(Qui, l’introduzione di Massimo Maugeri)
Il settimo appuntamento dello spazio di Letteratitudine incentrato sulle Serie Tv è dedicato alla quarta stagione di “House of Cards“ (con Kevin Spacey nel ruolo di Frank Underwood e Robin Wright nel ruolo di Claire Underwood).
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C’è un nuovo gioco che vediamo nella quarta stagione di House of Cards, un gioco che continua la serie metaforica delle strategie di Frank Underwood (di cui si è già parlato qui). L’antieroe al potere passa dai videogiochi sparatutto al modellismo strategico, fino ad approdare, nella terza stagione, a Monument Valley, una app basata sulle geometrie di Escher: le sue strategie si fanno via via più raffinate, la scalata al vertice degli USA richiede la capacità di immaginare percorsi apparentemente impossibili, di raggiungere punti che sembrano inaccessibili. Ma poi la necessità di mantenere il potere, di proteggere la posizione conquistata e difendere la fortezza rendendola impenetrabile alla democrazia riporta la strategia a un livello metaforico più semplice, rappresentato dalla app a cui gioca il candidato alla presidenza diretto avversario di Frank Underwood: William “Will” Conway. Il governatore di New York mostra a Frank Agar.io, un gioco che consiste nell’inglobare i pallini più piccoli e nell’evitare di farsi inglobare dai più grandi: non importa quanto imponente sia il proprio diametro, potrebbe sempre comparire un nemico di rango superiore – come sempre, nella vita e nei videogiochi.
È inevitabile che l’avanzamento di una serie televisiva porti la narrazione su livelli differenti e costringa gli sceneggiatori ad allargare l’universo narrativo: per Frank Underwood, già leader della nazione più potente della terra (della sua versione finzionale e distopica), si è optato per la comparsa di un avversario di pari diametro. Non solo: Agar.io consente anche la divisione del proprio avatar circolare in unità più piccole e più agili; è quello che accade con l’equa distribuzione del potere tra Frank e la first lady Claire, candidata alla vicepresidenza. Il protagonista si raddoppia e la narrazione si apre a possibilità che contemplino l’analisi di una diarchia, mentre un nuovo nemico compare a rilanciare la sfida su un livello basico: chi ingloberà chi?
Come ogni reality insegna, lo storytelling di una sfida deve basarsi su opposizioni nette: l’eleganza e l’esperienza vs la giovinezza e la trasparenza; una vita sacrificata alla carriera vs la famiglia tradizionale. Da qui si ripartirà nel 2017 con la quinta stagione di House of Cards, portando il gioco a un livello nuovo in cui probabilmente i pallini più piccoli avranno la stessa importanza riservata a Lucas Goodwin, morto senza che la narrazione si soffermasse su di lui più del tempo necessario a farne un accidente sul percorso di Underwood e uno strumento per il rilancio di Claire, prontamente paladina del movimento contro le armi.
Eppure la scena di apertura della quarta stagione, con Lucas per protagonista, ha una potenza quasi inedita nella narrazione televisiva: il giornalista in disgrazia, incarcerato per aver indagato su Underwood, usa le parole, il suo strumento di lavoro ormai spuntato, per descrive al compagno di cella una scena di seduzione, ad usum della sua masturbazione disperata. Con la sua morte si riorganizza il fronte giornalistico, controparte positiva allo strapotere politico: un pallino troppo piccolo per inglobare i due maggiori contendenti (dai significativi nomi Underwood – monogramma un cristallino FU, Fuck You – e Will, incarnazione della volontà di potenza), e nemmeno giocare è lo scopo dei giornalisti statunitensi. Smantellare il gioco è l’unica possibilità, se vincere è impossibile con quelle regole, come dimostra l’esperienza politica di Heather Dunbar, sconfitta per non aver accettato di giocare sporco.
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