Mettiamo a confronto Marcel Proust e Natalia Ginzburg. Accostiamo la Recherche al Lessico famigliare. La possibilità ce la offre Antonella Cilento con una nuova puntata de L’ombra e la penna, nella quale illustrerà una bellissima iniziativa culturale portata avanti a Napoli.
Leggete il bel pezzo di Antonella che troverete di seguito!
Io vi invito a discutere sugli autori e sulle opere oggetto di questo post.
Cosa pensate di Marcel Proust? Avete mai letto la “Recherche”? Che effetto vi ha fatto?
E su Natalia Ginzburg e il suo “Lessico famigliare”… ?
A proposito… a vostro avviso, oggi, in Italia, esiste ancora un lessico famigliare?
A voi.
Massimo Maugeri
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Cari amici de L’ombra e la penna,
dal mese di gennaio fino a giugno 2009 Lalineascritta e gli Istituti di Cultura napoletani (Institut Français de Naples, Instituto Cervantes e Goethe Institut) lanciano un’iniziativa intitolata Strane Coppie.
Tutti ricorderete il film di Billy Wilder: qui la strana coppia non è costituita dai due meravigliosi inquilini forzati (Walter Matthau e Jack Lemmon), ma da scrittori contemporanei che si confrontano e dibattono su coppie di grandi classici.
Lo scorso anno Lalineascritta aveva offerto Strane Coppie ai suoi iscritti con ottimi e sorprendenti risultati: si erano incontrati/scontrati, fra gli altri, Anna Karenina e Madame Bovary, le sorelle Brönte, Stevenson e Dostoevski, Orgoglio e pregiudizio e Ritratto di signora, L’isola di Arturo e Gita al faro. Quest’anno l’iniziativa è pubblica e gratuita grazie alla collaborazione con gli Istituti, cosa fondamentale per Napoli e per questo tipo di incontri che vogliono portare quanti più lettori ad avvicinarsi o riavvicinarsi ai grandi libri con una prospettiva meno scolastica e certo anti-accademica.
L’altra novità è che, svolgendosi gli incontri presso le sedi degli Istituti stessi, ogni coppia prevede un confronto fra classici italiani e, di volta in volta, francesi, spagnoli, tedeschi.
A volte si tratta di capolavori assoluti noti ai più ma magari non letti abbastanza, come è capitato nel primo incontro che si è tenuto giovedì 22 gennaio presso l’Institut Français de Naples e dove io stessa (in sostituzione di Laura Bosio, che salutiamo affettuosamente) e Mariolina Bertini Bongiovanni, vicedirettrice dell’Indice dei Libri del Mese, studiosa di Proust e di Balzac (di cui sta curando da anni l’opera per i Meridiani) abbiamo raccontato a una sala gremitissima Lessico famigliare di Natalia Ginzburg e Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust.
Di seguito, troverete una sintesi del mio intervento e nei prossimi mesi spero di potervi fornire altrettante brevi sintesi degli incontri che seguiranno.
Intanto, eccovi il calendario dei prossimi incontri:
Giovedì 19 febbraio 2009 – Goethe Insitut
Triangoli amorosi
Le affinità elettive vs Malombra
Goethe vs Fogazzaro
GIUSEPPE MONTESANO E FRANCESCO COSTA
Giovedì 19 marzo 2009 – Instituto Cervantes
Fantastico
Finzioni vs Le città invisibili
J.L. Borges e Italo Calvino
IVAN COTRONEO E ANTONIO PASCALE
Giovedì 23 aprile 2009 – Geothe Institut
Azzurrità
Il cardillo addolorato vs Il caso Franza
Anna Maria Ortese vs Ingeborg Bachmann
FRANZ HAAS E MARIA ATTANASIO
Giovedì 21 maggio 2009 – Instituto Cervantes
Rivoluzioni impossibili
Il secolo dei lumi vs Il resto di niente
Alejo Carpentier e Enzo Striano
DOMENICO STARNONE E MELANIA MAZZUCCO
Giovedì 4 giugno 2009 -Institut français de Naples
Ritratti di donna
Claudine vs Il paese di Cuccagna
Colette e Matilde Serao
DONATELLA TROTTA E SANDRA PETRIGNANI
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Il lessico famigliare di Natalia Ginzburg
di Antonella Cilento
Come vedete, alcuni classici sono assai noti e altri in Italia meno conosciuti o diffusi: la Bachmann, Carpentier, Colette che sono autori di assoluto rilievo nei rispettivi paesi, mentre in Italia sono tradotti ma non oggetto di attenzione continua, come meriterebbero. In altri casi, un grande classico come Malombra di Antonio Fogazzaro è spesso brevemente antologizzato a scuola ma di rado lo si legge integralmente. Quindi, sperando di avere anche gli amici di Letteratitudine fra il pubblico che affollerà i prossimi incontri, passo a raccontarvi un po’ del “mio” Lessico famigliare.
Dopo che Mariolina Bertini Bongiovanni ha raccontato magistralmente La Recherche, affrontando la sfida di concentrare in poco più di un’ora una storia critica lunga un secolo di un romanzo senza il quale molta della letteratura del Novecento non sarebbe concepibile e trattando, fra i molti temi che era possibile affrontare, anche la questione della traduzione di Proust in Italia, mi accingo a parlare di Lessico famigliare.
Il primo volume della Recherche fu tradotto per Einaudi proprio da Natalia Ginzburg: una traduzione imperfetta, fatta in condizioni particolari e senza un adeguato vocabolario, che però la Ginzburg non rinnegò mai, anche a distanza di anni. Quella traduzione era un pezzo della sua memoria, le ricordava un momento particolare della sua vita.
Proust compare in Lessico famigliare in moltissimi e spassosi punti:
“Mia madre aveva letto Proust, e lei pure, come Terni e la Paola, lo amava moltissimo; e raccontò a mio padre che era, questo Proust, uno che voleva tanto bene alla sua mamma e alla sua nonna; e aveva l’asma, e non poteva mai dormire; e siccome non sopportava i rumori, aveva foderato di sughero le pareti della sua stanza. Disse mio padre: – Doveva essere un tanghero!”.
Ma anche quando La Recherche non viene evocata direttamente, Proust è nell’aria: è parte indispensabile, causa prima di Lessico famigliare.
Il mio personale ricordo di questo libro è scolastico: è capitato alla Ginzburg come a Calvino di diventare classici in vita, citatissimi e indispensabili per decenni, hanno parlato a intere generazioni e poi le antologie scolastiche, che prima li includevano sempre, hanno smesso di ospitarli. Non so, quindi, quanti oggi fra i più giovani abbiano mai letto la Ginzburg. Certamente, anche Proust, lettura indispensabile alla formazione intellettuale di intere genie di lettori, oggi è accostato con sempre maggiore difficoltà.
Lessico famigliare parlava a me, che avevo quattordici o quindici anni, in un dialetto che non era il mio, con un idioletto sconosciuto (potacci, sbrodeghezzi, fufignezzi) ma che mi entrava direttamente nel sangue: non c’è famiglia in Italia che non abbia il suo specifico lessico, quei modi di dire con cui si identificano nonne e zie, fratelli e sorelle.
Il secondo ricordo è invece più recente: all’Archivio di Stato, mentre preparavamo A.M.O., una serie di giornate dedicate all’Ortese, mi capitarono fra le mani alcune delle lettere intercorse fra queste due grandissime scrittrici. Puntuta e fitta la scrittura di Ortese, occupava anche gli spazi verticali del foglio, invadeva persino un pacchetto di sigarette (meravigliosa icona). Quella di Ginzburg era invece calma, scolastica, aperta, come i denti larghi dei bambini. E l’Ortese si disperava per i suoi libri (erano lettere editoriali del periodo in cui Ginzburg lavorava per Einaudi) e Ginzurg, molto discretamente, cercava di tranquillizzarla.
Questa serenità di Natalia che ce la rende ancor oggi vicina perché donna attraversata dalla Storia, soggetta a dolorose perdite (i due mariti, i suoi cari, la nascita di un figlio malato) ha forse offuscato per un po’ i suoi grandi meriti letterari. Lessico famigliare fa parte di quella grande famiglia di romanzi che esplorano le relazioni e la memoria nati in risposta, per filiazione o gemmazione dalla Recherche: guarda caso, però, a me sembra che queste filiazioni riguardano un numero assai maggiore di scrittrici piuttosto che di scrittori (penso, per fare giusto due nomi, ad Althénopis di Fabrizia Ramondino ma anche a scrittrici distanti dallo spazio europeo, all’autobiografia stupenda di Janet Frane, Un angelo alla mia tavola).
Probabilmente perché la Recherche tocca il tema della memoria attraversando il tempo, ma anche legandosi agli spazi, cosa che accomuna molte scrittrici, da Ginzburg a Ramondino, come scrive brillantemente Monica Farnetti nel suo bellissimo Tutte signore di mio gusto (ediz. La Tartaruga) a proposito di Dolores Prato:
“Per lei apprendere è stato ed è infatti nominare, e nominare è cartografare lo spazio (…) Che le donne non abbiano con il tempo, il tempo “classico” commerci efficaci e soddisfacenti sa bene la citata Maria Zambrano, che dice che così è perché le donne hanno di fatto con esso una relazione di grado più elevato: la relazione con l’istante, quello che ella chiama ‘il vaso minuscolo del tempo’. (…)”
Lessico famigliare vive dei luoghi che racconta, perché non solo gli appartamenti in cui vivono i Levi sono gli unici spazi del narrare, ma perché i familiari stessi di Natalia vengono guardati come luoghi esotici, benché piuttosto frequentati. Sono “spazi” in questo romanzo da esplorare, attraverso le parole, il magnifico professor Levi, detto Pomodoro per via dei capelli rossi, ovvero Pom, la mamma Lidia, le sorelle, i fratelli, gli amici, la tribù che si muove intorno a Natalia. E, come ha scritto mirabilmente Cesare Garbali, questa tribù è osservata con complicità ma anche con l’impercettibile senso di vendetta di chi è piccolo e assiste ai giochi fatti dagli adulti sui quali ha l’unico potere di riportarli con il linguaggio che più le aggrada. Ed ecco che i personaggi vengono sorpresi con le dita nel naso o nella marmellata, per così dire: fotografati nella loro unica frase storica, magari insignificante o buffa. Non importa dare loro profondità nell’immediato: meglio consegnarli al lettore per quel che hanno detto, ripresi di scorcio e a sorpresa nel loro momento ridicolo, epico ma infausto, insomma nella loro favolistica umanità. E’ il tempo, il tempo di questo stupefacente romanzo a restituire, poi, la melanconia dei Persi, dei Trapassati, di coloro che non esistono più se non per le parole che hanno detto. Lo scrittore, in questo caso, è un archeologo della memoria e le tracce, labili e confondibili, si prestano a effetti di senso e di humour.
Questo sguardo dell’infanzia è così forte, così ironico, umile ma feroce, che rileggendo ho pensato a quanto debba a questo libro, fra gli altri, il Guizzardi di Gianni Celati (Le avventure di Guizzardi): magari sbaglio o, al contrario, è già stato fatto notare da altri, ma con il suo lessico da folle, da stralunato Guizzardi è solo un pelo più in là della piccola Natalia, che, certo, non è stralunata, ma come Guizzardi guarda al mondo adulto con l’improvvisa saggezza sintetica del bambino che in noi non muore mai.
Altra filiazione, come si accennava, è Althénopis di Fabrizia Ramondino, capolavoro assoluto e poco letto: altra famiglia, questa volta non ebraica e torinese ma napoletana e assai pagana. Althénopis è tutto giocato sugli spazi familiari, sui luoghi della memorie (ville, case, persone, zii e zie, ecc…) e dallo spazio struggente e ironico della memoria si concentra sul dramma privato fra madre e figlia. Certo, la struttura di Lessico famigliare resta più inavvicinabile, meno identificabile di altre: il romanzo, che è scritto senza partizioni di capitolo, senza sottotitoli o sezioni è un continuum di ricordi dove è difficile stabilire il prima e il dopo. Difficile fare una sintesi degli eventi a beneficio dei nuovi lettori per la miriade di micro episodi che lo popolano e per l’impossibilità di stabilire confini.
Siamo immersi nel senso salvifico delle parole, delle lingue perse: in una sua prefazione, Garboli segnala che forse l’idea del lessico famigliare viene dal “continico” che parlano i ragazzi ne Il giardino dei Finzi Contini di Bassani, dove, però, la ricca famiglia ebrea sembra quasi consegna allo sterminio (un destino simile a quello degli Etruschi, scrive Garboli), mentre qui l’idioletto familiare va oltre l’identità ebraica (anche se la contiene), è universale.
Meraviglioso, poi, e favolistico è il rapporto di questo romanzo con la Storia, quella con la maiuscola, che passa distratta dal salotto di casa Levi, dove appaiono Turati e Anna Kuliscioff, citati più per la pruderie delle donne di casa che non per la loro dimensione politica. Pajetta, Adriano Olivetti, lo stesso Leone Ginzburg, Pavese: tutta gente di famiglia, osservata senza epica, perfetti però nell’apparire al punto giusto della narrazione, ricordata per un soprannome o un’espressione: la Vandea, zia reazionaria, il povero Filippèt, come dice Pom di Turati, il “baco del calo del malo” che ripete ostinato Mario, fratello di Natalia, le poesiole (“la vecchia zitella senza mammella ha fatto un bambino tanto carino” o “salve ignoranza al tuo pensier mi cessa il mal di panza”), il Barbison e la puzza di acido solfidrico, “cotoletta madama bianca!”, il bir per indicare il laccio emostatico…
E’ sempre stato fondamentale per me quel passo delle Piccole virtù dove Ginzburg scrive dell’invenzione e della memoria: inventiamo quando siamo felici, ricordiamo quando siamo tristi, scrive all’incirca. Perché la nostra “condizione terrestre” influenza la nostra scrittura che è come “un padrone”, inflessibile.
Dunque, il ricordo nel momento dell’infelicità, ma sempre mescolato all’invenzione e alla fantasia, momento della felicità. In Lessico famigliare la piccola Natalia viene ricoverata in ospedale e la mamma le spiega che quella è la casa del medico, per non darle spavento. Natalia sa che quello è un ospedale ma fa finta anche lei: “…e quella volta, come anche più tardi, la verità e la menzogna si mescolarono in me”.
Cosa è vero e cosa è falso nel ricordo, cosa resta del nostro passato e cosa occorre scrivere: la verità, pur sapendo di mentire?
Antonella Cilento
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AGGIORNAMENTO DELL’8 febbraio 2009
Sono molto lieto di annunciarvi che (come ci aveva pronosticato Antonella Cilento) Mariolina Bertini ha fatto pervenire il suo ottimo contributo. Lo riporto qui di seguito. Vi invito a leggerlo con attenzione, perché è molto interessante.
Massimo Maugeri
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TRA MARCEL E NATALIA
di Mariolina Bertini
Per gli italiani della mia generazione, nata a ridosso della seconda guerra mondiale, i nomi di Marcel Proust e di Natalia Ginzburg sono molto strettamente legati.
Nel 1946 Natalia Ginzburg firma la sua traduzione, per Einaudi, del primo volume della “Ricerca”, “La strada di Swann”. Non è l’unica: nello stesso anno, presso Sansoni, esce anche la pregevole versione dello scrittore fiumano Bruno Schacherl, intitolata “Casa Swann”. Ma soltanto il volume einaudiano rappresenta il primo tassello di una traduzione integrale della “Recherche”; questo gli assicura maggior visibilità e maggior fortuna sul mercato editoriale. Tra il 1946 e il 1983, dunque, anno in cui comincia ad uscire la traduzione di Giovanni Raboni, la stragrande maggioranza dei lettori italiani di Proust si accosta alla “Ricerca” passando, per il primo volume, attraverso la mediazione della voce di Natalia Ginzburg, attraverso il filtro delle sue scelte lessicali e sintattiche, della sua scrittura, del suo stile.
La data cruciale della mia esperienza in proposito è il 1968: tra un corteo e un’assemblea, tra un intervento di Guido Viale e una discussione su don Milani, “La strada di Swann” einaudiana mi introduce, affascinata, nel mondo di Proust, dove resterò a lungo. Ma è per me importante anche un’altra data, precedente: quella del 1963, anno di apparizione di “Lessico famigliare”. Perché è leggendo, quindicenne, “Lessico famigliare” fresco di stampa che comincio ad intuire nella figura un po’ misteriosa di quel romanziere morto nel 1922 una presenza terribilmente viva e ingombrante, alla quale sarà difficile sfuggire. Nelle pagine di “Lessico famigliare” si avverte, si respira quello che fu il fascino esercitato da Proust sui lettori degli anni Venti, anche su quelli come Natalia Ginzburg che erano ancora troppo giovani per leggerlo direttamente. In “Lessico famigliare” Proust è presente come una sorta di mito. La protagonista-narratrice non l’ha ancora letto, ma sente sua sorella Paola, sua madre, Terni – il giovane assistente di suo padre, professore di medicina – che ne parlano continuamente. Ai suoi occhi, il mondo famigliare si divide in due zone contrapposte: da una parte c’è chi come il padre ama le scienze naturali e le gite in montagna, dall’altra chi, come la madre, ama la poesia, il teatro e il mondo ovattato dei romanzi.
” Da una parte c’erano Gino e Rasetti, con le montagne, le “rocce nere”, i cristalli, gl’insetti. Dall’altra parte c’erano Mario, mia sorella Paola e Terni, i quali detestavano la montagna, e amavano le stanze chiuse e tiepide, la penombra, i caffé. Amavano i quadri di Casorati, il teatro di Pirandello, le poesie di Verlaine, le edizioni di Gallimard, Proust. Erano due mondi incomunicabili.
Io non sapevo ancora se avrei scelto l’uno o l’altro. (…)
– Cos’ha Terni con Mario e Paola da ciuciottare? Diceva mio padre a mia madre. – Stanno sempre lì in un angolo a ciuciottare. Cosa sono tutti quei fufignezzi?
I fufignezzi erano, per mio padre, i segreti; e non tollerava veder la gente assorta a parlare, e non sapere cosa si dicevano.
– Parleranno di Proust,- gli diceva mia madre.
Mia madre aveva letto Proust, e lei pure, come Terni e la Paola, lo amava moltissimo; e raccontò a mio padre che era, questo Proust, uno che voleva tanto bene alla sua mamma e alla sua nonna; e aveva l’asma, e non poteva mai dormire; e siccome non sopportava i rumori, aveva foderato di sughero le pareti della sua stanza.
Disse mio padre:
-Doveva essere un tanghero!” (p. 53)
In questa pagina, Proust viene quasi a racchiudere, a simboleggiare la letteratura; ne rappresenta il mito e il prestigio. Nell’Italia di quegli anni aveva d’altronde un giovane profeta, il critico Giacomo Debenedetti, ritratto in “Lessico famigliare” senza che venga menzionato esplicitamente il suo nome:
“La Paola era innamorata di un suo compagno di università: giovane piccolo, delicato, gentile, con la voce suadente. Facevano insieme passeggiate sul Lungo Po, e nei giardini del Valentino; e parlavano di Proust, essendo quel giovane un proustiano fervente: anzi, era il primo che avesse scritto di Proust in Italia. Scriveva, quel giovane, racconti e saggi di critica letteraria.” (p.61)
Giacomo Debenedetti, contrariamente a quanto credeva Natalia, non era stato il primo a parlare di Proust in Italia, anche se a Proust aveva dedicato saggi pionieristici nel 1925 e nel 1928. Il primo a parlare di Proust in Italia era stato il giornalista Lucio D’Ambra che recensendo, nel dicembre del 1913, “Du côté de chez Swann” aveva scritto :
“Ricordate questo nome e questo titolo: Marcel Proust e “Du côté de chez Swann”. Tra cinquant’anni i nostri figlioli ritroveranno forse l’uno e l’altro accanto a Stendhal, a “le Rouge et le Noir” e alla “Chartreuse”. ”
Il nome di Stendhal, in questa fase aurorale della fortuna di Proust torna spesso, soprattutto in Italia. Nel 1919, ad esempio, quando “All’ombra delle fanciulle in fiore” riceve il premio Goncourt, è Giuseppe Ungaretti ad evocarlo, scrivendo dell’autore della Recherche :
“…questo scrittore dalle analisi minuziose a cui non sfugge la minima emozione, che fruga nelle più segrete e remote risonanze della vita sentimentale, è forse un nuovo Stendhal.”
All’epoca Stendhal è visto soprattutto come un maestro d’insuperata introspezione psicologica. Nel 1923 Giacomo Debenedetti, che leggerà Proust soltanto un anno dopo, scrive in una lettera all’amico Cesare Angelini:
“Sono più che mai innamorato di Stendhal e se sapessi farmi una bandiera io che, in fondo, sono spaventosamente timido, scriverei su quella la parola introspezione.”
Quando, nell’estate del 1924, durante una vacanza a Champoluc, ai piedi del Monterosa, Giacomo Debenedetti legge Proust per la prima volta, ha l’impressione che quel romanziere, morto due anni prima, abbia in qualche modo preceduto la sua generazione nella conoscenza di sé, nell’introspezione, nell’intuizione anticipata del proprio destino.
“Gli altri scrittori – scriverà più tardi- erano semplicemente scrittori, della stessa razza di quelli che avevamo studiato nelle storie letterarie (…); mentre Proust sembrava far parte direttamente del nostro destino, sembrava prendere la durata uniforme dell’esistenza e farne una fluida, stupenda, incessante calligrafia di luce.”
A livello europeo, è un’intera generazione di scrittori ad avere la stessa impressione di Giacomo Debenedetti. “Che cosa resta da scrivere dopo Proust?” si chiede nel suo diario Virginia Woolf. E Rilke scrive a Gide nel 1922: “Su moltissimi punti, Proust ci ha costretti a cambiare il nostro modo di vedere.” Cambiare il proprio modo di vedere dopo la lettura di Proust per molti significa identificarsi con la figura , fluida ed enigmatica, del narratore della Ricerca. In un saggio del 1946, Debenedetti lo scriverà esplicitamente:
“Per quanto singolare, per quanto differenziato, il protagonista di “A la recherche du temps perdu” era, tra tutti i personaggi che allora ci furono offerti, quello con cui si sentiva più forte la tentazione, più immediata e più ricca la possibilità di identificarsi.”
Si profila, attraverso il puzzle di queste citazioni, la storia di una filiazione, della trasmissione di un mito: dalle parole di Giacomo Debenedetti, l’amico di Paola “dalla voce suadente”, Natalia ricava la sua prima immagine di Proust, lo scrittore che non somiglia a nessun altro, che trasforma la nostra vita prosaica “in una calligrafia di luce”. Quell’immagine avrà per lei una tal forza che quando, nel 1937, Giulio Einaudi le chiederà di tradurre l’intera Ricerca, risponderà di sì, benché non ne abbia ancora intrapresa direttamente la lettura. La storia di quella traduzione è raccontata nelle pagine del bellissimo saggio del 1990 che accompagnò la ristampa della “Strada di Swann” nella collana degli “Scrittori tradotti da scrittori” e che da allora è stato più volte ristampato. Le prime pagine, ci racconta Natalia, furono tradotte e ritradotte sotto la guida affettuosa di Leone Ginzburg; la maggior parte del lavoro prese forma a Pizzoli, in Abruzzo, durante il confino, nel 1940-43. La morte di Leone, torturato e trucidato a Regina Coeli, nel febbraio del 1944, getta sull’opera un’ombra di tragedia: non è difficile capire perché la scrittrice si senta legata a quelle pagine in modo così stretto da non volerne, anni dopo, nemmeno correggere le imperfezioni. Quel Proust intravisto nella penombra dell’adolescenza, e poi affrontato, con strumenti inadeguati (un povero vocabolario scolastico), nella vita durissima del confino, tra i figli bambini e l’esperienza della resistenza, doveva restare tale e quale, così come era stato amato e interpretato negli anni atroci e fondamentali della guerra. Così Natalia l’ha trasmesso alla mia generazione, così la mia generazione l’ha letto negli anni Sessanta e Settanta, con la consapevolezza di appropriarsi di un lascito prezioso.
Avvicinandomi oggi a quel lascito, è forte la tentazione di rispettarne l’aura; di preservarne il fascino evitando di guardarlo troppo da vicino. Ma in realtà la traduzione di Natalia Ginzburg non è una reliquia, è una cosa viva e come tale merita di essere studiata e frequentata. La sua lingua colloquiale, asciutta, modernissima, prossima al parlato, anticipa la lingua dei dialoghi di Lessico famigliare. Vediamone due esempi, confrontando la traduzione di Natalia Ginzburg con quella di Giovanni Raboni:
“On ne pouvait pas remercier mon père .”
Raboni: “Non si poteva ringraziare mio padre.”
Ginzburg: “Mio padre, non era possibile dirgli grazie.”
Meno fedele di Raboni nella costruzione, con l’anacoluto che apre la frase Natalia Ginzburg rende straordinariamente la componente di oralità della scrittura proustiana.
“Moi je sais bien que cela me serait très désagréable de voir mon nom imprimé tout vif comme cela dans le journal…”
Raboni:”Io sono sicura (è una prozia del narratore che parla) che mi riuscirebbe molto sgradevole vedere il mio nome spiattellato così sul giornale…”
Ginzburg: “Io se vedessi il mio nome stampato bello caldo così sul giornale, sarei molto seccata.”
E’ davvero la naturalezza di “Lessico famigliare” che irrompe nel mondo di Proust. Lo comprese molto bene Giacomo Debenedetti, che del Proust tradotto da Natalia Ginzburg riassunse la modernità in una citazione con la quale vorrei concludere:
“Il connotato proustiano che la Ginzburg sembra aver voluto – consapevolmente, o no – cogliere con più coerenza, è forse quello a cui Proust deve la simpatia umana che egli esercita, la sua facoltà di non sopraffarci mai, anzi di farsi sentire vicino, confidenziale, fraterno, dovunque spinga – magari a un estremo che, a prima vista, potrebbe parere troppo sottile, prolisso, insaziato e farraginoso – la sua ricerca. Ed è il suo modo di continuamente “sliricare” un discorso che pure tocca di continuo, per tangenze luminosissime, di un radioso fulgore musicale, cantante e a volte perfino canoro – la sfera di una massima tensione lirica.”
Mariolina Bertini
Intanto faccio i miei personali complimenti ad Antonella Cilento per la bellissima iniziativa “Strane coppie” che sta portando avanti a Napoli.
Programma interessantissimo e nomi di spicco.
Brava, Antonella!
E complimenti anche per il bel pezzo sulla Ginzburg e sul suo “Lessico famigliare” (e per il collegamento alla “Recherce”).
@ Antonella
Raccontaci (se puoi e se ti fa piacere) come si è svolto l’incontro del 22 gennaio.
(Forse invierò una mail a Mariolina Bertini chiedendole di intervenire… )
A voi, amici, ripropongo le mie domande…
Cosa pensate di Marcel Proust?
Avete mai letto la “Recherche”?
Che effetto vi ha fatto?
E su Natalia Ginzburg e il suo “Lessico famigliare”… ?
Cosa ne pensate?
La domanda che segue credo sia proprio “bellina”… 🙂
A vostro avviso, oggi, in Italia, esiste ancora un lessico famigliare?
E con questa vi auguro una serena notte nella speranza che questo post possa suscitare il vostro interesse.
Cosa pensate di Marcel Proust?
Avete mai letto la “Recherce”?
Che effetto vi ha fatto?
–
Posso rispondere solo a questa, la Ginzburg non l’ho letta. La “recherche” invece sì (circa due terzi) e mi sembra irrinunciabile, un punto fermo. L’impressione è stata di balzacchiana monumentalità.
Per me va letta. Non è così scontato, ad esempio c’è chi non la considera “obbligatoria”.
Per me lo è.
Anche noi domani a Siracusa ospitiamo una “strana coppia”!
Massimo Maugeri (Letteratitudine, il libro) e Paolo Di Paolo (raccontami la notte in cui sono nato) per parlare di “Incontri in rete. La letteratura e internet” nei nostri circoli di lettura, Biblios caffè, ore 17,00.
Avremo altre strane coppie: Giorgio Nisini e Melville, Savona e Barthes, Salas e Cecov…
L’intento è far parlare due libri allo specchio come fa anche Massimo nelle bellissime recensioni incrociate.
Due voci che si sovrappongoo e che si integrano…Davvero sono pensabili gli accoppiamenti più strani, come questo: Paperino e i vinti di Verga….
Bacio e buona giornata!
Bravissima, Antonella! Un bacio
Un caro saluto alla bravissima Antonella Cilento…
Verissimo: le strane coppie, collidendo come nell’LHC, permettono di capire meglio certi aspetti poco considerati sia della coppia stessa sia delle “particelle” di pensiero liberate dalla collisione (come sono “fisico nucleare” oggi!).
Leggendo il calendario mi viene voglia di trasferirmi a Napoli fino a giugno!
Bellissimi nomi, tra cui quello del carissimo Francesco Costa e della nostra Maria Attanasio… non parliamo poi di Melania…
A prescindere.
Lessico famigliare: bellissimo l’aggettivo, che con quella sua G in più rispetto al più comune FAMILIARE ci riporta alla famiglia, a quel lessico personalissimo, a quel gergo di famiglia che ne è come l’imprinting. Non ci dimentichiamo che la culla della lingua per i bambini è proprio la famiglia: qui acquisisce l’idioletto, cioè il linguaggio particolare – in questo caso della sua famiglia – e pone le basi per costruire il suo.
Ho letto il libro della Ginzburg a scuola media o nei primi anni delle superiori e ne ho un ricordo fresco, vivace, di lingua affettuosa, familiare e famigliare.
Proust è da leggere come puntello culturale, perché personalmente ci sono pagine sublimi e altre un po’ più fastidiose nella loro monumentalità e nella ricerca del dettaglio maniacale. Questione di sensibilità, di gusto, non posizione critica, ci mancherebbe.
Nella mia scrittura io cerco di alternare l’estremo proustiano e quello minimalista, anzi di integrarli: barocca quando serve, essenziale idem.
Ritornerò su questo post stimolantissimo.
Grazie Massi, un bacio… sei grande!
🙂
Molto bello l’articolo di Antonella Cilento!
Proust è un poeta dei nomi come la Ginzburg è una attenta e scrupolosa custode di parole perdute. In entrambi la memoria rivisitata gioca un ruolo importante. In entrambi le parole si fanno musica, anche se con registri distinti.
Proust rapisce e trascina. Leggerlo coinvolge la mente, ma rapisce anche il corpo. Si diventa acqua che scorre, lambisce, vortica, corre, si arresta e diviene pioggia, nebbia, neve e contrasto insieme.
Personalmente rintraccio un divenire perpetuo in Proust e una certa, ma sempre gradevole, emozione datata nella Ginzburg.
Grandissimi!
Esiste, certamente, un lessico famigliare per ognuno di noi. Ne siamo responsabili, dobbiamo preservarlo dalla banalità, dai giochi facili della lingua d’oggi, dai falsi movimenti culturali, dalle mode prive di radici.
Esiste la parola perduta, che affiora all’improvviso. Un aggettivo, un nomignolo, un modo di dire che ci riporta all’infanzia. A noi spetta il compito di non perderli, perché la loro origine, il loro sudore, i loro suoni erano già per noi, ancor prima che la vita facesse battere i nostri cuori.
Un caro saluto saluto a Massimo, a Simona e a Maria Lucia.
La Recherce è un’opera fondamentale da assaggiare a piccole dosi.Ma va letta tutta,dall’inizio alla fine per poterne cogliere la grandezza.
Se devo essere sincera la Ginzburg non mi fa impazzire e ho sempre pensato che fosse stata un po’sopravvalutata.ma è una mia idea.
secondo me non esiste più un lessico famigliare.All’interno delle nostre case parliamo sempre più il linguaggio della televisione, purtroppo.
Dimenticavo di complimentarmi con la Cilento per l’articolo e per l’iniziativa culturale.brava davvero.
La recherche di Proust mi ha innaomorato per la finezza lessicale dei
nomi che hanno sempre una risonanza spaziale fonematica:
Ricordo per es. Martigny la cui pronuncia è come le campane dal suono argentino nell’aria risvegliata.
In senso generale, mi ha fatto riflettere sul capolavoro incompiuto che è il tempo:Lo possiamo scrivere tessere personalizzare come vogliamo ma divienecome nel tempo perduto e ritrovato da Proust :polvere che dissolve anche i nostri ricordi più precisi ed articolati.
La scrittura proustiana va poi delibata a caso.Si apre il libro, si legge
qualche riga e si soppesano le figurazioni mentali che affrescano la lettura per creare quei ponti cognitivi nella nostra mente che ci
mettono in contatto con le nostre età attraverso la sensorialità delle parole:
E’ un esercizio aperto ed ininterrotto poichè di ciò è fatta la nostra vita.
Un caro saluto ad Alessandro Savona, che nel suo romanzo Perrone “Etica di un amore impuro” gioca proprio con la memoria…
Natalia Ginzburg potremmo dire che scrive le sue memorie familiari in senso tardottocentesco, mentre la frantumazione dell’io, i giochi speculari, i rimandi lessicali e psicanalitici e molto di più la fanno da padrone nella Recherche.
Bellissimo il far passare l’evocazione e la memoria non solo dagli stimoli olfattivi o gustativi – la mitica madeleinette – ma anche e soprattutto dallo stimolo verbale, dalle parole famigliari che riescono ad aprire, come una chiave, un passepartout, una password intima e segreta, lo scrigno, l’archivio, il forziere della memoria.
Questo tema è per me fortissimo, dato che sono una custode delle memorie familiari, specie tramite il dialetto. Ho raccolto centinaia di modi di dire, detti, proverbi siciliani, ma la mia raccolta non è come quelle certamente specialistiche e più valide della mia: ho messo insieme quelli utilizzati dalla MIA famiglia, quelli significativi per noi, quelli usati in occasione di feste, ricorrenze, o nella quotidianità affettuosa.
I miei nonni materni mi hanno lasciato un bagaglio di storie di Vangelo popolare che ho poi messo in versi ed è un patrimonio per me preziosissimo.
Con i ragazzi stiamo affrontando, nell’ambito dei Beni culturali, i beni etnoantropologici: musiche e canti popolari, detti, proverbi, modi di dire, filastrocche, fiabe… tutto ciò che è parola è memoria, perché attorno ad un coagulo di fonemi e grafemi c’è tutto un mondo familiare, spesso si concentra anche l’intera cultura di un popolo.
cara martina, perché la ginzburg non ti piace? lessico famigliare, poi, è un’opera deliziosa. provo a convincerti collegandoti alla bellissima riduzione radio del terzo anello, radioraitre
ho dimenticato l’indirizzo, scusate
http://www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/alta_voce/archivio_2005/eventi/2005_08_01_lessicofamigliare/index.cfm
La Ricerca sta agli altri libri come una cattedrale gotica sta alle chiesette di campagna. E’ un’opera talmente grandiosa che a volte penso che si debba coniare un termine solo per essa, perchè è qualcosa che va oltre la letteratura. L’ho letta tre volte (l’ultima volta fu tre anni fa), ma già sento l’esigenza di una quarta lettura di questa inarrivabile capolavoro. Se non fosse per altri libri che comunque meritano d’essere letti, indubbiamente leggerei la Ricerca senza stancarmi mai.
Lessico famigliare è un libro che rimando sempre d’acquistare e leggere, ma questo post di massimo forse mi ha convinto finalmente a inserirlo nell’elenco delle prossime letture.
Non vado pazza nè per l’uno nè per l’altra, pur riconoscendo – nelle debite proporzioni la loro importanza. Ho un approccio estremamente edonistico nella lettura e per tanto concluso il primo volume proustiano ci siamo salutati. Magari verrà un tempo in cui ci riincontreremo – non so. Ho amato i concetto della recherche, e con i grave limite di leggerla in traduzione non impazzisco per la resa di questo concetto.
Ma i mondi intimi e linguistici esisteranno sempre, anche nell’epoca dell’industria culturale. E certamente ci saranno sempre splendidi essici familiari. In particolar modo in Italia adesso – che siamo nela fase declinante del dialetto, della forte differenza tra generazioni, e c’è questo fenomeno tenerissimo a volte, dei genitori che apprendono le parole della cultura dominante e le deformano e le domano alla luce della propria esperienza diaettale. Al momento non ci ho esempi – ma se mi concentro dopo i riporto. La lingua è una cosa che si muove e si deforma per vissuti e codici che provengono dal basso dal’alto e dalla circolarità. No, il lessico famiiare non morirà mai.
Ho trovato una citazione molto bella e attuale di Natalia ginzburg tratta da ‘Le piccole virtù’, che è un’opera del 1962.
Dice così: *L’Italia è un paese pronto a piegarsi ai peggiori governi. È un paese dove tutto funziona male, come si sa. È un paese dove regna il disordine, il cinismo, l’incompetenza, la confusione. E tuttavia, per le strade, si sente circolare l’intelligenza, come un vivido sangue. È un’intelligenza che, evidentemente, non serve a nulla. Essa non è spesa a beneficio di alcuna istituzione che possa migliorare di un poco la condizione umana. Tuttavia scalda il cuore e lo consola, se pure si tratta d’un ingannevole, e forse insensato, conforto.*
Non trovate che dopo 47 anni questa frase sia applicabile anche ai nostri giorni?
Complimenti a massimo per il blog e ad antonella per l’articolo e il progrtamma. Se fossi di Napoli non mi perderei un solo appuntamento.
Della “Recherche” ho letto qualche frammento: solo “le fanciulle in fiore” per intero, e moltissimi anni fa. Sprazzi meravigliosi tra pagine anche un po’ noiose. Sarà per quello che non ho mai trovato il coraggio di affrontarlo dall’inizio e per intero. Forse lo farò (è mia intenzione farlo, ma rimando sempre). Me ne manca quindi una visione unitaria e definitiva per poter dire qualcosa in proposito.
Il “Lessico” l’ho letto ai tempi della scuola. Mi piacque, ma di tempo ne è passato e ne ho un ricordo sì piacevole, ma un po’ vago. L’articolo di Antonella Cilento mi ha fatto venire voglia di rileggerlo. Sicuramente lo farò prima di affrontare il monumentale Proust.
Anche se a onor del vero credo bisognerebbe fare l’inverso.
La citazione della Ginzburg riportata da Margherita è una fotografia dell’Italia che calza perfettamente a qualsiasi periodo storico si voglia considerare, dalla sua unità (ma forse anche a prima) ad oggi.
Aggiungo: ahimè.
Adoro Natalia Ginzburg, il suo lessico famigliare è un libro non solo molto ben scritto, ma estremamente ironico. Proust invece mi fa svenire dalla noia, mi provoca narcolessi e forse se avessi letto tutti i suoi libri avrebbe potuto farmi venire anche l’orticaria. Direi che la Ginzburg e Proust sono agli antipodi: da un lato un linguaggio essenziale, diretto, descrittivo solo il tanto che serve a delineare una situazione, un carattere, un aneddoto; dall’altro Proust, uno scrittore prolisso, ultradescrittivo, lento, per il quale il quadro non è mai completo se non ci sono tutti gli elementi che compongono la scena, in modo particolare quelli accessori. Uno scrontro Ginzburg-Proust lo vedrei come una partita essenziale contro superfluo. Con la Ginzburg si percepisce il calore di una famiglia, con Proust siamo nel campo quasi documentaristico, dobbiamo vivere non solo un pezzetto di un’epoca, ma dobbiamo proprio calarci nei suoi panni e vivere la sua vita. Se si ama questa immersione potrebbe persino essere un’esperienza positiva, io l’ho trovata solo noiosa.
Grazie Carlo s. A me appassionano sia Proust che Ginzburg.
Ti scrivo questa citazione di Proust tratta da ‘il tempo ritrovato’
*Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso.*
Anche questa è molto bella, vero?
A proposito della ginzburg che traduce proust. E’ interessante confrontare la sua traduzione con le altre traduz. storiche. Ad es. Raboni e Schacherl.
Guardate come posson sembrare diversi gli inizi di ‘Dalla parte di Swann’
……………….
RABONI
*A lungo, mi sono coricato di buonora. Qualche volta, appena spenta la candela, gli occhi mi si chiudevano così in fretta che non avevo il tempo di dire a me stesso: “Mi addormento”. E, mezz’ora più tardi, il pensiero che era tempo di cercar sonno mi svegliava; volevo posare il libro che credevo di avere ancora fra le mani, e soffiare sul lume; mentre dormivo non avevo smesso di riflettere sulle cose che poco prima stavo leggendo, ma le riflessioni avevano preso una piega un po’ particolare; mi sembrava d’essere io stesso quello di cui il libro si occupava: una chiesa, un quartetto, la rivalità di Francesco I e Carlo V.*
[Marcel Proust, Dalla parte di Swann, traduzione di Giovanni Raboni, Mondadori, 1965.]
……………….
GINZBURG
*Per molto tempo, mi sono coricato presto la sera. A volte, non appena spenta la candela, mi si chiudevan gli occhi cosí subito che neppure potevo dire a me stesso: “M’addormento”. E, una mezz’ora dopo, il pensiero che dovevo ormai cercar sonno mi ridestava; volevo posare il libro, sembrandomi averlo ancora fra le mani, e soffiare sul lume; dormendo avevo seguitato le mie riflessioni su quel che avevo appena letto, ma queste riflessioni avevan preso una forma un po’ speciale; mi sembrava d’essere io stesso l’argomento del libro: una chiesa, un quartetto, la rivalità tra Francesco primo e Carlo quinto.*
[Marcel Proust, La strada di Swann, traduzione di Natalia Ginzburg, Einaudi, 1963.]
……………….
SCHACHERL
*Per molto tempo io sono andato a letto presto. A volte, appena spento il lume, gli occhi mi si chiudevano istantaneamente. Non avevo neppure il tempo di dirmi: «M’addormento». Una mezz’ora dopo, il pensiero che era tempo di trovar sonno, mi svegliava; sentivo di dover posare il libro che credevo d’avere ancora in mano, e soffiare sul lume. Non avevo cessato, dormendo, di riflettere su ciò che avevo letto, ma le mie riflessioni avevano preso un corso tutto particolare: mi sembrava d’essere io l’argomento del libro, una chiesa, un quartetto, la rivalità tra Francesco I e Carlo V.*
[Marcel Proust, Dalla parte di Swann, traduzione di Bruno Schacherl, G. C. Sansoni Editore, Firenze, 1965.]
Quale vi piace di più tra le tre? secondo me, lo dico anche se amo la ginzburg, è proprio quella della natalia la meno convincente. Io preferisco Raboni
La Recherche, l’ho letta più volte a bocconi e per intero (da cima a fondo) una ventina di anni fa. La trovo grandiosa quando Proust fa l’umorista e quando scava a fondo nelle sottigliezze dell’amore e dell’animo umano: qui è un genio eccezionale. Mentre diventa inerte e noiosissimo quando arrivano in scena i biancospini, le siepi, la natura. Oppure quando tesse le lodi di uno scrittorucolo insulso come il pesonaggio Bergotte. O ancora durante certe interminabili conversazione mondane (ricordo con sgomento una festa che dura circa duecento pagine, intessuta di chiacchiericcio…non finiva mai). Però poi torna l’immenso Proust, meraviglioso e appassionante indagatore di ognuno di noi.
L’edizione dei Meridiani (con un unico traduttore del valore di Raboni e quel formidabile apparato di note) è impagabile.
la recherche mi avrà quando sarò in pensione. ne lessi dei brani e, appunto, le fissai un appuntamento a data da destinarsi. che sia letteratura alta non v’è dubbio. ma è alto anche il kilimanjaro e non ho mai pensato di scalarlo.
quanto al lessico famigliare, credo esista ancora. credo anche che, però, cambi da famiglia a famiglia e da regione a regione. l’impressione è, comunque, che ci si capisca sempre meno a prescindere dal lessico. forse servirebbe tempo, più che lessico. il tempo che, due generazioni fa, si trovava. il tempo che ti consentiva di parlare e, meglio ancora, di ascoltare.
oggi ci sembra un successo anche trovare quei secondi per mandare un sms tipo “cmq t amerò X sempre”……….ma vffncl!
Grazie, Mariano.L’ascolto alla radio potrebbe rivelarsi molto convincente 🙂
Quando penso a Proust mi viene il mente il DARE LA VITA per la letteratura. Com’è noto iniziò la Recherce nel 1909, ed elaborò l’opera in anni di volontaria reclusione nella casa di Boulevard Haussmann: pur con gravi problemi di salute lavorava di notte, scrivendo a letto nella stanza foderata di sughero per isolamento acustico.
Credo che sia giusto identificare Proust e la sua esistenza con la Recherce. Un’opera che vale una vita.
Sono d’accordo sul fatto che proust sia abbastanza noioso.lessi qualche passo di Un amore di swann,e quel che ricordo adesso e’ solo che doveva avere una copertina sull’azzurro,ma neanche questo va preso per certo,tant’e’ che non l’ho ritrovato ora scorrendo con lo sguardo tra i volumi impilati nelle mie librerie.ma sono d’accordo sulla sua capacita’ di scegliere nomi suggestivi, in armonia perfetta coi personaggi.Come Odette appunto,ingenua e frivola protagonista.
della Ginzburg ho qualche ricordo scolastico che non ostendo per inpraticabilita’ di luoghi della memoria alquanto risalenti.Mi concentro quindi sull’amore istintivo per il paradigma di ”lessico famigliare’.interessante,ma non ricordo di aver mai usato ne’ sentito un gergo che potrei definìre autoctono in casa mia,a meno che fossi proprio bimbetta e mi si circondasse di metafore inoffensive per indicare cose sconvenienti nella definizione cruda,e per impedirmi di ripetrerle in pubblico sic et simpliciter,tendenza imbarazzante, ma vocazione innata in tutti i bambini…
Nella prossima finanziaria si stanziassero due o tre milioni di euro per dare a enrico una giornata di 48 ore e un cellulare che trasmetta direttamente i suoi pensieri senza dover digitare sui tasti.mi sembra il coniglio di Alice nel paese delle meraviglie.e’ patetico.
Nella mia famiglia attuale invece
Proust, il mio primo amore. Ho fatto una tesi su di lui. Non solo sulla Recherche (che da Debenedetti è defintia un lungo pianto accorato, una lunga cantilena che penetra fino a far affiorare la più intensa delle nostalgie: quelle per il proprio passato, per le cose e le persone che abbiamo amato), ma anche sugli altri intensi suoi scritti: quelli sulle giornate di lettura, quelli sul pastiche linguistico letterario in cui egli emula i grandi narratori del ‘900 (Joyce, Flaubert etc.).
La Recherche è uno dei capolavori indiscussi del XX secolo (può annoiare se non si ama la presenza della melodia nella scrittura, se non le si riconosce una certa muscialità. Non è semplice leggere tutti i 7 volumi proustiani, specie in francese ma leggerli in italiano è un grave scempio, poiché non si sta più leggendo Proust ma il suo traduttore.
Bellissima iniziativa quella portata avanti da Antonella Cilento,concordo… fantastico il binomio Paperino e i Vinti di Verga 😉 Vorrei avere il resoconto di quest’ultimo … si può cara Simona? 😉
Grazie mille per i vostri commenti.
Per gli amici siracusani.
Come ha ricordato Simona, domani potrete incontrare me e Paolo Di Paolo a Siracusa, h. 17, al Biblios caffè. Discuteremo del tema: “Incontri in rete. La letteratura e internet”.
Vi aspettiamo.
Sarà un incrocio di livello un po’ più basso rispetto a quello tra Proust e la Ginzburg, ma… pazienza.
😉
Dunque. Vi ringrazio tutti per i vostri interventi: Noncisiamo, Simona, Maria Lucia, Martina, Alessandro Savona, Mariano, Alberto Mori (benvenuto a Letteratitudine!), Giovanni, Zauberei, Margherita (benvenuta a Letteratitudine!), Carlo S., Ciao (ciao a te!), Enrico, Maria Gemma, Luciano, Sabina.
@Carissimo Massimo….un altro “regalissimo” per me…parlare di Proust.
Putroppo quando si rientra da faticose giornate di lavoro non si ha il tempo, ma inserirò nello spazio della traduzione le tre versioni dell’incipit della RECHERCHE che Margherita ha così saggiamente riportato.
Concordo TOTALMENTE con quanto ha scritto Giovanni( intervento 12.20) e anch’io non mi stancherei mai di leggerla. A chi ne ha letto solo il primo volume vorrei dire che della “cattedrale” si vedono soltanto scorci, perché senza IL TEMPO RITROVATO non è possibile capire Proust. Non lo dico con presunzione, anzi: lo dico perché Proust stesso lo aveva detto.
Per quanto concerne la Ginzburg, è una scrittrice che mi è molto cara; però, senza togliere nulla ad altre sue opere ( come il citato “Le piccole virtù” e anche “Caro Michele”+ la commedia “Ti ho sposato per allegria”), nel suo carinissimo “Lessico familiare” c’è molto del primo volume della RECHERCHE, che la scrittrice ha tradotto. Potrei fare l’esempio di Françoise, ma ce ne sono altri.
LA RECHERCHE è un’opera “imparagonabile” quasi con tutto, forse solo con Shakespeare e Dante.
Mariano, non sapevo che esistesse una trasposizone radio del “Lessico famigliare” disponibile on line. Utilissima segnalazione, la tua. Grazie. Appena possibile darò un ascolto.
Ehilà, Roberta! Ero certo che questo post sarebbe stato di tuo gradimento. Visto che bello?:-)
È vero, il legame tra la “Recherce” e il “Lessico famigliare” esiste… come ha anche evidenziato la nostra Antonella.
Tra le traduzioni che ci offerto Margherita (grazie mille anche a te), anch’io preferisco quella di Raboni.
E come ha ben scritto Luciano Comida: “L’edizione dei Meridiani (con un unico traduttore del valore di Raboni e quel formidabile apparato di note) è impagabile”.
Perfettamente d’accordo.
Per il momento vi devo salutare e difficilmente potrò tornare a intervenire per oggi.
Vi auguro una splendida serata.
Tornerò a fare un salto qui domani mattina. E domattina dovrebbe intervenire anche Antonella Cilento.
Buona prosecuzione!
@Carissimo Massimo,
sì sono contentissima di questo tuo ennesimo “regalo”.
Un omaggio a Marcel Proust non può che riempirmi di gioia.
Purtroppo sono molto stanca oggi e non ho potuto leggere ciò che ha scritto Antonella Cilento, ma leggerò con attenzione e poi se domani partecipa anche lei, sarà anche più bello.
Un abbraccio.
Francamente io lessi, decenni fa, il ”Lessico” della Ginzburg e me lo ricordo appena – pero’ me lo ricordo come ”opera” degna di questo nome. Posso solo dire che, da piccolo autore qual sono, un mio personaggio, il capitano dei Carabinieri Euterpe Santonastasio, possiede un lessico che almeno per meta’ e’ tratto dal mio ”lessico famigliare”. Siamo fantasiosi, in casa, e coniamo neologismi ed idiotismi, forme sincretiche a mucchi!
Sulla ”Ricerca” del Proust non mi sento in grado di commentare: e’ cosa troppo importante per esser fatta stringatamente, credo.
Un caro saluto ad Antonella Cilento, le cui iniziative sono eccellenti: ciao bella!
Sergio Sozi
E a Sabina Corsaro: ciao, cara… fatti sentire piu’ spesso!
Massimo, rispondo anche alle tue domande sulla Ginzburg..
è vero ciò che scrive la Cilento, che trent’anni fa si leggevano la Ginzburg e Calvino alle scuole medie e che i suoi modi di dire tratti da “LESSICO FAMILGIARE” (“salve ignoranza..”+ “Il baco del calo del malo”..)li conoscevano quasi tutti..e che nostalgia della Ginzburg, allora, quando oggi i nostri ragazzini delle medie conoscono solamente i nomi dei vip dei reality e dei loro fidanzati….che tristezza.. Le pagine della Ginzburg sono così “piene di sentimento” e ci sarebbe bisogno di intellettuali come lei in Italia. Avevo visto alla televisione le riprese dal teatro di “TI HO SPOSATO PER ALLEGRIA”: l’attrice era bravissima, ma non ricordo il nome e la commedia molto bellina.
Sulla domanda: “Oggi in Italia esiste un lessico famigliare?”
forse sì, in molte famiglie in cui i componenti sono “complici” ed è una cosa molto bella. Però temo che famiglie in cui i componenti sono “complici” non ce ne siano molte, purtroppo, ormai.
Una pagina al giorno della Recherche ti riappacifica con la letteratura e le belle frasi. Provare per credere. piccolo spot, ma sentito.
Ciao a tutte/i! Sono lieta che l’argomento della prima Strana Coppia abbia scatenato tanti commenti e ringrazio Massimo, come sempre, e voi tutti. Fra gli argomenti sollevati durante la serata napoletana c’è stato spazio per due belle domande: una sulla traduzione di Ginzburg e una sul rapporto invenzione ed etica in Manzoni e quindi in Ginzburg. A entrambe le domande ha risposto con molta maggiore competenza di me Mariolina Bertini (che spero vorrà postarci il suo intervento, le ho appena scritto e incrociamo le dita..:-). Riferisco a spanne: Mariolina ci ha raccontato di come la Ginzburg traducesse con un pessimo vocabolario mentre era al confino e si trovasse quindi in una grave difficoltà a rendere l’estrema varietà di tono che è l’essenza linguistica della Recherche, ma anni dopo, benché contestata sulle scelte fatte, le aveva difese tutte, perché quella traduzione era il ricordo, con tutti i suoi difetti, degli anni trascorsi con i suoi figli ancora piccoli, in attesa del marito, insomma fra grandi affetti e indicibili difficoltà.
L’altra questione sollevata riguardava l’opportunità o meno di inventare ( e anche qui, come dicevo è stata Mariolina Bertini a raccontare bene) che Manzoni, che pure tanto aveva inventato nei Promessi Sposi, rinnega scrivendo la Storia della colonna infame. Quando si narra della realtà e la realtà ha avuto gravi conseguenze su chi ne è stato protagonista allora la spinta etica impone l’assenza di invenzione: devo dire che la questione è molto lungi dall’essere storicizzata e letteraria nel senso accademico. Come sempre accade con gli scrittori davvero grandi non c’è tema oggi in Italia e nel mondo) che ci tocchi più da vicino.
Ci sarebbe molto da dire a proposito ma mi fermo qui, per il momento.
Leggendo i post, invece, mi accorgo che il povero Proust fatica molto a trovare lettori appassionati (ho fatto una media degli interventi, non vorrei sbagliarmi) e di questo mi dispiace. Il mio ricordo di lettrice è folgorante, un po’ perché il secondo anno di liceo la nostra prof. di italiano ci consegnò in lettura testi per l’estate e a me diede l’Ulisse di Joyce – raccolsi la sfida e durante le vacanze mi lessi l’Ulisse, Gente di Dublino e anche una magnifica biografia di Richard Ellmann – e subito dopo, al ritorno, mi disse: e adesso ti tocca la Recherche. L’estate dopo, perché con Proust non me la cavai in due mesi e avevo pur sempre l’esame da fare a quel punto, ero arrivata ad Albertine. Ero a Capri e mi dimenticai Albertine sulla spiaggia. Un bel volume anni cinquanta di mio zio. Tornai a cercarlo, invano, ma Albertine era scomparsa. Dovetti aspettare settembre per ritrovarla. I libri, a volte, ci fanno scherzi anche con i loro titoli. Ma a parte questi giochi della memoria, Proust mi devastò lasciandomi la sensazione che davvero qualcuno mi conoscesse, mi conoscesse nelle mie abitudini più noiose, nelle mie contemplazioni più estetico/estatiche, che esistessero al mondo ritratti così fedeli delle persone che conoscevo, cui pure nessuno dei suoi alto borghesi personaggi poteva somigliare, un’identità umana così profonda che per un po’ smisi anche di scrivere. Nessuno si è offerto così impudicamente e al tempo stesso con così tanto candore alla letteratura e a noi.
Buona prosecuzione di post:-)))
Antonella
“E a Sabina Corsaro: ciao, cara… fatti sentire piu’ spesso”
Ciao caro Sergio, hai ragione… mi mancano sempre i mie confronti con te, specie quando non la pensiamo allo stesso moso 😉 lo dico sul serio, non è ironia la mia.
E’ vero: per parlare di Proust bisogna dedicarvi molto tempo e personalmente prometto di farlo entro venerdì, ho molto da scrivere e concordo con coloro che danno importanza al Tempo ritrovato: in esso viene messo inevidenza l’esistenza del libro che ogni uomo ha dentro.
Questo blog è bellissimo. Mi è venuta voglia di leggere Proust. E’da molto tempo che penso di farlo. Da quale libro mi consigliate di cominciare? Io a casa ho “la strada di Swann” dell’edizione Novecento di Repubblica. Va bene se comincio da lì, oppure no?
Grazie e complimenti.
Al solito ,pedonate le corbellerie frenetiche… 🙂
E’ davvero disdicevole che “Lessico famigliare” non abbia più lo spazio che aveva qualche anno fa nelle antologie e nei programmi scolastici? Perché è accaduto? I docenti di letteratura non possono fare nulla? per es. organizzare gruppi di lettura tra studenti. Io credo che un libro come quello sia molto formativo per un giovane.
Buona giornata a tutti.
Scrivo al volo per salutarvi. Ai siracusani ricordo l’appuntamento pomeridiano al Biblos cafè.
Antonella, bello anche questo tuo commento.
Stasera o domani scriverò anch’io a Mariolina Bertini. Così la pressiamo in due:-)
Sabina, ma davvero ti sei letta tutta la Recherche in lingua originale?
Bravissima! E’ una cosa che mi riprometto di fare anch’io.
Non c’è dubbio che la lettura inlingua originale abbia tutto un altro… sapore.
Inserisco nel commento di seguito l’originale degli incipit che Margherita, qui sopra, ha proposto in traduzioni differenti.
(grazie a Roberta che lo ha ricopiato nel post delle traduzioni)
da DU COTE’ DE CHEZ SWANN di Marcel Proust
(ancora grazie a Roberta)
–
“Longtemps je me suis couché de bonne heure. Parfois, à ma bougie éteinte, mes yeux se fermaient si vite que je n’avais pas le temps de me dire: “je m’endors”. Et, une demi-heure après, la pensée qu’il était temps de chercher le sommeil m’éveillait; je voulait poser le volume que je croyais avoir encore dans les mains, et souffler ma lumière; je n’avais pas cessé en dormant de faire des réflexions sur ce que je venais de lire, mais ces réflexions avaient pris un tour un peu particulier; il me semblait que j’étais moi-meme ce dont parlait l’ouvrage: une église, un quatuor, la rivalité de François I er et de Charles V”.
Scappo.
Buona giornata a tutti.
secondo me Proust è un monumento della scrittura come della lettura,forse sgomenta la mole,ma di sicuro ci si ritrova in molte pagine e andrebbe riletto con maggior attenzione,fruendo di ogni indicazione di stile e di psicologia dei personaggi,che letti da ragazza non ho colto nella loro pienezza,perciò mi riprometto di rileggere come se fosse una bibbia di capacità altissima di letteratura. La Ginzburg è sicuramente più fruibile e accessibile, immediata,anche se un pò “datata” rispetto ad oggi, il messaggio sottinteso resta eterno,e salvifico per il senso di famiglia,almeno per ciò che credo io. Siamo tutto ciò che viviamo nell’infanzia e fra i nostri cari anche quando ci sono “meno cari”,quel mondo ci vive dentro sotto altre forme e lo rielaboriamo per crescere e vivere più o meno sereni.Sarebbe una salvezza per tutti conservare un Lessico Famigliare,per i nostri figli come eredità morale e di storia passata,per la ricchezza che porteremo a chi verrà dopo di noi e per far fronte al mondo che appiattisce i ricordi.Io cerco fortemente di preservare questa identità famigliare con i miei figli e credo che li renderà più sensibili e forti,mi auguro che lo facciano altre famiglie.
Bravissima Antonella,fortunata io che ce l’ho a portata di mano a Napoli e posso seguirla in tutte le cose interessanti che propone,chi può venire ne trarrà grande beneficio! :-)))
in questo periodo sto rileggendo la recherche cercando di trarne piccole riflessioni per ogni suo capitolo (potete leggere il tutto sul sito etempodiscrivere). strana coppia la Ginzburg e Proust? non proprio! considerando che Lessico F. è una recherche all’italiana, così coem lo èmolto di più Menzogna e sortilegio della Morante. Leggere Proust è fondamentale e indispensabile per capire cosa è la sensibilità moderna. in letteratura, ovviamente, ma anche nella vita. Senza Proust si rimane vecchi e bigotti, fermi al naturalismo di Balzac e Zola, e si continua a scrivere fuori dal tempo, senza capire nulla dell’oggi. con Proust invece si capisce cosa è il modernismo e addirittura si anticipa postmodernismo; capiamo un po’ di più di come siamo fatti: non è solo il romanzo della memoria: è il romanzo della ricerca della verità. e cosa fa lo scrittore se non ricercare una verità?
due letture capitali: anna karenina e la recherche. La prima ci parla di un mondo che non esiste più: la seconda ci parla di come continuiamo ad essere dentro uan realtà che ha perso i connotati dell’unicità e della necessità. Direi copiando un sociologo: la vita liquida
uno scrittore che scrive “io” nella pagina bianca, senza aver letto Proust, è non è credibile, è vecchio e finto.
Ho letto “lessico famigliare ” negli anni 80, piu’ o meno, mi e’ piaciuto molto – ne ho un bel ricordo, piacevole, mi dava anche tanta serenita’, mi sembrava di essere tornata agli anni in cui ero rgazzina e anche a casa nostra c’era un “lessico famigliare”, parole che capivamo solo noi – inventate da mio padre a da mia nonna, alquanto toscanaccia trasformatasi poi in romanaccia !!
certo che oggi in Italia esiste ancora un lessico famigliare !!
In molte famiglie c’e’ questa consuetudine di usare parole strane…quasi come un codice segreto….per poterle dire anche in pubblico…..”tanto non ci capisce nessuno” – Nella mia famiglia c’e’ !!
Complimenti anche da parte mia ad Antonella Cilento – mi ha fatto venire voglia di rileggerlo – stasera stessa lo ritiro fuori ! grazie Antonella – saluti
cari a tutti – anna di mauro
Sabina, ma davvero ti sei letta tutta la Recherche in lingua originale?
Non tutti, caro Massimo, purtroppo il Tempo prima di essere Ritrovato è Tiranno!!! Ho letto Le Temps retrouvé e du coté de chez Swann, il resto l’ho letto nella perfetta traduzione di Raboni, incantevole ma non è la scrittura di Proust…
Ad Alberto io direi di sì, si comincia da lì e dal suggestivo storia in esso contenuta “Un amore di Swann”.
… per chi avesse dubbi— sono Italiana…
La ricerca è stata per me una lettura fondamentale da ragazza per dare un senso al tempo ,quello mio,quello “tecnico”,quello del mondo ,quello dei sentimenti….e per il linguaggio ricercato e di estrema raffinatezzza.Riletto oggi (alcuni passi)stento a riprenderne le fila.Lo avvicino alla Ginsburg per quei profumi delle ciambelle che ricordano,come il lessico,il profumo di casa.Io credo che esista ancora un lessico famigliare magari fatto più di gesti e di un parola chiave per capire il sorriso o la faccia scura.I miei due figli ,già adulti,quando mi parlano di pc o dvd ,conoscendo la mia ignoranza ed ottusità,usano un linguaggio infantile ,quello che usavo io per insegnare loro a leggere….
Grazie ,molto interessante e stimolante il blog.
Tinti Baldini
@Alberto
Sì, comincia da “LA STRADA DI SWANN”… e vedrai che non riuscirai più lasciare Marcel..
Tempo fa avevo visto una foto di Proust morente, coricato sul suo letto di morte. Aveva detto che non sarebbe morto prima di terminare LA RECHERCHE e così è stato: una vita per questo. Ma LA RECHERCHE ti cambia il modo di osservare il mondo e dopo averla letta, si possono riconoscere in giro i Charlus, i Verdurin, i Guermantes e gli Swann, le Odette ecc.. Tra persone che l’hanno letta, poi, si stabilisce una specie di “complicité” nel riconoscere i personaggi…. per esempio: “Non trovi che S. sia un pò Charlus?”- “Sì, è Charlus spiccicato”. Oppure: “Sei una Verdurin!!”-
A me dicono sempre che assomiglio alle “zie di Marcel”, quelle che volendo ringraziare Swann per i cesti di buonissima frutta che Swann regalava loro, anziché ringraziarlo esplicitamente dicevano:” Eh, certo che non tutti hanno la fortuna di avere vicini così gentili e generosi…!”- Così il nonno di Marcel ( il protagonista) diceva alle zie: “Guardate che se non lo ringraziate esplicitamente per la frutta, non è detto che il caro Charles capisca che lo state ringraziando!”-
E’ un libro, LA RECHERCHE, che se hai il il malumore per qualcosa della vita quotidiana, ti porta “lontano” e ti passa tutto.
@Francesco Gianino
Proust ha dedicato molte pagine a Balzac nel suo “CONTRE SAINTE-BEUVE”. Non è per dire, ma non “liquiderei” Zola e soprattutto Balzac col termine “naturalisti”. Balzac non lo era( se proprio vogliamo “sistemarlo nel cassetto” di una corrente letteraria) e la su “COMéDIE HUMAINE” è grandiosa e moderna. Prendi “PèRE GORIOT” e vedi quanto è dipinto bene l’arrivismo che è tipico anche del nostro tempo; prendi “EUGéNIE GRANDET”, prendi “LA PEAU DE CHAGRIN” e “LA FILLE AUX YEUX D’OR”…c’è “tutto” anche in Balzac.
Lo dico in modo molto affettuoso, naturalemente..e non per altro..ma perché l’amore per Balzac non è per me inferiore a quello per Proust.
Cari saluti.
la sua COMéDIE HUMAINE-ho sbagliato.
@ Massimo
Figurati sono io che ti ringrazio. E sempre:)
@Sabina: Paperino e Verga ti aspettano…(quack!)
@ Tutti: bravissimi oggi pomeriggio Paolo e Massimo! Uditorio partecipe e interessatissimo.
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Un lessico famigliare è anche quello della “famiglia” di internet…giusto per rimanere nel tema trattato al biblios caffè dalla nostra “strana coppia”: “la letteratura e la rete”.
Frasi come “link”, “post”, “tags”, “blog”….non sono forse identificativi? Non rimandano pur sempre a un gruppo (chi frequenta la rete)?
Che senso avrebbe un lessico se non rendesse accessibile ai suoi destinatari un significato (estraneo per altri)?
Il lessico è più di un linguaggio: è un sistema di decodificazione accessibile solo a chi frequenta un determinato ambiente.
E interpretarlo può fornire molti strumenti di ingagine sulle nuove realtà.
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Un bacio a Paolo che in questo momento vola verso Roma….
Non ci posso credere!!!
C’è ancora gente che ama Proust e la Ginzburg e li legge e li promuove oltre agli obblighi di studio!!?? Ne sono felice, felicissima. Avrei voluto essere a Napoli per quell’incontro, ma grazie per averlo messo a disposizione qui.
caro Massimo, penso che un lessico famigliare esiste, quando c’è ancora il desiderio di definire una identità, una appartenenza, una unione profonda che passa anche per il linguaggio, ricco di ricordi condivisi, di “parole d’ordine” sconosciute e incomprensibili per gli “altri”. Comunque il Lessico famigliare, quello della ginzburg, è stato uno dei miei libri più letti, dalla adolescenza ad ora e ho sempre invidiato quella famiglia così colorita, ricca di “varianti umane” così interessanti, impregnata di storia e al contempo di vita privata. Vorrei sapere scrivere anch’io il mio lessico famigliare così!!!
da “alla ricerca del tempo perduto” (citazione)
Non si riceve la saggezza, bisogna scoprirla da sé, dopo un tragitto che nessuno può fare per noi, né può risparmiarci, perché essa è una visuale sulle cose.
Chi vuole accostarsi a Proust fa certamente bene a iniziare con “Dalla parte di Swann”, che è il primo volume della Recherche. Volume che come è noto a tanti fu respinto dall’editore Gallimard su consiglio di André Gide, e venne edito a spese dell’autore da Grasset nel 1913.
In seguito Gide si ricredette.
Saluti
Dico la verità. Immagino che a tanti piacerebbe leggere o rileggere Proust (ne ho letto in passato solo qualche passo) ma è una lettura che richiede molto tempo libero a disposizione. Tempo che non c’è più, perché incompatibile con la vita ad alta velocità che conduciamo. Forse è proprio questo il tempo perduto che dovremmo ricercare.
@Marco Vinci
Sì, è proprio questo, lo penso anch’io.
La Ginzburg invece è più facile. Di certo meno impegnativa in termini di tempo e di difficoltà alla lettura.
Comunque l’accostamento è ben riuscito. Brava la Cilento.
Firmo: roberta
Ciao Anonimo. Ma forse dovremmo ricercarlo questo tempo perduto, no?
@Marco
più che altro perché la Ginzburg ha tradotto il primo volume della Recherche. Però i due scrittori sono “imparagonabili”, per grandezza.
Oh, Roberta. Vero. Siamo sempre in corsa e questa corsa a volte ci impedisce di godere di cose belle. Ciao.
Certo, Proust è nella storia delle letteratura mondiale di tutti i tempi. La Ginzburg, ho letto nei commenti sora, è già piuttosto dimenticata anche da noi in Italia. Però questo dispiace.
Commenti sopra – mi correggo.
Marco, come ho già scritto forse la Ginzburg è stata un po’ sopravvalutata nel passato. Ma questa è un mio pensiero, forse sbagliato. Di certo iniziative culturali come queste che organizza Antonella sono originalie e più che meritevoli, e danno linfa ed energia alla letteratura.
Sì, bisogna cercarlo. Come dice Proust :” à la recherche du temps perdu”; quindi bisogna mettersi a cercarlo.
Ci sono nella RECHERCHE, come ricorderai, gli episodi di “memoria involontaria”, come quello della “petite madeleine”, quello del selciato a Venezia e quello della “petite phrase” della sonata di Vinteuil. Quindi molte volte ci arrivano improvvisi alla memoria e ci fanno sentire “strani”. In genere gli odori, la musica, i sapori lo fanno. Vero?
Non tutti riescono a “trasformare” in arte il tempo perduto, però.
Certo il nostro Proust bisogna ringraziarlo per averlo fatto.
Giusto, Roberta. Proust ha dato tutto il suo tempo per realizzare quest’opera monumentale, non sarebbe male che noi ne ritrovassimo un po’ del nostro per poterne godere. Ciao a te e a tutti.
La Ginzburg è una brava scrittrice, secondo me. Anche a me dispiace che sia stata dimenticata. Poi è una parte della nostra letteratura antifascista e sarebbe importante leggerla. Gli studenti di oggi non ne sanno nulla: guardano solo i reality. Li rovinano con questa televisione che li induce a credere che siano importanti quattro “bellocci” o quattro “bellocce”.
Questi sono scrittori che avevano forte il senso della famiglia: Natalia Ginzburg quando parla della sua ( suo padre è davvero indimenticabile, anche per le sue “docce fredde” di primo mattino) e Proust quando parla di sua nonna (perlomeno parla della nonna di Marcel, il protagonista-che non necessariamente coincide con Marcel Proust- anzi, decisamente, nella volontà di Proust, io due “io” non coincidono); comunque sia, sono pagine piene di affetto per un personaggio che resta nel cuore.
Prima di andare vi lascio questa citazione.
“Lessi lo Swann per la prima volta verso la primavera del 1914. Non dimenticherò mai lo sbalordimento, l’emozione profonda in cui fui immediatamente immerso. E’ la seconda parte dell’opera, Un amour de Swann, quella che mi sconvolse più profondamente. Entravo in un nuovo mondo. Avevo la sensazione di vedersi aprire sull’amore una porta che mai nessuno aveva notato e che conduceva a un cielo notturno e magnifico, popolato da una miriade di dolorose piccole stelle”
Jacques Rivière – Principauté de Monaco: Société de Conférences, 1924
“Sto preparando un lavoro su Proust. Limito il mio lavoro alla nozione di feticcio.
Lo scrittore che deve far fronte alla seduzione edipica della madre, seduzione a malapena velata da un racconto di George Sand che narra l’amore incestuoso di François le Champi per Madeleine, la sua madre adottiva con cui si sposerà alla fine dell’opera. Il racconto è quello fatto dal narratore della Recherche, ma l’attaccamento di Proust per sua madre era intenso e invasivo: egli poteva a pena separarsi da lei. Evoco anche la scena del bacio in cui Marcel (chiamiamo così il narratore della ricerca) è colto da angoscia perché sua madre non viene a baciarlo. Quando finalmente le manifesta il suo desiderio chiamandola dalla finestra mentre lei sta accogliendo Swann in giardino, la madre lo raggiunge in camera da letto. Immediatamente Marcel è invaso da un profondo senso di colpa, e si rimprovera di “ucciderla” simbolicamente facendola invecchiare. I temi che voglio evocare sono quelli del Nome del padre. Il soggetto scrittore/narratore. La sublimazione nell’arte. L’arte come sostituto del Nome del padre. Da cui la perversione come sostituto della psicosi. (…) L’arte come feticcio per soffocare la minaccia di castrazione e manipolare la differenza dei sessi nella scena immaginaria. La scrittura come tentativo di unificazione dell’io: lo specchio dello scrittore. Stadio dello specchio. La permanenza del fantasma del perverso proustiano. Lo stile proustiano che è “ leggi le tue cancellature”. E’ svelare per meglio nascondere, o il contrario”
Roland Barthes
Io dico, se la gente trova il tempo di leggersi le migliaia di pagine di Stieg Larsson, che saranno interessanti -non dubito-, potrebbe trovare anche il tempo per leggersi Proust, che male non fa. Questi post incitano alla lettura.Bravi
Cara Sabina Corsaro,
anche a me mancano i confronti intellettuali sanguigni e forti – tutti, compresi quelli indimenticabili avuti con te, con il Maugger, con Wu Ming 1 e 2, con Luca Gallina, Lorenzo Russo, Renzo Montagnoli, Ausilio Bertoli, Carlo S., Miriam, Giampiero Rigosi, Antonella Cilento stessa e tante altre belle e preziose teste. Purtroppo pero’ discutere in modo intenso su Internet non e’ proprio come nella realta’: il mezzo e’ diverso e la riservatezza non c’e’ come nei caffe’ letterari, dove parlavo solo con chi pareva a me. Qui siamo in piazza e bisogna limitarsi – cosa che a me a volte capita di non riuscire a fare. Dunque ho deciso di intervenire solo saltuariamente su Letteratitudine per non infastidire nessuno. Con molti mi sento privatamente con gran gioia.
Ciao, cara
Sergio
@Sergio
Mi dispiace che tu abbia preso questa decisione, Sergio.
Nello spazio della traduzione la tua presenza era preziosa per me.
Spero non te la sia presa per quelle due righe che ti ho scritto invitandoti a dirci qualcosa nell’altro spazio.
Ma ognuno decide come crede.
I “caffé letterari” sono sicuramente belli, ma penso che certe volte la “maschera” di un viso o di una voce che non si vede e non si sente possa “avvicinare” persone che altrimenti non si rivolgerebbero neppure la parola. Mi pare di ricordare che tu ami molto il “CYRANO DE BERGERAC”: Roxane amava le parole di Cyrano; il viso di Cristiano non le diceva nulla. E’ un altro “tipo” di comunicazione, non meno intenso, secondo me.
Cari saluti
R.
Su Proust e la Recherche è stato scritto di tutto. La critica ha estratto virtù inimitabili dell’artista, vizi impenitenti di un uomo considerato pederasta, sadico, onanista. Un Proust ripudiato, per le sue patologie; un Proust osannato, per l’invenzione di un linguaggio ricco di verità interiori. La critica nel tempo ha presentato una personalità schizofrenica. Trovo interessante, tra le altre cose, un aspetto rilevato dalla critica di orientamento psicanalitico che paragona la Recherche ad un vero e proprio procedimento psicanalitico che riconduce il paziente verso il suo passato ( J. Y. Tadié cita il lavoro compiuto in tal senso dal Dott. Milton L. Miller ad esempio).
In questa prospettiva l’episodio della Madeleine, ad esempio, assume un significato ben preciso che riconduce all’atto del nutrimento, della suzione e quindi, ancora una volta, alla figura della madre. Lejeune invece si sofferma sul discorso della reminiscenza intesa nella Recherche come un’allusione esclusivamente sessuale: il tempo ritrovato non sarebbe altro che il tempo in pieno sviluppo, il tempo che esplode “il tempo dell’orgasmo” scrive J. Y. Tadié nella sua opera critica su Proust; tempo che viene espresso dietro la metafora dell’ispirazione estetica.
E poi la melodia della scrittura proustiana ne Il tempo ritrovato:
“In arte… in ogni momento l’artista deve ascoltare il proprio istinto… Soltanto l’impressione… è un criterio di verità e perciò soltanto essa merita d’essere appresa dallo spirito, come la sola capace… di condurlo a maggior perfezione e di offrirgli un godimento puro” (versione tradotta deIl tempo ritrovato, Mondadori, 1970, p. 181)
Lo sguardo sulla critica e sulla ricezione delle opere di Proust, esposto in modo preciso da France e dal prof Biuso, apre la discussione su quanto una critica, talvolta anche errata ma potente, possa stroncare autori e opere di notevole valore, declassando il meritevole tra le mere appendici o tra gli scantinati dei programmi ripetitivi e logori.
La sperimentazione su autori come Proust dovrebbe avere il solo scopo di trovare nuove vie, nuovi approcci, senza creare effetti distruttivi su tutto ciò che è stato operato precedentemente; su questo sono d’accordo con France, ma lo sperimentalismo, a mio avviso, è sempre meglio del già detto (pur se banale o riduttivo). I grandi Critici e Lettori proustiani restano sempre quelli, nella loro alcova insostituibile e immortale: dobbiamo però decidere se continuare ad emularli per sempre o rischiare di operare anche mostruosità decidendo di tentare di vedere altre cose, attraverso altri metodi.
Il tempo ritrovato, ci dice Proust, è il momento in cui ogni uomo diviene consapevole del libro che si cela in lui; il momento in cui viene svelata la storia intima di ogni individuo. E’, in modo più esatto, il tempo di ogni uomo contenuto nell’animo ma non ancora scovato, poiché la foschia delle apparenze, delle convenzioni, la mania della ricerca portano lontano da quel qualcosa che invece è già dentro noi.
Il libro della propria esistenza è il fine ultimo allora e Proust più volte si paragona ad un aspirante scrittore, che rincorre con avidità e disperazione l’ispirazione, come ogni uomo rincorre il significato ultimo della sua esistenza.
In tutto ciò cosa che posto ha allora la lettura?
Per Proust la lettura è l’atto primo della scrittura, senza essa non esiste scrittura: così fecero i Maestri, così faranno gli allievi e i proseliti. La lettura svela dei misteri ma può anche aprire le porte infernali del vizio ed ecco perché Proust si allontana poco per volta dal suo Maestro (Ruskin), poiché essa non sempre conduce alla saggezza. A quella spiritualità (saggia o meno) si accede scavando dentro le tane delle resistenze del nostro pensiero razionale, dentro l’antro più buio presente in ciascuno di noi.
Trovo meravigliose le parole di Pietro Citati:
“Proust non era un io, ma un luogo – e questo luogo era un’immensa arnia ronzante, un profondo e scuro pozzo vuoto, un mostruoso apparato ricettivo… Proust non cessò mai di essere un luogo … Col tempo avrebbe scoperto che quel punto isolato era il centro della terra: si allargava, si estendeva, ampliava il proprio orizzonte”.
(Pietro Citati, La colomba pugnalata, Mondadori, 1995).
Grazie mille per i numerosi commenti, contributi e citazioni riportate.
“su questo sono d’accordo con France”
scusate, ma dato che un argomento su Proust era stato preso sul forum d facoltà ho riportato il post inviato che interagiva con una persona dello stesso forum che qui ovviamente non c’è 😉
@ Simona e Maria Lucia (off topic)
Vi ringrazio per la bellissima esperienza al Biblos cafè di ieri, dove io e Paolo Di Paolo abbiamo conversato conun pubblico attento e partecipe di tematiche connesse e Internet e al mondo della rete (partendo dai nostri libri). Bellissima esperienza.
Nei prossimi giorni cercherò di fare un breve resoconto ne “la camera accanto”).
Simo, complimenti e grazie per il delizioso e raffinato pranzo che hai offerto a tutti noi.
Grazie mille per i tuoi contributi, cara Sabina.
Mi accingo a leggerli.
Ma grazie anche a: Francesca Giulia, Francesco Gianino, Anna Di Mauro, Tinti, Roberta, Anita, Marco Vinci, Ludovica, Martina, Milena Verri, Giulio, Rosalia Catapano.
Credo che tra voi ci sia qualche nuovo arrivato… benvenuto a Letteratitudine!
Interessante anche lo spunto critico di Roland Barthes.
@ Sergio:
di certo I caffé letterari mi ispirano molto di più, per il maggior contatto umano, molto più completo. Però è anche vero che, come dice Roberta (mi scuso se non premetto signora o altro, riporto il nickname così com’è scritto) a volte un volto può non farci avvicinare e in modo stupido rinunciamo a conoscere quella persona che invece con noi avrebbe molte affinità intellettive… Devo dire che su questo blog sto conoscendo persone molto interessanti e con cui ho davvero molto piacere parlare, digredire…
@ Sergio
La parola magica è… equilibrio. E saremo “inattaccabili”.
Figurati caro Massimo, è un piacere… sempre.
Bellissimi contributi, Sabina. Li ho letti con piacere.
Mi è venuto in mente questo pensiero…
Considerando che la Recherce, per Proust, è l’opera di una vita… mi sono chiesto: quale sarebbe la principale “opera di una vita” nella letteratura italiana? (in riferimento alla prosa, ovviamente).
Mi è venuto in mente il grande Stefano D’Arrigo con il suo “Horcynus Orca”.
Sei d’accordo?
Ne ho fatto cenno diverse volte, proprio qui a Letteratitudine.
Per oggi devo chiudere qui.
Auguro una piacevole e serena notte a tutti voi.
Gentile signora Corsaro,
per me va bene Roberta, se va bene anche per lei.
Certe volte i critici letterari si arrogano il “diritto” di dire ciò che vogliono su uno scrittore e certe volte si sbagliano ( la cito: “una critica, talvolta anche errata ma potente, possa stroncare autori e opere di notevole valore,”). L’interprazione “freudiana” a me non piace e neppure la ricerca spasmodica delle corrispondenze tra i personaggi della Recherche e quelli reali che Proust può aver incontrato. Ha scritto un libro affinché non si facesse questo.
Certo, quando all’università ci avevano fatto leggere l’interpretazione di Genette (Figures III) o quella di Gilles Deleuze( Marcel Pruost e i segni), c’era da restarne affascinati( anche se non ricordo nulla, purtroppo).
Si potrebbe chiedere a uno scrittore quali siano i suoi “lettori preferiti”. Chissà come risponderebbe Proust.
Certo è che, pur non essendo di facile lettura, Proust può essere letto da tutti e, come ci ricorda Lei
” Il tempo ritrovato, ci dice Proust, è il momento in cui ogni uomo diviene consapevole del libro che si cela in lui; il momento in cui viene svelata la storia intima di ogni individuo. E’, in modo più esatto, il tempo di ogni uomo contenuto nell’animo ma non ancora scovato, poiché la foschia delle apparenze, delle convenzioni, la mania della ricerca portano lontano da quel qualcosa che invece è già dentro noi.”
Cari saluti+ grazie per aver riportato questo piccolo brano.
C’è una differenza di prospettiva, credo, tra Lessico famigliare e la Recherche.Lessico famigliare non è scritto da un adulto (come Proust) che interroghi il tempo per indagare se stesso. E’ scritto da un bambino che – però – ha già visto tutto. I ricordi della Ginzburg sono una finzione , ricordi in prestito, per un investimento dell’immaginario.
E tuttavia, tolti al vero, questi ricordi sono scritti e fatti camminare come se lei , a sua volta, li leggesse con lo stesso occhio col quale il lettore risale il libro e ne fa il percorso dal proprio versante.
Tutti noi da bambini abbiamo sperimentato la forza incantatrice di certe parole. Ma la magia stava nella distanza, nel fatto di averle sentite pronunciare da chi era più grande di noi.
Questa distanza è la stessa che esiste tra lettore e romanzo, poiché non è altro che il prodotto del nostro rapporto con l’immaginario.
E’ una distanza che crea disorientamento, stupore ma anche sapore di avventura.
Nell’infanzia tutto ciò che proviene dall’alto (e da una persona adulta) ha il significato – eroico – di un viaggio.
Credo quindi che i ricordi del lessico siano da leggere come una fabula, come un “romanzo”.
Mentre quelli della Recherche avviano il viaggio. Non sono , in se stessi, “storia”.
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@Massi: sarò sempre felice di cucinare per tutti voi!
Cara Sabina,
sto qui da due anni: ne ho conosciute tante anch’io, di persone interessanti, per carita’. Solo che adesso inizio a vedere cose che non vedevo prima e che mi spingono a cercare luoghi intimi.
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Cara Roberta,
non mi riferivo a te, lo dico in modo netto, sta’ tranquilla. E’ solamente che io ho una mentalita’ del tutto estranea al clima ”civile” italiano di oggi e alla tecnologia ad esso applicata. Sono fatto diversamente e dunque mi regolo di conseguenza, non pretendendo che gli altri si adeguino alle mie peculiarita’ profonde e iniscalfibili. Il mondo e’ grande e dopotutto in Slovenia io sto bene e ho amici che amo direttamente, perche’ solo direttamente si ama, per me.
Ciao, cara
Sergio
Maugger,
come va? L’hai letto, per caso, il racconto che ti ho mandato?
Abbraccioni e Buonanotte
Gentile Roberta, per me va benissimo chiamarci per nome. Anche a me non piace molto l’utilizzo dello strumento psicoanalitico per cercare di spiegare l’arte e primi fra tutti sono gli artisti a fuggire da tale accostamento e a rinnegarlo… Eppure è importante prlarne, la psicoanalisi può essere un punto di vista non ‘il ‘ punto di vista: di un’opera si potranno analizzare i diversi piani in base agli strumenti culturali che un lettore ha a disposizione…
A proposito del rapporto tra Arte e Psicoanalisi (o divagazioni psicologiche) il grande Gabriele Lavia, in una video-intervista rilasciatami oggi pomeriggio per Lo Schiaffo ( che pubblicherò a fine mese e di cui sono stata onorata perché per me è uno dei mostri sacri del teatro contemporaneo, oltretutto una personalità interessanrte e molto schiva)
ha detto che l’Arte non hanulla a che fare con le astrazioni psicologiche ma con i problemi del come farsi, dei risultati, del linguaggio… Eppure Proust era così profondamente imbrattato di sintomi e nevrosi dell’animo che hanno reso il suo Libro un capolavoro indiscusso.
@ Massimo:
bellissimo spunto, ti risponderò al più presto.
Caro Maugeri,
in passato ho cercato di farLe pervenire notizia dei miei libri, per proporgliene la lettura, attraverso l’email della Redazione e con files pdf allegati. Ho il sospetto che non Le sia mai pervenuto alcunché…
Si tratta dei seguenti libri:
– La finestra sul deserto. A Oriente di Buzzati, Bonanno Editore, Acireale-Roma, 2006, ristampa 2009
– Scrivere come Frankenstein. Esperimenti di chirurgia testuale, La Meridiana, Molfetta, 2007
– Il mio quaderno di poesia, Kellermann, Vittorio Veneto, 2008
– Valencia, una città-mondo, Unicopli, Milano, 2007
– Parastoria della letteratura italiana. La fantasaggistica e l’impero del verosimile, Guida, Napoli, 2006
– Tras i Chèdres de na espojizion – Attraverso i “Quadri di un’esposizione”, Istituto di Cutlura Ladina, 2008 (audiolibro, ed. bilingue)
– Viaggiatori in Egitto. Vicente Blasco Ibáñez, Eça de Queirós, Giuseppe Ungaretti, Ananke, Torino, 2007
Potrebbe confermarmi la ricezione o non ricezione di mail e allegati?
Sarò lieto di ricevere, anche a parte, un Suo gradito riscontro.
La ringrazio per l’attenzione.
Cordiali saluti.
Vittorio Caratozzolo
A tutti un’ultima parola:
parlo individualmente bene con molti, ma ovviamente non con tutti – nel senso piu’ ampio del termine, ovvero comprendendo in questo termine anche chi legga queste righe pur non essendomi in alcun modo noto. E non tutti parlano bene con me, ovviamente.
Pertanto, chi voglia continuare a parlare con me, chieda a Massimo il mio indirizzo di posta elettronica: quandro avro’ saputo chi glielo avra’ chiesto lo autorizzero’ – o meno – a comunicarglielo.
Grazie
Saluti Cari
Sergio Sozi
P.S.
Massimo: questo non e’ un invito a bersagliarti, ma una cautela per evitare miei eccessivamente frequenti commenti qui. Non posso certo mettere qui il mio indirizzo email.
N.B.
L’indirizzo elettronico di Massimo a cui mi riferivo e’, ovviamente, quello che lui stesso rende noto in questo blog: e qualunque lettera elettronica gli sia indirizzata non costringe Massimo a rispondere obbligatoriamente a chiunque gli scriva. Questo mi pare sia chiaro, eppure voglio specificarlo.
Buona giornata a tutti.
Interessante lo scambio su arte/psicanalisi tra Sabina e Roberta. Così come interessante è la differenza di prospettiva tra Lessico famigliare e la Recherche che mette in evidenza Simona.
Brave.
@ Sabina
Asspetto la tua risposta al mio spunto, allora:-)
@ Vittorio Caratozzolo
Le ho già risposto nell’apposita sezione del sito “Presentazione di libri ed eventi”, dove ho inserito il suo commento precedentemente inviato con tutti i link:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/02/06/presentazioni-di-libri-ed-eventi/#comments
(guardi in coda ai commenti)
Lì, se vuole, potrà fornire ulteriori informazioni sui suoi libri inserendo anche schede e recensioni.
Qui, invece, la invito a discutere – se vuole – su Proust e la Ginzburg.
@ Sergio
Sul racconto ti scriverò privatamente nei prossimi giorni.
Vi segnalo un ulteriore “incrocio”, all’incontrario, tra la Ginzburg e Proust (peraltro molto noto). E riguarda le loro vicende editoriali.
Se Proust fu vittima del clamoroso rifiuto iniziale da parte di Gide, Natalia Ginburg fu protagonista del rifiuto di “Se questo è un uomo” di Primo Levi (allorquando svolgeva la funzione di consulente editoriale dell’Einaudi).
Sulla vicenda, moltissimi anni dopo, Primo Levi si espresse in questi termini:
“L’ambiente di Natalia Ginzburg è il mio stesso ambiente; abbiamo parenti in comune; lei è nata Levi e suo fratello era il nostro medico. (…) Premetto che non le serbo rancore (ma forse sì, per un certo periodo gliene ho serbato). Ho pensato a tante cose: forse era satura di manoscritti – fare il lettore in una casa editrice è un brutto mestiere; si è costretti a falciare… poi… è un fatto che, pur conoscendola bene, non abbiamo mai chiarito”.
Nei prossimi due giorni sarò fuori sede. Quindi non potrò aggiornare il blog con nuovi post, né intervenire con commenti.
Vi invito a continuare a scrivere qui e sui vecchi post.
Buon fine settimana a tutti.
E grazie…
A Massi: buon weekend…
Grazie a te di essere venuto, del tuo generoso metterti a disposizione…
Sono molto d’accordo con Sabina Corsaro: il guaio di molti strumenti critici, non escluso quello psicanalitico, è quello di essere considerati “lo” strumento, non uno degli strumenti grazie ai quali è possibile indagare sul testo – non sulla sua verità tutta intera che secondo me non sarà mai possibile esaurire appieno, dato che specialmente i classici sono tali perché sempore moderni e sempre pieni di risposte e soprattutto di domande per chi li legge.
Petronio scriveva che uno strumento critico a volte viene spacciato come il detersivo che lava più bianco, ma non è così.
Personalmente, ritengo che la critica psicanalitica sia uno strumento d’indagine formidabile. Però credere che la Recherche o qualsiasi altra opera siano quasi trascrizioni di sedute psicanalitiche sarebbe eccessivo e scorretto. La forma, la lingua, sono filtri e soprattutto ridefinizioni di tutto quel materiale magmatico che può essere costituito da nevrosi e patologie varie. La psicopatologia della letteratura è un qualcosa che si è praticato ma è un usus ormai vieto…
Anch’io ho cominciato dal tempo ritrovato di Proust – capendo molto poco perché mi mancavano “le puntate precedenti”…
Però ritebgo la quasi coincidenza di arte e vita realizzata da Proust esemplare, come pure la sua lotta contro la malattia per portare a termine questa impresa titanica. La vita o la si vive o la si scrive, disse Pirandello. Proust tentò di renderle equivalenti, cioè di fare della vita scrittura e della scrittura quasi un essere vivente che nasce, cresce ed è in continuo movimento ed evoluzione. I sette volumi della Recherche sembrano la continuazione di un continuum che li precede e danno l’idea anche di poter continuare senza soluzione di continuità. Scusate la lunghezza e la non perfetta chiarezza…
Non ho ancora letto “Lessico famigliare” e quindi non posso dire nulla su quest’opera, se non che ne sono molto curioso e spero di poterla leggere quanto prima. Ho letto però “La recherche” e vorrei scrivere quipoche considerazioni circa la mia esperienza di lettura del capolavoro proustiano. Per quello che può valere. Affascinato dal mondo della cosiddetta “Belle époque” e da quel momento storico che segna il passaggio tra il secolo XIX ed il XX, ed ancor più affascinato dall’idea centrale del “ricordo di cose passate”, suscitate da sensazioni, mi sono accinto a leggere “La recherche” con l’atteggiamento di chi avrebbe gustato prelibatezze, per quanto individuate e previste. Ed in effetti, le ho gustate, eccome, queste prelibatezze. Ma accanto ad esse c’era un accurata e precisa analisi dei lati più nascosti dell’uomo; e c’era soprattutto un’opera dalle pagine lunghe, sovrabbondanti, che tutti i lettori conoscono. Una “Recherche” della fatica (e della noia) di leggere, si potrebbe dire. eppure, questi aspetti mi erano necessari per poter cogliere la vita interiore di Marcel e degli altri personaggi dell’opera. Ho compreso che accanto al quadro di un’affascinatne epoca, all’incanto delle cose passate, il ricordo del protagonista mi stava facendo scoprire qualcos’altro: ho sentito allora Proust poteva essere molto vicino a me ed alla mia vita. Beninteso: il mondo proustiano è distantissimo da me e dal mio mondo (come, penso, da quello di molti di noi); eppure mi sembra di poter affermare che Proust sia in grado di parlare a ciascuno di noi e di leggere in noi stessi. Forse, proprio perché ” La recherche” è un’opera di un genio che ha scelto di raccontare se stesso in prima persona, seppure attravesro una finzione. Certamente, la capacità che può avere un’opera di avvicinarsi al lettore non è legata alla modalità scelta dal narratore, ma io ho voluto qui semplicemente accennare ad una scoperta (la più rilevante) della mia prima lettura della Recherche. Scoperta che – chissà come- mi ha suggerito analogie sotterranee possibili con un altro capolavoro letterario, distante però dalla Recherche non solo temporalmente, ma anche come concezione: La Divina Commedia di Dante. Non entrerò nel merito di questo mio accostamento (per non allungare troppo questo mio post), consapevole -ribadisco- della distanza fra Dante e Proust (ma, dato che qui si parla di strane coppie… ); ma ho voluto suggerire qui un possibile rimando e dialogo fra due opere che hanno come oggetto un io narrante e la memoria di vicende vissute. Un io narrante che vuole dialogare col proprio lettore e porsi come esempio. Due capolavori grandiosi e monumentali. Che ne pensate?
Scusate per la lunghezza!
Un saluto at tutti!
Gabriele.
Scusate, aggiungo al mio post il mio nome completo, visto che ho dimenticato di firmarlo per intero.
Da nuovo saluti a tutti!
Gabriele Montemagno.
Credo che Maria Lucia Riccioli abbia spiegato in modo chiaro ecompleto ciò che intendevo dire. Se a priori si escludono certi puntidi vista, scommette lo scempio di porre dei limiti, di impoverire. Inoltre quando uno scrittore scrive un romanzo o racconto pseudo autobiografico (consciamente o inconsciamente) quanto dei ricordi e del passato interiore affiora nella sua scrittura? E’ però certo e ovvio che non tutti i resoconti psicoanalitici siano opere d’arte. Svevo in tal senso dove lo mettiamo?
@ Massimo:
non ho dimenticato l’intrigante spunto sul grande D’Arrigo, voglio intervenire con calma.
@Cara Sabina,
nessuno vieta ai critici di dare interpretazioni di ogni genere, figurarsi. Però: intanto non è detto che agli scrittori faccia più piacere essere letti dai critici che da altri “lettori comuni”;
poi, nel caso di Proust, questa prospettiva del “confondere” la vita dello scrittore con la sua opera è da lui esplicitamente contestata e rifiutata, come saprà, nel suo volume “CONTRE SAINTE-BEUVE” (ne ho riportato alcuni passi nel post sulla traduzione- in particolare quello in cui Proust dice che “l'”io” che scrive è un altro rispetto all'”io” della persona”). Lo scrivo perché lei parlava di “nevrosi” in Proust-persona.
Si può quindi continuare a scrivere e a trovare associazioni tra la vita di Proust e la sua opera, però lui ha lasciato precise indicazioni al riguardo.
Certe interpretazioni “frueudiane” sono piaciute molto anche a me (in particolare quelle che il professore di letteratura inglese faceva sull’AMLETO), comunque.
Nel caso di Proust mi dispiace moltissimo, però, perchè lui stesso aveva fatto di Marcel, il protagonista, un “etero” per evitare che sua madre vedesse in un Marcel eventualmente omosessuale il “doppio” di suo figlio e se ne dispiacesse, in qualche modo. Nel caso di sua madre, capisco che lei potesse vedere riflessi nell’opera molti dei personaggi della RECHERCHE e fosse in grado di identificare Swann, per esempio( anche se Proust aveva detto che Swann, come Robert de Saint-Loup, erano un “mélange” di più persone, eventualmente) ; ma nel caso di altri lettori o studiosi non lo capisco. Infatti gli studiosi che io conosco e hanno scritto sull’opera di Proust ( ce ne saranno moltissimi altri che non conosco, sicuramente) non trattano argomenti riguardanti Marcel Proust-persona. Quello di Gilles Deleuze è un’opera magnifica sullo “stile” della Recherche, sull’uso delle immagini, dell’imperfetto indicativo ecc.
Comunque poi ognuno è libero di vedere ciò che vuole in un’opera; nel momento in cui lo scrittore la pubblica, la dà “in mano” a tutti, cosciente di questo. Io sono molto rispettosa dell’opinione altrui. Mi sono “permessa” di replicare perché…come dire..di certi “equivoci” bisogna parlarne.
Cari saluti
Ho sbagliato: QUELLA di G.Déleuze..
Mi scuso: “freudiane”..
@Sergio
Caro Sergio, anch’io sono un pò polemica per natura e cerco terribilmente e continuamente di dominare questo sentimento che nasce in me spontaneo.
A parte quest’ultima polemica a proposito di Céline di cui, come ti ho scritto, non ho capito nulla e che mi è sembrata un pò “sterile” a un certo punto, io ho sempre apprezzato moltissimo i tuoi interventi “strettamente letterari” e dicevo quindi che mi dispiacerà non vederli qui ( e soprattutto nello spazio dedicato alle traduzioni).Mi sembravano precisi ( vedi riferimenti al Petrarca e al petrarchismo francese) e approfondivano la “dialettica”.
Cari saluti
R.
Mi correggo ancora: L’opera che ha quei contenuti( lo studio delle immagini..ecc)è quella di Genette, non quella di Deleuze…la mia memoria vacilla… Troppo lontani gli anni in cui studiavo queste cose…
@Gabriele Montemagno
a me è piaciuto molto il tuo intervento.
Su Dante e Proust mi sembra tua abbia ragione, perché i due grandi scrittori hanno contemplato tutti i possibili “tipi” umani. Però non so, magari mi sbaglio.
Ciao:)
@sergio perchè non dovresti mettere più i tuoi interventi?anche a me piacciono tanto,ci metto un pò di tempo a digerirli perchè sono belli densi,ma è un problema mio,poi dopo mi piace pensarci su,e poi questo è un blog aperto,se uno non vuole rispondere legge soltanto,basta parlare civilmente e mi pare che il più delle volte siano tutti bendisposti. IO sono felice anche solo di leggere tanti interventi,mica poi devo sempre dire qualcosa,però il seme nel pensiero resta ed è grazie alle parole di tutti,quelle che piacciono e quelle che non piacciono.
saluti
Care Roberta e Francesca Giulia,
il motivo della mia volontaria assenza – dopo due anni di frequentazione assidua di questo blog (nel quale ero anche titolare di una rubrica, grazie al caro Massimo) – risiede in un fatto oggettivo, palesatomisi solo ora: non mi sento libero di esplicitare e sviluppare dei rapporti dialettici per come la mia forma mentale, spirituale e culturale esige, senza essere soggetto a delle esplicite dichiarazioni di rifiuto da parte di alcuni. Ordunque: poiche’ non sono aduso imporre la mia presenza quando capisco di non essere gradito da qualcuno, mi ritiro – o meglio me ne sto per i fatti miei… e ovviamente NON mi sto riferendo a Massimo in alcun modo. Oltre a questo – o forse congiunturalmente con questo – reputo spesso inutile cercare di esprimere in maniera telematica cio’ che secondo il mio parere ha bisogno di esser espresso in altre maniere, ovvero con altri mezzi (per esempio i libri che pubblico e gli interventi in siti, giornali e riviste, eccetera).
Se sono antipatico a qualcuno, imbarazzo, sentimento democratico e repubblicano e soprattutto discrezione vogliono che mi ci metta almeno a pensar su per qualche secondo. Intanto evitando interventi fatti cosi’… come dire… tanto per ”esserci”. Io ci sono comunque: per me stesso e per chi voglia conoscermi personalmente senza stare in piazza (il blog in fondo e’ un servizio ANCHE pubblico, una piazza, no? Ebbene: la piazza e’ un luogo come un altro, dal quale ci si puo’ assentare, essendo la casa propria la magione ideale per ognuno di noi. O per almeno molti. E comunque di certo per il sottoscritto).
Con affetto
Sergio Sozi
P.S.
Inoltre i miei precedenti, tanti, interventi fatti in questo ospitale luogo, sono disponibili a chiunque voglia andare a leggerli o a rileggerli. Ho scritto piu’ qui che sulla carta – forse: lo dico senza calcoli alla mano.
Dante e Proust… bell’accostamento. Ridire l’indicibile, recuperare il tempo perduto, afferrare l’ineffabile…
Proust e Dante ci hanno provato. Dante facendo leva sulla memoria, sulla mente che non erra, sulla cultura che gli faceva da pezza d’appoggio per costruire i regni iltremondani, dare una summa del pensiero del suo tempo, far rivivere la donna amata e il poeta del cuore, i dolci amici…
Proust in maniera più fluida, liquida direi, dato che è lontanissimo dalla saldezza del pensiero dantesco, robustamente innestato sulle radici della cultura classica, cristiana e della scolastica medievale, aperto alle correnti culturali e poetiche del suo tempo (poesia provenzale, siciliana, toscana, influssi arabi ed anche ebraici). Proust ha costruito un mondo che è in parte riflesso della sua esperienza autobiografica, in parte esperimento artistico su sensazione, percezione, memoria intesa non come riproduzione ma come ri-creazione.
La Stampa, Tuttolibri: l’omino azzurro campeggia sorridente a pag.II Complimenti! Giusto premio a un’ottima idea e a un gigantesco sforzo. Chi non ha ancora la camicia azzurra? Se la procuri urgentemente! Bravo Maugger:
@Buccimpero! Hoccine! Proprio ora che si aprono i feteggiamenti, dici che ti assenti! Tira fuori la buccina e soffia fin che puoi, da rintronare le orecchie ai sordi: il Navigero è a tutto campo, ceruleatus naturalmente, su Tuttolibri! Fiato alle trombe! Gaudeamus igitur! Salve.
@Carissima Maria Lucia,
ti ringrazio per il proverbio in siciliano e per la tua preziosa partecipazione nello spazio sulla traduzione.
Però qui ti scrivo, con tutto l’affetto possibile, che l’opera di Proust NON è autobiografica( neanche in parte). Ho scritto anche a Sabina più su al riguardo. Perché non è rispettoso nei confonti di Proust dire così.
Tempo fa mi hai consigliato una lettura: te ne ringrazio e lo farò senz’altro( oltre a leggere su SPAZIO CREATIVO il tuo racconto).
Mi permetto di consigliarti io di leggere il CONTRE SAINTE-BEUVE di Marcel Proust.
Ciao
con affetto
Infatti, Roberta: io parlavo di ri-creazione, non di ri-produzione dell’esperienza e tantomeno della memoria. Credo che Proust abbia reinventato – ma utilizzando qualche tessera della sua esperienza e dei suoi ricordi – sia la propria vita che la propria memoria.
Leggerò il libro!!! Esiste in traduzione italiana, vero?
🙂
Sì. credo che esista. E’ molto bello.
Un abbraccio:)
Oddio, non posso assentarmi qualche giorno che trovo la casa sottosopra. Sergio amareggiato che si prepara all’addio. Sergio caro, non fare scemenze, tu sei una colonna di questo blog. le polemiche fanno parte del gioco. Ci sono persone che ti stimano – ed io tra queste- che soffrirebbero per la tua mancanza. Poi che altro vedo? La Roberta diventata una vera star. Ottimo investimento. Su Proust cosa aggiungere? La sua è una scrittura che ipnotizza. Insieme a Musil è lo scrittore a cui più di tutti ho cercato di carpire i segreti, con scarsi risultati per la verità.
Caro Salvo, caro Gianmario, cari tutti,
per carita’, io sono il primo ad auspicare delle critiche frontali e particolareggiate nei miei confronti: sostengo infatti che chi si esponga pubblicamente debba sapere in partenza che c’e’ chi ti fischia e chi ti stringe la mano. Solo che anch’io ho un punto debole: non sopporto le due paroline perfide di qualcuno che – senza spiegarti il perche’ e il percome – ti tratti male dicendoti solo ”sloggia” ed affibbiandoti un (ben mirato) aggettivo che considero destinabile a gente da trivio: ”molestatore”. Questo mi fa sentir tale (un molestatore appunto) e dunque m’inibisce l’entusiasmo, la gioia di essere nel blog del Maugger – il quale dopo sforzi immani e’ riuscito a raggiungere, finalmente e meritatamente, un giornale come La Stampa.
Concludendo: ecco: siccome i molestatori vanno denunciati, io non vorrei mai esserlo per nessuno. E se lo fossi anche solamente per una persona, cambierei atteggiamento come appunto ho appena fatto.
@Salvo
Caro Salvo, ci sei mancato…e hai fatto bene a dire anche tu al Sozi che ci mancherà.. Glielo abbiamo detto in tanti e io sono l’ultima arrivata, rispetto a voi… Nella rubrica della traduzione era particolarmente importante la sua presenza perché aveva inserito anche elegie di Properzio nella traduzione di suo padre e poi un “classicista” come lui…. Mah..
Non sono una star…semmai una “starina”..anche molto piccola..Certo io mi sento come se mi avessero dato un premio e me lo portassi sempre appresso…talmente ne sono contenta..
Qui molti hanno scritto su Proust, ma le tue parole per lui sono per me le più belle: “La sua è una scrittura che ipnotizza. Insieme a Musil è lo scrittore a cui più di tutti ho cercato di carpire i segreti”.
Non e’ che me ne vado: solamente scordiamoci i confronti serrati com’era prima. Parlero’ col contagocce.
chissenefrega che non è questo il post per fare questo annuncio. ma qui sotto c’è massimo e il libro di letteratitudine. bravo massimo!
http://www.lastampa.it/_settimanali/ttL/default_pdf.asp?pdf=2
Ciao a tutti… dai, non guastiamoci il sangue, godiamoci il piacere di chiacchierare in questo salotto che – bellissimo! – sta facendo parlare di sé anche nelle alte sfere della letteratura…
Bravo Enrico, l’articolo su Massimo è molto bello e assai interessante. E’ proprio (quasi) vero che il mezzo non è più il messaggio ;o)!!!
buona domenica
Elisabetta
Cara Roberta, è importante il discorso che abbiamo intrapreso sul rapporto biografia e opera, artista e vita privata, in relazione agli strumenti critici; questo è ‘pane per i miei denti’. Come ho detto a Massimo, devo solo trovare un attimo per dedicarmi in modo più lento alle risposte (vado sempre di fretta e la cosa non mi piace)… Sper di poterlo fare entro stasera.
Per la recensione su TUttoLibri non sono riuscita a leggerla :(( (intato ho l’acrobat e non capisco), sono felice di ciò: Letteratitudine merita molto.
Per il resto, che dire? Io sono un tipo che prendo e dò nei gruppi e nei contesti quel che mi va, a volte rischio di attirare antipatie, asti o di provarli ma spesso conosco persone (anche solo 2 o 3 di quelle 15-20) per cui vale la pena continuare confrontarmi nei grandi o piccoli contesti ( o proseguendo se voglio i rapporti con loro altrove, non necessariamente in quel contesto, oppure restando per testardaggine e senso di libertà).
L’importante è sapere che sarà sempre ovunque così e spetta a noi decidere in modo sereno cosa voler fare: i rapporti non si esauriscono (chiederò la tua mail a Massimo, se ti va, caro Sergio, oppure ti leggerò qui: per me non cambierà nulla, perché ci confronteremo allo stesso modo, forse è solo per te che cambierà.
Un caro saluto a tutti.
Certo, cara Sabina (Corsaro): per me e’ una dolorosa rinuncia. Non mi piace ma lo devo fare. Chiedi pure al Maugger il mio indirizzo: lo autorizzo sin da subito a dartelo. Ma io non posso rischiare di sembrare di essere quel che non sono: uno con smanie da protagonisti. A me piace solo discutere – ma lo faccio solo quando le condizioni ambientali me lo permettono; se appaio insistente sono fuori strada ergo la cambio.
Ciao
Sergio
Marilu’ (Ricci),
ho comunicato personalmente per lettera elettronica a molta gente l’apparizione di quel bell’articolo di Camon sulla Stampa di ieri e ne sono felice: alle stelle, sono! Complimenti a Massimo e a tutti voi, amici miei carissimi! Adesso speriamo di vendere qualche copia in piu’ di ”Letteratitudine – il libro” (Azimut 2008).
Il libro e’ ordinabile presso i librai o al seguente indirizzo dell’Azimut di Roma (Massimiliano Felli): info@azimutlibri.com ; il ricavato ANDRA’ IN BENEFICENZA.
Salutoni
Sergio Sozi
A Lorenzissimo, Renzo Montagnoli e Ausilio Bertoli,
non leggo piu’ un vostro commento. Peccato davvero, amici. Li aspetto.
Ed ora Buonanotte a tutti.
@ Sergio. Te ne vai a dormire alle 8 di sera? Sei proprio ridotto male, caro ragazzo. Coraggio, si supera tutto nella vita.
@Sergio. Pensa a quanti grandi scrittori sono stati censurati prima di te; oltraggiati, condannati, deportati. Pensa a Oscar Wilde, a Primo Levi, a Maria Lucia Riccioli; a me, che sono stato scomunicato e diffidato a mettere piede nelle chiese. Pensaci e prova a consolarti.
A te, Salvo, bisognerebbe deportarti a Cannolonia, la Libera Repubblica dei Golosi nella quale mi piacerebbe stare a mia volta. Viva Cannolonia!
Ciao, bello
Sergio
P.S.
Mi han censurato solo per via del mio ”Inno al maritozzo”, che ho pubblicato nel Paese Dietologico scatenando le ire dei dimagritori di Stato. Ohibo’! L’ho dovuto ridenominare ”Inno al Marito Tozzo”… nota la differenza, Salvo…
Caro Massimo, non ci scriviamo da qualche tempo, da quando volevi fare qualcosa sul mio libro dedicato a Leone? Idea sfumata?
A proposito: ho visto un bel pezzo su di tv in TuttoLibri…
Ciao, Italo
Cari amici,
ritorno “operativo” solo adesso. Scusate il ritardo.
Intanto mi preve ringraziarvi per i nuovi, bellissimi commenti.
Poi mi preme ringraziare Enrico, Sergio e tutti coloro che hanno “pubblicizzato” l’importante pezzo di Ferdinando Camon uscito su “La Stampa-Ttl” di sabato (ne accennerò con maggiore dettaglio ne “La camera accanto”).
Una vera sorpesa!!!
Una cosa importante.
Ho aggiornato il post inserendo il contributo di Mariolina Bertini (lo trovate subito dopo quello di Antonella Cilento).
Intanto ringrazio la prof.ssa Bertini per averlo inviato… poi, vi invito a leggerlo con attenzione. È davvero molto interessante. E credo che possa fornirci spunti interessanti per proseguire la nostra discussione.
@ Italo Moscati
No, caro Italo. La mia idea di fare qualcosa sul tuo libro dedicato a Leone è tutt’altro che sfumata.
Ma perché non mi hai inviato una mail, anziché parlarne qui?
A questo punto – come pegno – dovrai dirci qualcosa su Proust e la Ginzburg.
🙂
Per il momento chiudo qui. E vi auguro una serena notte.
@Roberta.
Grazie Roberta, sono convinto anch’io che in Dante e Proust si trovino tutti i tipi umani.
@Maria Lucia.
Bellissima sintesi delle due opere di Dante e Proust! Complimenti!
Saluti a tutti!
Gabriele.
Ho letto il pezzo della Bertini. Davvero bello. Contiene un sacco di notizie e spunti per me nuovi. Grazie.
Eccomi qui, provo a rispondere con calma ai due stimolanti quesiti e argomenti.
@ Massimo:
il discorso, carissimo Massimo, sull’Horcynus Orca come ‘opera di una vita’ è molto azzeccato. Devo essere sincera, lessi il capolavoro di D’Arrigo circa 10 anni fa (avevo appena 20 anni e tante cose per la testa, nel sneso che non avevo alle spalle una conoscenza amplia e profonda della letteratura siciliana, ero cresciuta, come ho detto altre volte, con i libri di Stendhal, Gogol, Dickens etc…(e sono siciliana! 🙂 ). L’accostamento quindi ad unlibro come quello di D’Arrigo devo dire che ha avuto su di me un effetto sublime: mi ha fatto amare il siciliano letterario, quel miscuglio di neologismi e arcaicismi regionali portati al livello letterario. Ho smepre trovato questo libro uno dei migliori di tutta l’epoca moderna e contemporanea (insieme a quello di Proust). Certo che è l’oper a di una vita, ma non nel senso autobiografico che intendiamo nel suo aspetto comune: qui potremmo dire, secondo me, chel’opera di una vita’ sia da intendersi come il lungo racconto della vita di ogni uomo: forse è più l’opera che narra la vita di un periodo storico o, se preferiamo, di un’età biologica della Sicilia e dell’italia tra le due guerre. Cos’è del resto l’Orca se non allegoria della morte che convive con la vita (il mare)? Cos’è inoltre il viaggio di N’drja se non l’esistenza di ogni uomo, che parte da un punto per arivare ad un altro solo apparentemente sconosciuto. La componente filosofica presente nel libro è immane e se fossi un docente di Filosofia oltre ai grandi testi insostituibili farei analizzare ai miei studenti proprio il testo darrighiano, perché le riflessioni esistenziali ed escatologiche traboccano da ogni pagina… Una filosofia tangibile persino dalle espressioni linguistiche, da quel pastiche, da quello sperimentalismo sueprboo e inimitabile, più profondo e meno artificioso d quello gaddiano. Che dire? Dopo 10 anni, nonostante il ricordo chiaro e scandito di tutti i suoi aspetti sento ancora il desiderio di rileggerlo.
Spro di non essere andata O.T.
@ Roberta:
cara Roberta, credo che per Proust in un certo senso si possa fare un discorso simile; soprattutto credo che si possa fare un’analisi più dettagliata e aperta del termine ‘autobiografia’. Nel caso di Proust io ho parlato nello specifico di ‘pseudo-atuobiografia’, ciò significa che la Recherche non debba essere inteso come opera della vita di Proust ma come l’esito di un pretesto che è prprio la pseudo autobiografia. In Marcel c’è Proust,con le sue ansie, con le sue malattie, con i suoi desideri, vizi , peccati e con la sua sete di ispirazione. E non solo in Marcel c’è Proust ma in quasi tutti i personaggi del libro, compresa Albertine e M. Charlus. Ma soprattutto, ci dice il più grande ‘lettore’ della Recherche (l’indimenticabile Debenedetti), è in Swann che si può ritrovare interamente l’identità di Proust, dietro quel personaggio l’investigatore del Tempo cela il suo volto. Qui il connubio tra metodo crtico e identità ebraica ad esempio trova l’apoteosi e la sua ragion d’essere. Debenedetti vede nella versatilità, nela pasticità del personaggio Swann i segni dell’essenz ebraica di Proust. Ma la ‘scoperta’ di Debenedetti, il suo punto di vista, come sosteneva anche Maria Lucia (Riccioli), non è limitativo, non va ad escludere altro, al contrario: va ad arricchire la visuale, ad allargare quel ventaglio di sfaccettature e strade in cui può essere ‘letto’ un grande capolavoro. Grazie cara Roberta, per avermi dato l’occasione di digredire su qeusti aspetti che perme sono essenziali e sempre stimolanti.
Ho letto alla fine il bellissimo articolo di Camon su TUTTOLIBRI (l’ho indicato anche sul forum di facoltà) e credo che quando alla fine nell’articolo si fa riferimento alla scorrettezza dei caratteri, della stampa, di certo io sono una di quelle che rendono in modo grave più strampellata la scrittura di questo meraviglioso blog. Orribile rileggermi! Spero che sia almeno comprensibile il contenuto, la fretta è sempre lì ad assistere… 😉
@Sabina
Gentile Sabina la ringrazio per avermi risposto e preso in considerazione il mio intervento. Io amo moltissimo Proust; non lo amo perché mi hanno fatto leggere il primo volume della RECHERCHE al quarto anno di lingue. Me l’ha messo in mano mia sorella, quando lei aveva diciotto anni e io quindici. E da allora non abbiamo mai smesso di amarlo profondamente.
Sette anni fa lo abbiamo studiato e letto alcune pagine in una mia quinta liceo con alunne che possiamo definire “strepitose” per le considerazioni personali che facevano sempre; una di loro è stata inevitabilmente “contagiata” e mi ha “superato”..nel senso che io sto rileggendo La Recherche ma sonoa ancora a Sodoma e Gomorra, invece lei ha già letto LA PRISONNIèRE e me ne parla.
Per me è questa la cosa più importante: “contagiare” qualcuno.. così come il nostro professore di letteratura inglese ci “contagiava” le sue passioni..per Melville, per Conrad e tanti altri.
Carissimi saluti
Grazie ancora per i nuovi interventi pervenuti qui.
–
@ Sabina
Mi hai fatto sorridere con la tua battuta.
In ogni caso quando Camon ha scritto “Col libro in mano mi sento come quel lettore con la Bibbia di Gutenberg: è imperfetta, piena di errori distampa, caratteri che traballano, male allineati. Però è il futuro” non credo che si riferisse al libro in sé… ma a ciò che rappresenta: la comunicazione letteraria e la divulgazione della cultura attraverso Internet (con tutti i suoi pro e contro).
Ho letto l’aggiornamento del post e il bell’articolo della Mariolina Bertini.
Mi sono commossa moltissimo per le pagine da lei riportate da “Lessico familiare”, perché anche su di me quelle parole hanno l’effetto di riportarmi indietro nel tempo agli anni in cui lo avevo letto( avevo tredici anni).
Ho letto l’opinione della Bertini sulla traduzione della Ginzburg:
“Meno fedele di Raboni nella costruzione, con l’anacoluto che apre la frase Natalia Ginzburg rende straordinariamente la componente di oralità della scrittura proustiana”.
Il brano riportato è questo:
“On ne pouvait pas remercier mon père .”
RABONI: “Non si poteva ringraziare mio padre.”
GINZBURG: “Mio padre, non era possibile dirgli grazie.”
Pur non essendo una studiosa di stili nella scrittura, mi dispiace dover dire che “l’oralità della scrittura proustiana” non so come dire ma “non esiste”; quindi perché cercare di rendere in italiano uno stile che nel testo originale di Proust è TOTALMENTE ASSENTE?
Con tutto l’affetto e il rispetto che si può provare per il dolore della Ginzburg durante gli anni della sua traduzione del primo volume dela Recherche, è sempre giusto rilevarne le imprecisioni. Ed è giusto affidarsi alla traduzione di Giovanni Raboni, che difficilmente di discosta dal testo. Questo sempre se si vuol diffondere l’amore per Proust. Altrimenti si rischia di diffondere la versione distorta di un autore così importante. A questo punto è felice chi può leggere direttamente in francese:)
Cara Roberta,
nel mio intervento, che era molto sintetico, non mi sono spiegata bene e ora cerco di rimediare. E’ verissimo che nella frase “on ne pouvait pas remercier mon père” non c’è nessunissima componente di oralità. C’è invece diffusa, quasi onnipresente, nell’insieme della Recherche: tutti i personaggi parlano e hanno una voce ben individualizzata, da Françoise che fa errori di francese all’ambasciatore Norpois che usa gli stereotipi del linguaggio diplomatico, da Albertine che adora utilizzare i neologismi alla moda a Odette che ritiene chic ostentare la propria conoscenza dell’inglese in ogni occasione. Ora, il traduttore che si confronta con un’opera letteraria, a volte si trova ad operare degli spostamenti: non sempre è possibile rendere tutte le componenti del testo di partenza nel testo di arrivo rispettandone la collocazione letterale. Dunque, che cosa ha fatto secondo me Natalia Ginzburg? Ha colto una certa adesione di Proust alle forme più moderne, più vive della lingua del suo tempo, e ha cercato di renderla nella sua traduzione, traducendo il testo della Recherche nella stessa lingua asciutta, nervosa, antidannunziana al massimo, dei suoi racconti. Sulla sua traduzione è poi intervenuto un redattore dell’Einaudi che ha lavorato in senso contrario, aulicizzando il dettato piano di Natalia: ma questa è un’altra storia (per altro molto curiosa) . Se ora noi torniamo alla traduzione di Natalia nella sua forma originaria (che è quella che viene ristampata dal 1990 , depurata soltanto degli errori più gravi) , ci troviamo di fronte a una realtà interessantissima dal punto di vista stilistico , che è particolarmente stimolante confrontare con la scrittura delle prove narrative personali di Natalia Ginzburg. E’ solo questo che tenevo a suggerire. E’ comunque indiscutibile che, per chi oggi voglia accostarsi a Proust, la traduzione più consigliabile sia quella di Raboni, più recente, più corretta e più omogenea. Su questo, cara Roberta, siamo perfettamente d’accordo.
Bellissima l’idea del contagio!!!
Io ho “infettato” un’alunna con Jane Austen!!!
ML
Sabina, mi stai facendo venire il desiderio di leggere D’Arrigo – letto sempre a spizzichi e bocconi, mai per intero…
Graziea Gabriele Montemagno…
ma quant’è bello il pezzo di Mariolina Bertini!!!
Mi ha riportata a quando ho letto, alle medie, la Ginzburg…
Gentile Mariolina,
grazie infinite per la sua risposta.
Io rispetto tutto della Ginzburg, la amo molto e l’ho sempre amata, fin da piccola. Certamente il rilevare che la sua traduzione della Recherche non è “la mia preferita”( del resto io chi sono?) non significa che io non stimi la scrittrice, anzi. Non ha certo bisogno della “mia stima”, la Ginzburg, per essere amata e unanimanìmente apprezzata. Mi sembra sempre che la sua traduzione non sia vicina al testo di Proust, ecco tutto. Sì ricordo il linguaggio di Françoise, quello di Odette ecc; però lo stile “finale” nella traduzione della Ginzburg è sempre troppo “alla Ginzburg”, che va benissimo quando il libro è suo, scritto da lei.
Comunque sono contenta che siamo d’accordo sulla traduzione di Giovanni Raboni.
Cari saluti.
Chiedo scusa: ho dimenticato di firmare.
Correggo: unanimamente
@ Mariolina Bertini
Grazie mille per essere intervenuta offrendo spunti di ulteriore interesse:-)
Ammetto di aver conosciuto Proust dalle traduzioni di Raboni (e invidio chi ha letto la Recherche in lingua originale). Però devo dire di essere molto incuriosito dalla traduzione della Ginzburg.
Vedrò di procurarmela.
@ Maria Lucia
Non hai letto D’arrigo?
Te lo consiglio assolutamente.
Ho letto con gusto il testo del bellissimo intervento di Mariolina Bertini. Grazie mille
“Sabina, mi stai facendo venire il desiderio di leggere D’Arrigo – letto sempre a spizzichi e bocconi, mai per intero…”
Ne vale veramente la pena, cara Maria Lucia, una volta che lo leggerai ti lascerà un segno indelebile e spesso tornerà dentro te l’essenza forte e intensa di certe metafore esistenziali (senza contare che c’è una componente ironica che dà vita a scene molto divertenti, forti, significative ma che suscitano il sorriso).
Anche io ho tanti di quei libri inestimabili che dovrei completare di leggere, me lo riprometto sempre e non lo faccio mai.
Giovedì 21 maggio 2009 – Instituto Cervantes
Rivoluzioni impossibili
Il secolo dei lumi vs Il resto di niente
Alejo Carpentier e Enzo Striano
con DOMENICO STARNONE E MELANIA MAZZUCCO