogs.myspace.com/index.cfm?fuseaction=blog.view&friendId=452216759&blogId=522090886 .
–
Grazie per l’attenzione!
Salve a tutti!… In occasione delle ripubblicazioni settimanali delle avventure di Mister Noir, il sito divulgativo della LEDHA – Lega per i Diritti delle persone con Handicap – ha ripubblicato “INSEGUIMENTO A RUOTA”, la short-story “fuori serie” che ho scritto nel 2006 per il vecchio sito della LEDHA, dedicandolo ai due giovani che, come ben sapete, il 9 Aprile di quell’anno mi avevano soccorso al Parco di Monza… e che sto ancora cercando!
In questa mini-avventura, Mister Noir diventa VERAMENTE il mio alter ego “interpretando” una vicenda che mi ha visto realmente protagonista, una ventina d’anni fa, a Celle Ligure (SV).
Se volete leggere questa “anomala” avventura, che avevo voluto vivere per dare una piccola lezione di rispetto per le persone disabili, il link diretto è: http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3¬izia=2046 .
–
…E se volete sapere qualcosa di più su me e sul mio alter ego, il mio consiglio è, come sempre, di leggere la mia breve presentazione “CHI E’ Mr NOIR?” ( http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3&menu2=&menu3=&menu4=¬izia=1980&page=1 ).
–
Grazie a tutti per la simpatia e l’affetto con cui contiinuate a seguire “LE AVVENTURE DI MISTER NOIR” e “SOLO!”.
ATTENZIONE:
Quello che segue potete leggerlo anche sul mio blog, in una versione in cui ho potuto evidenziare alcune parti, all’indirizzo: http://blogs.myspace.com/index.cfm?fuseaction=blog.ListAll&bID=532514692 .
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Salve a tutti!… Oggi, anche se è passata da un po’ la mezzanotte, per me è ancora il 9 Aprile, il giorno che ormai, da quattro anni, è diventato il mio personale Giorno della Memoria, dedicato al ricordo della drammatica esperienza che ho vissuto al Parco di Monza e a tutto ciò che ne è conseguito.
Alcune persone che conosco si stupiscono del fatto che io continui a parlarne. Alcune di loro (poche) non hanno proprio gli strumenti per capire il motivo; altre, invece, suppongono erroneamente che io non abbia mai avuto la possibilità di capire e di sapere cosa stava accadendo tutto intorno a me.
Ma io sono un autore di noir, e, come tale, sono abituato ad analizzare “asetticamente”, fatto per fatto, la realtà!
Bene. Ora, a quattro anni di distanza, ho deciso che è giunto il momento di raccontare l’aspetto più noir di questa brutta vicenda e di come io, in tutta la mia possente disabilità, sia riuscito a scongiurare un tentativo di insabbiamento e di omertà che si stava ordendo alle mie spalle.
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Come ormai dovreste ben sapere, Domenica 9 Aprile 2006 un gruppo di volontari, guidati da un educatore professionista volpone, mi abbandonò in mezzo al Parco di Monza, a bordo della mia carrozzina elettrica di modeste dimensioni e ridotta mobilità, per farsi un giro in risciò. Costringendomi ad un’esperienza da incubo, durata oltre un’ora e mezza, in cui ho dovuto sfruttare al massimo tutte le mie capacità per uscirvi.
Una drammatica avventura che ho narrato fedelmente, attimo per attimo, in “SOLO!” – http://www.zaffoni.it/PDF/rilletti_solo.pdf -, un racconto che, come ho ampiamente declamato nel post dell’anno scorso “SOLO!… TRE ANNI DOPO” – http://blogs.myspace.com/index.cfm?fuseaction=blog.view&friendId=452216759&blogId=482118968 -, mi ha portato davvero molta fortuna!
Quello che però non sapete, e che sicuramente non potete neanche immaginare, è ciò che sono stato costretto a fare, dopo ben otto mesi di fiducia e di pazienza ripagati solo con un opprimente e ostinato silenzio, per riuscire ad ottenere un incontro con “Carletto”, l’educatore volpone, e con i volontari che mi avevano mollato al Parco di Monza.
Un atto famigerato, quello dell’ostinato silenzio, che puzzava di omertà sin dall’inizio, come molte persone hanno intuito leggendo l’epilogo di Solo!, che ora vi ripropongo.
–
Io, in cuor mio, so già che deciderò di non querelare Carletto, anche se potrei diventare ricco e famoso con estrema facilità; un po’ perché appartengo comunque a una famiglia di santi, e un po’ per non creare dei problemi all’Organizzazione, che, in fondo, non ha colpa. Però non mi va di dirlo subito, e lo tengo per me. Filomena mi scrive un’e-mail dove mi dice che mi ha visto un po’ agitato e di confidarmi pure con lei, se voglio. Io mi fido, le scrivo in due righe quello che penso di Carletto, e lei non mi dice più nulla, né per e-mail né a voce. Gli altri assistenti, anche quelli che credevo affezionati, non mi dicono più nulla al riguardo; e quando mi vedono, fanno finta che sia successo niente. Non solo. Ma non riesco neppure a ottenere il numero di cellulare di Mauro [ammesso che si chiami davvero così]: né Carletto né Asdrubale, che oltretutto me l’aveva promesso, l’hanno tenuto, compiendo così un atto gravissimo, deplorevole e senza senso (senza senso in tutti i sensi!), degno di un racconto non giallo, ma noir. E pensare che io li volevo solo ringraziare, quei due ragazzi [Lisa e Mauro]. E l’ho più volte specificato a Carletto, ad Asdrubale, e all’Organizzazione, che volevo solo ringraziarli…
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Già. L’Organizzazione, quel 9 Aprile 2006, era innocente; poi, a causa delle azioni del suo educatore capo, che chiamerò Gelsomino, purtroppo smise di esserlo.
Bastava poco, veramente poco, per accontentarmi. Era sufficiente darmi il numero di cellulare dei due giovani che mi avevano soccorso e che volevo ringraziare, e informare i volontari che mi aspettavo un loro cenno di interessamento; nulla di più!
Io, ogni volta che andavo a parlare con Gelsomino e Chiara, l’altra educatrice dell’Organizzazione (e ci andavo, coi miei genitori, piuttosto spesso!), ribadivo questi mie due necessità, pensando che, essendo educatori, si facessero portavoce della mia richiesta.
Chiara, in separata sede, mi consigliò di scrivere io ai volontari, ma io mi sentivo in imbarazzo, Filomena aveva troncato le comunicazioni dopo la prima e-mail, e, in cuor mio, confidavo che lei e Gelsomino, il capo, potessero parlare con loro con estrema facilità e tempestività.
Invece no, non accadde nulla di tutto ciò!
Nulla di nulla!
Anzi, non solo quei volontari non si fecero mai vivi, all’unisono, ma il morbo dell’omertà si estese anche su una volontaria che non c’entrava nulla, e che, contrariamente a quanto faceva di solito, non commentò un mio racconto, Mister Noir: Inseguimento a ruota (http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3¬izia=2046 ), che, guarda a caso, avevo dedicato proprio a Lisa e Mauro, i miei due soccorritori.
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E così passarono Aprile, Maggio, Giugno, Luglio, Agosto, e metà Settembre, senza che ricevessi alcun segno di interessamento da parte dei volontari; nemmeno quando mi incontravano di persona.
Così mi convinsi definitivamente che Gelsomino, il capo, volesse insabbiare la faccenda e che, quindi, potevo dire addio al numero di cellulare dei miei due giovani soccorritori (come infatti è stato!).
Tra metà settembre e gli inizi di ottobre scrissi “SOLO!”, con la precisa speranza che magari, attraverso il passaparola, potesse giungere fino a Lisa e Mauro, e, contemporaneamente, con l’intenzione di far conoscere quella mia brutta vicenda che Gelsomino, probabilmente, credeva di poter considerare già insabbiata.
E’ mia abitudine concedere, finché mi è possibile, il beneficio del dubbio, e quindi a novembre andai a rinnovare il mio stupore per l disinteressamento dei volontari a Chiara e Gelsomino, il capo.
Non ottenni nulla!
E a Dicembre, dopo oltre otto mesi da quella fatidica Domenica 9 Aprile 2006, mi arrabbiai.
Tanto.
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Mancavano pochi giorni alla tradizionale festa di Natale dell’Organizzazione, ma io quell’anno, ovviamente, avevo deciso di non andarci… annunciando pubblicamente il motivo.
Tuttavia, non essendo proprio spietato come i protagonisti dei miei racconti, aspettai che la festa si compisse, in modo da non rischiare di creare disagi e malumori durante la festa stessa.
Poi, il giorno dopo, colpii.
In modo duro ma onesto.
Inviai una breve e-mail intitolata “NO PARTY, NO OMERTA'” dove spiegai, seccamente, che la sera prima non ero andato alla festa, in segno di protesta verso il grave atto di omertà che stavano compiendo cinque volontari nei miei confronti, dopo la drammatica esperienza che avevo vissuto Domenica 9 Aprile al Parco di Monza.
Un’e-mail dura ma onesta, molto chiara sul periodo e sul luogo a cui mi stavo riferendo ma che, al contempo, garantiva la completa privacy dei cinque volontari in questione. E-mail che, per amore di limpidezza, inviai a molte persone – tra utenti, genitori, educatori, operatori, e volontari – legate all’Organizzazione e all’Associazione a cui apparteneva, lasciando tutti gli indirizzi in chiaro, e, in copia, ai rispettivi indirizzi di Chiara e di Gelsomino, il capo.
L’e-mail non deve essere piaciuta molto, dato che il mattino dopo – sabato, giorno di chiusura dell’Organizzazione e dell’Associazione – Gelsomino mi scrisse una lunga e-mail in cui si dichiarava Dispiaciuto. Sì, Dispiaciuto: per il mio comportamento, perché lui e Chiara mi avevano mostrato subito la loro solidarietà, perché non si sarebbero mai aspettati una reazione simile da parte mia…!
Un’e-mail aberrante, completamente priva del benché minimo cenno di scuse. Un messaggio falso, ipocrita, che non aveva alcun senso inviare solo a me.
E allora? Che senso poteva avere una roba del genere???
Per mia fortuna, mi venne in aiuto Mister Noir!
Sì, sì. Proprio lui: il mio eroe seriale che, all’occorrenza, utilizzo come destinatario fittizio delle mie e-mail “informative” sulla mia attività di scrittore, tenendo nascosti gli indirizzi dei destinatari veri.
Rilessi l’e-mail di Gelsomino, e mi accorsi che, in effetti, quella che poteva sembrare una demenziale lettera di rimprovero nei miei confronti, poteva essere letta come un elenco di giustificazioni.
E allora capii. Il vero destinatario dell’e-mail non ero io, ma altre persone a cui l’aveva inviata tenendo nascosti gli indirizzi!
Ipotesi che mi fu confermata quando, il lunedì successivo, mi accolse a parlare con uno smagliante sorriso.
Io gli chiesi subito come mai sabato mattina, giorno di chiusura, era in ufficio; e Chiara, intuendo il mio “leggero” tono provocatorio, si affrettò a dire, a posto suo, che Gelsomino aveva avuto un lavoro urgente da sbrigare.
Già. Peccato che Gelsomino non avesse neanche aperto la propria e-mail di lavoro, ma solo quella che generalmente veniva utilizzata da Chiara… e mi avesse scritto con quella!
Bah!…
Comunque, per non metterla in imbarazzo, finsi di crederci!
Gelsomino tentò di rimproverarmi di nuovo per la mia rimostranza pubblica, dicendomi che ora dovevano rispondere a decine di persone che chiedevano spiegazioni, ma io ribadii, più volte, con fermezza, che dopo otto mesi di estenuante attesa avevo tutti i diritti di essere esasperato; e che non ero affatto pentito di quello che avevo fatto. Ma proprio neanche un po’!
In quel momento Gelsomino, il capo, finalmente capì che era giunto il momento di darsi una mossa e di accontentarmi!
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Ma non finì qui.
Gelsomino compì l’ultimo, estremo tentativo di occultare la faccenda. E lo fece, ovviamente, nel modo sbagliato!
C’eravamo lasciati con l’impegno di organizzare i due incontro, quelli con Carletto e quello con i volontari, nelle prime settimane di gennaio (a questo punto anche Gelsomino aveva fretta di concludere!), e i due educatori mi avevano avvertito che avrebbero scritto un’e-mail tranquillante a tutti coloro che avevano ricevuto la mia. Io mi mostrai d’accordo, pensando, ovviamente, che sarebbe stata un’e-mail corretta che avrebbero inviato anche a me, come io avevo fatto con loro.
Invece no!
Qualche giorno dopo, un volontario, uno dei pochi che sia riuscito a ragionare con la propria testa, mi inviò l’e-mail che Gelsomino, il capo, aveva inviato.
Non era possibile!
Gelsomino aveva scritto un messaggio “rassicurante”, dicendo a tutti di non preoccuparsi, che non mi era capitato nulla di grave “ma soltanto qualcosa di spiacevole”, facendomi quindi passare per un interdetto, per uno che esagera… chiedendo, a buon conto, di non scrivermi, per non innescare polemiche.
Il volontario, però, mi pregò di far finta di nulla. E così feci; arrabbiatissimo verso Gelsomino, ma per nulla preoccupato. Da lì a poche settimane, infatti, avrei potuto pubblicizzare la pubblicazione “SOLO!” su M-RIVISTA DEL MISTERO “LEZIONI DI PAURA”, quindi la verità era comunque destinata a brillare. Come una bomba!
E così fu.
Non so quante persone abbiano avuto la stessa prontezza del volontario nel capire che, se Gelsomino non aveva inviato quell’e-mail anche a me, voleva dire che c’era qualcosa nel contenuto che non andava, ma quando successivamente il racconto venne ospitato sul prestigioso blog “LETTERATITUDINE DI MASSIMO MAUGERI” – sempre aperto ai vostri commenti -, ricevetti diverse e-mail di solidarietà e di indignazione, rispettivamente verso me e verso l’e-mail di Gelsomino.
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E così, nel Febbraio 2007, dopo dieci mesi dalla mia drammatica esperienza al Parco di Monza, riuscii ad ottenere i due incontri, con Carletto e con i volontari, in quest’ordine, come avevamo prestabilito.
Ovviamente Gelsomino, per oscuri motivi, tentò di sovvertire l’ordine, mentre Carletto avrebbe voluto concedermi solo la carità di una misera ora risicata; ma grazie alla mia caparbietà, che ormai Gelsomino aveva portato a limiti estremi, e alla sensibilità e professionalità di Chiara, riuscimmo, finalmente, a fare tutto per bene. E io le scrissi un’e-mail, inviandola in copia a Carletto e a Gelsomino (il capo), ringraziandola di cuore e auspicando che la sua correttezza e la sua professionalità potessero essere di insegnamento ai suoi due colleghi.
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Carletto, quando ci incontrammo, mentì su tutto. E non ritengo necessario altro, almeno in questo articolo!
I volontari, a parte Asdrubale, invece cercarono di essere sinceri, chiarendo subito che avevano appreso della mia esigenza di chiarimenti solo attraverso la mia e-mail che li aveva fatti infuriare con gli educatori, solidarizzando con me. Poi, sollecitati da Chiara, mi raccontarono ciò che avevano provato e fatto durante la mia ora e mazza da incubo; e questo l’ho apprezzato molto. Purtroppo, però, nessuno di loro è stato totalmente sincero e onesto con me fino alla fine (non ne sono semplicemente convinto, lo so proprio!), e questo lo considero comunque molto grave, indipendentemente dai motivi per cui l’hanno fatto!
Gelsomino ormai lo considero l’onta dell’Organizzazione, l’unica persona di tutta l’Associazione di cui so per certo di non potermi fidare. E il fatto che, nonostante tutto, sia ancora l’educatore capo dell’Organizzazione dei volontari, mi turba e mi agita ogni giorno, parecchio.
L’unica persona che è uscita senza macchie da questa brutta vicenda è Chiara. L’unica che si è comportata correttamente e con sensibilità, dall’inizio alla fine. L’unica, tra le persone in qualche modo coinvolte, che mi abbia scritto un commento su Solo!.
Nessuno dei volontari coinvolti l’ha mai fatto.
Esattamente come Carletto e Gelsomino, l’educatore capo.
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Tuttavia, quella dei volontari, è una categoria che merita di essere tutelata, e i fatti che hanno visto protagonisti alcuni di loro meritano di essere raccontati e analizzati, con calma, una prossima volta, in un apposito post, magari attraverso un discorso un po’ più ampio e articolato in cui, nella salvaguardia dei rapporti tra utenti e volontari, citerò alcuni esempi particolarmente positivi del passato.
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E se qualcuno dovesse ancora chiedersi come mai io parli ancora di questa faccenda, la risposta è molto semplice.
Lo faccio a scopo educativo.
Ho appena pubblicato una nuova versione di “SOLO!… COME SFONDAI IL MURO DELL’OMERTA'”, leggermente diversa da quella che ho postato qui sopra.
Se volete leggerla, il link diretto è: http://blogs.myspace.com/index.cfm?fuseaction=blog.view&friendId=452216759&blogId=532514692 .
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Grazie per l’attenzione!
Sergio Rilletti
Caro Sergio,
sono una tua estimatrice (un bel pò stagionata, ma ancora con la zucca funzionante, almeno spero!) e leggo regolarmente la tua produzione letteraria.
Mi ero commossa per il fatto di Monza ed avevo ammirato il tuo coraggio nell’vivere l’evento, la tua lucidità di analisi e la forma assai gradevole con la quale avevi raccontato.
Adesso ti chiedo:
questo che hai scritto, è una puntata fantascientifica di una vicenda o è realta’ vissuta?
Io stento a credere.
Se è una fantasia, complimenti per l’efficacia.
Se è realtà, mi associo alla tua caparbietà nel denunciare le pecche (chiamiamole così) della casta degli operatori, stento a chiamarli educatori, anzi non li chiamo proprio così.
Io sono la mamma di un ragazzo con disabilità, ho conosciuto anni fa te e i tuoi genitori insieme alla famiglia Guastella, Ci siamo visti in Cascina Biblioteca dove oggi vivono, insieme a persone con disabilità più o meno autonome e più o meno indipendenti, due famiglie.
Il balcone sul quale si affacciano gli appartamenti delle famiglie è sfavillante di fiori, i ragazzi hanno un gatto che dorme sui letti e, durante le riunioni, partecipa mollemente sdraiato sul tavolo.
C’è vita e c’è un gruppo di operatori che hanno sensibilità, cuore e cervello.
Dico questo per confermarti che ‘si può modificare il mondo’ ma occorre vedere, analizzare, testimoniare.
Come fai tu che aggiungi, alla tua opera educativa (come la dichiari), una forma linguistica adatta alla divulgazione.
Bravo, insistiamo, con lucidità e determinazione!
Grazie mille, Nenette!… Mi ricordo benissimo di te!
Quello che ho raccontato, purtroppo, è tutto vero, e ti ringrazio davvero tanto per queste tue parole.
E’ stato molto doloroso, per me, ricordare tutto ciò, ma l’ho fatto perché stava diventando insopportabile sapere che Gelsomiino pensava di averla fatta franca (anche moralmente), di non potermi fidare più completamente dei voloontari (a causa sua), e sapere che altre persone, magari meno argute di me, potrebbero subire lo stesso trattamento.
L’ho fatto per questo.
Molto chiaro e molto efficace: fai bene a continuare a parlarne anche a nome delle tante persone che in contesti “educativi” subiscono vessazioni – più o meno gravi non ha importanza – senza avere la possibilità di fare sentire la loro voce ed il loro disagio. E’ un messaggio importante rivolto alla categoria degli operatori sociali per ricordarci delle nostre responsabilità, dei nostri doveri, tra i quali quelli prima di rispettare e poi di difendere e promuovere i diritti delle persone che ci sono “affidate”. Rileggendo anche la mia storia professionale non posso non ricordare episodi e situazioni in cui anche io stesso posso non essere stato consapevole di non stare rispettando fino in fondo questo semplice assunto umano e professionale. Ringrazio le persone che – come stai facendo te oggi con altri – hanno saputo farmelo notare e quindi farmi crescere – anche se di poco – come persona.
Caro Giovanni, ti ringrazio molto per ciò che hai scritto. Quando si prende una posizione “forte” come la mia, è molto importante ricevere un messaggio come il tuo.
E’ stato molto duro scrivere questo articolo, credimi. Ammettere pubblicamente di essere stato ingannato da una persona di cui ti fidavi, è davvero molto tosto.
Non l’avrei mai fatto, se non fossi stato convinto della sua importanza sociale.
Non si deve dimenticare. Non tanto e non solo per quanto riguarda il piano personale ma per le responsabilità che stanno dietro agli eventi narrati da Sergio Rilletti.
Educatori? Assistenti? Siamo sicuri che siano le parole giuste? Persone, stento a definirle tali, che andrebbero messe di fronte alle proprie ipocrisie e rimosse con effetto immediato.
Sergio ha abbastanza dignità e intelligenza da bastare a parecchie altre persone e non aggiungo altro per non far scadere la discussione.
Grazie, Angelo!… Sì, è vero: chi commette errori come quello di Carletto andrebbe sicuramente denunciato e rimosso.
Così come chi tenta di insabbiare la faccenda facendoti passare per interdetto, come ha fatto Gelsomino… rendendosi colpevole di un’infamia ancora più grave.
A me questa storia ha portato una gran fortuna.
Ma, ora che ho scoperto il vero lato di queste persone, se tornassi indietro denuncerei tutti!
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A proposito: A seguito del mio ultimo post, “SOLO!… COME SFONDAI IL MURO DELL’OMERTA'”, Gelsomino ha fatto un pallido tentativo di scrivermi negando le proprie responsabilità, ma, quando gli ho offerto la possibilità di raccontarmi la sua versione per iscritto, lui non mi ha più risposto… confermando tacitamente tutto ciò che avevo scritto nel mio articolo!
Ciao Sergio!!!! Ho letto “Solo!”
Finalmente.. 😉
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E’ incredibile che avventura terribile che hai vissuto amico mio!
Se io fossi stata più vicina a te avrei preso a calci nel culo quell’imbecille dell’organizzazione (perchè diversamente non si può chiamare!) che ti ha mollato là come si scarica una ragazza che non ti piace più.. Insomma, non si può accettare da persone normali che non lo fanno di lavoro un atteggiamento così, figuriamoci da un professionista! Non che tu non sia capace e intelligiente (lo sei molto più di tantissimi altri!), ma obiettivamente con la tua difficoltà di esprimerti a voce non ci voleva un genio per capire che abbandonarti lì da solo non era cosa da fare!!!!
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Menomale che quei due ragazzi ti hanno aiutato!
La cosa si è risolta per il meglio e quindi ti consiglio ovviamente di farne tesoro come esperienza.
Però io gliene direi 4 a quegli incompetenti lì!!!!!
Grazie mille, Melania!… E’ sempre bello ricevere un commento come questo!
E’ molto importante, per me, mostrare che questa storia continua ad
interessare!
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Comunque, come si suol dire, non tutto il male vien per nuocere: leggi
“SOLO!… TRE ANNI DOPO”, pubblicato il 9 Aprile 2009 sul mio blog, e capirai! 🙂
Ehi, Melania!…
Ricordati di leggere anche “COME IN FAMIGLIA”. 🙂
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Un Abbraccione!
Sergio
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P.S.: “SOLO!… COME SFONDAI IL MURO DELL’OMERTA'”, diretto seguito di “SOLO!”, dove racconto quello che è accaduto nei dieci mesi successivi la mia avventura al Parco di Monza, puoi leggerlo anche qui, più su, oppure all’indirizzo: http://blogs.myspace.com/index.cfm?fuseaction=blog.view&friendId=452216759&blogId=532514692 .
Un saluto a te, caro Sergio.
Grazie, Massimo!…
Guarda che non mi sono affatto dimenticato delle domande che mi hai fatto nel 15° appuntamento della Camera Accanto. Devo solo trovare il tempo per rispondere!…
Ciao Sergio,
come stai? Spero bene.
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Ho letto l’epilogo , se così si può definire, di “Solo!”.
Forse per corroborare la rabbia che generano episodi deplorevoli e pericolosi come quello che hai descritto e soprattutto subito, avrei voluto leggere ulteriori dettagli. Come se avessi voluto solidarizzare fino in fondo con te e indignarmi al culmine, avrei voluto conoscere le parole della mail, le scuse adottate per mascherare la situazione e il comportamento dissimulatore per deviare l’attenzione, distrarre dal reale problema e scansare le responsabilità che Gelsomino aveva in tutto questo. A ben pensarci, però, è meglio non avvelenarsi e rimanere semplicemente testimoni di un gesto vile che, come tutti, prima o poi si ritorce contro chi lo ha compiuto per una semplice legge naturale poiché la coscienza in qualche dove, si è adombrata di qualcosa che avrebbe potuto essere rimosso con delle sincere scuse. A Gelsomino bastava lasciare da parte l’orgoglio e la presunzione e, immedesimandosi in te, avrebbe dovuto – facendo per prima cosa un regalo a se stesso – fare un mea culpa e la cosa avrebbe potuto finire lì.
Altra questione per Carletto ma nel suo caso scorgo scarsa umanità e non so proprio giudicare.
Sarà dotato di altre virtù ma l’onestà è una dote importante la cui mancanza compromette le relazioni col prossimo quando queste dovrebbero essere sincere.
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Come ti scrissi a suo tempo, credo che per Gelsomino &Co. ci sia stata una malafede di fondo determinata dalla paura di essere screditato professionalmente e in ultima analisi la paura dover far fronte a grosse spese legali che ti ricompensassero del danno subito qualora avessi denunciato il misfatto.
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Mi consola sapere che sanno che non sono riusciti a raggirarti e a farti demordere e ho la sensazione che la tua vicenda drammatica abbia segnato anche le loro esistenze: se non sono stupidi saranno certo più attenti dunque qualcuno beneficerà di quel che ti è capitato. Un giorno, o forse sin d’ora, dirai: grazie Gelsomino!
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Scusami se non mi sono fatta viva prima. Provvederò ad integrami meglio, se lo gradisci, con qualche mail in più!!
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Un abbraccio
Annateresa
Cara Annateresa, fnalmente riesco a risponderti! Purtroppo Gelsomino non solo non ha fatto alcun “mea culpa”, ma, in un paio di e-mail che mi ha scritto dopo il mio “SOLO!… COME SFONDAI IL MURO DELL’OMERTA'”, ha detto che non si riconosceva. Ma nel momento in cui gli ho offerto la possibilità di scrivermi cosa non andava nella mia ricostruzione, assicurandogli che se mi avesse detto la verità me ne sarei accorto, lui non mi ha più risposto.
Vabbe’, la rabbia è tanta. Essere tradito da una persona di cui ti fidavi, a cui avevi già perdonato diversi atteggiamenti poco chiari (più o meno gravi) “per fiducia”, esclusivamente per cieca fiducia, è una ferita che non può rimarginarsi e che, addirittura, ti obbliga a cambiare atteggiamento verso due categorie di persone: gli educatori e i volontari. Io cerco di valutare sempre ogni persona per ciò che fa, ma, avendo ormai capito che hanno una sorta di codice d’onore a cui credono di dover sottostare, non posso più fidarmi totalmente di nessuno di loro. Con alcuni volontari sto proprio bene, così come ho dei pareri particolarmente positivi verso alcuni educatori, ma ormai sono cambiato: dovendoli considerare tutti assieme, come un unico team, sono molto meno indulgente con entrambe le categorie!
E non solo per questo, ma anche per altri due fatti, abbastanza gravi, che sono avvenuti qualche anno prima, e che racconterò bene in aprile. Situazioni particolarmente toste che, comunque, sono state risolte egregiamente da una volontaria che, infischiandosene delle regole, le ha affrontate da sola!
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Però, in fondo, è vero: se non fosse per Carletto, Gelsomino, e tutto il “branco di amici”, io non avrei scritto “SOLO!” e non avrei avuto l’impennata di popolarità che questo racconto mi ha dato. Quindi… mi sa che hai ragione: Prima o poi dovrò ringraziarli! 😉
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Ne approfitto per farti i miei migliori auguri di Buon Anno!
Per quanto mi riguarda è iniziato sotto i migliori auspici: parteciperò ad un’antologia di racconti horror, e ho la speranza di partecipare ad un’antologia di poesie sul vino! 😀
Tra poche ore partirò per Roma, e finalmente conoscerò Maria, ovvero la Marta del mio racconto “COME IN FAMIGLIA”.
Ebbene sì. Dopo ben cinquant’anni, mia madre e sua cugina si incontreranno di nuovo. Grazie al mio racconto!
E questo, devo ammetterlo, mi rende felice e mi emoziona davvero molto!
🙂
Caspita!… Senza accorgemene sono già trascorsi otto giorni (era Mercoledì 5 pomeriggio) da quando sono andato – coi miei genitori – a conoscere Maria, alias Marta nel mio racconto “COME IN FAMIGLIA”, a Zagarolo (Roma).
E’ stato molto emozionante!…
E l’accoglienza che ci ha riservato la famiglia di suo nipote, nostri cugini che però non ci avevano mai visti prima, è una sorpresa che non ci aspettavamo e che ci ha scaldato il cuore!
Salve a tutti!… Nove mesi fa avevo scritto un post intitolato “SOLO!… COME SFONDAI IL MURO DELL’OMERTA'”, in cui raccontavo il clima di omertà e di falsità che ho dovuto affrontare nei dieci mesi successivi la mia drammatica vicenda al Parco di Monza, meglio conosciuta col titolo di Solo!.
A seguito di quell’articolo, l’educatore protagonista dell’infausto tentativo di insabbiamento, che nell’articolo ho chiamato “Gelsomino”, mi ha scritto due brevi e-mail cercando di negare maldestramente le sue responsabilità. Ma, quando l’ho invitato a scrivermi la sua versione dei fatti – assicurandogli che, se mi avesse detto la verità, me ne sarei accorto -, LUI… NON MI HA MAI PIU’ RISPOSTO, confermando tacitamente tutto quello che avevo scritto!
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Se volete sapere cosa “Gelsomino” NON HA MAI NEGATO, potete leggere il mio omonimo intervento su questo stesso post, pubblicato in data 10 Aprile 2010, oppure cliccare sul seguente link: http://www.myspace.com/sergiorilletti/blog/532514692 .
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Buona Lettura a tutti!
Ma tu sei molto più forte!
bacio
p.
Ciao Sergio, finalmente ti leggo anche qui e apprendo del tuo viaggio a Roma, coi suoi risvolti emozionanti.. mi fa un enorme piacere.
Scrivere è diventata dunque per te un’avventura incessante che non solo descrive la realtà ma la modifica anche in senso positivo. – mi riferisco alla tua carriera letteraria, all’ incontro con i tuoi parenti e chissà un giorno al cellulare dei tuoi Angeli..
Continua così nella tua incredibile avventura emozionante, forte e perseverante come te..
Un abbraccio
Eh sì, Patrizia!…
Merito anche di persone come te, che mi sostengono sempre!
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Grazie!
Sì, cara Valentina, hai detto bene: Per me è scrivere è un’incessante avventura!
Divertire, avvincere, e far riflettere: sono questi i tre obiettivi che mi prefiggo sempre, cercando di cimentarmi in ogni genere.
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La vita, a volte, mi dà la possibilità di parlare di persone belle, che meritano di essere ricordate anche da chi non le ha mai conosciuto.
Poi, quello che scaturisce da racconti come “SOLO!” e “COME IN FAMIGLIA”, presenti entrambi su questo stesso post, e “LA FESTA DEGLI ANGELI”, che ho dedicato ai volontari della Croce Rosa di Celle Ligure (SV), è tutto una magica sorpresa!
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Grazie per lo sprone finale!
Continuerò!…
Caro Sergio,
è bello ritrovarti!
Ti abbraccio con molto affetto!
🙂
Caro Massimo, anche per me è bello tornare qui, su questo blog che ha determinato, per me, un’esperienza unica e l’improvvisa impennata nella mia carriera di scrittore. Nonché i primi, incerti, passi di blogghista! 😉
E non hai idea di quante volte vorrei intervenire su altri post. Ma poi non colgo l’attimo… e mi faccio travolgere da tutti i miei lavori!
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Ricambio il saluto con tanto affetto!
Sono pienamente solidale con te. Ma sei solo solamente nei confronti di certa gente; hai tanti amici che la pensano come te, e tanti che ti stimano e ti vogliono bene.
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Ciao
Marisa
Grazie, Prof.!
Mi fa molto piacere ricevere questo “attestato” di stima e affetto!
😉
Sergio sei un grande! in un’esperienza da brivido come quella che hai vissuto hai saputo tirare fuori gli attributi e non ti sei perso d’animo!!!
In passato sin da ragazzina 13enne mi sono ritrovata a girare sola per le grandi città dovendo trovare coincidenze dei treni e degli aerei e luoghi da rintracciare, e in più di un occasione ti confesso di essermi sentita persa!
Tu hai saputo gestire al meglio la situazione senza perderti d’animo, e non solo. In ogni caso, hai avuto la sensibilità di tenere in considerazione anche le sensazioni degli altri, anche di quelli che non hanno saputo invece tenere in considerazione le Tue!!
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Quel “Carletto” è proprio un coglione: hai perfettamente ragione!!!
–
–
ciao Sergio a presto!!
un bacione Barby
😉
Cara Barbara, non hai idea di che piacere mi faccia ricevere questo tuo messaggio!… E ti ringrazio molto per avermi raccontato la tua storia! 😉
In effetti io, per natura, tendo a non creare problemi. Neanche a chi se lo merita. Non credo che, dal punto di vista “sociale”, questo sia giusto, ma la natura mia e della mia famiglia è questa.
Purtroppo, però, ci sono persone che non hanno le capacità o i mezzi per protestare e reagire efficacemente, e rischiano di farsi fregare da soggetti come “Carletto” e “Gelsomino” (senza contare i vari personaggi collaterali).
Continuare a ricordare questo fatto, quindi, diventa per me un dovere civico.
–
Un Abbraccio!
Sergio
@Massimo Maugeri e tutti:
A (parziale) prova di quanto ho affermato domenica scorsa, ovvero che la mia improvvisa ascesa di scrittore è iniziata proprio da questto blog, vi invito a leggere questo mio vecchio post: http://www.myspace.com/sergiorilletti/blog/482118968 .
😀
Ho letto tutto!
grande sergio…
ti adoro
Grazie, Simona!…
Piccolo messaggio, ma molto importante per me! 🙂
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Un Bacio Grande!
Sergio
Ciao Sergio, ho letto il tuo articolo e volevo solo dirti che sei un grande! (e tieni conto che non potevo veramente capire tutto, visto che la vicenda è articolata e complessa e io non conosco ovviamente ne l’organizzazione né i suoi componenti).
Ammiro la tua tenacia e la tua lucida spietatezza, davvero eccezionali, anche nel finale: spero che quanto hai scritto sia davvero “educativo”, per i protagonisti di quella vicenda ovviamente, ma anche per chiunque abbia letto il tuo racconto e magari anche il tuo articolo… per me sicuramente lo è stato!
Grazie.
Grazie mille, Dario, lo spero proprio anch’io. Soprattutto per i volontari.
Gelsomino, infatti, a seguito di questo mio articolo “post-Solo!”, mi ha inviato un paio di e-mail vergognose in cui non dà alcun cenno, neanche minimo, di ammissione o di pentimento.
Aveva persino tentato di fare nuovamente il furbo, invitandomi a parlarne a voce. Ma io, consapevole che a voce si possono confondere le idee, l’ho invitato a darmi le sue giustificazioni per iscritto: l’unico modo che una persona possiede per mostrare la propria sincerità.
–
Ovviamente, lui, non mi ha mai più risposto!
–
Vabbe’!… Speriamo almeno che i volontari capiscano… e che, in futuro, si salvino!
…..secondo me sei stato fin troppo buono e paziente…..complimenti
per la caparbietà…
buon lavoro!!!!
Sì, Claudia, è vero: sono stato troppo buono!… E, dal punto di vista
“sociale”, mi sento proprio in colpa!
Comunque io non mollerò mai, né su questo né su altro. Anzi, sto
diventando sempre più combattivo e caparbio!
Salve a tutti!… Il 9 Aprile è appena passato, e quest’anno, per celebrare il 5° Anniversario della mia drammatica avventura al Pa’rco di Monza, che cambiò la mia vita di scrittore (e anche un po’ il mio animo), ho deciso di sospendere momentaneamente gli approfondimenti e di ritornare all’inizio, riproponendo Solo! in una versione nuova, aggiungendo dei particolari inediti, ma tutti reali, che avevo tralasciato, e compiendo il restyling di alcuni termini. Particolari e termini che offrono una visione ancora più nitida e veritiera della vicenda, facendola fondere meglio a tutto quello che è già stato scritto al riguardo, sia da me sia da altri, e a quello che scriverò.
Una scelta che, ai miei nuovi lettori, dà l’opportunità di conoscere una storia che non avrei mai voluto scrivere ma che mi sta portando ancora molta fortuna, e, ai miei lettori più affezionati, offre nuovi particolari d’una vicenda che, con mio sommo piacere, li ha coinvolti in profondità!
Se volete leggere questa nuova versione “restaurata” di Solo!, il link diretto è: http://www.myspace.com/sergiorilletti/blog/542621190 .
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Buona Lettura a tutti!
Buon Quinto Anniversario, Sergio!
In fondo… è SOLO l’inizio!
🙂
Che dire…rileggendo il tuo racconto, a mesi di distanza, sono riuscita a cogliere di più le emozioni, a notare le sfumature, a capire cosa hai provato. Che scrivi bene ormai lo sappiamo, ma se riesci a far mettere lo scrittore nei tuoi panni sei a un livello più alto, Sergio. In particolare, all’inizio, mi sono immedesimata nei tuoi scrupoli verso gli altri, nel tuo senso di abbandono, nel tuo disprezzo per chi ha gli occhi ma non vuole vedere. Questa banda di imbecilli si è comportata male su tutta la linea, dall’abbandonarti solo fino a sfotterti per il tuo mancato senso d’orientamento (??). Pazzesca anche la falsità, l’ipocrisia e i paraculi con cui ti sei dovuto scontrare, io al posto tuo li avrei querelati tutti quanti, e subito!
Per cui, che dire? Non sono alla tua altezza, come non lo è la maggiorparte della gente. Tu cerca di circondarti di persone intelligenti e sensibili, persone simili a te… magari non ne troverai tante, ma quelle che trovi ti staranno accanto in tutte le occasioni.
Continua così…
Un abbraccio
G.
Un caro saluto a Sergio Rilletti.
@Giovanni Zucca:
GRAZIE MILLE!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
😀
@Massimo Maugeri:
Un caro saluto anche a te!
Cara Greta, appena ho letto il tuo commento mi sono commosso molto.
Sto meditando una risposta “ragionata”, quindi devo chiederti ancora un po’ di pazienza. Appena riuscirò ad elaborare qualcosa di sensato, ti risponderò.
Per ora, GRAZIE!
Cara Greta, grazie mille! Come ti ho già detto, il tuo commento mi ha davvero commosso. Le tue parole hanno proprio colto nel mio animo.
Sono contento di essere riuscito a far immedesimare i lettori in me: era proprio quello l’intento!
Per il fatto di non averli querelati, sì, è vero: dal punto di vista “sociale” è stato un grave errore (dato che poi, oltretutto, l’educatore-capo Gelsomino e i volontari – da autentici ingrati e codardi – hanno fatto di tutto per insabbiare la faccenda). Ma io sono anche convinto di essere stato premiato col successo e l’ascesa della mia carriera di scrittore, proprio grazie alla mia indulgenza!
Infine, come ho ribadito più volte, se Carletto, Gelsomino, e i volontari, si fossero comportati un po’ più correttamente (dandomi il numero di cellulare dei miei due giovani soccorritori), io non avrei scritto “SOLO!”, non mi sarei affermato così tanto, e non avrei avuto tutta una vasta gamma di belle esperienze che stanno continuando, in modo diversificato, ancora oggi!
VIVA SERGIO!
Grazie, Patrizia, per seguirmi sempre!…
Oggi, 9 Aprile 2012, è il Lunedì dell’Angelo.
E io non posso fare a meno di ricordare i “due angeli custodi mandati da Dio” che Domenica 9 Aprile 2006 mi soccorsero al Parco di Monza.
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Sempre nell’annosa speranza di ritrovarli!
Forza, Sergio! 😉
Grazie, caro Massimo!…
Sto scrivendo un nuovo capitolo di questa “saga”.
Spero di pubblicarlo entro lunedì.
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Un Abbraccio!
Salve a tutti!… Il 9 Aprile 2012 è passato da tempo, ormai; ma, anche se con un po’ di ritardo, non potevo certo saltare l’appuntamento annuale con “Solo!” e con tutto quello che è scaturito dopo quella fatidica Domenica 9 Aprile 2006 al Parco di Monza.
E quest’anno, rimanendo in linea con il percorso che ho cominciato a dicembre – pubblicando ogni mese un mio articolo o racconto sui miei rapporti con i volontari -, ho deciso di affrontare l’aspetto più doloroso, per me: il comportamento, tutt’altro che mirabile, che un gruppo di volontari ha tenuto in quell’occasione.
Una brutta vicenda, durata complessivamente ben ventisei mesi, che mi ha ferito proprio ferito nel profondo, e che ora ho deciso di raccontare nei dettagli. Nella speranza di poter evitare ad altri volontari di commettere gli stessi, o analoghi, gravissimi errori.
Se volete leggere questo articolo/resoconto/racconto, intitolato “Solo!… I volontari tra il Bene e il Male, che comunque ora pubblicherò anche qui di seguito, il link diretto è: http://www.myspace.com/sergiorilletti/blog/545679420 .
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Buona Lettura, e Buona Riflessione, a tutti!
ATTENZIONE
Per motivi “tipografici”, e per comprendere al meglio alcune “sfumare”, vi consiglio di leggere quanto segue all’indirizzo: http://www.myspace.com/sergiorilletti/blog/545679420 .
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Grazie, come sempre, a Massimo Maugeri per averrmi donato questo spazio!
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SOLO!… I VOLONTARI TRA IL BENE E IL MALE
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La storia che sto per raccontare è un’altra, allucinante, parte di ciò che è avvenuto dopo quella fatidica Domenica 9 Aprile 2006 al Parco di Monza, che i lettori conoscono col titolo “Solo!”.
E i fatti che sto per narrare hanno segnato una cicatrice profonda e indelebile nel mio animo, inducendomi a non fidarmi più completamente di due categorie di persone che stimo: i volontari e gli educatori. Indipendentemente dalla simpatia e dall’affetto che provo, in tutta sincerità, per alcuni di loro.
E il resoconto che segue, in cui sarò “spietatamente preciso” sui fatti – modificando solo i nomi, null’altro! -, è scritto con il dolore e la rabbia per ciò che è avvenuto, ma anche con la speranza di poter evitare ad altri volontari (e alle persone, in generale!) di commettere gli stessi, o analoghi, gravissimi errori.
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Se è la prima volta che vi affacciate a questo mio “serial autobiografico”, dove tutto ciò che racconto è totalmente vero al 100% (nomi a parte, naturalmente!), vi consiglio la lettura di “Solo!” (la cui versione “restaurata” è qui: http://www.myspace.com/sergiorilletti/blog/542621190 ) e di Solo!… Come sfondai il muro dell’omertà (http://www.myspace.com/sergiorilletti/blog/532514692 ).
Se però preferite cominciare a seguirmi da questa vicenda, non c’è alcun problema.
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Tutto iniziò quella fatidica Domenica 9 Aprile 2006, quando, dopo quasi due ore di affannose ricerche e tentativi per ritrovare Carletto – l’educatore volpone che mi aveva abbandonato al Parco di Monza – e i volontari che erano con lui, fui soccorso da una lungimirante e sensibile coppia di giovani, che, attraverso un giro di telefonate – che coinvolse Carletto e due volontari, Filomena e Asdrubale, entrambi avvocati -, riuscirono a farmi rimettere in contatto con loro.
Ma quei volontari, a cui ero legato da un sincero affetto che credevo ricambiato, mi tradirono. Più volte. Nel profondo.
Ma andiamo con ordine.
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Quando, dopo quasi due ore di profonda angoscia passate alla ricerca di aiuto, riuscii a farmi recuperare da Carletto – grazie al provvidenziale intervento dei miei due giovani soccorritori -, Filomena, sul pulmino, mi rifilò una sequela di domande a raffica, come se avessi potuto riassumere in cinque minuti tutto quello che avevo vissuto in due ore di panico. Mi disse che avrei potuto scriverci su un bel racconto con protagonista Mister Noir, e che Asdrubale – ancora lì al telefono con lei – mi avrebbe dato il numero di cellulare della tipa che mi aveva soccorso, mettendo le basi, certo inconsapevolmente, ad una serie di azioni di estrema vigliaccheria che li avrebbe segnati per sempre. Insieme ad altri.
Giunti alla Cascina Costa Alta, nessuno mostrò il minimo interesse per quello che mi era accaduto. Mi fecero solo un applauso, ma niente di più. Nemmeno Guido, che sembrava sinceramente affezionato a me, proferì parola al riguardo.
E non mi disse nulla nemmeno quando, mezz’ora dopo, ripartì in anticipo, per conto proprio, per motivi di lavoro.
Ritornato a Milano – con Carletto, Filomena, e gli altri utenti e volontari dell’Organizzazione – l’educatore volpone, col suo allegro tono da sfottò, disse ai miei genitori, che avevano chiesto cos’era accaduto, che non avevo molto il senso dell’orientamento. Con l’inevitabile conseguenza di essere mandato ripetutamente a ‘fanculo dal sottoscritto.
Tornando a casa, i miei genitori mi chiesero cosa fosse successo, ma io fui evasivo.
Forse, considerata la gravità di quanto era avvenuto, avrei dovuto chiedere loro di rimandare la partenza e di andare a parlare subito con Chiara e Gelsomino, i due educatori-responsabili dell’Organizzazione; ma, non volendo costringere mamma e papà ad accorciare quella piccola vacanza – di cui avevano tanto bisogno -, per affrontare una situazione particolarmente spiacevole, dissi loro che era accaduta una cosa grave, che era finita bene, ma che l’avrei raccontata con calma perché era lunga.
Quella sera stessa inviai un’e-mail ad Asdrubale, il volontario avvocato, per ringraziarlo del suo prezioso intervento, grazie al quale ero riuscito a rintracciare gli altri. Avrei voluto chiedergli subito il numero di cellulare del ragazzo che mi aveva soccorso assieme a Lisa (il nome della ragazza me lo ricordo bene, ed è proprio Lisa!), ma, per non trasformarla in un’e-mail “interessata”, non lo feci.
In fondo era stato lui che, quand’era al telefono con Filomena, mi aveva promesso, di sua spontanea volontà, che me l’avrebbe dato. Perché avrei dovuto pressarlo, perché avrei dovuto dubitarne?
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Il giorno dopo, Lunedì 10 Aprile 2006, quindi, come da programma, partimmo per Celle Ligure (SV). Mente e stomaco erano ancora rivolti al Parco di Monza.
Quella sera ricevetti due e-mail; ma non da Asdrubale – come invece mi sarei aspettato -, bensì da Filomena e da Gelsomino, il responsabile-capo dell’Organizzazione.
Filomena dichiarò di essere “dispiaciuta della [mia] disavventura” del giorno prima, e, preoccupata che mi fossi arrabbiato, mi invitò a confidarmi con lei; io mi fidai, e le scrissi cosa pensavo di Carletto.
Gelsomino, invece, mi scrisse che aveva saputo che mi ero perso ma che mi ero “districato brillantemente”, e che quindi dovevo esserne orgoglioso; io, fidandomi anche di lui, gli risposi che in effetti ero molto orgoglioso di me, che era stata un’esperienza particolarmente ostica (sotto molti aspetti), e che comunque ne avremmo parlato con calma al mio ritorno a Milano… tralasciando il “piccolo” particolare che, in realtà, non mi ero perso ma mi avevano perso (come aveva giustamente intuito Lisa, la mia giovane soccorritrice).
Già. Io mi fidai di entrambi.
E feci male. In entrambi i casi.
Perché quello fu l’inizio dell’omertoso silenzio.
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E venne Martedì.
Lo passai con la mente e lo stomaco ancora in tumulto sia per ciò che avevo vissuto al Parco di Monza sia, soprattutto, per la mancanza di sensibilità che ne era seguita.
Alla sera aprii l’e-mail, per vedere cosa mi avevano risposto Asdrubale, Filomena, e Gelsomino.
Gelsomino, notando che ora e data sull’e-mail che gli avevo inviato erano sbagliate, pensò di liquidarmi con queste esatte parole (che riporto fedelmente dalla sua e-mail): “Mi sa che hai qualche problema con la data del computer”. Punto.
Da Asdrubale e Filomena, invece, nessuna risposta.
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E venne Mercoledì.
Decisi di raccontare ai miei genitori cos’era accaduto. Non proprio nei dettagli, come avrei fatto in seguito con Solo!, perché la narrazione orale e le mie difficoltà motorie mi imponevano una certa sintesi, ma comunque in modo preciso sui fatti.
Rivelai ai miei genitori che Asdrubale e Carletto avevano il numero di cellulare del ragazzo che mi aveva soccorso con Lisa, e, quella sera, mia madre, me presente, telefonò a Carletto; mentre io, di notte, scrissi a Filomena chiedendole il numero di cellulare di Asdrubale.
Carletto rispose che provava a cercare quel numero ma che il suo cellulare teneva memorizzate solo le ultime 20 telefonate effettuate. E, cosa alquanto anomala, non chiese minimamente di me, di come stessi. Perché?
Filomena, invece, mi diede subito il numero di cellulare di Asdrubale, senza però proferir alcun commento sulla mia e-mail precedente.
Ma quando mia madre lo chiamò, per ringraziarlo e per chiedergli il numero di telefono del ragazzo, lui fu molto sbrigativo, quasi seccato, dicendo che ormai non ce l’aveva più.
Non ce l’aveva più??? Come “Non ce l’aveva più”?! Lui era un avvocato, ed era al corrente di tutto! E se avessi voluto assumerlo per querelare Carletto per abbandono e danni morali, cos’avrebbe fatto???
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E venne Giovedì pomeriggio.
Trovando alquanto strano che Gelsomino non si fosse messo direttamente in contatto coi miei genitori, lo chiamammo, e mia madre gli disse solo che avevo raccontato cos’era accaduto, che, sì, ora ero più tranquillo, e che ne avremmo parlato con calma al nostro rientro, augurandogli Buona Pasqua.
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E venne venerdì.
E venerdì, finalmente, mi rispose Asdrubale.
Io mi aspettavo un’e-mail di “bonaria complicità”, come lo era stata la mia di Domenica sera, e magari un amichevole accenno alla telefonata con mia madre.
Invece no, niente di tutto questo!
Mi scrisse, invece, un’e-mail allucinante in cui dichiarava: “Sì, certo, non sarà stato piacevole sentirsi perso….; ma, anche queste esperienze fanno parte della vita! Personalmente, ritengo sia meglio viverle (per di più, in occasione di un bel fine settimana con amici…), piuttosto che starsene “al sicuro”, nelle mura della propria casina!!!”
Rimasi sbigottito; come tutti quelli che la lessero, d’altronde!
Non potevo crederci. Non sembrava più lui.
Non sembrava certo la stessa persona che, appena cinque giorni prima, al telefono col ragazzo che mi stava aiutando si era indignato verso chi mi aveva abbandonato, comprendendo perfettamente la gravità della situazione!
Già. Il tanfo dell’omertà cominciava farsi sentire in modo pregnante, ma io non volevo crederci!
–
Quindi aspettai altri sei giorni, fiducioso che Asdrubale mi avrebbe riscritto, di sua spontanea volontà, per darmi il numero di cellulare del ragazzo.
Tanto, ormai, la mamma era stata chiara, sia con Carletto sia con Asdrubale. Io volevo quel numero solo per ringraziare Lisa e il suo amico, nulla di più!
E poi Asdrubale me l’aveva proprio promesso. Era ovvio che, almeno lui, me l’avrebbe dato.
Invece no!
Così Giovedì 20 decisi di rispondere alla sua e-mail, chiedendogli quel numero, come se non avesse già parlato con mia madre, ribadendo che ci tenevo proprio tanto a ringraziare quei due ragazzi. Ma l’unica sua risposta fu “Come ho già detto a Tua mamma, non ho tenuto quel numero di cellulare”, con quell’orrenda T maiuscola, simbolo di distanza e di agghiacciante rispetto formale.
Mi pentii subito di non aver specificato “…come mi avevi promesso”, così come mi pentii di non averglielo ricordato subito, nella prima e-mail; ma non avevo voluto pressarlo, avevo voluto fidarmi di lui, e ormai era fatta!
Intanto Filomena, che mi aveva invitato a confidarmi con lei, continuava a tacere.
–
Tornati a Milano andammo a parlare con Chiara e Gelsomino, il capo.
Lui mi disse di raccontare pure, ma mia madre gli chiese di dire prima lui cosa avevano saputo. Lui, colto di sorpresa, rispose che gli avevano detto che mi ero perso, ma che comunque li avevo ritrovati abbastanza in fretta, in circa dieci minuti. “Giusto?”
“E’ stata un po’ più lunga!” risposi sorridendo.
E così cominciai a raccontare quella mia drammatica esperienza.
Chiara mi seguiva con estrema attenzione, cercando di immedesimarsi in me. Gelsomino, invece, ripeteva semplicemente quello che diceva lei.
Ci salutammo cordialmente, e io espressi tre desideri: parlare di persona con Carletto, ricevere un cenno d’interessamento da parte dei volontari che mi avevano abbandonato, e recuperare il numero di cellulare dei due giovani che mi avevano aiutato; per ringraziarli, solo per ringraziarli!
Quel numero, oltretutto, era rintracciabile pure da Filomena – anche lei avvocato -, dato che i due ragazzi avevano trovato Asdrubale chiamando sul telefono di casa di lei. Quindi, quel numero, aveva lasciato ben due tracce: una sulla linea di Filomena, e una su quella di Carletto. Più Asdrubale, che l’aveva annotato e me l’aveva pure promesso.
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Passò del tempo. E venne Maggio.
Andai alla riunione annuale dei Soci dell’Associazione dei volontari, la cui iscrizione era obbligatoria solo per i volontari stessi, ma a cui mi ero iscritto sempre, sin dalla sua fondazione – partecipando pure attivamente alla serata d’inaugurazione facendo un lungo intervento -, per pura solidarietà.
Era la prima volta che rivedevo i miei “smarritori”, e quindi, con tutto quello che avevo detto a Chiara e Gelsomino, il capo, mi aspettavo che si avvicinassero per dirmi qualcosa. Sarebbe stato naturale aspettarselo anche se non avessi avuto quel colloquio, ma a maggior ragione ora.
Notai invece dei movimenti strani, come se volessero evitarmi; e Filomena, appena mi vide, si fiondò fuori, come se dovesse consultarsi urgentemente con qualcuno.
E nessuno mi disse una parola al riguardo.
Ovviamente, al momento di rinnovare l’iscrizione, non lo feci. E, altrettanto ovviamente, non la rinnovai mai più.
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Passò altro tempo. E venne Giugno.
E, con Giugno, arrivò anche la tradizionale Grigliata di Fine Anno.
Lì, i volontari avrebbero avuto tutto il tempo per avvicinarsi e dirmi qualcosa – anche solo una piccola frase – al riguardo, per mostarmi solidarietà.
Invece no, niente.
Neppure Guido, un tipo estremamente socievole e simpatico, pur avvicinandosi allegramente a me non sfiorò l’argomento. Va bene che lui non c’era né quando erano venuti a riprendermi al Parco né all’arrivo a Milano, e quindi non mi aveva visto innervosito, ma possibile che nessuno gli avesse detto niente???
E poi, comunque, indipendentemente da tutto ciò, una sagace battuta su ciò che mi era capitato, da parte sua, me l’aspettavo proprio!
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Comunque, prima di partire per le vacanze estive, andai a ribadire a Chiara e Gelsomino, il capo, il mio stupore per l’assoluto disinteressamento dei volontari e i miei tre forti desideri, che non mollavano mai i miei pensieri.
Chiara, in separata sede, mi consigliò di prendere l’iniziativa e di scrivere io ai volontari. Ma io, turbato dal silenzio che aveva calato Filomena dopo avermi invitato a confidarmi con lei, e riponendo ancora una malsana fiducia in Gelsomino – il cui deprecabile comportamento ho già raccontato in “Solo!… Come sfondai il muro dell’omertà” -, decisi di aspettare.
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E vennero pure Luglio e Agosto.
Appurato che non accadeva nulla, e che il numero di cellulare non stava saltando fuori, approfittai di un’avventura di Mister Noir che avevo scritto per il sito della LEDHA – Lega per i diritti delle persone con disabilità -, per aggiungervi una premessa/dedica per i miei due giovani e lungimiranti soccorritori, esprimendo loro il mio ringraziamento e la speranza di poterli ritrovare.
Aspettai il commento di Antonia, una volontaria che aveva sempre commentato i miei scritti; ma, guarda a caso, proprio quella volta tacque.
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E così, in un’attesa sempre meno fiduciosa ma pur sempre speranzosa, vennero e passarono anche tutto Agosto, Settembre, Ottobre, e Novembre, quando ribadii a Chiara e Gelsomino (il capo), questa volta in modo un po’ più deciso, che i volontari non si erano ancora fatti vivi.
Non accadde nulla.
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Finché non venne Dicembre e la tradizionale Festa di Natale dell’Organizzazione.
E io compii l’azione che mi permise, finalmente, di ottenere l’incontro coi volontari e quello con Carletto.
Non essendo proprio spietato come alcuni miei personaggi, aspettai che la festa – a cui non andai – si compisse, per non rischiare di rovinarne il clima, e, il giorno dopo, scrissi un’e-mail a quasi tutti quelli che, a vario titolo, avevano rapporti con l’Organizzazione, denunciando quello che stavo subendo (i cui dettagli e risultati sono accuratamente riportati nel racconto sopra citato).
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E così, nel Febbraio 2007, dopo “appena” dieci mesi da quella fatidica Domenica 9 Aprile 2006, riuscii a parlare dell’accaduto coi volontari.
Ci incontrammo un Lunedì sera, alla sede dell’Organizzazione. Eravamo io, i miei genitori, Antonia, Guido, Filomena, Chiara, e Gelsomino, il capo. E io e i miei genitori ci armammo di pazienza… e delle e-mail che mi avevano mandato!
(A dire la verità, quella fatidica Domenica al Parco di Monza c’erano anche altri due volontari, un ragazzo e una ragazza, che però, conoscendomi poco, non potendo contattarmi direttamente, e non avendoli più rivisti, ho sempre potuto concedere loro il beneficio del dubbio, e quindi non avevo chiesto di convocarli.)
Mi stavo già innervosendo per la mancanza di Asdrubale, ai miei occhi quello con la colpa più grave (a parte Gelsomino, naturalmente!), quando mi dissero che sarebbe arrivato a breve.
Infatti arrivò.
La prima persona che parlò fu Chiara, e disse che i volontari avevano subito avvertito di quanto era avvenuto, e di questo bisognava dargliene atto.
Poi Chiara invitò i volontari a raccontare come avevano vissuto quel momento, e sia Filomena sia, soprattutto, Guido si prodigarono a raccontarmi i fatti.
A quanto pare, mentre stavo girando per il Parco di Monza in cerca d’aiuto Carletto arrivò alla Cascina Costa Alta coi due risciò. E iniziò ad aspettare.
Loro, i volontari, continuavano a dire che era meglio venirmi a cercare, ma Carletto indugiava, fiducioso che dovessi arrivare. Poi, dopo un bel po’, partirono a cercarmi.
Guido, che non era tra quelli del gruppo dei risciò, tentò comunque di ripercorrere la strada a ritroso, correndo a perdifiato, col cuore in gola. Ma poi, spossato, aveva dovuto fermarsi.
Gli altri, guidati da Carletto, avevano fatto un lungo e inspiegabile giro esterno col pulmino.
La dinamica del giro col pulmino mi è tuttora misteriosa, dato che era parcheggiato molto più vicino a dove mi trovavo io che alla Cascina, ma il loro resoconto era compatibile col mio vissuto, e quindi non ho mai dubitato che, su questo punto, siano stati sinceri!
E quando mia madre disse che il tutto era durato un’ora, loro esclamarono: “Oh, altroché!… Almeno un’ora e mezza, un’ora e quaranta; ma anche di più!”.
Ma Gelsomino non era convinto che si era risolto tutto in dieci minuti??? Se i miei occhi avessero potuto emanare fiamme, l’avrei incendiato. Ma non volevo metterlo in imbarazzo con i suoi volontari, e allora mi trattenni a dismisura.
Poi venne il mio turno, e, aiutato dai miei genitori, dopo aver riassunto brevemente ciò che avevo vissuto, facendo intuire abbastanza chiaramente i grossissimi guai giudiziari a cui non li avevamo fatti incorrere, chiesi spiegazioni dei loro comportamenti.
Filomena disse che, quando aveva ricevuto la mia e-mail, aveva voluto tirarsene fuori, non scrivendomi più, pensando che dovessero sbrigarsela loro, i tre educatori. Probabilmente non pensando che, cosi facendo, avrebbe fatto una pessima figura proprio lei, di persona!
Antonia disse che non aveva commentato il mio racconto, contrariamente a quanto faceva di solito, semplicenente perché non ci aveva pensato.
Guido disse subito che, appena aveva letto il titolo della mia e-mail di Dicembre – No Party, No Omertà – aveva riso, ma poi, leggendola, si era infuriato con Chiara e Gelsomino, non avendo la più pallida idea che avessi espresso l’esigenza di parlare con loro.
Filomena confermò con impeto, ma esagerò, dichiarando come, alla Festa, un’altra volontaria l’avesse fatta sentire in colpa. Già. Peccato che quell’e-mail io l’avessi scritta dopo la Festa di Natale, non prima!
Ma non dissi nulla!
E, cosa ancora più misteriosa, non si era accorta che, quando finalmente erano riusciti a recuperarmi al Parco, mi ero arrabbiato con Carletto: credeva che fossi contento di rivederli!… E quindi, quando aveva visto la mia reazione all’arrivo a Milano (praticamente uguale alla prima!) si era stupita!
Un’impressione che, per qualche arcana ragione, aveva avuto anche Guido. Già. Guido, che non era stato presente né al mio ritrovamento al Parco né all’arrivo a Milano, aveva avuto la stessa impressione di Filomena!
Avrei voluto farglielo notare subito, e probabilmente avrei fatto bene, ma il fatto che fino a quel momento fosse stato solidale con me, mi bloccò. E rimasi scioccato.
Ma ora toccava ad Asdrubale, l’avvocato, giustificarsi. E lì la situazione precipitò definitivamente; e con essa precipitò, irrimediabilmente, anche la bella reputazione, peraltro già abbastanza incrinata dalle ultime affermazioni, che ciascun volontario aveva faticato a ricostruirsi.
Asdrubale, dopo aver accolto in malomodo i ringraziamenti di mia madre, cominciò a parlare freneticamente, sostenendo che se gli chiedevo un numero di telefono di cinque o dieci anni prima, lui, magari, non ce l’aveva più!
Cinque o dieci anni prima??? Ma che cacchio stava dicendo?!
Gli feci notare che quel numero me l’aveva promesso subito, quella fatidica Domenica, quando era ancora al telefono con me e Filomena, ma lui negò. E Filomena, ahilei!, asserì di non ricordarselo.
Ribadii che quel numero mi serviva per ringraziare i due giovani che mi avevano soccorso con la speranza, magari, di poterli rivedere. Lui, con la faccia da muro, rispose che aveva capito ma che ormai non ce l’aveva più, perché, una volta risolto il problema, l’aveva buttato. E io gli dissi che la sua tesi non era affatto credibile, dato che me l’aveva proprio promesso (non sottolineando che, essendo un avvocato – oltretutto testimone dei fatti -, non solo avremmo potuto assumerlo, ma, se avessimo voluto procedere comunque per vie legali, a quel punto si sarebbe ritrovato in grossissimi guai anche lui!).
Mia madre lo informò che, quando gli avevo scritto quella fatidica Domenica (sera), mi sarei aspettato una risposta immediata, che non ci fu. Ma lui negò, con irruenza, dicendo che mi aveva risposto subito.
A quel punto mia madre, su mia richiesta, annunciò che avevamo portato le e-mail. All’inizio erano tutti concordi che le mostrassimo, ma poi, appena queste comparvero dalla borsa, si scatenò una terribile bagarre generale.
Tutti i volontari si alzarono e ci vociarono contro, in difesa di Asdrubale. Con il risultato che mia madre dovette spostare l’attenzione da lui a loro, e io non riuscii più a comunicare con lui, che, nonostante vedesse che volevo parlargli, pensò bene di rimanere rintanato sulla sua sedia.
Ripristinato l’ordine, Chiara mi chiese se avessi qualcos’altro che volessi sapere; ma io, ancora rintronato da quell’inaspettata esplosione di grida, mi dimenticai delle e-mail che volevo mostrare, e chiesi invece perché, quando erano venuti a recuperarmi col pulmino, anziché essere un gruppo di soli volontari c’erano anche dei disabili.
Filomena me lo spiegò; ma la spiegazione risultò molto contorta, e ormai, comunque, non aveva più molta importanza.
Chiara, sinceramente interessata, mi chiese due volte se fosse tutto a posto. E io, anche se avevo l’impressione di avere ancora qualcosa in sospeso (le e-mail da mostrare, appunto!), risposi di sì.
A quel punto io mi aspettavo di ricevere un regalo, anche piccolo, da parte del gruppo: una sorta di “premio di riconoscenza” sia per quello che mi avevano fatto passare loro sia per i grossissimi guai giudiziari che non avevo fatto passare a loro.
Invece no, niente: evidentemente non doveva esserci nemmeno un piccolissimo, tangibile, ricordo dell’ammissione del “misfatto”!
La mamma annunciò che avevo scritto “Solo!”, e che era stato pubblicato su M-Rivista del mistero “Lezioni di paura”; e tutti sembravano interessati a leggerlo.
Filomena mi promise che avrebbe richiesto i propri tabulati telefonici, in modo da ritrovare il numero di cellulare del ragazzo che mi aveva soccorso con Lisa.
Ci salutammo affettuosamente. E io tornai a casa, non proprio soddisfatto ma comunque un po’ più tranquillo, consapevole di aver fatto il massimo e di aver ottenuto tutto quello che era possibile: non il massimo auspicabile, ma il massimo reale, considerati gli avvenimenti.
–
Nei giorni successivi, su consiglio di mia madre, scrissi delle e-mail a Chiara & Gelsomino e ai volontari per ringraziarli della serata. A tutti tranne a uno. Informandoli che, probabilmente, avrei ripreso l’argomento in futuro.
E, cavallerescamente, ne scrissi un’altra a tutti quelli a cui avevo inviato l’e-mail “No Party, No Omertà”, informandoli dell’avvenuto chiarimento, ringraziando sia Chiara sia Gelsomino.
E quando, pochi giorni dopo, un altro volontario mi chiese com’era andato l’incontro, io gli risposi che, a parte Asdrubale, era andato complessivamente bene.
“Tutto bene, quindi?”
“Complessivamente sì!”
Non so se il suo interesse fosse sincero o se lui fosse “in missione”, ma mi era simpatico, e la risposta, onesta e diplomatica, era comunque quella.
–
Nel frattempo, Massimo Maugeri pubblicò “Solo!” sul suo prestigioso blog letterario, che si espanse a macchia d’olio sul web.
Ma, nonostante tutto questo e tutto quello che ne è conseguito, e nonostante che io li abbia sempre informati sui vari sviluppi di Solo!, nessuno di questi volontari mi ha mai scritto un commento su questo mio racconto; esattamente come Carletto, l’educatore volpone, e Gelsomino, il loro educatore-capo.
Tra tutti quelli coinvolti nella vicenda di “Solo!”, solo Chiara mi scrisse un commento adeguato al riguardo, distinguendosi, anche per questo, dagli altri. A cominciare dai suoi due colleghi.
–
I mesi passarono, e Filomena, prima dell’estate, mi scrisse che si stava interessando per recuperare i tabulati telefonici.
–
E venne Dicembre 2007, e io e i miei genitori andammo alla Festa di Natale dell’Organizzazione.
Filomena non mi disse nulla, mentre Antonia mi portò in giro mostrando a tutti “Borsalino – Un diavolo per cappello”, la prima antologia a cui ho partecipato, e ad un volontario, col quale avevamo fatto altre esperienze al Parco di Monza, confidò che Carletto, l’ultima volta, mi aveva abbandonato lì.
Non so se lo fece per rimettersi a posto con me, ma sicuramente lo apprezzai.
–
Qualche mese dopo, scrissi a Filomena chiedendo notizie sui tabulati, ma lei non mi rispose. Glielo chiesi una seconda volta, ma non ottenni risposta.
E non mi disse nulla neanche alla Grigliata di Fine Anno (Giugno 2008).
Mi sentii tradito per l’ennesima volta. E fu l’ultima volta che andai ad una festa dell’Organizzazione.
Mentre un loro ex-utente mi confessò di averli già mollati perché si erano comportati male anche con lui.
–
Ma se quei volontari, alla fine, ne sono usciti malissimo, ce ne sono stati altri che mi hanno manifestato la loro solidarietà, scrivendomi o postando commenti sul blog. Ovviamente, in quest’ultimo caso, senza dichiararsi come volontari della suddetta Organizzazione (e questo è comprensibile!), ma comunque dimostrandomi la loro vicinanza ed empatia.
Se anche gli altri l’avessero capito, ciascuno di loro si sarebbe evitato il 100% d’una pessima figura, e tutto quello che ne è conseguito non sarebbe mai accaduto.
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Già. Quella volta i volontari hanno tradito la mia fiducia. Più volte.
E io ho deciso di scrivere questo articolo/resoconto per impedire che altri volontari commettano gli stessi, o analoghi, gravissimi errori.
Sì. Perché i volontari sono una categoria da tutelare, che offrono il proprio tempo libero gratuitamente, senza vincoli contrattuali.
I volontari di questa storia hanno tutti sbagliato, in modi diversi, e ciascuno deve assumersi il 100% di responsabilità per ciò che ha fatto.
Ma conosco anche volontari straordinari, a cui sono sinceramente affezionato e coi quali è nato un rapporto proprio speciale, sia con me sia di gruppo: un risultato “epico”, che non è mai stato raggiunto prima. E devo sicuramente riconoscere, ogni volta, a ciascuno di loro, il 100% del proprio personale merito!
Mi dispiace. Purtroppo non riesco a postare “SOLO!… I VOLONTARI TRA IL BENE E IL MALE” qui.
Non mi resta, quindi, che invitarvi a leggerlo sul mi blog, a questo indirizzo: http://www.myspace.com/sergiorilletti/blog/545679420 .
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Grazie, come sempre, a Massimo Maugeri per averrmi donato questo spazio!
Grazie mille a te, caro Sergio!
In effetti, caro Massimo, da quando hai pubblicato “SOLO!” qui sul tuo blog, la mia carriera di scrittore ha avuto un’improvvisa impennata! 🙂
Caro Sergio, ho letto l’epilogo della storia. Lo conoscevo, sommariamente.
Hai fatto bene a ricordarne i dettagli. Sono impressionanti , ma non mi sorprendono. Storia di …..ordinaria vigliaccheria!
Lo so, fa male.
Assolutamente degno finale dell’episodio dell’abbandono al Parco.
Due volte Solo!! Purtroppo.
Grazie, Mariagiulia!… Come ho già detto più volte, e non mi stancherò mai di ribadirlo, se non fosse accaduto tutto il “dopo-SOLO!” non avrei mai scritto neanche “SOLO!”.
Il pervicace tentativo di insabbiare la faccenda, invece, ha fatto scatenare l’Effetto Paradosso!
Ne sono felice, caro Sergio! 😉
Grazie mille, caro Massimo!…
E preparati, perché da “SOLO!” sta per venire alla luce qualcosa di veramente interessante, che vedrà coinvolti ben 26 autori di thriller e noir!
😀
Poi, per e-mail, ti spiegherò bene tutto!
😉
Mi ero dimenticata di dirti che la copertina è bellissima!…
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Anche se i nomi sono stati modificati certo non sarà piacevole riflettersi nel tuo racconto.
Tutti gli anni li metti di fronte allo specchio.
Che gente! Volontari …. al di là del bene e del male.
😛
Grazie, Mariagiulia, le tue parole mi sono di grande conforto!… Scrivere questi pezzi non è affatto piacevole, per me. Ma lo faccio puntualmente, ogni anno, perché ormai lo considero un dovere civico.
ciao Sergio. faccio parte di un gruppo di psicodramma a cui tua zia (Maria Rilletti) partecipa, ci conosciamo da molti anni, ormai. – Grazie! a tua zia che mi ha indicato il tuo racconto Solo! – Grazie! a te che l’hai scritto. Con grande, immensa stima, per la chiarezza con cui mi hai fatto partecipe della tua avventura. Per me e’ stata una lezione di vita. Claudia
Ciao, Sergio 🙂
Non ti conoscevo, ma mi sono incuriosita alla lettura di un altro racconto che hai postato altrove e ho colmato la lacuna.
Sono basita per quello che ti è capitato nel 2006, basita e arrabbiata come una biscia.
Imperdonabile il comportamento di educatori e volontari, ancor più nei mesi successivi. E la storia del cellulare, poi, è allucinante nella sua infantilità.
La stupidità umana purtroppo non ha limiti, ma sono contenta che quei due angeli ti siano venuti incontro.
Chissà che un giorno non ti leggano e si riconoscano.
In bocca al lupo 🙂
Un saluto a Recenso e a Claudia.
Caro Sergio, spero di riuscire a organizzare un dibattito su “Capacità nascoste” in tempi non troppo lunghi (scusami, ma è un periodo zeppo di impegni).
Intanto invito i nostri amici a leggere (o a rileggere) la tua bella introduzione: http://letteratitudinenews.wordpress.com/2012/12/01/capacita-nascoste-sergio-rilletti/
Nell’attesa di poterlo fare come si deve (scusatemi, ma ho dei tempi di risposta veramente esasperanti), comincio a ringraziare di cuore Claudia e Recenso per la loro solidarietà e le loro parole!…
Grazie, caro Massimo!…
L’antologia “CAPACITA’ NASCOSTE – LA PRIMA ANTOLOGIA Diversamente THRILLER” (edizioni No Reply), che ho curato insieme a Elio Marracci, è nata da “SOLO!”, e quindi proprio da questo post.
Sarebbe bello, per me, che tu riuscissi ad organizzare un dibattito su questo stesso blog, dove tutto è partito!…
Carissimo Sergio,
grazie a te e ancora tanti complimenti!
Come hai visto, per il momento, i dibattiti su Letteratitudine sono quasi del tutto sospesi.
Ho bisogno di tirare un po’ il fiato (e devo dare spazio alle presentazioni del mio romanzo).
Ma ripartiranno presto! 😉
Caro Massimo, leggo solo ora la tua risposta, e spero proprio, da autentico furbacchione quale sono, che riusciremo a organizzare un dibattito su “CAPACITA’ NASCOSTE” (edizioni No Reply) prima di Natale! 😉
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Ne approfitto per segnalarti il mio NUOVO blog (http://rilletti.blogspot.it ), che di fatto sostituisce quello che avevo con MySpace (da qualche mese inspiegabilmente vuoto), e per invitarti a leggere il mio primo post: http://rilletti.blogspot.it/2013/09/benvenuti-nel-mio-nuovo-blog.html .
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Grazie ancora!
Sergio
A dieci anni edatti dal “fattaccio” che cambiò radicalmente la mio vita professionale e personale, io continuo a parlarne!
Buon SOLO!’s DAY a tutti!
Un abbraccio, caro Sergio!
Salve a tutti!… Qualche giorno fa è mancata Maria Siravo, la coraggiosa Marta del mio racconto “COME IN FAMIGLIA”, di quella storia vera!
Io l’ho conosciuta qualche anno fa, nel gennaio 2009, a Zagarolo (vicino a Roma). Assieme a un gruppo di suoi parenti stretti… e speciali!
Desidero ricordarla con affetto, e mandare un caro saluto a tutti quelli che le hanno voluto bene!…
🙂
Ciao, Maria!
Grazie mille, caro Sergio. Un abbraccio grande.
Salve a tutti!… Oggi, per il Solo!’s Day 2019, la mia nota ricorrenza annuale, vi propongo “SOLO!… UNA STORIA DI MOLTEPLICI CAPACITA'”, un racconto inedito che è stato letto, in anteprima, da Stefano Pastorino nella mia rubrica radiofonica settimanale “PAROLA DI SCRITTORE – CINQUE MINUTI CON SERGIO RILLETTI”, in onda ogni lunedì pomeriggio, alle ore 17.15, su Radio SkyLab, all’interno di “NOI”, il programma di intrattenimento socio-culturale che mi ospita.
In questa nuova versione, narrando brevemente l’intera vicenda – da quella fatidica Domenica 9 Aprile 2006 al Parco di Monza, ai dieci mesi successivi -, mostro come io, nonostante le mie notevoli difficoltà motorie, sia riuscito a trasformare una situazione psicologicamente devastante in tre grandissime vittorie!
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Se volete leggere questo mio nuovo racconto, il link diretto è: https://rilletti.blogspot.com/2019/04/mylife-solo-una-storia-di-molteplici.html .
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Augurandovi BUONA LETTURA, vi ricordo che potete ascoltare Radio SkyLab, in Liguria su FM 91.100 e FM 96.800, e ovunque, in streaming, a questo indirizzo: http://www.ascoltareradio.com/skylab-varazze/ .
Appuntamento, quindi, ogni lunedì pomeriggio, alle ore 17.15, su Radio SkyLab, con Parola di Scrittore – Cinque minuti con Sergio Rilletti!
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NON MANCATE!
🙂
Non so quanto tempo fosse passato e quante strade avessi già provaate, da quando mi abbandonarono in mezzo al Parco di Monza per farsi un giro in risciò, ma sicuramente troppo.
Troppo per me, troppo per i miei nervi, troppo per la mia piccola carrozzina elettrica che rischiava di scaricarsi.
E tutto per l’indicazione di un educatore volpone,
(“Tanto, la strada è facile: vai avanti fino all’autodromo e poi giri a sinistra, costeggiandolo”),
che poi risultò fasulla.
Così, non avendo più indicazioni da seguire, iniziai a cercare, più volte, una strada alternativa per raggiungere la mia meta finale, tornando spesso, dopo ogni tentativo fallito, nel punto esatto in cui mi avevano abbandonato, nella vana speranza che tornassero a cercarmi.
Ma, ogni volta, trovavo il Nulla.
Mi risolsi, quindi, a cercare aiuto; anche se, con i miei gravi problemi motòri, uniti a quelli specifici dell’articolazione del linguaggio, sarebbe stata un’impresa alquanto improba.
Per fortuna, dopo alcuni che vedendomi sbracciare mi dicevano “Ciao!” e se ne andavano, ce ne furono quattro che si distinsero.
Il primo era un anziano contadino, e lo incontrai addentrandomi in una cascina, sfidando il terreno accidentato, a rischio di ribaltarmi. Sembrava una città fantasma, con i palazzi fatiscenti, e lui, capendo che avevo bisogno d’aiuto, s’interessò. La sua voce era fessa, ma lui no. E quando, per facilitare la comunicazione, gli dissi semplicemente “Cascina Costa Alta”, che era la mia meta finale, lui mi indicò la strada, avvertendomi però che ero a due chilometri di distanza e che avrei dovuto fare una “salita così!”. Ringraziai e, anche se per nulla tranquillo, mi avviai. Ma anche quella strada, come quelle precedenti, dopo un po’ risultò interrotta.
Il secondo era un giovane pattinatore che incontrai appostandomi di fianco a una mappa del Parco di Monza, attirando l’attenzione. Arrivò, e, dopo qualche giravolta sui suoi rollerblade, si fermò accanto a me. Io gli indicai la Cascina sulla mappa, e lui mi indicò la strada. Lo ringraziai, lui se ne andò, e io mi avviai seguendo le sue indicazioni, svoltando, poco dopo, in un viale a sinistra, che però mi sembrava di aver già percorso un’infinità di tempo prima.
E fu qui, quando ormai ero all’apice dello scoramento e della depressione, che feci il mio terzo e quarto incontro. Si trattava d’una coppia di giovani – lei bionda ed estroversa, lui bruno e un po’ più riservato -, che appena mi videro, solo e spaventato, capirono subito tutto, compreso che ero con un gruppo… che mi aveva perso!
Improvvisamente, mi sentii al sicuro, capendo che loro non mi avrebbero abbandonato, e in cuor mio li definii subito, ma proprio subito, “Due angeli custodi mandati da Dio”. Lei, Lisa – che, vedendomi stupito da come mi capiva bene, mi disse, a mo’ di spiegazione, che faceva la maestra -, e il suo amico, seguendo le mie indicazioni presero l’agenda telefonica dalla mia borsa, e, utilizzando il cellulare di lui, riuscirono a rintracciare il gruppo di volontari, e relativo educatore volpone, che mi avevano perso, facendomi venire a prendere.
E questa fu la mia prima, grandissima vittoria!
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Ora qualcuno di voi si chiederà: Chissà quanti complimenti avrà ricevuto, chissà in quanti modi si saranno prodigati in scuse e spiegazioni, chissà come avrà fatto Sergio a ritrovare l’educatore volpone e i relativi volontari tra la montagna di cenere con cui si saranno cosparsi il capo?!
Ebbene no. Non è accaduto nulla di tutto questo. Anzi.
Si scatenò un inferno di omertà che proprio non mi aspettavo, e che non solo mi ha impedito di avere il numero di cellulare dei due giovani, che l’educatore volpone e due volontari possedevano e che mi avevano promesso di darmi, ma costringendomi anche a constatare l’unanime disinteresse di tutti i volontari presenti quel giorno, che, pur conoscendomi da anni e avendo la mia e-mail, in modo assolutamente disciplinato decisero di non farsi più sentire.
L’unica cosa che smosse loro e il loro educatore-capo, altrettanto volpone di quello del Parco, fu un’e-mail che inviai – poco prima di Natale – a molte persone di loro conoscenza, e per correttezza anche a loro stessi, informando tutti di ciò che stava accadendo.
Ovviamente, Volpone II fece di tutto, ma proprio di tutto, per minimizzare l’accaduto, ma la valanga di e-mail che gli piovvero addosso chiedendogli spiegazioni, di cui mi riferì in un maldestro tentativo di rimbrottarmi, lo costrinsero a farmi incontrare Volpone I e i relativi omertosi volontari, come stavo chiedendo da mesi.
E questa fu la mia seconda, grandissima vittoria!
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Quello che Volpone I, Volpone II, e compagni non sapevano,, era che, proprio in quel periodo, Andrea Carlo Cappi stava preparando un numero di “M-Rivista del mistero”, con la quale collaboravo stabilmente, intitolato “Lezioni di paura”. Con tutta la paura che avevo provato ma che ero riuscito comunque a dominare, e con la voglia immane di rintracciare la giovane coppia che mi aveva soccorso, colsi al volo l’occasione per scrivere Solo!, un lungo racconto – che potete scaricare gratuitamente dal web – in cui narro, attimo per attimo, tutto quello che avevo vissuto e realmente pensato in quelle due ore di autentico terrore al Parco di Monza.
Anche in questo caso non mi dilungherò nei dettagli, ma questo fu l’inizio di uno strepitoso successo: giornali e riviste, blog, scrittori e scrittrici, persone che conoscevo poco o che non conoscevo affatto, mi manifestarono, tutti, la loro completa solidarietà, attivandosi per diffondere la mia storia. Persino le radio diffusero il mio appello per ritrovare i miei due giovani ed encomiabili soccorritori. E io partecipai a due programmi radiofonici della Rai, di cui uno addirittura in diretta, al quale andai come ospite parlante in studio, incredibile ma vero, in qualità di scrittore.
Tutto ciò, sia ben chiaro, per un numero di cellulare – quello dei miei due giovani soccorritori -, promesso ma mai dato!
E questa fu la mia terza, grandissima vittoria!… A dispetto della mia disabilità e di tutti coloro che pensano, erroneamente, che una persona disabile non possa reagire!
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Ora sono passati un po’ di anni, da quella fatidica Domenica 9 Aprile 2006 che cambiò radicalmente la mia vita, e io di quella brillante coppia di giovani che mi aiutò, di cui parlo anche nel mio libro “Le avventure di Mister Noir”, dedicando loro un mio racconto, purtroppo non ho saputo più nulla.
Ma io mi ostinerò sempre a ricordarli, sempre nell’annosa speranza di riuscire a rintracciarli e, finalmente, a ringraziarli!…
Ringrazio di cuore Massimo Maugeri per avermi donato questo spazio!…