Novembre 23, 2024

27 thoughts on “TERRA MATTA di Vincenzo Rabito

  1. Mi piacerebbe aprire un dibattito su questo libro.
    C’è qualcuno tra voi che l’ha letto?
    La critica lo ha accolto molto bene.
    Voi che ne pensate?
    Mi rivolgo anche a coloro che hanno letto solo il brano che ho riportato in questo post. Quali sono le vostre impressioni?
    L’idea di questo semianalfabeta colpito, e vinto, dal virus della scrittura mi ha molto affascinato. Ho anche pensato che lo stesso Vincenzo Rabito, in fondo, potrebbe essere un interessantissimo personaggio letterario.

  2. Ho letto questo libro con entusiasmo.
    Confermo che ha dell’incredibile pensare a un signore, mezzo analfabeta, e comunque poco avvezzo alla scrittura, che d’improvviso rimne folgorato dall’impellente necessità di specchiarsi sulla carta.

  3. L’idea di Morabito, seppur in odor di Neorealismo, e’ ottima. Avvicina l’oralita’ alla Letteratura e dunque vivifica la carta. Io preferisco altre letture, ma questo di Morabito e’ l’aspetto migliore di un filone che io non seguo – appunto il Neorealismo italiano.

    Sergio Sozi

  4. Penso che scrivere, a volte sia necessario. Per poter dare un senso, ed anche una direzione, alla nostra vita. Forse questo povero siciliano mezzo analfabeta, all’improvviso ha sentito il bisogno di mettere su carta qualcosa che altrimenti, rimanendo nella sua testa, gli avrebbe creato problemi ulteriori.
    Penso che leggerò questo libro, mi incuriosisce.

  5. Non ho letto il libro, però penso che sia importante, una testimonianza importante e non filtrata… un po’ come quando gli etnomusicologi vanno in giro a registrare nelle campagne (a proposito di siciliani, un bel lavoro con relativo libro l’ha fatto Orazio Corsaro, virtuoso della zampogna messinese. Bello anche il fatto che quest’uomo abbia sentito l’esigenza di farlo…

  6. Stupendo!
    Finalmente concludo questo lungo fine settimana, proprio in bellezza.
    Questa idea mi sembra in assoluto la più bella cosa che sia accaduta in questi ultimi anni nel mondo editoriale. Un antifiction per eccellenza!
    Il vero che prorompe senza filtri.
    Un personaggio autentico e sincero che dimostra che la differenza tra autore e artefice a volte si confondono…
    Come avrei voluto essere io questo personaggio, ma sono sempre in tempo, forse. Mi manca soltanto di riuscire a non capire per niente il mondo cosidetto colto, ma ci sto riuscendo e non mi sembra vero!

  7. Sicuramente, un interessantissimo personaggio. Ha sentito il bisogno di mettere in ordine i suoi giorni e imparando a riconoscere le lettere sui tasti si è inventato una lingua breve. Ne’ italiano, ne’ dialetto e forse nemmeno lo slang (si scrive così?) dell’emigrante; un mezzo suo riconoscibile a tutti come la sua durissima vita.
    Molti emigranti, venuti qui, al nord, da tutte le regioni, si esprimono, ancora oggi, un commisto di bergamasco e baggiano e dialetto originale… come i personaggi di Diego Abbatantuono e Antonio Albanese. Io ne conosco diversi, sono persone molto comunicative che, appunto, non si preoccupano della forma e sono anche persone molto gioiose con tanta voglia di vivere. Ma questo signore si è messo a scrivere come un fiume in piena, forse grato al mezzo meccanico della macchina che gli permetteva di dare un senso concreto ai suoi ricordi, alla sua vita: la rivincita di Rosso Malpelo. Ho letto queste pagine quasi sillabando.

  8. Chiedo venia per aver storpiato il nome dell’autore: il sig. Rabito (e non Morabito) mi scusi tanto.
    Sergio Sozi

  9. Non saprei. Scrive come mio nonno quando scriveva le sue lettere ai parenti americani. A questo punto si potrebbero accorpare lettere e liste della spesa di una intera generazione di semianaflabeti e farne una bella raccolta di racconti di autori vari.
    Mi sembra una iniziativa piuttosto cervellotica. Non mi piace.

  10. A me pare un’idea molto buona. Non sono d’accordo con outwork. Qui non si tratta di accorpare lettere o liste della spesa, ma di un caso piuttosto unico. La storia di una vita e di un paese raccontata da quest’uomo con enorme forza di volontà. Non credo che la novità vera sia il linguaggio. Piuttosto il caso. Io non ho mai sentito dire di semianalfabeti che scrivono storie di mille pagine. A meno che non si arriva a dire la banalità che in Italia ci sono più (pesudo)scrittori che lettori

  11. Questo libro mi intriga. Penso che lo prenderò anche se immagino che per chi come me non abbia dimestichezza col dialetto siculo possano presentarsi difficoltà di lettura.

    Una domanda per Renato Di Lorenzo. Un libro può piacere oppure no. Chi legge ha il diritto di considerarlo bello o brutto. Domanda: possibile che ogni cosa la si debba vedere nell’ottica dell’operazione di marketing? Se così fosse si dovrebbero pubblicare solo libri scandalistici e via dicendo.

  12. Al di là della cultura acquisita con gli studi esiste quella intrinseca alla persona che sa osservare, immagazzinare fatti e sensazioni per riviverli ed esternarli quando l’impulso del raccontarsi diventa bisogno vitale, necssità primaria.
    Si entra nel campo della diaristica. Ma Rabiti ha un frasario diverso,personalissimo; nel suo esprimersi non c’è nè autocommiserazione nè autocompiacimento. Ci sono i fatti, e le persone che di questi fatti subiscono le conseguenze.
    E’credibile, e il lettore ne ha piena consapevolezza.
    Buona, quindi, la decisione di EINAUDI di pubblicare “TERRA MATTA”.
    Speriamo soltanto che non serva a pretesto per il proliferare di un filone affine, frutto di emulazione.
    Marisa Magnani

  13. Ho deciso, acquisterò questo libro che mi sembra secco nella semplicità di linguaggio e diretto al cuore. Grazie del consiglio.

    Morgan

  14. Avevo adocchiato questo libro in libreria,ma non avevo capito di cosa si trattasse. Grazie per la dritta. Pare proprio particolare.

  15. Confesso che i brani di “Terra matta” riportati da Massimo mi fanno guardare con favore l’autobiografia di Rabito; e ciò per più motivi. Innanzitutto perché c’è, da parte dell’autore, il racconto di una vita che è la propria. E con la propria vità c’è poco da fingere o nascondersi. Poi, per una lingua che (come è stato detto in precedenti commenti) appartiene a una oralità sempre più dimenticata. E ancora: vi si narrano aspetti di un nostro passato che, seppure trattati in molte opere letterarie, in fiction ed in film,ssembrano qui rese interessanti dall’inusuale punto di vista dell’autore. Poi, in quanto vi è l’avvicinamento di un semianalfabeta ad una macchina da scrivere, perché spinto dall’urgenza del racconto della sua vita. Un atto che sembra avere del magico. Peccato solo non averlo potuto filmare! Un atto che, ancora una volta, ha fatto compiere alla scrittura una delle sua più nobili prerogative: la trasmissione della propria esperienza. Se “Terra matta” è un’operazione commerciale, che ben venga.
    Gabriele Montemagno.

  16. Ho comprato il libro il mese scorso e lo sto leggendo in questi giorni.
    Posso dire di non essermi pentito dell’acquisto. In alcuni punti la lettura è un po’ faticosa, ma ne vale veramente la pena.

  17. Per scrivere è necessaria almeno una minima conoscenza della grammatica e della sintassi, come nel cinema una preparazione tecnica e una conoscenza della pellicola o delle tecniche di ripresa, delle luci, della fotografia, ecc. Queste sono operazioni puramente di marketing, chiunque altrimenti può scrivere un libro con le proprie esperienze di vita. In linea di principio queste sono iniziative che mi vedono contrario e credo che questa NON sia arte, mi dispiace. Però potrebbe anche esserci il caso di chi, pur privo di cultura e conoscenze, abbia tali e tante idee e cose da dire che lo rendono comunque uno scrittore e un artista. Non avendo letto il libro non posso giudicare il caso specifico.

  18. il punto è proprio questo. c’è gente che sa scrivere e non ha idee, e che scrive per dire qualcosa. così come c’è gente che non sa scrivere, ha molte idee e scrive perché ha qualcosa da dire. rabito rientra nella seconda categoria

  19. Secondo me, Rabito non ha scritto perché aveva delle idee ma, bensì, perché ha trovato il modo di cristallizzarle, renderle solidamente autentiche. Per lui la scrittura è stato il mezzo per rendere la sua esperienza di vita assolutamente insindacabile; la sua verità ufficializzata dalle pagine. Questo non è poco e dovrebbe farci riflettere sul potere della parola scritta, che noi, forse, abbiamo perso. Quella di Rabito non è letteratura ma una semplice performance che, nel campo artistico trova i corrispettivi nella Brut Art. ” Arte prodotta da persone che, per età, stato mentale o posizione rispetto alla società, sono inconsapevoli dei tradizionali canoni artistici e dei valori culturali e dingono (o scrivono) solo per soddisfare un desiderio interiore.E qui si potrebbe aprire una riflessione.

  20. Ma non si scrive solo per arte, io credo, si scrive anche per fermare delle cose. Lui ha fermato un suo mondo, un’epoca. ora non ricordo dove né quali siano le modalità esatte ma c’è una biblioteca che raccoglie le testimonianze degli anziani (che qualcuno meno smemorato mi aiuti) testimonianze appunto.

  21. @ Massimo:
    E’ vero, hai ragione. Il bello del tuo blog è proprio questo: poter interloquire con gli altri attorno a temi importanti, che riproponendosi sotto diversi aspetti, ci riportano al centro delle cose. La letteratura, come l’arte vive un momento no, anzi non. Non si può chiamare arte ogni performance, non si può considerare letterario ogni libro. Al contrario, possiamo però considerare, letteratura e arte, in modo nuovo, diverso e nella diversità definire gli spazi. Artieri, sono gli artisti della Transavanguardia; termine coniato da Achille Bonito Oliva. Artisti consapevoli che “l’attuale” richiede uno sforzo in più, una responsabilità comunicativa fatta di mestiere e di qualità intuitiva.E in letteratura che termine potremmo coniare? Lascio a voi la ricerca…ciao

  22. Artiere è una parola che veniva già usata nell’ambito della critica letteraria già nell’800 se non prima.
    La Repubblica delle Lettere è così grande e vasta, così inesplorata e quasi insondabile da avere al suo interno interi continenti tutti da scoprire… C’è spazio per tutto e per tutti, per gli artigiani della parola e per gli Artisti con la A maiuscola, i geni, le voci immortali che parlano a tutti gli uomini di ogni tempo e travalicano qualsiasi confine geografico, politico, sociale…
    Vero è che per scrivere sono necessarie almeno le tecniche di base, diciamo i fondamentali, però è anche vero che pagine come questa trasudano verità molto più di tante paginette calligrafiche e vuote in cui conta più il saper dire che non l’atto del dire in sé, del comunicare e trasmettere idee, emozioni, sentimenti. Penso al nostro povero italiano delle origini, a tutti quegli oscuri notai, giuristi, a quegli storici o meglio cronachisti, a quei poeti che non sapevano più scrivere in latino e balbettavano la nostra lingua come un bambino muove i primi passi su una superficie eccitante e sconosciuta. Anche loro hanno fatto la nostra storia letteraria. Arte è un’altra cosa, ma non è corretto disprezzare questi documenti che gettano una luce nuova, magari insolita anche se a tratti urticante e urtante, su fatti, ambienti ed epoche che ritenevamo esplorate, studiate abbastanza e già passate in giudicato.
    Spero che questa non sia l’ennesima bufala letteraria, che non ci sia stato spacciato un falso o un grande bluff…
    Vero è che ormai in letteratura stiamo raschiando il fondo del barile, però chi l’avrebbe detto che dai nostri poveri artieri delle origini sarebbe venuto fuori Dante? Non disperiamo…
    A proposito: conoscete il Premio Vittorini? Io sono di Siracusa e mi piace puntare l’attenzione su un premio di portata internazionale ma che in Italia non è conosciutissimo. Quest’anno verrà assegnato alla bravissima scrittrice siciliana Maria Attanasio, per “Il falsario di Caltagirone”, che io ritengo il più maturo dei suoi libri. Leggete anche “Correva l’anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile”: parla della storia vera di POlizzi, un ceramista, un artigiano quindi, che si mise a scrivere nella Caltagirone del Seicento riuscendo ad essere più significativo e vero di tanti storici patentati, lasciando anche un patrimonio di storia minore, di microstoria, di microstorie che la brava Maria Attanasio ha trasformato in romanzo… Polizzi si era inventato una lingua tutta sua, un misto di siciliano e italiano che ha una sua pregnanza e potenza espressiva assolutamente da non disprezzare, pur essendo logicamente sgrammaticato per la nostra coscienza di lettori “letterati”…
    Ben venga quindi un’opera come “Terra matta” se può provocare un dibattito proficuo su cosa è letteratura e cosa non lo è.

  23. Comunicato stampa

    Martedì 26 giugno 2007, alle ore 18.00, in Foro Umberto I 21 presso la

    “Libreria Kursaal Kalhesa”

    a Palermo

    L’Associazione Culturale Metamorphosis e Giulio Einaudi editore

    presentano il libro:

    Terra Matta
    di Vincenzo Rabito

    a cura di Evelina Santangelo e Lucca Ricci

    Interverranno Evelina Santangelo
    e Paola Gallo
    responsabile narrativa italiana Einaudi

    Letture di Vincenzo Pirrotta

    “Cinquant’anni di storia d’Italia: una straordinaria epopea degli « ultimi» raccontata da un sorgivo, inarrestabile talento narrativo. Dal Piave al ’68, le grandi e piccole guerre quotidiane di chi la storia d’Italia se l’è fatta a piedi, a scavare trincee, a girare per bordelli, a prendere le tessere di partito che servivano per lavorare, a sudare per il primo televisore, a bisticciare con la suocera, fino a portare i tre figli all’università.”

    Un signore siciliano si è chiuso a chiave nella sua stanza e ogni giorno, dal 1969 al 1975, senza dare spiegazioni a nessuno, ingaggiando una lotta contro il proprio analfabetismo, ha digitato su una vecchia Olivetti la sua autobiografia. Ha scritto 1027 pagine a interlinea 0, nel tentativo di raccontare tutta la sua «maletratata e molto travagliata e molto desprezzata» vita.

    Ne è venuta fuori un’opera monumentale, la più straordinaria tra le scritture popolari mai apparse in Italia: per la forza espressiva di questa sua lingua mescolata di italiano e siciliano, per il talento narrativo con cui Rabito è riuscito a restituire sotto una prospettiva assolutamente inedita (dal punto di vista degli «ultimi» e con l’urgenza di chi ha patito le cose sulla propria pelle) raccontando le sue peripezie, le sue furbizie e i suoi esasperati sotterfugi per affrancarsi dalla miseria.

    Il libro viene proposto per la prima volta al pubblico in versione ridotta ma esattamente come lui l’ha scritto, senza cambiare neppure una parola di quelle che lui ha scolpito, a fatica, sulla sua macchina da scrivere, lasciandoci più che un’autobiografia un’epopea, che è anche un monumento d’umanità.

    Vincenzo Rabito è nato a Chiaramonte Gulfi nel 1899 è morto nel 1981 – la sua autobiografia ha vinto il Premio Pieve – Banca Toscana 2000.

    Per ulteriori informazioni

    Ufficio Stampa Einaudi – 011/ 5656279

  24. Non ho letto il libro. Lo leggerò. E’ un autore di gran coraggio come è stata la sua vita. Una boccata d’aria fresca, in mezzo a tanti (senza offender nessuno) “studiosi” imprigliati tra chirigori filosofici e affanni letterari, ma con naturalezza e disinvoltura, come per sgravarsi da una vita vissuta ingiusta, crudele in un secolo di sangue.

    Mi ritrovo in questo brano come donna nata in un periodo di guerra e un dopo guerra di rinunce e sacrifici con case e scuole abbattute. Anch’io semianalfabeta con una gran voglia di sapere, di conoscenze e
    la beffa di chi leggendomi o ascoltandomi mi deride brutalmente per errori anche banali come una virgola. Certo la vita è un’altra cosa!
    Grazie Vincenzo!
    maria Rosaria

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