Dicembre 21, 2024

80 thoughts on “TORNIAMO A DANTE

  1. Comincio io riportando dei versi famosissimi…

    « Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
    prese costui de la bella persona
    che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.
    Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
    mi prese del costui piacer sì forte,
    che, come vedi, ancor non m’abbandona.

    Amor condusse noi ad una morte:
    Caina attende chi a vita ci spense.
    Queste parole da lor ci fuor porte. »

    Domanda facile facile. A chi si riferiscono questi versi?
    Di quale Canto si tratta? Di che volume?

  2. “Per correr migliori acque alza le vele
    ormai la navicella del mio ingegno,
    che lascia dietro a sé mar sì crudele;
    e canterò di quel regno,
    dove l’umano spirito si purga
    e di salire al ciel diventa degno”

    Questo è l’incipit del PURGATORIO, dei tre libri della Commedia è quello che ho sempre “considerato” di meno. Riscrivendolo ho “pagato pegno”.

  3. Continuate voi.
    Fate “giocare” anche i vostri amici, se volete.

    Intanto – in mia assenza – nomino Sergio Sozi come animatore e coordinatore di questo post. È una nomina che gli spetta di diritto in quanto curatore della rubrica “Ritorno ai classici”.

  4. Possiamo giocare anche noi?

    Allor porsi la mano un poco avante/
    e colsi un ramicel da un gran pruno/
    e ‘l tronco suo gridò: “Perchè mi schiante?”/ da che fatto fu poi di sangue bruno,/
    ricominciò a dir: “Perchè mi scerpi?/ non hai tu spirto di pietade alcuno?/Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:/ ben dovrebb’esser la tua man più pia,/ se state fossimo anime di serpi”./

    L’aspetto più terrificante della Commedia, no? La condanna da parte dell’autorità terrena e di quella divina. Un inferno.

    Saluti!

  5. Uau, che bellissima idea!
    Voglio giocare anch’io.
    Intanto i versi che tu citi, caro Massimo, sono quelli dedicati a Paolo e Francesca.
    Ecco i miei, sono quelli (Canto II dell’Inferno) con i quali Dante, rivolgendosi a Virgilio, fa riferimento a Silvio Berlusconi.

    “Io cominciai: «Poeta che mi guidi,
    guarda la mia virtù s’ell’ è possente,
    prima ch’a l’alto passo tu mi fidi.

    Tu dici che di Silvio il parente,
    corruttibile ancora, ad immortale
    secolo andò, e fu sensibilmente”.

    Smile.

  6. pazzesco! è dai tempi della scuola che non toccavo la divina commedia.
    ecco la mia scelta:

    “e disser: “Padre, assai ci fia men doglia
    se tu mangi di noi: tu ne vestisti
    queste misere carni, e tu le spoglia”.

    Queta’mi allor per non farli più tristi;
    lo dì e l’altro stemmo tutti muti;
    ahi dura terra, perché non t’apristi?

    Poscia che fummo al quarto dì venuti,
    Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi,
    dicendo: “Padre mio, ché non m’aiuti?”.”

    (e sì! quel cattivaccio del conte ugolino.
    che siano questi i versi più terribili del poema?)

    Quivi morì; e come tu mi vedi,
    vid’ io cascar li tre ad uno ad uno
    tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’ io mi diedi,

    già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
    e due dì li chiamai, poi che fur morti.
    Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno”.

    ciao ciao

  7. (da Cicerone 1)

    2/7/2007 – FA DISCUTERE IL GIUDIZIO SULL’ICONA NAZIONALPOPOLARE

    Una stoccata di Albertazzi: “Quando
    lo spiega è sublime, ma quando lo dice…”

    Articolo di MARIO BAUDINO

    Dante? Benigni quando lo spiega è sublime; ma quando lo dice… eh sì, un po’ meno». La stoccata di Giorgio Albertazzi arriva da Vercelli, dove l’attore ha messo in scena uno spettacolare «a solo» di bravura, titolo Intorno a Dante, su un palco all’aperto di fronte alla Basilica di Sant’Andrea. Ha recitato l’altra sera i canti dedicati a Pia de’ Tolomei, a Paolo e Francesca, al Conte Ugolino, concludendo con una celebre passo di The Waste Land di Thomas Stearns Eliot, poeta dall’Alighieri assai influenzato. Ha parlato del suo rapporto con il Medioevo, ha immaginato d’aver incontrato il poeta passeggiando per Firenze, chiarendo a ogni buon conto che «Gassman e Carmelo Bene sono arrivati dopo di me». E tutto vestito di bianco nella notte, ha colpito il rivale con una battuta al vetriolo. Tutti hanno capito benissimo che quel «un po’ meno» voleva dire «molto, molto meno».

    Benigni è un’icona nazionalpopolare. Non la si affronta con la sciabola, ma col fioretto. Però la bulimia dantesca dell’ex «piccolo diavolo» ora ha trovato l’opposizione. Se Albertazzi dice e non dice, l’altro «concorrente» storico, Vittorio Sermonti, che aveva aperto molti anni fa la stagione delle letture dantesche in pubblico, dice eccome. Benigni «è un comico: tra l’altro, di quelli che lusingano il pubblico. Io prediligo quelli come Plauto, Molière, Petrolini, che il pubblico lo aggrediscono». Ragion per cui «non mi dispiace come legge. Ma credo che il pubblico di Benigni esca dallo spettacolo uguale a quando ci è entrato, e pensando che Dante sia attualissimo e anche un po’ fessacchiotto», ha spiegato poche settimane fa, in un’intervista al Magazine del Corriere.

    Fronte compatto, dunque: secondo i suoi principali rivali Benigni non sa leggere Dante. O almeno, non lo fa nel modo migliore. L’accusa arriva proprio nel momento in cui si annuncia un trionfo dantesco nella programmazione Rai a partire dall’autunno, quando l’attore, dopo aver esordito con uno speciale in prima serata di 90 minuti e senza interruzioni pubblicitarie, proseguirà poi con dodici seconde serate ispirate al suo spettacolo TuttoDante. Salterà ogni settimana anche un Porta a porta, dicono, per la gioia di Bruno Vespa. È il punto culminante di una marcia senza ostacoli, fra lauree honoris causa e accoglienze trionfali dovunque. Ma il presidente della Società dantesca, Guglielmo Gorni, lascia affiorare qualche dubbio.

    Lui, che ha sempre difeso la buona divulgazione, e invitato a Firenze molti attori perché leggessero Dante, ci fa notare come Benigni sia un perfetto «lettore naturale», grazie al suo temperamento. «E’ un buon modo di dare voce al poeta», dice. Ma preferisce Sermonti: «che porta di suo un’interpretazione del testo, insomma lo fa capire di più». Franco Cardini, medievista, scrittore, e soprattutto fiorentino, rincara bonariamente la dose: «Albertazzi non ha tutti i torti. Benigni in realtà recita Benigni che recita Dante, non si preoccupa certo di problemi filologici, né di nascondere il suo accento pratese. Detto questo, ha suscitato un vero movimento di massa, il che mi sembra positivo». Si potrebbe sottilizzare, e chiedersi quanto conti l’interesse «di massa» per Benigni rispetto a quello per Dante, aggiunge. Però «anche se lo legge male, lo legge. Fossero tutti qui, i problemi. Anzi, questa non è mica una cattiva notizia». Non lo è, professore. Leggere Dante, in fondo, fa bene alla salute. Lo hanno fatto in tanti, ci si sono misurati (nel 2000) persino Morgan e Asia Argento.

    C’è solo un’attrice, una grande attrice, che ha detto basta. Ottavia Piccolo: «Non lo farò mai più. Mi fa perdere 10 anni di vita, non ne sono capace, non riesco a renderlo, funziona solo nel chiuso della mia cameretta, quando sono da sola». Ragion per cui, nella disfida dei toscani, non prende partito: «Mi entusiasma la generosità di Benigni, Albertazzi è bravissimo. Li ho ascoltati entrambi, e anche Sermonti: in tutti colgo qualcosa. Però di un poeta ognuno riesce a far passare qualcosa, mai tutto, perché tutto è impossibile. Questo è il motivo per cui è sempre meglio, alla fine, leggerselo da sola, magari ad alta voce». I vicini di casa saranno contenti, ma certo è una scelta non facile. Con buona pace della «divulgazione».

    Fonte: La Stampa
    http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/spettacoli/200707articoli/23270girata.asp

  8. Io gioco offrendo l’inzio del “Paradiso”

    “La gloria di colui che tutto move
    per l’universo penetra, e risplende
    in una parte più e meno altrove.

    Nel ciel che più de la sua luce prende
    fu’ io, e vidi cose che ridire
    né sa né può chi di là sù discende;

    perché appressando sé al suo disire,
    nostro intelletto si profonda tanto,
    che dietro la memoria non può ire.

    Veramente quant’ io del regno santo
    ne la mia mente potei far tesoro,
    sarà ora materia del mio canto.”

  9. …a mio avviso, Dante non è mai passato di moda, non si può studiare italiano, non so può studiare lo stile senza leggere Dante…l’uno porta all’altro…

    felicità

    Rino, leggendo Dante

  10. (da Cicerone 1)

    Dopo la prima prova scritta ai più recenti esami di maturità.

    «Dante non è in programma».
    E’ polemica

    Proteste da docenti e studenti di istituti tecnici e professionali. La preside del Bertarelli di Milano: «Ma ci sono tante altre tracce».

    MILANO – Scoppia il caso Dante. La traccia di analisi del testo presentata alla prima prova degli esami di maturità ha sollevato un polverone. E non solo per l’errore su San Tommaso. A lamentarsi sono studenti, ma soprattutto insegnati degli istituti tecnici e professionali.

    PROGRAMMA – I docenti di lettere degli istituti professionali lamentano che il Sommo Poeta non è nel programma dell’ultimo anno. Fabio, un insegnate, scrive sul forum del Corriere.it: «Dante è un autore che amo, ma non è previsto nei programmi degli istituti professionali!Tale scelta penalizza un quinto dei maturandi, che non hanno potuto affrontare la prima traccia. Una scelta, credo, classista ed elitaria». Ce lo conferma Teresa Capra, preside dell’Istituto professionale per i servizi commerciali e turistici Bertarelli di Milano: «E’ vero, Dante non è approfondito in termini tali da poter svolgere una prova del genere». La preside però ci tiene a precisare:«La legge prevede numerose tracce. I nostri ragazzi hanno avuto comunque la possibilità di scegliere tra tante altre soluzioni. Alcune, come quelle di diritto, sono più congeniali a loro che non agli studenti di classico o scientifico».

    PROTESTE – Gli studenti però si indignano. La scelta di Dante non va proprio giù: «Come si può far fare un tema cosi specifico su Dante a ragazzi degli istituti tecnici?» si chiede Stefano sempre sul forum. Che poi suggerisce provocatoriamente per l’anno prossimo una prova di elettronica o di aerotecnica per i liceali. Un altro ragazzo, che si firma «Geometra», si sente discriminato: «Non saremo mica studenti di serie B? Per i ragazzi del liceo sarà stata anche una traccia alla loro portata, ma ai tecnici non ci pensa nessuno? Dante, come del resto tutta la letteratura, non viene studiata in modo così approfondito. La prima traccia era dunque per noi impossibile».
    25 giugno 2007

    Fonte: Corriere.it
    http://www.corriere.it/Speciali/Cronache/2007/Maturita/articoli/dante_programma_istitutiprofessionali.shtml

    – ché la diritta via era smarrita?
    Cicerone 1

  11. …lo hai voluto tu.
    Ciao
    ____________________________
    Adgnosco veteris vestigia flammae

    “Arianna lo aspettava con sempre maggiore curiosità, anche quando sapeva che non si sarebbe collegato. Era impaziente di scoprire nuovi particolari sul suo conoscente virtuale. In fondo di lui sapeva ancora poco. Ma aveva piacere di quel dialogare. Non si annoiava mai e quando era ora di salutarsi cominciava ad essere triste.
    Parlavano di ogni cosa, liberamente. Lei aveva provato a chiedergli la sua provenienza, ma lui non aveva mai voluto risponderle. Diceva che glielo avrebbe fatto capire sfruttando la sua cultura. Lei non aveva dato molto peso a questa indicazione, per quanto avesse contribuito ad accrescere la sua curiosità.
    Le piaceva il modo in cui le parlava delle cose, la sua capacità di sintesi e di dettaglio al tempo stesso. Le piaceva starlo a sentire.
    La sensazione che la accompagnava era paragonabile a quella che aveva da bambina quando vedeva i pacchi sotto l’albero di Natale. Quale sarebbe stato il suo ? Il più grosso o il più piccolo ? E quale sarebbe stato il contenuto ? Ma ci sarebbe stato un pacco anche per lei ? Nonostante non le fosse mai mancato un regalo, pensava sempre che non fosse automatico, che poteva anche succederle di non ricevere regali. E una volta ricevuto il pacco, lo scartava con lentezza, le piaceva godersi quel momento di attesa. Le piaceva inseguire la sua voglia di indovinare cosa fosse. Ed in fondo a sé stessa considerava quel nuovo amico, un regalo. Non sapeva bene come lo avesse meritato, ma le sembrava giusto che fosse arrivato. Era soddisfatta del suo destino.
    Poi successe un fatto nuovo.
    Una notte la salutò con una frase: “Adgnosco veteris vestigia flammae”. In latino.
    Quelle parole le procurarono stupore e smarrimento. Cosa avrà voluto mai dire. Perche’ quelle parole in latino ? Perche’ proprio quelle parole ?
    La frase la accompagnò nei giorni successivi, durante i quali non riuscì più ad incontrare il suo nuovo amico. La ripeteva in mente cercando di cogliere il senso occulto di quelle parole, andando oltre il loro mero significato. Ma non riusciva a trovare alcun nesso, nessuna buona pista per venire a capo di quel piccolo enigma. Forse proprio per una sua voglia di infilarsi in un nuovo gioco, attribuì a quella frase un mistero ancora più grande. Cosa avrebbe pensato di lei se non fosse riuscita a capire ? L’avrebbe considerata non più degna della sua amicizia ? Oppure lo stava facendo solo per un personale diletto ?
    Sta di fatto che non riuscì a distogliere i suoi pensieri da quelle parole.
    […]
    Decise di ricorrere al padre. Un pò per sottrarsi al senso di colpa che la attanagliava ed in fondo perchè, molto spesso, in passato lui le aveva risolto i piccoli e i grandi problemi. Non voleva rivelare tutta la vicenda, l’incontro virtuale con quel ragazzo e l’interesse che le aveva suscitato. Così approcciò la cosa a modo suo, in maniera diretta:
    >.
    Suo padre la guardò stupito e con una vena di tenerezza negli occhi, rimanendo per un attimo a pensare senza smettere di guardarla fisso. Poi d’un tratto rispose in maniera altrettanto sintetica:>. Arianna, era sempre più smarrita.
    Cosa voleva dire quell’ulteriore citazione di suo padre ? Cominciava a perdere le speranze di capire cosa avrebbe mai voluto significare la frase del suo amico virtuale.
    Ad ogni modo provò a documentarsi. Prese il testo del Purgatorio della Divina Commedia, citato da suo padre, andò al trentesimo canto e cominciò a leggere. “Quando il settentrion del primo cielo, che né occaso mai seppe né orto né d’altra nebbia che….”, ma prima di arrivare a trovare quanto le aveva indicato suo padre, presa dallo sconforto per la scarsa conoscenza che aveva di quel libro, desistette.
    Passarono le settimane ed il suo amico continuava a salutarla con quella frase ogni volta che si incontravano. Lei faceva finta di nulla, ma era assillata dalla curiosità per il significato recondito che certamente doveva nascondersi dietro quelle parole. Inoltre le sembrava che sciogliere questo nodo rappresentasse il passaggio obbligato per sapere qualcosa di più sul suo amico, che, peraltro, catturava sempre di più il suo interesse.
    […]
    La professoressa di Italiano era un personaggio particolare. Di statura non molto alta, minuta nei lineamenti, con i piccoli occhiali calati sul naso e sempre malvestita, come se si attenesse ad una corrente della moda tutta sua che non si poteva ritrovare nemmeno andando indietro negli anni.
    Parlava scandendo le parole con attenzione, con preziosità, staccando le sillabe affinchè si potesse cogliere il suono del vocabolo che stava pronunciando. C’era l’attenzione a far percepire fino in fondo la bellezza della nostra lingua. Ogni inciso era un ricamo all’interno della esposizione che pure scorreva, semplice. Il suo modo di esporre le cose ricordava i telai delle donne calabresi, con stoffe semplici ed in genere bianche, ma ogni tanto nel tessuto si intravede un ricamo, un fiore. Una perla incastonata in un anello di altri tempi, una pietra preziosa che adorna di sé un gioiello altrimenti troppo semplice.
    Quell’inciso si interponeva tra le parole con discrezione, senza spingere, girando le spalle al passaggio per non urtare le frasi circostanti, facendosi più piccolo e raccolto nelle scapole, con lo sguardo rivolto in terra, quasi pudico. Si incuneava e restava li’, in paziente attesa, quasi nascosto tra le virgole, fino a farsi notare. Allora alzava lo sguardo e ti guardava diritto negli occhi sicuro della sua bellezza, certo del suo ruolo. La tua consapevolezza lo faceva la parte più bella del discorso e lui ne prendeva coscienza con te.
    Così un episodio può lasciare una traccia di sè per tutta una vita. Può durare un tempo brevissimo, eppure puoi conservarne memoria.
    Quella mattina la professoressa Rescigno, che non aveva avuto una vita privata molto felice, persa nella memoria di un unico giovanile amore che non aveva più visto dai tempi dell’università, almeno così si raccontava nella scuola, annunciò che avrebbero trattato il trentesimo canto del Purgatorio.
    Arianna ebbe un sussulto, sollevò gli occhi, smise di disegnare sul foglio bianco una figura non identificabile, a metà fra un disegno geometrico ed un motivo floreale e, quasi rapita, senza mai distogliere lo sguardo dalla professoressa, prese il testo del Purgatorio di Dante.
    Lo aprì, sfogliando le pagine in maniera frenetica superando il punto in cui doveva arrivare e poi tornando indietro, passò il pugno chiuso sulle pagine per mantenere ben aperto il libro e sempre fissando la professoressa, cominciò ad inseguire i suoi pensieri. Cosa le avrebbe detto la professoressa Rescigno, cosa avrebbe spiegato ? Poteva quella donna così strana fornire la soluzione al suo dilemma ?
    La professoressa invitò proprio Marta a leggere a voce alta.
    E Marta cominciò :>. Arianna era concentrata come mai lo era stata nella sua vita, in fondo quella mattina poteva essere svelato il suo piccolo, innocente enigma.
    I versi scorrevano lenti e lei si perdeva tra il suono della voce della sua amica e l’immagine della professoressa in piedi vicino alla cattedra, che ogni tanto interrompeva la lettura e spiegava, facendo anche disegni alla lavagna. Intanto nella sua mente si addensavano i pensieri di tutti i suoi compagni, ma non erano nitidi come al solito. Erano un vociare indistinto, un suono sordo e greve che riempiva il silenzio di fondo dell’aula. Ad un certo punto Marta :> e la professoressa :>. Marta prosegui’ ad un cenno della professoressa :>. Arianna era sopraffatta dall’attesa.
    In quel momento, ripercorse, in uno spazio sospeso al di sopra del tempo, l’attesa trepidante ed incredula dei cavalieri che assistono all’estrazione di Excalibur. La professoressa le appariva, tra i miasmi della terra, avvolta da una luce lattiginosa, come la pitonessa di Endor che svela il mistero della battaglia a Saul.
    C’era una atmosfera onirica in quell’aula.
    La voce di Marta diventava sempre più lontana e più sorda e le sue mani erano sempre più calde >, la professoressa interruppe ancora una volta >. Poi fece un gesto a Marta, affinchè continuasse, ma, ad un tempo, con la stessa mano le indicò di andare più lenta >.
    La professoressa Rescigno sollevò la stessa mano con la quale aveva fatto da poco cenno a Marta di proseguire e la sollevò più in alto come a sancire un momento ancora più solenne del precedente. E lentamente, scandendo con attenzione, divenuta per Arianna più bella che mai, disse :>.
    La professoressa arrossì improvvisamente, abbassando gli occhi, ed Arianna con lei.
    La sensazione di agitazione di Arianna assumeva una connotazione fisica, il tremore dentro il petto le arrivava fino alle mani e sentiva un peso fortissimo alla bocca dello stomaco. Come le erano sembrate belle quelle parole ! Ancora una volta suo padre, forse senza sapere, l’aveva aiutata, ma lei non aveva colto. Ancora non aveva sciolto il suo enigma, eppure si sentiva vicina. La professoressa salutò tutti e si congedò. La sua lezione era finita così, in quel momento di commozione. Uscì frettolosamente dalla classe senza neppure riporre tutti i libri nella borsa, tenendoli in mano, accostati al petto, varcò la porta salutando a mezza bocca il professore di Filosofia che stava per entrare.
    Arianna quasi lo travolse e seguì la professoressa nel corridoio. Raggiuntala, cercò di darsi un contegno e cominciò a camminar alla sua stessa velocità, come se volesse accompagnarla da qualche parte. Intanto le rivolgeva, con la voce più bassa del solito, delle domande :>. La professoressa sopresa da tanto interessamento, ma compiaciuta delle parole della sua allieva, come suo solito, rispose con meticolosità. >. Arianna, improvvisamente si rese conto che il proprio comportamento era diverso dal solito e quasi troncando il discorso si accomiatò in tutta fretta, scusandosi con l’inizio della lezione successiva. Percorse il tratto di corridoio che la separava dalla classe con un passo lento e meditabondo. Marta era sulla porta della classe e le faceva segno di sbrigarsi, ma lei non la vedeva. Stava inseguendo i suoi pensieri. “…nell’odierna Tunisia…”. Continuava a non capire.
    Tornò in classe e rimase assorta fino alla fine delle lezioni. Salutò tutti e fece la strada vero casa di gran corsa. Non pranzò, si chiuse nella sua stanza e ascoltò musica per tutto il pomeriggio. Lungo la strada non aveva sentito alcun pensiero, ma non ci aveva badato.
    Si fece sera. Cenò in maniera sbrigativa insieme a sua madre, suo padre era fuori per lavoro. Ritornò in stanza, mise un disco dei Rem e sulle note di “Losing my religion” entrò in chat.
    “Movida on line. Buonasera a tutti”. Ma quella sera nessuno le rispose, sembrava non ci fosse.
    Passarono alcuni minuti e con un sussulto vide comparire la frase “Salve sono ForSale c’è qualche amico ?”. Lo salutò e cominciò a chiacchierare con lui. Stranamente quella sera rispose a tutte le sue domande, come se qualcosa fosse cambiato, come se avesse sciolto un incantesimo…
    Arianna: Parlami dei tuoi genitori ForSale.
    ForSale: I miei genitori mi hanno adottato quando avevo due anni.
    Arianna: E gli vuoi molto bene.
    ForSale: Più di quanto gliene vorrei se fossero i miei veri genitori. Senza di esse, chissà dove sarei adesso…
    Arianna: Dove saresti adesso ?
    ForSale: Da qualche parte in Africa e non avrei mai conosciuto l’Italia. Già non te lo avevo mai detto, ma io sono tunisino.
    Arianna: Credo di volerti bene, sai ?
    ForSale: Anch’io. Temevo che avessi qualche remora per il colore della mia pelle.
    Arianna: E perché mai ? La nostra società, ormai, è multirazziale. Inoltre nei miei viaggi ho imparato ad amare tutta la gente diversa da me ed ho scoperto che non esitono vere differenze.
    ForSale: Già, ma qualche anno fa, quando ero un bambino non era così in Italia. A scuola ero l’unico diverso e quando viaggiavo in treno verso Sud, gli unici della mia razza che vedevo, erano nei campi a raccogliere pomodori. Ora le cose stanno cambiando, lentamente.
    Arianna: Vorrei essere tua amica. Anche al di fuori di questo contesto virtuale.
    ForSale: Amici !
    Arianna: Come ti chiami ? Io Arianna.
    ForSale: Karim.
    Arianna: Arrivederci Karim. Ora stacco. Domani verresti a prendermi a scuola ?
    ForSale: Ci sarò. Ciao. Ma come ti riconosco ?
    Arianna: Avrò un libro arancione. Ciao. Click. ***gone***”
    ____________________________
    da I pensieri degli altri – L’Autore Libri – Firenze
    ____________________________
    http://eventounico.blog.kataweb.it/eventounico/2006/05/adgnosco_veteri.html

  12. prima di tutto grazie.
    secondo poi: dante è tutto quello che ricordo veramente del liceo dal lato del banco. ora sto dal lato della cattedra (preferivo il banco, ma la scuola è sempre una gran bella cosa) e le mie alunne mi prendono in girno rispondendo “Dante” a ogni domanda che faccio (tipo: “chi ha appena vinto lo strega?” “Dante!” et sim.)
    I mei versi prefriti sono tanti, non potendo citarli tutti, scelgo Manfredi dal Purgatorio e Farinata dall’Inferno, il massimo della dolcezza l’uno e della fierezza l’altro:

    E un di loro incominciò: “chiunque
    tu se’ così andando volgi il viso
    pon mente se di là mi vedesti unque.”
    Io mi volsi ver’ lui e guardail fiso:
    biondo era e bello e di gentile aspetto
    ma l’un dei cigli un colpo avea diviso.
    Quand’io mi fui umilmente disdetto
    d’averlo visto mai, el disse: “or vedi”
    e mostrommi una piaga a sommo il petto.
    Poi sorridendo disse: “I’ son Manfredi…
    (Purg. III, vv.103-112)

    “O Tosco che per la città del foco
    vivo ten vai così parlando onesto
    piacciati di restare in questo loco:
    la tua loquela ti fa manifesto
    di quella nobil patria natìo
    alla qual forse fui troppo molesto.”
    Subitamente questo suono uscìo d’una dell’arche; però m’accostai
    temendo, un poco più al duca mio.
    Ed el mi disse: “Volgiti, che fai?
    Vedi là Frainata che s’è dritto:
    dalla cintola in su tutto ‘l vedrai.”
    Io avea già il mio viso nel suo fitto,
    ed el s’ergea col petto e con la fronte
    come avesse l’inferno in gran dispitto.
    (Inf. X, vv.22-36)

    Il Paradiso mi sa che tocca rileggerselo tutto perché a scuola è quello che si studia meno e perché, “è l’unica opera sul paradiso che non sia stata un fallimento” (Robert Harrison, grande studioso di Dante, di cui vi invito a leggere qualunque cosa: da “Roma, la pioggia” e “Le foreste”, ed. Garzanti al più recente “Il dominio dei morti” ed. Fazi.)
    Hasta la lectura siempre.
    giovanna

  13. Certo che disquisire su Dante Alighieri (aggiungo), e sul suo contributo alla nostra bella lingua italiana, e poi scrivere tutto minuscolo o usare il solito linguaggio dei blog?
    Posso capire quando si parla di politica o di musica rock, ma in questo caso si dovrebbe fare un’eccezione.
    De gustibus…

    Ecco i versi da me scelti dal VI canto del Purgatorio:

    “- Ma vedi là un’anima che, posta
    sola soletta, inverso noi riguarda:
    quella ne ‘nsegnerà la via più tosta».
    – Venimmo a lei: o anima lombarda,
    come ti stavi altera e disdegnosa
    e nel mover de li occhi onesta e tarda!
    – Ella non ci dicëa alcuna cosa,
    ma lasciavane gir, solo sguardando
    a guisa di leon quando si posa.
    – Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
    che ne mostrasse la miglior salita;
    e quella non rispuose al suo dimando,
    – ma di nostro paese e de la vita
    ci ‘nchiese; e ‘l dolce duca incominciava
    «Mantüa . . . », e l’ombra, tutta in sé romita,
    – surse ver’ lui del loco ove pria stava,
    dicendo: «O Mantoano, io son Sordello
    de la tua terra!»; e l’un l’altro abbracciava.
    – Ahi serva Italia, di dolore ostello,
    nave sanza nocchiere in gran tempesta,
    non donna di province, ma bordello!
    – Quell’ anima gentil fu così presta,
    sol per lo dolce suon de la sua terra,
    di fare al cittadin suo quivi festa;
    – e ora in te non stanno sanza guerra
    li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
    di quei ch’un muro e una fossa serra.
    – Cerca, misera, intorno da le prode
    le tue marine, e poi ti guarda in seno,
    s’alcuna parte in te di pace gode.”

  14. Cari tutti,

    che bella partecipazione: sentita, sincera, poeticamente amorevole ma anche rude e ”virile”, dunque degna, appunto, del Paese di Dante!
    Continuate, continuate! Magari, mi auguro, recependo i saggi suggerimenti di Irnerio, che con logica inattaccabile sottolinea quanto sia importante, almeno parlando di Letteratura, evitare di ”fare i blogghisti della minuscola a tutti i costi”.
    Al sig. Irnerio aggiungerei solo che anche parlando d’altro bisognerebbe, secondo me, scrivere secondo le regole dell’italiano corretto: i punti, le maiuscole e le virgolette, laddove siano prescritti. Semplice. Lo si fa da secoli, fra la popolazione alfabetizzata. Altrimenti, l’analfabetismo di ritorno e’ dietro l’angolo. Attenzione.

    Sergio Sozi

    P.S.
    Appena ne avro’ l’ispirazione, proporro’ la mia citazione dantesca. Per adesso le vostre mi sembrano tutte molto belle.

  15. Per Gennaro Iozzia:
    proprio quei versi dovevi scegliere? Proprio Ugolino!
    Mi fanno lo stesso effetto di “Saturno”, un’ opera delle Pitture Nere di Goya, che mi turba per ore e ore. Del resto, e ne sono convintissima, Dante si può solo ascoltare o leggere a piccole e ben calibrate dosi. La voce di un professore, di un fine dicitore o di un estroverso attore, ha il fascino di un canto; le parole sono mirabili e dosate; gli accenti e le pause regolano il respiro e tu ascolti e immagini come sarebbe potente e spettacolare guidare i nomi, i sostantivi e i verbi in quel modo, con tanta grazia.
    Ma per leggere la Divina Commedia ci vuole ispirazione, o la determinazione di tanti attimi che non fuggono. I tempi di Dante erano quelli di Nicola e Giovanni Pisano, quelli dei battisteri, di Benedetto Antelami; erano i tempi degli altorilievi minuti e profondamente umani. Tempi plastici di ritrovato stupore, sproporzioni poetiche, allegorie cantilenanti; tempi di luci e di ombre naturali.
    Dante irrompe con un figurativo sfacciato, a tratti ( per me ) orrendo, ma musicale, preciso, sommo e diabolico, offrendo all’Italia una nuova lingua originale. Dante lo vivo così. Non lo associo, non voglio, alla martirologicamania degli affrescatori di supplizi che hanno decorato le chiese romaniche: sbudellati, decollati, scuoiati, incornati, seppelliti, graticolati, mutilati ( insomma,più crocifissi di Cristo). Della Divina mi affascina il corpo, non l’anima. Però per affetto a Massimo, aggiungo anche i “miei”versi.

    Lo duca ed io per quel cammino ascoso
    entrammo a ritornar nel chiaro mondo;
    e sanza cura aver d’alcun riposo,
    salimmo su, ei primo ed io secondo,
    tanto ch’io vidi delle cose belle
    che porta il ciel, per un pertugio tondo;
    e quindi uscimmo a riveder le stelle.

    Ciao, Miriam

  16. Ho fatto la maturità quest’anno e come tema ho scelto quello sul saggio breve di ambito scientifico. Dante è l’unico che non avevo ripassato, ho pensato “figurati se mettono Dante…”. Quando il mio prof ha annuncito alla classe in fibrillazione “è uscito Dante, Paradiso, canto di San Francesco…” un grido di disappunto si è levato da tutte le parti, e io avrei voluto andarmene. Solo 2 o 3 alla fine scelsero Dante, si certo il sommo poeta, il padre della poesia italiana ecc ecc… però dai cavolo, era già uscito 2 anni fa e poi io non lo trovo così “attuale”, siamo nel 2007, ripeto 2007, con tutti i grandi scrittori dell’800/900 italiani che abbiamo mi mettono Dante, 1300. Leopardi, Foscolo, Pirandello, Svevo, Calvino… questi sì che sono attuali, ma avete presente l’ultima pagina della Coscienza di Zeno? Non solo è attuale è profetica!
    Questa scelta è simbolo di un attacamento morboso al passato e di un’incapacità ad accettare filosofie più dolorose, ma vere. La maggioranza crede, a mio avviso purtroppo, che sia sempre meglio rifugiarsi in autori e filosofie “sicure” che danno certezze piuttosto che accettare la sfida di altri autori che attaccano quelle certezze.

    Comunque i miei versi preferiti della D.V. sono quelli di Ulisse al XXVI dell’Inferno:
    “Considerate la vostra semenza
    fatti non foste a viver come bruti
    ma per seguire virtute e canoscenza”

  17. Caro Roberto,

    Dante e’ di un’attualita’ straordinaria, come d’altronde tutti i (pochi) grandi poeti che Dio ci ha dato la possibilita’ di veder vivere in Terra e di poter leggere (rispetto agli altri Grandi, ognuno ha le proprie idee; ma Dante, credimi, per noi italiani specialmente ma nondimeno per la cultura di tutto il Mondo, e’ insostituibile ed indispensabile per cosi’ tanti motivi che nessun altro poeta italiano gli starebbe mai a pari, ne’ ora ne’ mai).

    I testi alternativi che tu presenti sono (quasi) altrettanto attuali: peccato che non ci metterei la mano sul fuoco per uno Svevo che venisse letto fra sette secoli. Sara’ ancora attualissimo? Ne dubito fortemente.

    Comunque, tenere alle migliori tradizioni poetiche italiane non significa, a mio modesto e personale avviso, aggrapparsi a dei valori confortanti. Tutt’altro.
    Secondo me significa ”dare a Dante quel che e’ di Dante”.

    Saluti Cari

    Sergio Sozi

  18. ”Un figurativo sfacciato, orrendo, musicale, preciso, sommo e diabolico”. Ovvero Dante secondo Miriam Ravasio.
    In siffatte maniere, dunque, con siffatti tratti fisionomico-spirituali ”irrompe” Dante nei ”tempi plastici di ritrovato stupore, sproporzioni poetiche, allegorie cantilenanti” del suo Trecento – creando, di fatto, la lingua di tutti noi.
    Poi, il tocco finale (l’unica cosa che non condivido del magnifico cammeo che Miriam ci ha donato):
    ”della Divina mi affascina il corpo, non l’anima”.

    Sono grato a Miriam Ravasi per essere con noi. Leggiamola sapendo di aver davanti una persona dalle rare capacita’ analitico-poetanti.
    Solo che La Commedia e’ un po’ come Cristo (mi si perdoni l’osare): non si puo’ distinguerne lo Spirito dal Corpo. O tutto o niente. Io dico tutto.

    Sergio Sozi

  19. Dimenticavo di proporre un paio di domandine (la prima scottante) a tutti gli amici di Letteratitudine:

    1) Voi cosa direste (sulla falsariga dell’analisi di Miriam Ravasio): che Dante e’ uno di noi, in mente, cuore, carne, ossa e spirito; o che Dante e’ il Sommo Poeta – ma niente piu’?
    Insomma: Dante Alighieri come terminus comparationis linguistico e poetico-letterario, fonte storica, riferimento filologico obbligato e nient’altro o… tutto questo e in piu’ una (eventuale) sua ”perenne attualita”’?

    2) Dante e il Mondo – escludendo l’Italia.
    Cosa dire sui rapporti fra l’Alighieri e le culture non-italiane? E’ conosciuto a sufficienza o meno? T.S. Eliot e basta, fra i suoi seguaci?
    Fateci i nomi e motivateli: quali sono i ”figliocci” di Dante altrove?

    A voi le ardue (!!)sentenze.

    Sergio Sozi

  20. O tutto o niente.
    Caro Sergio, mi stai strappando ai colori; predisposti da due giorni, eppure rimando.

    Dante è uno di noi, Dante non rinuncia al Male. Ci viaggia dentro, protetto, ne prende le distanze, ma un po’ ne gode. Se così non fosse come spiegheresti quella battuta (non verso): “poscia, più che il dolor, potè il digiuno”? Che, tragicamente suona come un “abbiamo obbedito agli ordini”, frase più volte e più volte udita.

    Dante ha avuto figli e figliastri. Fra i primi sicuramente collocherei Manzoni,Tolstoj, Dostoevskij e Musil ma anche molti altri; fra i figliastri riconoscerei Celine, Camus ed Hesse. ( per Goethe, che per certi aspetti amo, sono incerta)

    Lo scorso anno, lessi, per dovere, Il purgatorio di San Patrizio di Maria di Francia, scritto nel 1181 (ca.) in lingua d’oil. Testo “bestiale” come i bestiari dei capitelli romanici, primitivo e tenero. L’inferno e il Purgatorio sono descritti come campi piatti , che si susseguono numerosi in uno spazio quasi interminabile, una vasta pianura di pena e di dolore. Ad ogni campo un castigo terribile e la tentazione subdolamente offerta come salvezza, da furbi (ma anche stolti) diavoloni. Un gioco per teatro, un allegoria per spiriti semplici, contadini. Dante, cent’anni dopo, “prorompe” dopo il disincanto ufficializzando l’uomo, nella sua miseria e nella sua potenza.
    Dante è ancora attuale. Ma ai diciottenni parla in un altro modo; ed è meglio che sia così. A quell’età ci si dovrebbe incamminare verso la felicità, che come scrive Ortega, non è una meta ma solo una direzione. La strada è “perigliosa” ma ognuno deve fare il suo cammino.
    Saluti cari, Miriam

  21. caro Sergio, Dante oggi è di attualità perchè Benigni ha deciso di portare in giro per l’Italia Paolo e Francesca, usando la sua popolarità come strumento di diffusione. Prima in pochi consideravano Dante di attualità e quelli che oggi lo declamano perchè sono andati a vedere il Benigni-Dante-Show sanno veramente ben poco del “vero” Dante. Ha ragione Massimo: “Solo che poi sopraggiunge una considerazione: ma questo ritorno a Dante è un ritorno attivo o passivo? Voglio dire, ascoltare i versi della Divina Commedia dalla voce del protagonista de “La vita è bella” è senz’altro una gran cosa, ma quanti di noi ultimamente hanno compulsato l’Inferno, il Purgatorio o il Paradiso?”
    Per me è il Somma Poeta e basta, in Italia è insostituibile ed indispensabile, nel mondo Eliot (in parte anche Joyce) l’hanno studiato. Esaurita la Benigni-carica tornerà da dove è venuto, cioè dagli scaffali dei pochi adepti. Sarò io ma in Dante di attuale ci trovo poco o niente, descrive un mondo medievale governato da valori impossibili al giorno d’oggi; credo che le ragioni della mia diffidenza siano due: 1) vivo a Torino e non a Firenze 2) ho 18 anni. per un adolescente come me che a scuola studia lett ital, e si interessa di essa anche al di fuori delle quattro mura dell’istituto, Dante appare come un “vecchio cristiano sorpassato, impossibile da leggere, morto e sepolto”. Trovo i testi proposti in alternativa molto più appetibili e interessanti per un diciottenne… Dare a Dante quel che è di Dante è una cosa e significa rispettarlo e studiarlo per quel che è, magari fosse così! Ma oggi il modello e l’idea di letteratura che regnano sono quelli di Petrarca… io non metterei la mano sul fuoco per un Dante che tra sette secoli venisse considerato attuale, se già oggi i giovani lo definiscono vecchio… Da quel che ho capito (posso anche sbagliarmi) è che tra me e lei c’è una certa disparità di età e di idee che determinano i differenti giudizi su Dante….

    Cari saluti

  22. Si dice siano i più bei versi della Divina Commedia:

    L’alba vinceva l’ora mattutina
    che fuggía innanzi, sí che di lontano
    conobbi il tremolar della marina.

    sicuramente esprimono alla perfezione il colore ancora incerto del giorno e l’immagine dell’acqua che si incomincia a scorgere, quasi indovinandola, per il movimento delle onde…

    Grande, grandissimo, immenso Dante !!!

    Quanto a Benigni : se riesce a indurre anche un solo spettatore a leggersi autonomamente la Commedia, iniziando un viaggio tra i più affascinanti che la mente umana possa fare, beh, un grazie anche al giullare Benigni …

    Charlotte

  23. non ho nessuna Divina..con me in questo momento, ho portato tutto a scuola ,comunque mi avvalgo della mia memoria, e dico ,” equesto lo sabene il mio dottore” allora penso Sono certa che Dante capisce, Francesca, e no perche luñi a “lo sappia bene” il che non e del tutto vero giacche non sorpasso sino certe piccole regole , non guardare in faccia una dona sposata, non rivolgerle la parola. pero dlui e un uomo medievale e continua a faci credere che punisce anche l,amore , amore che non perdona di amar a chi e amato,. Bene mi sono accostata a quella parte del poema che nessuno ignora. comunque la sua proposta e buona, tanto che domani o dopo mi portero la mia divina a casa a faro uno sforzo di lettura coscente, in qualche brano piu scuro. Inoltre oggi,qui in Argentina siamo tutti meravigliati, anche soffrendo il freddo,.chiache como mai abbiamo , stiamo vedendo nevicare ,sulle strada , sui nonstri tetti, sulle macchine che osano, prendere strada. A presto , Angela E Toma.

  24. Roberto mi ha preceduto, per me i più bei versi i Dante sono quelli del canto di Ulisse, il XXVI dell’Inferno:
    “O frati”, dissi, “che per cento milia
    perigli siete giunti a l’occidente,
    a questa tanto picciola vigilia

    d’i nostri sensi ch’è del rimanente
    non vogliate negar l’esperïenza,
    di retro al sol, del mondo sanza gente.

    Considerate la vostra semenza:
    fatti non foste a viver come bruti,
    ma per seguir virtute e canoscenza”.

  25. perdonatemi se mi associo ad uno dei più diffusi luoghi comuni sulla commedia…ma il canto più brutto è il secondo del paradiso,dove si parla delle macchie lunari…o no?ogni volta che tento di capire quei versi mi risuona nella mente una frase:”non ti curar di lor, ma guarda e passa”che mi invita a proseguire con i canti successivi.

    a parte questa mia patologia del “sentire le vocine”, che mi accomuna a Giovanna D’Arco (ma anche a Robbie Williams, vedi uno degli ultimi post…però secondo me è ancora più grave DelPiero quando parla col passerotto),ho sempre letto più volentieri brani dell’inferno piuttosto che da altre cantiche (soprattutto il bellissimo e attualissimo, già citato, racconto di Ulisse).
    trovo i dannati molto più “forti” simbolicamente (direi quasi “eterni”)rispetto ai personaggi successivi…quelli che Dante incontrerà senza Virgilio…e poi sono molto più struggenti i vizi dei dannati, che non le perfezioni angeliche dell’ultima cantica (vedi Paolo&Cesca…che sembrano quasi discolparsi dando la colpa alla forza d’Amore)…certo che anche il bellissimo canto VI del paradiso (con il confronto fra un illustre,come Costantino, e “uno qualunque”, Romeo)vuole la sua parte
    …ovviamente le mie sono considerazioni soggettivissime, senza pretesa di verità alcuna!

    ciao a tutti

  26. “O frati”, dissi, “che per cento milia/perigli siete giunti a l’occidente,/a questa tanto picciola vigilia/de’ vostri sensi ch’è del rimanente/non vogliate negar l’esperienza,/di retro al sol, del mondo sanza gente./Considerate la vostra semenza:/fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”

    Credo che il canto di Ulisse sia il più poetico di tutto l’Inferno dantesco. E’ il canto più epico, più avventuroso, più commovente. Una grande interpretazione di un eroe che nella memoria collettiva resterà il malconsigliere per eccellenza, ma anche il protagonista dell’ “Odissea”, quell’indimenticabile poema che ancora ci fa sognare e che resterà un capolavoro eterno.

  27. I dannati sono più interessanti perchè decisamente più “umani” delle anime beate, ancora carichi come sono di tutti i loro odi e rancori, delle loro passioni terrene.
    Ai tempi (ormai lontanucci, purtroppo…) della scuola trovavo il Paradiso decisamente noioso.

  28. dei remi facemmo ali al folle volo

    vi invito a rileggervi il capitolo di Se questo è un uomo dedicato al canto di Ulisse

    una rilettura di Dante che fa amare in maniera straziante in una volta sola Dante, Omero, Ulisse, Primo Levi, la letteratura…

  29. Ringrazio tutti per i vostri bellissimi commenti.
    E’ stato un onore e un piacere leggere “i vostri” versi danteschi.

    @ Roberto.
    Capisco il tuo punta di vista e attendo la risposta di Sergio Sozi (che arriverà non appena il buon Sergio rientrerà dalla breve vacanza). Io ti posso dire che sono convinto che tra una ventina d’anni cambierai idea. È esperienza di quasi tutti.
    Il post è aperto per eventuali ulteriori contributi.

  30. Massimo, se cambierò idea è perchè non avrò più 18 anni… 😉 Comunque anch’io voglio fare i complimenti a tutti… questo post è veramente interessante e coinvolgente

  31. Quando vidi il guardo luminoso / del Massimo Itano Navigéro, / che fin allora il Monte avea ascoso, / i’ riconobbi in lui il lume vero / che di sapere amor avea nel volto: / Trascinator d’idee e di pensiero / di rettorica e arti assai colto / ci condusse insieme al suo destriero / sul cammin d’Elicona appena svolto.
    Dante, Limbo, frammento XI.

  32. @ Roberto:
    grazie da parte di tutti per il “veramente interessante e coinvolgente”. 🙂

    @ Gianmario Ricchezza:
    Sei un grande, Gianmario! Quasi nessuno è al corrente dell’esistenza del quarto libro della Commedia: il mitico Limbo.
    E grazie per avermi dedicato un frammento del canto XI (uno dei più belli). Mi fai arrossire.
    E da oggi in poi sarò… “il Navigéro”!
    Olé! 😉

  33. Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
    e la quarta levar la poppa in suso
    e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
    infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso

    Quando diversi anni orsono andavo alla ricerca di reminiscenze tematico, lessicali e situazionali, necessarie alla stesura del mio lavoro di tesi in filologia dantesca presso Ca’ Foscari (La presenza dantesca nei canti di Giacomo Leopardi), non potei fare a meno di notare che Leopardi, nei momenti di maggiore ispirazione, non si affidava al modello dantesco, ma esternava le proprie emozioni e i suoi pensieri più profondi con naturalezza, affatto intaccato in qualche modo da altri autori. Questo avveniva in maniera particolare negli Idilli, di cui L’infinito era cronologicamente il primo. Nell’analisi di questa lirica, a me particolarmente cara, non potei fare a meno di notare una realtà oggettiva. Dopo aver descritto il paesaggio familiare e la siepe, limite alle potenzialità umane e simbolo della vita umana circoscritta, il Poeta di Recanati aveva esposto una possibilità di fuga, di conoscenza, coincidente proprio con l’idea d’infinito. Lo stesso infinito nel quale, grazie all’immaginazione, l’uomo può perdersi e scoprire ciò che ci è precluso in quanto essere umano e limitato. Ed è proprio in questa immensità, paragonata ad un mare sconfinato, che il poeta si perde in un piacevole naufragio: “e il naufragar m’è dolce in questo mare” diviene a suo modo il piacere immenso per la conoscenza assoluta. La mia attenzione si era concentrata proprio su quest’ultimo verso: mi richiamava alla mente la chiusa del canto XXVI dell’inferno: “infin che’l mar fu sovra noi richiuso”. Il probabile (anche se non certo) recupero dell’immagine infernale, legato all’idea del naufragio, era per me avvalorato da ciò che quel mare e quel naufragio avevano rappresentato per il Sommo Poeta: il mare rappresentava il limite della conoscenza e dell’esperienza (come la siepe), e il naufragio era il valicare questo mare e il giungere alla conoscenza (come in Leopardi), a qualsiasi costo. Il verso di Dante si inseriva a splendida conclusione del racconto di Ulisse e del suo “folle volo”, il volo che lo aveva spinto a varcare le colonne d’Ercole, simbolo dell’inesplorabile, il volo che lo aveva costretto a sfidare perfino Dio (e pertanto Dante lo punisce) per conoscere ciò che stava al di là del tangibile: ciò che era proibito. Non ero affatto certo di questo richiamo, ma sentivo che c’era un’attinenza, pur trovandomi di fronte due autori assai diversi (un Dante cristiano che punisce la sfida verso Dio, e un Leopardi materialista che concede all’uomo di osare). L’immagine del mare e quella del naufragio, in entrambi i Poeti veniva per me a rappresentare il mare magnum dell’indistinto, oltre al quale i quesiti della vita possono rimanere insoluti e i nostri sforzi vanificati dalle disillusioni. Anche il mio, in qualche modo, era stato un “folle volo”? Forse si, anche se fu apprezzato. Io, in ogni caso, mi ero divertito un mondo nel voler a tutti i costi confrontare due colossi che non si potevano più difendere dalle mie smanie di conoscenza. Viva Dante…e perché no: viva anche Giacomo!

  34. Caro Alessandro,
    i miei più sinceri complimenti per questa tua originale disamina su Dante/Leopardi! Bravo!

  35. Salve a tutti, dopo aver letto tutti gli interventi (con la pelle d’oca, per quanto sono belli i versi citati), vorrei proporre un frammento del Purgatorio, dal canto XXVI, poco conosciuto forse, ma uno dei miei preferiti.
    Dante, nella settima cornice, incontra il trovatore Arnaut Daniel, che Guido Guinizzelli definisce “miglior fabbro del parlar materno” (il miglior poeta occitanico) e aggiunge “Versi d’amore e prose di romanzi / soverchiò tutti; e lascia dir gli stolti / che quel di Lemosì credon ch’avanzi” (quel di Lemosì che gli stolti preferiscono è Guiraut de Bornelh).
    Dopo queste lodi è proprio Arnaut Daniel che risponde in provenzale. E’ l’unico passo in cui Dante dimostra di padroneggiare una lingua straniera contemporanea (all’epoca la lingua d’oc era ben viva!) e ciò è straordinario.

    Io mi fei al mostrato innanzi un poco
    e dissi ch’al suo nome il mio disire
    apparecchiava grazioso loco.
    El cominciò liberamente a dire:
    “Tan m’abellis vostra cortes deman
    qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.
    Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
    cossiros vei la passada folor
    e vei jausen lo joi qu’esper, denan.
    Ara vos prec, per aquella valor
    que vos guida al som de l’escalina,
    sovenha vos a temps de ma dolor!”
    Poi s’ascose nel foco che li affina.

    Pg, XXVI, 136-148

  36. Ho ritrovato qui, dopo mesi, la convinzione di un tal Roberto che Dante non sara’ piu’ attuale fra sette secoli. Roberto ammetteva di aver diciott’anni e dunque diceva ”sicuramente se gia’ oggi i giovani lo considerano vecchio e illeggibile, figurati fra settecent’anni!”
    Ecco. Bene. Sono con Maugeri, il quale rispondeva, in pratica: aspetta ragazzo… cresci e poi vedrai.
    Aggiungo personalmente: leggi Dante. Anzi leggetelo, diciottenni di ogni dove. Se non lo leggerete la vostra vita sara’ diversa. O meglio: se non lo leggerete la vostra vita sara’ la stessa. La stessa miseria di oggi, in quest’epoca di meningi, cuori e anime limitati e ottusi.
    Dante apre il mondo e l’Ultramondo a chiunque lo voglia. Cercate di volerlo quanto prima, e’ meglio per voi.
    Sozi

  37. A TUTTI: andatevi a riguardare il contributo eccellente di Cecilia, qua sopra. Peccato non averla piu’ sentita qui da noi.
    Sergio

  38. Ringrazio Enrico per aver riesumato questo post dopo la trasmissione di Benigni e dopo le gioiose lacrime di Sergio (e le sue, le mie, e quelle di ‘milioni di italiani’). Come sapete vi conosco solo dai ‘2 libri da salvare’ e questa stanza mi era sconosciuta. Stanotte volevo scrivere subito a Sozi, per dirgli non so neanche cosa tanto ero colpito sia dalla lectura dantis che da quanto aveva così immediatamente voluto comunicarci lui (Sergio) subito dopo la trasmissione; poi il Buon Maugeri ha lanciato l’invito a spostarci qui ed io ho fatto le ore piccole a leggere, a ritroso, i bellissimi post sovrastanti, senza trovare la capacità di scrivere nulla e andandomene, alla fine, a dormire.
    Poi stamattina leggo un breve stralcio che qui riporto:

    Questo mi fa subito incazzare, poi, dopo poco, colgo il senso di quanto tuttto questo sia in realtà estremamente comico:
    – SERMONTI che dà lezioni sulla severità di Dante ai lettori di SORRISI E CANZONI TV e censura Benigni.
    – IL GIULLARE BENIGNI che dal video della RAI parla per 3 ore di fila, senza nessuna interruzione pubblicitaria, che ci comunica il SENSO DEL DIVINO. E ce lo fa cogliere trasmettendoci, con la facilità che è necessaria e tuttavia sorprendente, tutto il suo AMORE per Dante.
    Che è quello che ci fa sentire per un attimo in COMUNIONE: non nel senso strettamente cristiano (che invece poi dovrebbe essere la stessa cosa), ma in quello universale, al contempo umano e divino (con o senza Dio).
    Ma questo nessuna chiesa, nessun Papa, nessun Sermonti è in grado di capirlo (o almeno di comunicarcelo). Era stato in grado Dante. Lo è stato, ieri sera, Benigni.
    Con affetto
    Carlo Speranza

  39. …’azz.., neanche stavolta: c’è qualche problema e ci riprovo :

    Sullo sfondo anche un po’ di polemica. Come quella lanciata qualche giorno fa Vittorio Sermonti, studioso e divulgatore del capolavoro dantesco. “Questo non è un buon servizio fatto al Poeta e nemmeno agli ascoltatori – ha affermato nell’intervista rilasciata al settimanale Tv Sorrisi e Canzoni – Dante è duro e severo e ci vuole durezza e severità per capirlo. Un’operazione delicatissima, che non si può fare alla buona”

  40. Beh, se diovuole ce l’ho fatta. Forse era Sermonti che si vergognava e possiede arti sconosciute. Forse sperare che un Sermonti si vergogni è pura fantascienza.
    CS

  41. Anch’io ho pianto ascoltando ieri sera Benigni che recitava il canto dedicato a Paolo e Francesca. E non sono una facile alle lacrime. Mi è pure venuta la pelle d’oca. Dante è un patrimonio mondiale senza tempo. E Benigni un grandissimo artista.

  42. A parer mio, il fatto che Sermonti sia un ottimo dantista non toglie il fatto che ottimo lo sia anche Benigni. Polemica stupida.
    S.

  43. Pero’ Benigni sa darci anche quanto segue: l’orgoglio di esser fatti tutti, noi italiani, della stessa ”pasta” del Sommo Poeta; la sensazione razional-emotiva che il Cristianesimo sia una delle nostre principali radici storiche, ben viva nell’attualita’; l’armonia del corpo che – tramite l’amore divino in senso cattolico – si unisce cristianamente all’anima e alla razionalita’ scientifica.
    Questo e’ quanto era nella lettura di Benigni di iersera, a mio modesto avviso.
    Sozi

  44. Io non ho pianto perché avevo già i miei problemi con la schiena, però ieri sera è stata veramente una bella serata! Più per la lunga introduzione che per la “lettura” del canto, un Benigni emozionato che mi ha fatto dimenticare quella bruttissima cosa del Pinocchio. Dante bisogna rileggerlo, anzi impararlo; forse Benigni sta già facendo tendenza, soprattutto fra chi non è abituato, non si accosta abitualmente, alla letteratura e alla poesia. Comunque, Sermonti è strordinariamente bravo. Non conosco le polemiche e non voglio nemmeno conoscerle; ho sentito Sermonti dal vivo ed è stata un’esperienza da togliere il respiro. Va detto che Sermonti legge per chi conosce, Benigni invece è un divulgatore popolare.
    A presto!

  45. Condivido pienamente sia quanto detto da Carlo che quanto detto da Sergio. Mi accodo però alla importante differenza che fa Miriam tra Sermonti che legge per chi conosce e Benigni che legge per tutti per esprimere la necessità assoluta di entrambi. Di Sermonti ho letto (devo confessare più volte) l’Eneide ed ogni volta che lo faccio scopro che può darmi qualcosa di più.
    Su Dante non vorrei dilungarmi se non per professare un “amore” incondizionato che mi porto dietro dai tempi della scuola. Dante bisogna usarlo come esercizio quotidiano e se anche non si appartiene all’area geografico-culturale del “dante-a-mente” si uò quanto meno prenderne una dose giornaliera come corroborante dello spirito, dell’anima e dell’orgoglio di essere italiani. Il mio canto preferito comunque è il XXX del Purgatorio. IL punto di svolta (…altro che Capra), ma ne parleremo un’altra volta.
    Chissà quando gli italiani si “faranno” ancora di Dante come ieri sera…

  46. Non per schematizzare ma, in definitiva, credo si debba rispondere a due semplici domande:
    1- dante alighieri se l’è cavata a scrivere la sua commedia?
    2-quando benigni la legge, trasmette emozioni oppure no?

    Chi risponde sì a entrambe le domande non ha problemi. rimarrei favorevolmente colpito da chiunque sapesse leggere Dante con tanta partecipazione. Per cui va bene Benigni così come andrebbe bene una pornostar, qualora fosse in grado di interpretare e trasmettere ciò che legge

  47. Certo, Carlo e Miriam… Sermonti e’ Sermonti. Ma una divulgazione di alto livello come quella di Benigni resta fondamentale.
    S.

  48. Lungi da me l’idea di criticare Sermonti come dantista. Ma mi urta, e non poco, la sua idea (preconcetta ?) “non è un buon servizio fatto al Poeta e nemmeno agli ascoltatori “; mi imbufalisce questo voler prendere le distanze, mi sorprende il suo timore di un’invasione di campo.
    Non era mia intenzione accendere alcuna polemica e mi associo totalmente nel riconoscere la necessità sia dell’uno che dell’altro. Che proprio Sermonti non lo riconosca però continua a stupirmi.
    Carlo Speranza

  49. Cosa vuoi farci, Carlo: gli accademici sono il sale della Letteratura, ma sono fatti cosi’ – alcuni di loro, non tutti.
    S.

  50. Cari amici, secondo voi, il sommo Dante, in che girone avrebbe scaraventato quel cretino, quel criminale, quel Niente di talento, che a caccia di collezionisti e di consensi, ha “installato” un cane legato ad una catena troppo corta perché potesse raggiungere la ciotola del cibo?
    Filmando l’opera, ora dopo ora : cane vivo, morente, poi morto; catena corta e ciotola di cibo.
    E’ successo in Costa Rica e Nico Orengo, domenica 25 novembre, ne ha parlato su La Stampa.
    Eventounico, Carlo, Sergio: ditemi, in che girone? (a quale pena destiniamo “l’artista”, il gallerista, la Biennale e i critici che riescono a giustificare ogni -scusatemi il termine- puttanata?)

    Sto guarendo!Credo.

  51. In merito al promesso intervento di Maugeri mi viene in mente un cartello pubblicitario affisso su un palo dalla parti di casa mia.
    “Vendo Ford Fiesta, dieci anni di vita, leggermente incidentata e con tappezzeria da rinnovare. Cinquemila euro trattabili. Telefonare a Franco, ore pasti”.
    Qualcuno aggiunse a pennarello:
    “A Fra’, magna tranquillo”

  52. Cara Miriam, il sadismo puro non e’ contemplato da Dante: anche l’Inferno ha un fondo!
    Sergio

  53. Io mi contenterei di vedere l’ ”artista” in galera per molti anni assieme agli stupratori, i pedofili e i delinquenti della peggior risma. La legge oggi dovrebbe arrivare dove nemmeno Dante oso’!
    S.

  54. Tutti CANI, Miriam, bastardi per giunta. Meriterebbero analogo destino, altro che chacchiere da blog e leccate di culo a chi è più visibile. Purtroppo è inutile parlarme, sono tutti prostituiti per un gettone di notorietà. Basta che ti guardi intorno la dinamica dell’esserci è imperante ed anche i più insospettabili, coloro che hannola faccia pulota o un lavoro umile, leccano l

  55. (interuziine collegamento) ed anche i più insospettabili, coloro che hanno la faccia pulita o un lavoro umile, leccano la strada davanti a quelli che che credono potranno dargli notorietà. il resto è niente, masturbazione di blatte.

  56. Beh, Evento, non esageriamo: diciamo solo che la pazzia e la mitomania – che fa parte della psichiatria – sono imperanti in Italia insieme a sadismo, opportunismo e perfidia psicotica. E, grazie ai cosiddetti avanguardisti da quattro soldi, anche nelle arti.
    Ma molti si salvano, moltissimi. Amor omnia vincit.
    Intanto noi mandiamo in galera gentaglia simile e guardiamo ad altro: miriamo almeno a migliorare l’Italia, che questo e’ il nostro Paese. E quell’ ”artista” non e’ per fortuna italiano.
    Sergio

  57. Su come la patente di arrtista venga data spesso a cani e porci, cara Miriam, avevamo già parlato in altro post, e non mi dilungo oltre. A qualcuno andrebbe ritirata quella di essere umano. Evento centra il punto di una società (la nostra) sempre più dedita alla prostituzione, dove la notorietà appare l’unico antidoto al reale vuoto interiore.
    Masturbazione di blatte dice efficacemente lui; di amebe direi quasi io per sottolinearne anche l’assurdità.
    L’umanità esiste ancora fortunatamente però, e questo è necessario ancora prima dell’arte vera; ed è in coloro che hanno tentato di reagire e porre fine allo scempio di quel cane, creatura realmente divina nella nostra mente e così superiore a colui che lo esponeva; lo è in tutti coloro ancora capaci di provare orrore, pietà, amore; ed è nei tanti italiani che hanno provato commozione alla televisione ieri sera.
    ciao,
    Carlo

  58. L’umanita’ e’ l’arte. Ma mi esprimero’ meglio: l’arte esprime l’umanita’ del momento, essa e’ la cartina al tornasole dell’epoca storica e della sua sensibilita’ piu’ generale. Se l’arte e’ malridotta, siamo malridotti tutti noi, eccetto pochi ”pazzi-sani”: quegli artisti che sublimano il cuore, e che sono contrapposti ai sanguinari vigliacchi da quattro soldi che si contornano di altri pazzi-sanguinari che ne legittimano l’inesistente artisticita’. Insomma ”pazzi-pseudoartisti” e ”pazzi-veri artisti”. Il difficile, per molte persone comuni, e’ capire chi sia ”pazzo-sano” e chi ”pazzo-insano”. Chi pazzo ed artista di Dio, come Sant’Agostino, e chi pazzo del diavolo. O artista del diavolo.
    Ma noi dobbiamo distinguere. Lo dobbiamo.
    Sergio

  59. Sergio, il difficile per molte persone è liberarsi di sé stessi, uscire da un nihilismo che tutto battezza aspergendo ogni cosa con la melma attinta all’acquasantiera dell’immagine. Non esiste più nemmeno un sarcasmo verso i pensieri onesti, una retorica della rettitudine, una ironia della diversità. Esiste nei più un assolutismo della vacuità nella quali ogni enfasi del sé appare lecita. Virgilio “n’a lasciati scemi di sé, dolcissimo patre”, ma non per rivolgere noi stessi a Beatrice e per suo tramite farci divini. Non abbiamo più bisogno di astrazione dal momento che ogni nostro desiderio è già contemplato, da altri, nei palinsesti. Ci restano solo parole senza pathos, avendone perso il valore semantico.

  60. Eventounico, ci dici che: ”Virgilio “n’a lasciati scemi di sé, dolcissimo patre”, ma non per rivolgere noi stessi a Beatrice e per suo tramite farci divini. Non abbiamo più bisogno di astrazione dal momento che ogni nostro desiderio è già contemplato, da altri, nei palinsesti. Ci restano solo parole senza pathos, avendone perso il valore semantico.”
    Ecco. Io non so. Forse io e te viviamo in luoghi diversi, perche’ a me sembra che Virgilio e Dante siano ancora con noi, dentro o alle spalle delle persone, degli italiani. Il nichilismo delle ”perdute genti” e’ sempre esistito cosi’ come, a far da contraltare, la forza vitale e condivisa delle parole. Il ”valore semantico” delle parole e’, si’, spesso polisemico, dunque ambiguo, oggi piu’ che nel passato (parliamo dell’Italia, ovviamente), ma sta’ tranquillo che un ”senso comune”, un ”luogo comune” esiste sempre in ogni campo semantico. Solo che la vacua insanita’ si e’ impadronita di un bel pezzo della nostra Patria, dunque il ”territorio” da liberare dalla cretina follia dei ”palinsesti” che tu citi e’ maggiore. Tranquillo: in Italia i Vati nascono e rinascono. Siamo una Nazione Sacra. Ieri D’Annunzio, Pascoli, Carducci, Sapegno, De Sanctis e Croce, Binni. Oggi ci pensano (per le masse) persone di cuore e intelletto come Benigni e (per le piu’ avvertite) altri come Sermonti, Contini, eccetera. Tranquillizzati ed esci dal circolo vizioso dell’Italia scialba. E’ solo un frammento, non l’intero. L’intero sta nel nostro cuore, in Dante e nella nostra capacita’ di difenderne la grandezza. Fuori e dentro l’Italia. Vivendo in Italia o fuori (come me). In ogni caso, diamo a chi amiamo l’opportunita’ di sperare e gioire. Gioia. E che i pazzi vadano in manicomio, anche se il manicomio dovesse diventare tanto grande da escludere solo noi e dunque metterci in dubbio di sanita’ mentale. Se siamo con Gesu’ Cristo e con i suoi difensori, stiamo sempre dalla parte giusta.
    Tuo
    Sergio

  61. Riapro questo post, perché l’altra sera ho rivisto Benigni sul Canto di Paolo e Francesca e la mia impressione è cambiata; Benigni ci presenta un Dante fenomeno, e in un certo senso questo è anche vero, ma Benigni è un comico, e il Sommo, alla fin fine è molto più simile ad un funambolo che ad un geniale creatore. Se Allah è Il Misericordioso, il Dante presentatoci, è sicuramente Il Fantasioso.
    “Pensate” dice il comico, che idea ha avuto quest’uomo, “cosa si è inventato”, ma come “l’ha trovata una parola così?” … “aveva tutto nella sua testa”… “Paolo piangeva…”
    Benigni ci raffigura un Dante che da solo, in preda ad un’immaginazione incontrollata (quasi un delirio) ha inventato tutto da sé. Prima di lui c’era solo il deserto e gli uomini non avevano sentimenti ed emozioni. Dante ha inventato l’amore, la paura, il rispetto, lo stupore, il desiderio, l’invidia. Prima di lui gli uomini erano solo bestie!
    Ma dai, Benigni, che cosa ci racconti? Dante non aveva occhi? Dante non aveva mai visto la scultura che arredava le chiese e i muri. Quelle forme di pietra simili al verbo? Che raccontavano, emozionavano, divulgavano il pensiero e lo spirito del tempo?
    Una pietra animata, che nei secoli successivi ha offerto, ai creatori di immagini e delle storie, spunti e riferimenti. Le sculture dei capitelli, gli altorilievi dei fregi raccontavano i sentimenti degli uomini; “le immagini erano così realistiche ed esplicite che nessun osservatore poteva rinunciare, vedendole, a fare un veloce bilancio della propria vita”. Tolkien e Disney , ognuno nel suo genere, si sono ispirati con grande evidenza all’espressività naturale di quelle opere.
    Pensiamo alla Morte di un papa mentre è in bagno, a quella descrizione particolareggiata di un atto semplice e naturale, raffigurata da un papa seduto e intento ai bisogni, con i diavoloni occupati a rapirgli l’anima e nella stessa scena c’è spazio anche per la lotta politica della successione. E i Magi del Monastero di Sant Lazare? Ritratti mentre dormono, coperti da una stuoia in un espressione assolutamente naturale e quotidiana. Pensiamo alle sculture di Bonanno e Nicola Pisano; a quelle espressioni dell’anima così intense e tenere da farci rabbrividire e umiliare, per quel senso di pace e di purezza che, integro, ha attraversato i secoli. Ma, possiamo tornare indietro e soffermarci alle composizioni della colonna Aureliana o al Sarcofago di Giona a Siracusa; Dante non era ancora nato, ma le espressioni dei corpi e dei visi sono simili a quelle che, secoli dopo, avrebbe descritto nei suoi canti.
    Vanno bene queste trasmissioni su Benigni, a patto però di ricordarci, sempre, che tutto non avviene per caso o per immaginifica ispirazione, niente è “avulso” e tutto è parte di un meccanismo lento, complesso, che gli uomini, nonostante tutto, mettono in moto e alimentano con il proprio spirito e il loro sentire.
    Ciao

  62. Magnifico excursus storico-artistico, Miriam. Concordo appieno. Solo una ”piccola” mancanza: la Letteratura (poi Tolkien e Disney parlando del Sommo mi sembrano dei rimandi alquanto inadeguati, dico esprimendomi eufemisticamente). Allora ricordiamo, fra gli scrittori collegabili nelle piu’ varie maniere al Sommo, in primis Brunetto Latini (ossequiato nella Commedia – Inferno – da Dante stesso e da Lui riconosciuto come suo maestro), poi ancora Guido Guinizelli, Guittone d’Arezzo, Giacomino da Verona (l’autore del ”De Jerusalem coelesti” e del ”De Babilonia civitate infernali”, opere molto vicine al viaggio dantesco). Fondamentale, inoltre, Bonvesin de la Riva e il suo ”Libro delle tre scritture” (identico argomento). Eccetera.
    Ma, come tutti dicono e pensano – compreso il bravissimo Benigni – la Divina Commedia (o ”Comedia” nella titolazione originale dell’Autore: il ”Divina” risale al 1555 ad opera del letterato Ludovico Dolce) fu cosi’ nuova e compiuta, riassuntiva e personale allo stesso tempo, da far dimenticare la storia letteraria precedente. Opinione che e’ anche la mia e di Roberto Benigni. Certe opere sono dei miracoli e la Commedia e’ fra queste. Senza dubbio.
    Sergio Sozi

  63. P.S.
    Senza nulla togliere al tuo mettere in chiaro la logica e appurata concatenazione di eventi della storia umana (anche artistico-letteraria), dove, dici, ”niente nasce da niente”, va detto che opere come quella dantesca sono talmente forti e complete da sembrare apparse per voleri soprannaturali. Mica come Erripottere…

  64. Sul termine “Divina” a me risulta quanto segue:

    Probabilmente il titolo originale dell’opera fu Commedia, o Comoedìa, dal greco κωμῳδία, “comodìa”. È infatti così che Dante stesso chiama la sua opera (Inferno XXI, 1-3), ed inoltre il nome Commedia appare usato nella sua Epistola (sulla quale però vi sono dubbi di paternità) indirizzata a Cangrande della Scala, a cui il poeta dedica il Paradiso. In essa vengono addotti due motivi per spiegare il titolo conferito: uno di carattere letterario, secondo cui col nome di commedia era usanza definire un genere letterario che, da un inizio difficoltoso per il protagonista, si concludeva con un lieto fine, e uno stilistico, giacché la parola commedia indicava opere scritte in un linguaggio basso e non pretenzioso. Il poema incarna, infatti, entrambi questi aspetti: dalla “selva oscura” del secondo verso, da cui traspare l’animo contrastato del poeta (che è anche il protagonista), si passa alla redenzione finale, alla visione di Dio nel Paradiso; e in secondo luogo, i versi sono scritti in lingua volgare, la lingua bassa, disprezzata dai letterati del tempo perché, a lor dire, priva di ogni nobilitazione formale.

    L’aggettivo Divina fu usato per la prima volta da Giovanni Boccaccio in una sua biografia dantesca, Trattatello in laude di Dante del 1373, circa 70 anni dopo il periodo in cui, si pensa, sia stato scritto il poema. La dizione Divina Commedia, però, divenne comune solo da metà del Cinquecento in poi, quando Ludovico Dolce, nella sua edizione critica del 1554, riprese il titolo boccacciano.

    Il nome Commedia appare solo due volte all’interno del poema, mentre nel Paradiso Dante lo definisce “sacro poema”. Dante non rinnega il titolo Commedia, anche perché, data la lunghezza dell’opera, le cantiche o i singoli canti, vennero pubblicati volta per volta, e l’autore non aveva la possibilità di revisionare ciò che già era stato reso pubblico. Il termine “Commedia” dovette sembrare riduttivo a Dante nel momento in cui componeva il Paradiso, in cui lo stile,ma anche la sintassi, sono profondamente cambiate rispetto ai canti che compongono l’Inferno. Il discorso sulle palinodie, ovvero le correzioni che Dante fa all’interno della sua opera, contraddicendo sé stesso ma anche le sue fonti, è molto più vasto ed esteso.

  65. Sul ”niente nasce da niente” sono anch’io d’accordo con te, Miriam; però è anche vero che la “Commedia” di Dante ha avuto una forza talmente dirompente da imprimersi nell’immaginario collettivo globale rafforzando, se non in alcuni casi “determinando”, le abituali visioni di Inferno, Purgatorio e Paradiso giunte fino ai nostri giorni.

  66. Alle 23 su Raiuno dovrebbe esserci Benigni che legge un canto dell’Inferno (forse il VI).
    Date un’occhiata, chi può… poi commentate le impressioni qui (se vi va).
    Ciao
    😉

  67. Massimo, hai precisato che
    ”La dizione Divina Commedia, però, divenne comune solo da metà del Cinquecento in poi, quando Ludovico Dolce, nella sua edizione critica del 1554, riprese il titolo boccacciano.”
    Io ho tagliato corto, per esser sintetico, evitando di riassumere la genesi del ”Divina”. Cosa che tu hai fatto e per la quale ti ringrazio. Insomma, a riassumere, io ho detto che il titolo divenne ”La Divina Commedia” solo nel 1555 e cosi’ fu. Prima si trattava di un commento del Boccaccio, poi nel 1555 divenne il titolo dell’opera. Sono stato preciso e sintetico.

  68. E adesso tutti a sentire quel Toscanaccio! (Io non posso: devo lavora’!)
    Bacioni a Miriam e Maugger

  69. a me dante piace molto…sarà anke la mia professoressa ke riesce a farcelo amare…metto una poesia presa da’la vita nova’ cn alcuni riferimenti al dolce stil novo,versi scritti prima della divina commedia.
    NE LI OCCHI PORTA LA MIA DONNA AMORE

    “Nelli occhi porta la mia donna amore,
    per che si fa gentil ciò ch’ella mira;
    ov’ella passa,ogn’om ver lei si gira,
    e cui saluta fa tremar lo core,

    sì che,bassando il viso,tutto smore,
    e d’ogni suo difetto allor sospira:
    fugge dinanzi a lei superbia ed ira.
    Aiutatemi ,donne, farle onore.

    Ogne dolcezza,ogne pensero umile
    nasce nel core a chi parlar la sente,
    ond’è laudato chi prima la vide.

    Quel ch’ella par quando un poco sorride,
    non si pò dicer nè tenere a mente,
    si è novo miracolo e gentile”

    stupenda ma difficoltosa l’analisi testuale ke sto facendo adesso!!!

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