Storie (in) Serie # 18
(Qui, l’introduzione di Massimo Maugeri)
Anche questa nuova puntata dello spazio di Letteratitudine incentrato sulle Serie Tv è dedicata alla omonima manifestazione “Storie (in) Serie” (in corso di svolgimento al Teatro Kismet di Bari). Come di consueto, l’articolo è curato da Carlotta Susca, di recente in libreria con il volume “Addicted. Serie tv e dipendenze” (LiberAria). In questa puntata ci occupiamo di “fantascienza nelle serie TV”
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La fantascienza nelle serie TV
Il terzo appuntamento di Storie (in) Serie è stato dedicato alla fantascienza seriale: con Michele Casella (co-direttore di questa edizione) è stato ospite Fabio Deotto (redattore della Lettura – Corriere della Sera e autore del recente Un attimo prima per Einaudi). La manifestazione, che quest’anno si è tenuta al Teatro Kismet di Bari, è strutturata con il commento degli ospiti e la proiezione di spezzoni dalle serie TV selezionate, in modo da rendere collettivo e pubblico un rituale spesso solitario e comunque casalingo.
Si è partiti con Westworld (USA 2016): uno scenario distopico in cui il parco divertimenti omonimo è la perfetta ricostruzione di uno scenario da vecchio West con la possibilità, per gli ospiti, di perpetrare qualsiasi tipo di violenza ai danni dei robot estremamente realistici che popolano il parco. Tema di fondo della serie (e classico della fantascienza) il limite che separa gli esseri umani da entità create e non generate: quando i robot smettono di essere macchine e diventano senzienti? La serie, ideata da Jonathan Nolan e Lisa Joy per la HBO e trasmessa in Italia su Sky Atlantic, ha fra i protagonisti Evan Rachel Wood nei panni di Dolores, il più longevo robot del parco e una delle prime a sperimentare glitch nel suo sistema operativo, e Anthony Hopkins nelle vesti del responsabile delle linee narrative, letteralmente il deus ex machina delle storie del parco.
Come accade per altre serie TV recenti, anche Westworld ha una appendice on line che contribuisce a rendere porosi i confini fra realtà e finzione: come indicato qui, sul sito ufficiale (non raggiungibile dall’Italia), ponendo le opportune domande al motore di ricerca si sblocca una richiesta di aiuto da parte dei residenti del parco (la citazione shakespeariana «Hell is empty and all the devils are here», The Tempest, I, 2), e inserendo una password («eternaldelight») si ha accesso alle mappe del parco e alla linea narrativa di Dolores, quel percorso predefinito che lei mette in discussione, volendo affermare la propria individualità.
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Da Westworld si è passati alla controversa The OA (USA 2016), creata da Brit Marling (che ne è anche protagonista) e Zal Batmanglij per Netflix. Della serie si è molto discusso per svariati motivi: le puntate hanno lunghezze molto variabili, che impongono una aritmia narrativa, ma soprattutto la quantità di twist narrativi e materiali eterogenei fa pensare con nostalgia al consiglio di Blake Snyder di evitare il “doppio abracadabra”. Nel manuale di sceneggiatura Save the cat!, Snyder consiglia di non pretendere troppo dalla sospensione dell’incredulità dello spettatore: The OA invece mette insieme esperimenti sulla morte, mafia russa, una divinità materna circondata dalle stelle e una assurda coreografia.
Impossibile non citare, a proposito di fantascienza seriale, la meravigliosa serie antologica di Charlie Brooker Black Mirror (UK 2011-), che in ogni puntata prospetta uno scenario distopico in grado di illuminare derive contemporanee: la tendenza al voyeurismo, la dipendenza dai social network, la facilità con cui ci si fa irretire dall’intrattenimento. Black Mirror è un esempio dell’utilità della fantascienza: portare alle estreme conseguenze le storture della contemporaneità.
Con un doveroso riferimento alle serie TV tratte dalle opere di Philip K. Dick (a febbraio 2018 sarà disponibile in Italia Philip K. Dick’s Electric Dreams) si è passati alla serie di fantascienza più longeva: Doctor Who. Con le sue tredici incarnazioni del protagonista e il cambio di svariati showrunner, Doctor Who sembra aver trovato la formula dell’immortalità, potendosi costantemente rigenerare ed essendo comunque in grado di costruire architetture narrative grandiose (la linea Bad Wolf con la companion Rose Tyler, l’intera parabola con Amy Pond e Rory e la meravigliosa storia d’amore in due direzioni temporali diverse con River Song, per esempio).
Per concludere l’appuntamento di Storie (in) Serie, Rick and Morty si è rivelata la serie perfetta: ironia, rapidità e densità narrative sono solo alcuni degli elementi che rendono questa serie animata godibilissima e in grado di stimolare il cervello in maniera inedita. Qui la coppia creata da Justin Roiland e Dan Harmon incontra i Simpson:
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Storie (in) Serie torna giovedì 21 dicembre al Teatro Kismet:
IL RITMO DELLE STORIE. La musica nelle serie TV
con Carlotta Susca, Michele Casella, ospite Rossano Lo Mele (Rumore)
qui l’evento su Facebook
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