(Qui, l’introduzione di Massimo Maugeri)
L’ottavo appuntamento dello spazio di Letteratitudine incentrato sulle Serie Tv è dedicato a Twin Peaks – Segnaliamo che domenica 29 maggio 2016, nel corso del BGeek di Bari si terrà alle 13 (in zona Winterfell) un panel dedicato a Twin Peaks
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Se manca poco al momento in cui non aver visto Lost sarà una infamia omologa al non aver letto la Recherche, la mancata visione di Twin Peaks potrebbe equivalere a un buco su Edgar Allan Poe o sul gotico inglese.
Narrazione che ha precorso l’autorialità televisiva, la serie di David Lynch e Mark Frost è stata un momento fondativo verso il romanzo seriale, oltre che un esperimento di colonizzazione dell’immaginario di un pubblico sempre più vasto.
La prima puntata di Twin Peaks, andata in onda negli Stati Uniti in fascia serale l’8 aprile 1990, ha superato gli indici di ascolto dei precedenti quattro anni di programmazione su ABC, dimostrando, con le parole di Alan Wurtzel, vicepresidente senior del broadcast all’epoca, che «se c’è una lezione da imparare da questa stagione, è che tutti gli show devono avere la capacità di distinguersi».
Nell’anno in cui Dale Cooper e Laura Palmer colonizzarono le menti di milioni di telespettatori, David Lynch aveva già diretto il cupo Eraserhead, un sogno kafkiano dai personaggi iconici (la donna del termosifone, dalle guance soradimensionate, il feto alieno e Henry Spencer, un giovanissimo Jack Nance che avrebbe ritrovato Laura Palmer «wrapped in plastic»), lo struggente The Elephant Man, Dune e Blue Velvet. Protagonista di questi ultimi Kyle McLachlan, il futuro agente speciale Dale Cooper, ossia il personaggio con cui gli spettatori sarebbero entrati in una Twin Peaks sconvolta dall’assassinio della reginetta della scuola.
Da premesse narrative così poco adatte a un pubblico di massa, Lynch, con Mark Frost (già autore di Hill Street Blues) ha tirato fuori un prodotto di consumo in grado allo stesso tempo di soddisfare gli spettatori più sofisticati, grazie alla giustapposizione di elementi e linee narrative profondamente diversi, in una stratificazione che pesca in acque profonde, per citare il titolo del libro di Lynch sulla meditazione (edito in Italia da Mondadori nel 2008).
Gli intrighi orditi dai ‘catttivi’ di Twin Peaks e le relazioni sentimentali intrecciate fra i suoi abitanti provengono dalle soap opera, ironicamente rappresentate dal serial diegetico Invitation to Love, di cui si vedono scene trasmesse sui televisori dell’immaginaria cittadina nordamericana – e, come nella migliore tradizione del play nel play, i frammenti della narrazione di secondo livello riprendono temi del ‘vero’ Twin Peaks. Ma a questo filo si intrecciano quello comico surrealista, rappresentato dal vicesceriffo imbranato e incline alla commozione Andy Brennan (Harry Goaz) e dalla sua fidanzata, la querula segretaria Lucy Moran (Kimmy Robertson), e soprattutto il filo metafisico, su cui si basa la soluzione del crimine.
Sì, perché Twin Peaks è fondamentalmente una detective story basata sul wodunit, il modello classico in cui l’arco narrativo è teso alla scoperta del responsabile della brutale uccisione di una adolescente: Who Has Done It?, Chi ha ucciso Laura Palmer? è il tormentone che ha accompagnato la messa in onda della prima stagione e di parte della seconda, prima che la produzione premesse per la risoluzione del crimine, decretando così un calo degli spettatori.
Alla scoperta del villain – e le cose non sono affatto così semplici, dato che coinvolgono una Loggia nera e una Loggia bianca, un nano che parla al contrario e la raccolta di garmonbozia, un concentrato di paura che assomiglia alla crema di mais – l’interesse del pubblico era soddisfatto, e l’allontanamento dei due showrunner per protesta e per altri impegni (Lynch stava girando Wild At Heart, Palma d’oro nel 1990) ha causato lo sfilacciamento della trama il rafforzamento di linee narrative che dello sperimentalismo precedente mantenevano solo una forzatura eccentrica.
Nella seconda stagione, dopo lo svelamento e la cattura del killer di Laura Palmer a metà della programmazione, prendono piede la regressione adolescenziale di Nadine (Wendy Robie), la cui superforza e iperattività sessuale non possono che risultare sopra le righe, e la sottotrama ridicolmente noir in cui è coinvolto James Hurley (James Marshall).
Il finale di stagione riannoda ciò che sembrava irrimediabilmente sfilacciato, consegnando agli spettatori un finale interamente basato sull’elemento metafisico, con l’addentramento di Dale Cooper nella Loggia Nera, un labirinto di specchi e Doppelgänger in cui il tempo scorre diversamente che nel nostro mondo – che per le anime perdute è un negozietto in cui fare la spesa (cioè in cui raccogliere il nostro terrore).
È qui che una versione di Laura Palmer annuncia a Cooper: «I’ll see you again in 25 years».
Il prequel Fire Walk With Me, stroncato in maniera pressoché unanime a Cannes nel 1992, ha contribuito a chiarire le vicende dell’assassinio di Laura, che si vede rappresentato con violenza disturbante: con il ritorno alla trama principale, i fan hanno ritrovato parte delle atmosfere di Twin Peaks, sebbene rovesciate nel suo doppio ormai corrotto Deer Meadow (sceriffo respingente, diner inospitale), e hanno fatto conoscenza con l’agente dell’FBI Phillip Jeffries (David Bowie), che è stato nella Loggia nera (e conosce il futuro di Cooper).
Venticinque anni sono passati, e non invano: nel 2017 andrà in onda la terza stagione di Twin Peaks sul canale via cavo Showtime, preceduta dalla pubblicazione di The Secret Lives of Twin Peaks, scritto da Mark Frost e propedeutico al ritorno nella cittadina statunitense, al confine con il Canada, assediata dal Male.
Domenica 29 maggio 2016, nel corso del BGeek di Bari si terrà alle 13 (in zona Winterfell) un panel dedicato a Twin Peaks, per riannodare i fili della trama e analizzare le (scarse) informazioni sul momento televisivo che farà terminare un cliffhanger lungo venticinque anni.
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