La nuova puntata di Letteratitudine Cinema contiene un pezzo “multiplo” sulle novità cinematografiche della settimana: The Dressmaker di Jocelyn Moorhouse; Benvenuti…ma non troppo di Alexandra Leclère; La foresta dei sogni di Gus Van Sant; Appena apro gi occhi di Leila Bouzid
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La settimana al Cinema
recensioni di Ornella Sgroi
The Dressmaker di Jocelyn Moorhouse. Con Kate Winslet, Judy Davis, Liam Hemsworth
“Il diavolo è tornato”, recita il sotto titolo italiano di questa commedia insolita e molto divertente. E se il diavolo, invece, non se ne fosse mai andato e fosse rimasto nascosto sotto abiti angelici? Il nuovo film della regista Jocelyn Moorhouse di abiti se ne intende, portando l’alta moda francese a sconvolgere equilibri di facciata in un piccolo paesino dell’Australia desertica del 1951, che sembra il Far West. Al centro di questo western giocato a colpi di cuciture, piume e paillette invece che a colpi di proiettile, una Kate Winslet esplosiva e vendicativa, armata di macchina da cucire invece che di pistola. Un’attrice che dimostra ancora una volta tutta la sua abilità e il suo trasformismo, dominando una commedia coloratissima al fianco di un’altra attrice magnifica, Judy Davis, qui nei panni della madre svitata della protagonista. Insieme fanno scintille, Kate e Judy. Elegantissima e femminile nelle sue forme morbide, l’una. Stracciona e irriverente, l’altra. Protagoniste assolute, insieme, in mezzo ad un cast indovinatissimo che le incorona regine di questa commedia eccentrica e sopra le righe, che mischia cinismo e mistero con l’amarezza della solitudine e dell’esclusione, senza rinunciare ad un pizzico di romanticismo sopraffatto dalla sciagura della maledizione. Laddove la vera maledizione non è altro che il provincialismo più bigotto, “spazzatura” da bruciare per dissolvere una inutile e fasulla parvenza di normalità.
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Benvenuti…ma non troppo di Alexandra Leclère. Con Karin Viard, Didier Bourdon, Valérie Bonneton
Immaginate una Parigi avvolta da una coltre di freddo tanto glaciale da spingere il governo ad imporre ai ricchi borghesi di aprire le porte delle loro belle case ai meno fortunati. Le conseguenze di questa improvvisa “grande condivisione” non tarderà a fare saltare equilibri già precari, creando situazioni (non troppo ) paradossali in cui gli intellettuali di sinistra si scopriranno più conformisti dei conformisti di destra. Il risultato è una commedia francese che fa sorridere ma anche riflettere. Soprattutto su un quesito preciso: come reagirebbero i politici italiani se fossero costretti ad accogliere in casa la povera gente che fa a botte con la sopravvivenza? In quel caso sì che ci sarebbe da ridere.
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La foresta dei sogni di Gus Van Sant. Con Matthew McConaughey, Naomi Watts, Ken Watanabe
Un viaggio di sola andata per Tokyo. Destinazione ultima, un mare fatto di alberi che si perde fino a toccare le soglie dell’aldilà. È la foresta dei suicidi, luogo “perfetto” scelto dal protagonista Matthew McConaughey per mettere volontariamente fine alla propria esistenza. Almeno fino a quando l’incontro con un altro uomo, ferito e disorientato che cerca invece la strada verso casa, non lo farà tornare sui propri passi. Immergendo personaggio e spettatore in un passato in cui affondano le radici di tanto dolore. Il nuovo film di Gus Van Sant, già regista di film come “Elephant”, “Will Hunting”, “Paranoid Park” e “Milk”, rievoca certa letteratura giapponese, in particolare quella partorita dalla penna immaginifica di Murakami, anche se la commistione di soprannaturale e reale che aleggia nelle pagine dei suoi romanzi non sembra affiorare altrettanto bene nel film di Van Sant, più orientato verso la dimensione del melodramma coniugale. E anche il bravissimo McConaughey finisce per essere troppo concentrato su se stesso e sulle proprie doti introspettive, fino all’eccesso. Anche nel susseguirsi di eventi tragici che travolgono il suo personaggio, nel presente come nel passato. Eppure, per quanto il film non sia di certo impeccabile, lungo il suo scorrere fioriscono delle orchidee. Che rievocano le anime di chi abbiamo amato e non c’è più, sfiorando il cuore dello spettatore con una carezza vitale e struggente.
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Appena apro gi occhi di Leila Bouzid. Con Baya Medhaffer, Ghalia Benali, Montassar Ayari
Un’opera prima e una regista donna di appena trent’anni, attraverso la musica e la ribellione familiare e sociale di una diciottenne, raccontano la Tunisi del 2010 che si prepara alla rivoluzione. Una città, una cultura in cui tutto è proibito, in cui tutto è fonte di disonore. In cui i giovani, con i loro sogni e le loro speranze di potere cambiare il mondo, sono visti come dei “folli” che si oppongono alla tradizione. Di tutto questo fermento si fanno carico la giovane protagonista e la sua band, pronti ad intonare più di un canto per la libertà pur di fare sentire la propria voce. Senza paura. Una voce che trova espressione nell’incantevole attrice protagonista e nella solitudine sempre più crescente che travolge il suo personaggio. Lasciato solo anche dalla sua stessa madre. Donna contro donna. In un rapporto complicato ma rigenerante, capace di fare diventare lo scontro incontro, in nome dello stesso (bi)sogno di libertà.
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[Le nuove videorecensioni di Ornella Sgroi sono disponibili qui]
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Leggi l’introduzione di Massimo Maugeri
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