Novembre 15, 2024

301 thoughts on “TU NON DICI PAROLE di Simona Lo Iacono

  1. Allora… questo romanzo “Tu non dici parole” di Simona Lo Iacono è proprio da leggere e acquistare…
    Fidatevi!
    Come direbbe l’amico Gian Paolo Serino: soddisfatti o rimborsati.

  2. Sul romanzo d’esordio di Simona mi sono gia’ espresso per altra – e diversa – via.
    Hic et nunc, confermo la validita’ del romanzo – del quale sto finendo la lettura, ecco il motivo della mia ritrosia: non sono solito sbilanciarmi prima di aver pesato sentimenti, pensieri e parole. Almeno non in ”veste di critico”. Ma dopo, forse, provero’ a farne un bilancio complessivo. Prima ci lavoro sopra, poi parlo, se no sono chiacchiere. Che se le porta via il vento.

  3. Maugeri, oggi è un gran giorno per il tuo blog. Tra qualche hanno potrai raccontare ai tuoi nipotini di questo evento. Finalmente ne hai imbroccata una giusta. (Vado a farmi tre cornetti con la marmellata e un caffè).

  4. @ Simo
    Ti faccio tantissimi complimenti per questo libro, che sarà il primo di una lunga e fortunata serie (non ho dubbi).
    Avremo modo di parlarne a lungo nell’ambito di questo post.
    Intanto ti chiedo… come hai vissuto (e stai vivendo) l’esperienza dell’esordio?

    (A beneficio dichi non lo sapesse dico che Simona ha già pubblicato diversi racconti, ma questo è il suo primo romanzo)

  5. Ponete pure domande a Simona…
    Intanto vi invito a riflettere (e a discutere) sul ruolo della parola. E sulla sua importanza.
    Quante persone – tra cui scrittori e intellettuali (ma non solo) – hanno pagato, stanno pagando, o pagheranno, sulla pelle… il peso delle loro parole?

  6. Argomento intrigante. Pennellate fosche nel nero paesaggio etneo. Guizzi di luce poi, immagino, la morte. Mi piacerebbe saperne di più su questo romanzo della Lo Iacono.

  7. Io questo libro l’ho recensito, quindi ho già espresso in altra sede la mia opinione. Ribadisco che sono stato favorevolmente colpito soprattutto dal linguaggio potente e visionario che Simona adopera nel romanzo. Mentre scorrevano le pagine ho rivisto Marquez di “Cent’anni di solitudine”, la Silvana La Spina dei primi romanzi. Anche certe atmosfere cupe di Landolfi. Tutto questo detto senza voler cercare a tutti i costi capostipiti. La Lo Iacono fa uso di mezzi espressivi, a mio parere assolutamete innovativi, forte anche delle sue conoscenze giuridiche e di una sensibilità particolare che la portano a scavare dentro l’animo dei suoi personaggi. Affronta i grandi temi della vita, della morte, dell’amore. La spiritualità, la fede, il bene e il male. Le parole come gioielli dentro uno scrigno, da farne dono, carezze per i diseredati. colpi di frusta per i potenti. Guardate che è una metafora straordinaria. Suor Francisca le cerca, le trova, le ruba, le regala per lenire sofferenze, per insegnare alla gente a difendersi dai soprusi. Le parole sono portatrici di un mistero arcano, sono magia e incanto, bestemmia e purezza. Chi non ne sa fare uso le combatte. E l’arcivescovo Angimbè per sbarazzarsi di Francisca la condanna al rogo. ”Tu non dici parole” è un romanzo sospeso tra misticismo e superstizione, tra reale e fantastico, tra verità e leggenda, tra mistero ed esoterismo, che attrae nel suo vortice lento ed ammaliante. Il clima sospeso e rarefatto, impregnato di mistero; il ritmo incantatorio, una scrittura lirica e visionaria di presa immediata, che incide nell’animo dei lettori, lo stile personalissimo e inconfondibile, ne fanno il prezioso atto di battesimo di una scrittrice destinata a far parlare di sè.

  8. Permettetemi di salutare il caro Salvatore Spoto, grandissimo esponente della scrittura siciliana, prestato ai romani. Ciao Salvatore.

  9. Caro Massimo,
    grazie della cura e dell’attenzione dimostratami!
    E grazie anche a te, mio carissimo Salvo.
    Come entrambi sapete, il tema delle parole è per me uno dei più cari. E non solo perché la parola ci immette nel segreto della creazione, della sintesi con l’altro.
    Ma anche perché la parola è seduzione, incantamento.
    Più che un ladro di parole, lo scrittore è un cleptomane, una vittima dei suoi stessi furti. Non ruba perché sente l’estraneità di ciò di cui si appropria. Ma perché – al contrario – ne annusa un’affinità profonda. Una dilatazione col senso delle cose. E una assordante necessità.
    La mia Francisca Spitalieri lo avverte con maggiore intensità perché non ha alcuna “educazione” al linguaggio. E’ un’esposta che non sa leggere né scrivere.
    L’unico modo per immettere le parole nel suo mondo, per farle abitare in sé, è rubarle. O ripeterle a memoria, inseguendo cantilene e nenie, te absolvo e miserere, afflati e ritmi.
    Francisca va “ad orecchio” con una sensibilità da animale stanato e abituato alle inerpicate impreviste della vita, con cecità da talpa che si orienta al buio e all’ombra, con stupore di assetata e vergine. E comprende, con quel fiuto che solo i segugi affinano, che tra parola e vita c’è un legame inesplicabile e segreto.
    Così come tra parola e morte.
    Non è un caso che “le parole belle” ripetute con ritmo ossessivo e selvaggio, con denti digrignati dalla paura in notti di plenilunio e umori, allontanino la fine.
    Morte e parola sono nemiche e – al tempo stesso – sorelle. Si rincorrono e si rinnegano. Si salvano e si perdono.
    Lo scrittore è un superstite beffardo e ostinato, Massi, che con tenacia di viandante continua un gioco che sa bene avere una scadenza.
    Siamo scadenze.
    Le parole ci aiutano a dimenticarlo.

  10. Grazie massimo di questa scelta. Non vedo l’ora di poter leggere il libro di Simona e sarà prestissimo visto che c’incontreremo sabato a Siracusa e domenica a Catania, proprio per parlarne, a confronto col mio Melanconia animale. Intanto, da quanto leggo qui, capisco che ci sono temi forti, a me cari, e comunque di una classicità che non esaurisce i suoi significati: la forza e la magia del numero, il fascino (in senso stretto) del “suono” delle parole, il loro incanto che spesso, come in questo caso, leggo, s’accompagna all’ignoranza del significato. Poi c’è dietro la storia di donne, che per poter esistere come individui pienamente umani, oltre la funzione riproduttiva, in determinate epoche storiche, dovevano fuggire il mondo e formare piccoli cenacoli, vedi il prototipo delle beghine.
    La parola che è qui protagonista e s’accampa nel titolo è certo l’opposto del chiacchericcio che, di questi tempi, riempie tutti gli spazi e ci assorda. La parola ha bisogno del silenzio per scandire la sua forza. Per usare due termini di quell’inglese internazionale che impazza sul web to speak versus to chat, parlare non chiacchierare.
    Simona a Lucia, ci vediamo sabato a Siracusa e domenica a Catania? Simona, carissima, leggerò il tuo libro subito, nell’atmosfera che l’ha visto nascere e mi dirai…poi, ti prego, usa la forza delle formule per farmi trovare un po’ di sole!

  11. Per rispondere alle tue domande, Massi:

    Suor Francesca Spitalieri (Bonina o Bertino) dell’Ordine delle Terziarie di S. Francesco, è veramente esistita.
    Di elevata cultura, scrisse opere religiose ed ebbe fama di santità; si diceva che avesse ricevuto le stigmate di Cristo e che parlasse con Dio e con gli angeli.
    Accusata di eresia fu denunziata al Santo Uffizio e nel 1621 ebbe una prima condanna.
    Per sfuggire al rogo, abiurò e fu mandata per sette anni a servire in un ospedale.
    Ma non bastò. In seguito, ritenuta eretica impenitente, fu sottoposta a un nuovo processo e imprigionata a Palermo.
    Cercò di salvarsi evadendo dal carcere e una notte del settembre del 1640 si calò giù con una corda, fatta con la lana del suo materasso. La fune si spezzò e la povera suora trovò una crudele fine stramazzando a terra.
    Nonostante la morte, subì lo stesso il processo; furono confiscati i suoi beni, condannata la sua memoria e bruciati il suo corpo ed i suoi scritti.
    Si ignora da chi e perché l’innocua suorina di Bronte fosse ritenuta pericolosa al punto di subire una persecuzione così accanita e violenta, tanto lunga (19 anni) ed una fine tanto atroce.

    Così ne parla il Radice nelle sue Memorie Storiche di Bronte:

    «Pietoso è il caso di una povera monachella brontese, dichiarata eretica (1621-1640) e morta, di caduta, dall’alto, per fuggire il rogo, al quale era stata condannata.
    La memoria di lei si è perduta fra di noi, essendo severamente proibito dal S. Ufficio fare il nome degli eretici, per spegnere anche il ricordo. Questa fu suora Francesca Spitaleri Bertino, dell’Ordine delle Terziarie di S. Francesco, che al dotto La Mantia sembrò un’antenata del filosofo Nicolò Spitaleri; ma mancando la paternità riesce difficile determinarlo, essendo molto estesa la famiglia degli Spitaleri in Bronte.
    Fu donna d’ingegno; dovette avere a maestri i frati Minori Osservanti di S. Francesco; scrisse opere religiose, andate smarrite; ma male gliene incolse e per saper di lettere e di religione e più per il farneticare suo intorno a Dio e agli Angeli, coi quali, diceva, avere frequenti colloqui, e come il Cristo, piaghe al costato e ai piedi.”

    Di questa povera monaca si legge anche nel manoscritto Liber relaxionis (Biblioteca Comunale Palermo):
    «Sora Francesca Spitaleri di Bronte, monaca terziaria di S. Francesco, carcerata nelle carceri dell’Orologio, uscì d’una fessura, che dava luce al dammuso, e con un pezzo di corda, mentre scendeva si precipitò e morì nell’istesso errore, onde il cadavere fu sepolto in luogo non sacro, e nell’atto celebrato nel piano della Madre chiesa, a 9 settembre 1640, si fece comparire il suo cadavere, vestito di monaca con abito, e rilasciato al braccio secolare”.


    La mia storia è parzialmente diversa dalla realtà e affonda le sue ragioni nel mistero di questa persecuzione.
    La Spitalieri non era pericolosa. Non aveva parentele altolocate. Non infastidiva i potenti.
    Mi sono chiesta: qual è il motivo pù oltraggioso, quale la libertà più fastidiosa, quale, quale, l’affronto più grande che possa suscitare una persecuzione?
    Ho risposto:
    è la parola. La sua irriducibilità a un processo. Il suo essere senza difesa. E senza accusa.
    Il suo dimenarsi tra molte parti: imputata, testimone, peroratrice della difesa e pubblica accusa.
    La parola è un’indecente manipolatrice e un’innocentissima preda.
    E’ fraintesa, amata, odiata e strumentalizzata.
    Serve per quel che è e per dove conduce.
    Infine, è pura astrazione.
    Non può essere ammanettata, incarcerata e neanche afferrata.
    Solo tacendo si decreta la sua fine.

  12. Cara Piera,
    userò tutte le parole belle che conosco per richiamare il sole siciliano qui a casa da me, sabato!
    So che ti riscalderebbe, ma so anche che leggendo i tuoi racconti non è necessario.
    Hanno già in sè la luce.
    Ti aspetto!

  13. accidenti a maugeri. il libro di simona ce l’ho da qualche giorno e lo avrei iniziato stasera al termine di una precedente letture. se aspettavi tre giorni “tu non dici parole” lo avrei letto tutto e mi sarei fatto un’idea. vuol dire che farò gli straordinari e tenterò di leggerlo mentre questo post è ancora “attivo”. per il momento l’unica cosa che posso dire è che simona (per me) ha sempre avuto il culto della parola. un’inclinazione importante per chi scrive. io penso (come tanti) che dopo Omero e Dante non ci sia cosa che non sia stata scritta. Ecco allora che l’uso della parola è importante. Come è importante l’assemblaggio delle parole e qualche “scampolo” di idee. Tutto questo per l’acquisizione di uno stile personale. E non è poco. In bocca al lupo, Simo

  14. @simona +tutti
    Un grande in bocca al lupo a simona lo iacono per il suo libro che leggerò
    presto. Non potrei dire meglio di come lei abbia già fatto sull’importanza della parola, mi è venuto alla mente però il ricordo di quando da piccoli la parola era il cavallo della fantasia per portarci lontano anche da qualcosa che non ci piaceva, era invenzione e imbroglio di suoni e consonanti che generavano termini nuovi mai sentiti e apparentemente privi di ogni significato, io e mia sorella ne inventavamo tante.
    Ti piace simona quest’idea della parola inventata per disegnare una nuova realtà?
    Poi perdonatemi, in quanto arma potentissima e temuta per la sua forza generatrice e rivelatrice, mi è venuto in mente il dramma odierno del Pakistan. Nella valle di Swat i talebani hanno di nuovo vietato alle bambine di frequentare la scuola, minacciando addirittura di far saltare in aria gli istituti che le dovessero accogliere,molti tentano di insegnare nelle case: LA PAROLA SEGRETA.

    Un caro saluto

  15. Leggo con emozione, con immensa gioia del romanzo della nostra Simona. Finalmente. Un testo che ho personalmente visto nascere, per il quale ho tifato, che ho sentito importante sin dalla primissima lettura. E la sensazione di questo post è un pò quella di un battesimo sacro, che vede intorno al nuovo nato tutti gli amici e gli estimatori. Romanzo – dicevo – di una visionarietà, di una coralità, di una forza veramente devastanti. Parto proprio dagli interventi di Maria Rita e di Maria Lucia. Splendidi entrambi, oltre che accurati e consapevoli. I miei complimenti per le parole che hanno speso sulle pagine di Simona, di cui si parlerà a lungo. Maria Rita parla di “potenza” della parola. E Maria Lucia di “musicalità”. Due aspetti che ci dicono tanto del mistero del romanzo di Simona Lo Iacono, perché ci portano fin dentro il perimetro della sua stessa costituzione alchemica. La parola che salva. Che condanna. La parola-pietra, per dirla con Carlo Levi. La parola che costruische ghetti. O che dai ghetti libera. La parola come strumento di vita e di morte. Di liberazione o di prigionia. Nell’usarle, le parole, abbiamo una responsabilità gigantesca, di cui a volte non sembriamo neppure renderci conto. Le parole ci scappano di bocca, sono solo fiato, una nuvoletta intorno alla bocca, et voilà… Ma non è così. Non lo è affatto. Non sono queste le parole di cui si appropria Francisca, meravigliosa e candida nella sua folle innocenza, pura come una gardenia. Bellissima. Lei ha compreso il potere, la forza, il carisma assoluto delle parole. Per questo le ruba. Per questo diventa ladra di bellezza. Di sogni. Per questo l’Inquisizione – nella sua eterna idiozia – la teme, teme il suo atto di libertà pregiudicata. Tutti noi, nominando le cose, le chiamiamo alla vita, le ammettiamo al clamore dell’esistenza. Francisca paga un prezzo altissimo per questo: per il suo tentativo di appropriarsi della bellezza, di farsene strumento, corda magnetica, forma vivente. Il suo calvario è quello di ogni artista autentico, di ogni vero rivoluzionario. Non possiamo che essere con lei, che unirci al suo meraviglioso furto, facendolo nostro. E la bellezza non è solo l’oggetto del desiderio di Francisca. Nel romanzo di Simona ce n’è da vendere, si diffonde sul racconto come luce. Ciò che più mi colpisce nella tessitura della storia è proprio la capacità del racconto di “risuonare”. Sempre. Costantemente. Come una conchiglia che ci stia portando inquietudini lontane, dimenticate, di chissà quale mondo perduto. La parola si fa ritmo, cadenza, musica dell’interiore. Non ci sono cadute, non ci sono momenti di tentennamento o d’incertezza. Il testo fluisce dalla prima all’ultima pagina con un poetico senso della misura e dell’equilibrio: le parole si tessono le une alle altre come in una partitura dalle tinte fosche, sublimi: come ha ribadito Maria Lucia, c’è musica. Ed è la musica che ascoltano gli angeli, i condannati. La musica degli ultimi della terra. La musica ineffabile della voce di Dio. La musica che dovette udire Mozart sul suo letto di morte. La musica di un pensiero che non si piega, che non si giustifica, che non rinuncia ai suoi voli e ai suoi legittimi desideri. Devo anche sottolineare la precisione della ricostruzione storica, l’accuratezza con cui Simona ha saputo restituire nitore a tutto un difficile secolo – alle sue intolleranze, alle sue violenze, ai suoi orrori. Difficile trovare nel panorama asfittico delle lettere italiane un esordio di una simile forza. Non posso che augurare a Simona Lo Iacono ogni successo, perché meritato, e perché sono certo che ne verranno. E l’auspicio che la scrittura le rammenti sempre il senso esistenziale di una differenza, un’appartenenza – una sensibilità. Quella che ogni artista non può non sentire sulla pelle, come una stimmata, bruciante e necessaria. Questa sensibilità ci regalerà ancora dei grandi momenti d’incanto. Ne sono certo. Un abbraccio grande a Simona, Massimo e a tutti gli amici di Letteratitudine. E tantissimi auguri al romanzo… Che abbia lunga vita…

  16. Non ho letto il libro di Simona ma m’intriga assai l’ambientazione. Scrivere di un’epoca che non è la nostra credo sia più complicato, necessita di una preparazione e di una conoscenza accurata, lo scrittore deve riuscire a calarsi in un passato che non gli appartiene… Complimenti (e correggimi se ho detto una ca***ta!)
    Perciò, così come faccio in genere con gli altri, comprerò anche Tu non dici parole, tantopiù che è scritto da una mia quasi omonima…
    Intanto, Simo, ti faccio i migliori auguri per questa tua fatica 🙂

  17. luigi caro, a proposito di scrittura e santità, tu certo fai parte di quelli che sono ubiqui, che sono santi, a quando il prossimo miracolo?
    Simona, la tua personalità è solare, ottimista, allora tu dici la parola non può essere ammanettata. Hai ragione, ma contaminata, adulterata, questo sì, perché in continuo contatto con quell’altra parola, la parola che sporca, che degrada. La parola, purtroppo, può anche essere inchiodata su un registro penale e tramutarsi in colpa.
    Tornando alla storia a cui ti sei ispirata, vorrei sottolineare nel tuo discorso una delle accuse rivolte alle donne che volevano occuparsi di religione non passivamente: “parlare con Dio e con gli angeli”, “farneticare”. E forse udivano voci, impazzivano cioè, perché non erano ascoltate o per essere finalmente ascoltate, anche se poi condannate.
    Di tutto quanto racconti forse l’atto più crudele, del quale tu, anche da giudice oltre che scrittrice e donna , rendi giustizia con questo libro, è il processo post mortem, la damnatio memoriae. Un monito per tutte le altre. Ma tu, in questo caso almeno, ti schieri dalla parte della disobbedienza al monito, all’intimidazione, alla legge non scritta.

  18. Mia cara Francesca Giulia,
    il tuo paragone è bellissimo.
    Perché affonda nell’infanzia, nella dimensione più vicina alla creazione, all’inesplorato.
    La parola è esplorazione. E’ il ponte che non solo congiunge, ma scopre. Che immette nell’intima natura dell’uomo. Del suo mistero.
    Ed è imitazione. Dei suoni della natura. Dell’origine del mondo. Quante parole somigliano al rumore che evocano. Biscia, ad esempio. Non fa già pensare a un radere il suolo con un “sccccc…” crepitante? Invadente? Oppure “ortica”. Non è già una parola irsuta, ispida solo a pronunciarla?
    E allora, perché non inventarle le parole? Perché non mescolarle, farle rivivere, ridisegnarle come in una mappa preistorica e incauta, non adusa alla normalità, all’abitudine?
    Perché non rinnovare l’incanto e lo stupore del bambino? Perché non tornare a quella prima e oscura imitazione ,alla “lallazione” (come la chiamano i pedagogisti), al balbettìo e alla conquista?
    E perché non rubarle, le parole?

  19. Ancora Francesca Giulia…
    E sì. La parola è persecuzione.
    Per sua stessa natura. Perché è sacra e imprevedibile.
    Perché è un pedaggio.
    Delle esperienze di letteratura “clandestina” sono un’appassionata studiosa.
    Ho scoperto storie di clandestinità in Afganistan, in Polonia, in America, in Pakistan, in Turchia. Ne continuo a scoprire nelle quotidianità più impensate, tra le mura di case affidabili e calde, sul greto di fiumi in apparenza docili.
    E invece.
    Quanta distruzione nell’amore. Quanto spasmo nella quiete.
    Ho una raccolta di nomi che paragono a un campo di marmo, a un’immenso ossario, a calanchi rupestri ritti di croci e cappelle, di anniversari, di processi e condanne.
    Sono i nomi di chi è caduto per la scrittura.
    Di chi ha subito processi per le parole .
    E per non dirle.
    Ti faccio accedere con gioia a questa mio “schedario” di voci sedate e tuttavia persistenti, arrochite e mai spente, voci che hanno pagato il vagheggiamento di una libetà folle, amara, incompresa.
    Dover essere.
    Dovere esistere.

  20. SCRITTORI PERSEGUITATI:
    Socrate.

    Giordano Bruno.

    Pablo Neruda.

    Orhan Pamuk, scrittore turco sotto processo per aver scritto del genocidio degli armeni.

    Salman Rushdie nel 1989 si guadagna una fatwa di Khomeini per i suoi “versetti satanici”.

    Ayaan Hirsi Ali autrice somalo-olandese di “Non sottomessa” vive sotto scorta per per difendersi da minacce di fondamentalisti islamici.

    Anna Politkovskaja è una tra i pochi giornalisti russi che hanno raccontato con indipendenza di giudizio cosa capitava sul fronte ceceno.

    Xu Zerong (storico) e Shi Tao (poeta) condannati a 10 anni di prigione in Cina per “rivelazione di segreti di stato”.

    Predrag Matvejevic 5 mesi di carcere in Croazia per diffamazione nei confronti di un poeta, Mile Pesorda, inquadrato tra gli intellettuali che avevano fomentato la guerra civile nei Balcani.

    Alì Mohaqiq Nasab direttore di una rivista sui diritti delle donne arrestato il 21 dicembre in Afghanistan e condannato per 6 mesi.

    Kamal Sayid Qadir scrittore recentemente incarcerato in Iraq per le sue critiche al partito Democratico Curdo.

    Roberto Saviano.

    Azar Nafisi (docente araba di letteratura. Perseguitata per avere letto ai suoi studenti durante una lezione “Il grande Gasby”)

    PROCESSI CONTRO GLI SCRITTORI:

    Seneca
    Oscar Wilde
    Galileo Galilei

    DONNE CHE HANNO SCRITTO SOTTO PSEUDONIMO:

    Gorge Sand,
    Gorge eliot,
    Fernan caballero,
    Isak Dinesen,
    Colette……

  21. Cara Simona,
    sono davvero felice che il tuo libro stia muovendo i primi passi con la sicurezza e la consapevolezza di una scrittura matura e salda. Lo leggerò presto. So che non mi deluderà perché conosco il tocco magico delle tue parole, l’armonia delicata del tuo periodare, la forza espressa delle tue idee. Sei un’amica vera e ti sono grato per la purezza che riservi al sentimento che ci lega.
    Approfitto per abbracciare il carissimo Massimo e tutti gli amici del blog.
    Siamo legati dalle parole, intrecciati dal disincanto dei destini, liberi e smarriti insieme… ma innamorati tutti dell’urlo silenzioso della scrittura che si fa corpo.
    Ancora un abbraccio
    Alessandro

  22. @simona ti sono grata per le tue risposte appassionate come credo e intuisco tu sia,oltre che esaustive nel merito,grazie!Siamo legate all’infanzia in un certo senso entrambe: tu per motivi professionali stimabilissimi,da ciò che ho letto,io perchè è come se avessi fermato un tempo della mia vita di donna tutto volto all’indietro,pur crescendo e diventando mamma,volgo sempre lo sguardo ai tempi dell’infanzia.Siamo tutto ciò che abbiamo vissuto in quel tempo e quello spazio e nella memoria la parola si fà segno del ricordo come del tentativo di cancellarlo credendo di diventare adulti,perciò talvolta la parola è anche maschera.
    cari saluti

  23. Piera cara,Luigino caro,
    entrate nel cuore del romanzo.
    Il processo.
    Come giudice so cosa costi la ricerca della verità.
    Quanta abnegazione.Quanta lucidità. E onestà intellettuale.
    So che mantenersi limpidi nella fase che precede un approccio (conoscitivo, giudiziario, educativo) è uno sforzo e un dovere.
    Siamo spesso guidati dai nostri PRE-GIUDIZI. Ossia anticipazioni di una valutazione. Che poi sovrapponiamo alla realtà che incrociamo vedendola già contaminata da noi. Dalle nostre ferite. Dai nostri inganni. Dalle nostre paure.
    Ecco perché il processo nel mio libro, e nella poetica complessiva delle mie storie, è una metafora della vita.
    Non è stata solo la Santa Inquisizione a celebrare questi processi. E neanche i soli regimi dittatoriali.
    Lo facciamo anche noi.
    Quanti processi nascosti allestiamo nel buio delle nostre anime? Quante condanne non provate, quanti sospetti senza pietà, quante sentenze senza commozione?
    Questo processo segreto e incoffessabile può sovrapporsi persino a processi giudiziari. Come è già avvenuto in passato.
    Possono giustificarlo i motivi più disparati: politici, religiosi, umani. Finanche amorosi.
    E allora.
    Il compito di trasformare l’innocenza in scavo, in ricerca, in affanno e grido di verità è della letteratura.
    La letteratura, che pure è finzione, non ammette che la verità.
    Su noi stessi.
    Sul nostro fragilissimo e precario passaggio.Sulla nostra spietata capacità di erigere autodafè e ghigliottine senza avvocati.
    Senza l’inviolabile diritto alla difesa.

  24. Cara Simona, non ho ancora letto il tuo libro perchè voglio farlo soltanto quando potrò leggere la prima parola e l’ultima senza mai chiudere il libro.
    Ne ho letto solo alcuni frammenti molto intensi, molto poetici.
    Francisca sei tu, sono io e tutti i nostri fratelli e sorelle di parole.
    La amiamo queste parole e non abbiamo paura che attraverso loro esca da noi quanto normalmente si sigilla dentro mettendo in atto la peggiore delle censure: quella dell’anima.
    Ti faccio i miei migliori auguri, Simo. Che il successo di questo libro ti renda profondamente soddisfatta e che sia il primo di tanti.
    Un bacio. Ci vediamo domenica da Caterina spero

  25. @ Sergio: grazie della tua attenzione. Aspetto con gioia tue notizie!@Enrico: grazie anche a te! Ma non preoccuparti di leggere in tempo…!

    @Simonetta: hai ragione. Scrivere del passato esige calarsi nella pelle dei giorni, nello scavo di anni dimenticati.
    Per farlo si deve compiere un viaggio.
    Non solo un viaggio attraverso il tempo, ma anche in ciò che eravamo. Nella lingua che parlavamo. Nelle malattie che combattevamo, nella fame, nei pidocchi, nei breviari d’oro e nello sterco delle stalle. Negli odori. Nei sapori di piastacchi e more, di erbe calpestate dalle capre selvatiche e di minicucchi imbastiti di leggende.
    Tra pietre assolate e lave attorte. Fra conchiglie di mari mai solcati, se non con la nostalgia. Col nodo di un rimpianto.
    Il passato ci deve assalire e non ci deve perdonare. Dobbiamo salvarlo e saperlo lasciare andare. Dobbiamo interrogarlo e rimpiangerlo.
    Infine, interpretarlo.
    Quando ho terminato il romanzo ho immaginato che un nugolo di ombre venisse a me per congedarsi, per salutarmi, svaporando infine nella stessa nebbia da cui avevo cavato a forza i loro corpi.
    E’ stato triste separarmi da loro, perchè i personaggi fanno molta compagnia.

  26. @Ale: “Siamo legati dalle parole, intrecciati dal disincanto dei destini, liberi e smarriti insieme… ma innamorati tutti dell’urlo silenzioso della scrittura che si fa corpo…”
    Lo ripeto a te. Con lo stesso affetto.

    @Mavie: sì. Francisca è in me. E in te. E’ in chiunque creda nei sogni. Nei desideri. Nelle scaglie di stelle che ci inondano quando sappiamo farli vivere come parte di noi stessi.
    Francisca, infondo, è una scrittrice senza avere mai preso in mano una penna.

    @Salvatore Spoto e Martina: Grazie di cuore! Spero che il libro vi piaccia!

  27. Cara Simo, il tuo libro è poetico, emozionante, accompagnato da una lingua tua, personale, che ne amplifica l’atmosfera onirica che lo circonda….Tanti comlimenti di cuore….in bocca al lupo….Alessio!

  28. @ il romanzo di “Simona”
    Leggendo il romanzo, mi sono sentito trascinare subito dal suo stile, preciso nei dettagli e nell’uso eloquente delle parole: dolci e melodiose in ogni passaggio, quando descrive gli intenti peccaminosi dei forti, come anche la consumazione dell’amore della donna Francisca; una donna vivente al margine della società, sempre fuggente dai pericoli che la minacciavano, non perché´cattiva, maligna, ma perché condannata da un destino tragico e ingiusto impostole dalla volontà dei potenti del tempo.
    Innocente nel suo essere, che la invogliarono a credere nelle parole buone e a cercarle, era di scomodo per loro, addirittura un pericolo nell’esercizio del potere che conducevano con malizia e intransigenza perfida.
    Francisca, già cosciente del suo destino, non lo temé tanto; andando al rogo che la aspettava, rise il riso della demoniaca perché come tale fu condannata. Ad esso s’immischiò lo sguardo cinico verso i suoi persecutori e la folla allegra e godente la sua tortura, non cosciente che la sua condanna era anche la loro, significando la continuazione della loro sottomissione e sfruttamento.
    Sempre fuggente e alla ricerca di un posto sicuro, s’incontrò infine con l’uomo da sempre immaginato nei suoi sensi di femmina nell’età degli approcci erotici e sessuali.
    Fu così che si lasciò sedurre dal lui, credendo che le parole vive agissero anche in lui, da poter esperimentare senza pericolo alcuno cosa fosse essere femmina, se sia proprio necessario di donarsi a un maschio per sentire di esserla, come le dicevano sempre le altre femmine del posto.
    Mentre lei simbolizza la giovane donna ancora innocente e ingenua nei rapporti con gli uomini, lui invece è un essere senza onore, esperimentato nello sfruttare l’ingenuità degli altri, specialmente delle donne giovani, già ricercato dalle autorità e poi esentato della pena, perché diventato utile per i loro scopi malvagi e aberranti.
    Lo stile, di cui fa uso abilmente Simona, è breve, conciso, chiaro e come modellato da una nota dolce ed elegante coprente tutte le malvagità trattate, troppe perfide e riluttanti per il suo gusto anche solo a descriverle.
    È una la lettura che attira per poi sconcertare e riscuotere l’animo del lettore, da indurlo a confrontarlo con la sua realtà e farlo sentire responsabile nel costatare che poco è migliorato.
    L’eterno rapporto distruggente e inconciliabile tra l’uomo e la donna, tra il potere e la gente semplice e sincera, quando sia dettato dalla perfidia del proprio tornaconto, viene qui descritto e accusato, come per ricercarne le cause che risiedono nella natura umana, quando è rivolta al profitto e non alla sua elevazione.
    La società del tempo è una società spenta, chiusa, morta nel senso umano dell’affetto e amore reciproco.
    È un romanzo che non finirò mai di elogiare e consigliare a chi ha difficoltà a integrarsi nella società e a chi vive in una non alimentata dai principi democratici, in tutte le loro espressioni possibili.
    La tuttora esistente necessità di riformare i legami che formano la società, sostituendoli con quelli fondati sul rispetto di ciascun membro senza distinzione di razza, sesso e cultura, viene qua chiaramente presentata.
    Sono parole sane quelle che si leggono, parole che dovrebbero sostituire le altre che, sebbene siano contenute nelle leggi e ordinamenti, non hanno voce alcuna quando non entrano negli animi corrotti dal tornaconto personale.
    Francisca è il simbolo, perdurante nel tempo, dello spirito umano libero dalle costrizioni impostate da un qualunque potere invasivo; morì per accomodare il loro volere ritenuto minacciato dalla sua esistenza.
    Attribuendole maleficamente doti magiche che la resero nota e riconosciuta dal popolo comune, i potenti temettero una sua insurrezione. Divenne quindi persona da liquidare subito.
    Rimarrà di lei sempre il ricordo di vittima e martire di una volontà limitata a se stessa e mai idonea per la formazione del bene comune.
    Durante la mia lettura, ho preso subito sua parte e ho sofferto la vittoria dell’inganno, della furbizia e dell’ignoranza.
    I versi, sciolti e luminosi, formano un contrasto utile e necessario nella descrizione dei fatti peccaminosi.
    La dolcezza espressiva e melodica riscontrata svela una cultura raffinata che può esistere solamente in un animo sensibile e buono.
    L’accaduto, seppur tragico e umiliante per la verità tradita che lascia, non ha suscitato scalpore nella gente del posto e ancor meno altrove, così abituata al baratto dei favori con i potenti e o sottomessa alla loro violenza, da non farci più caso e rimanere rassegnata.
    Il signor Iddio, sempre e stupidamente onorato con preghiere e unzioni per riceverne consolazione e aiuto, non può acconsentire, se non quando abbiano imparato a riconoscere e conservare la propria identità.
    È lei che pretende da noi di affrontare il male, per ridiventare liberi e riconquistare la propria dignità.
    Immobilità e rassegnazione dominano tutta l’isola, rotta solamente dall’incanto della sua natura, semplice, mirabile e superba.
    Saluti cari, Simona, e di nuovo grazie.
    Lorenzo

  29. Mio carissimo Lorenzo, che dire di una lettura così appassionata, così intrisa di commozione e condivisione?
    Chiunque scriva sogna un lettore come te. Uno specchio su cui riflettere i propri personaggi.
    Grazie di cuore.
    Hai colto un aspetto del romanzo su cui ho riflettuto molto.
    Francisca viene processata per lo stesso motivo per cui l’ARS NOTORIA di Salomone venne messa all’indice dalla Santa Inquisizione e additata come libro proibito.
    Perché usa parole di chiesa, cioè dell’offertorio, dei salmi, delle giaculatorie credendo che siano “parole belle”.
    Ciò che – quindi – la induce al furto è, prima di tutto, un richiamo di bellezza. Di assonanza e armonia.
    Bello, kalòs, suggerisce Socrate nel Cratilo, deriva forse da kalèin, chiamare, invocare a sé, attrarre oltre i confini di una dimensione che si tratta di superare: bello è ciò che chiama a valicare un limite entro il quale l’esistenza sembra priva di qualcosa d’essenziale, incompleta.
    E’ questo andare oltre che porterà Francisca a scoprire gli altri. I loro bisogni. La loro umanità trafitta da ruberie e violenze, scarti di secoli passati e usurpazioni celebrate come regalità. Come pedaggio losco e necessario per la pura sopravvivenza.
    La bellezza che fiuta Francisca è dunque un mezzo per incrociare altre solitudini, altri destini. La solitudine di Pititta, sua compagna di dormitorio e condannata a vedere arrivare la morte, a saperla prevedere solo per gli altri. Quella di Tufania, imparentata senza saperlo con una delle famiglie più importanti del Regno delle due Sicile e cresciuta fuggendo, arringando nelle pubbliche piazze, imitando un padre astronomo e sognatore che sa stanare l’inganno del suo secolo.
    E la solitudine del Pilosa, metà uomo e metà animale. Simile a un minotauro impavido e senza commozione. Senza passato e senza capacità di sognare.
    Tutti i sognatori del romanzo sembrano perdere. Sembrano ardere tra il crepitio di lapilli e ceneri, di resti di baldorie e fasti.
    Coloro che si salvano sono i furbi. I vili. I traditori.
    Ma è solo un’apparenza.
    Oltre i roghi che gli uomini sanno allestire, oltre le sentenze che sanno emettere, oltre la giustizia sommaria che sanno fare, e giustificare, e far passare per buona, le parole belle vorticano per aria.
    Trafiggono fumi di carne bruciata. Stanano mascheramenti di attori girovaghi, teatri carnascialeschi e impudicizie ben orchestrate.
    Restano.
    Restano comunque.

  30. Cari Massimo e Simona, vi saluto con”le parole belle” che sento per voi. Dobbiamo tutti capire il peso delle parole, perchè oggi, in molti contesti, si usano parole, svuotate del loro significato essenziale. Questo è il modo di smarrire le parole e di smarrire la strada. Si vive basandosi sul niente, sull’effimero. La strada è un ponte di corda che oscilla nell’aria. Che ci sia un ritorno alle parole, alla loro essenza! Questo è il mio augurio più sincero, per noi tutti. Che il romanzo di Simona crei speranze per chi ama il vero significato delle parole e voglia ritrovare la strada.
    Maria Rita Pennisi

  31. Quando un libro ti afferra fin dalle prime pagine per inabissarti in un gorgo di righe che si susseguono l’una dietro l’altra per non darti respiro, che altro c’è da dire? I libri parlano da soli, e non andrebbero mai difesi anche perchè una difesa d’ufficio è sempre sospetta (andrebbero semmai segnalati a chi ne ignora l’esistenza), e quello di Simona sa parlare: lo fa con un linguaggio che nessuno, ma veramente nessuno, potrebbe attribuire a uno scrittore esordiente. Che questa sia un’opera prima è la cosa più stupefacente, e credo che non si possa non essere d’accordo su questo punto. Un’osservazione d’impronta molto personale, però, voglio aggiungerla: è inevitabile che uno scrittore degno di tal nome debba avere talento, ma è anche vero che il talento ha molte facce. Ci sono scrittori che sanno scrivere, ma sono magari pedanti, involuti, prolissi, oscuri, elusivi e mi fermo qui. La scrittura di Simona, invece, ha fascino. E’ un canto che incanta. Provare per credere. Io l’ho provato e ve ne rendo partecipi. E complimenti a chiunque abbia ideato questa fantastica copertina che si accorda armoniosamente al contenuto del volume. Brava Simona! Francesco Costa

  32. Caro Francesco, hai detto la cosa giusta. Se un libro non ci prende sin dalle prime righe vuol dire che qualcosa non va, perché un libro ha un suo corpo e una sua anima e quindi possiede un fascino unico. Se l’amore non nasce a prima vista, difficilmente si farà strada nei nostri cuori con il passar del tempo. Questo romanzo di Simona, invece, possiede tutte le caratteristiche per fare innamorare. Cupìdo lancia subito i suoi strali e colpisce il bersaglio. Le frecce sono le parole giuste che si intrecciano tra loro creando un tessuto perfetto. Ti saluto con affetto. Maria Rita Pennisi. 21 gennaio 2009

  33. Simona cara, sono felice per te, certamente sarà un romanzo che lascerà il segno. In questo periodo sono veramente oberata e stanca. Ho però
    segnalato il volume sul mio sito, in alto nella sez.Benvenuto.Arriverà anche il momento che riuscirò a leggerti.Ora mi aspetta una bella flebo e non posso trattenermi, l’infermiera è già pronta…io molto meno.
    Mi auguro di ritornare presto sul blog ” se questa è vita ..”
    Un abbraccio affettuoso a te e ai forumisti. Ti – Vi penserò
    Tessy

  34. @ SIMONA:
    ho ricevuto il libro oggi pomeriggio!!! Ho aperto la busta solo un minuto fa. Farò gli straordinari, anche io, come Enrico.
    Non perdo tempo…
    a presto , un baciotto, Miriam

    🙂 🙂

  35. Mio carissimo Francesco…
    che dire? La tua opinione per me ha una doppia importanza. Perchè sei un amico impareggiabile.
    E perchè sei uno scrittore straordinario.
    Grazie. Grazie anche da Francisca…
    E’ lei la donna di spalle che vedi in copertina, quella che sfuma tra parole antiche e di inchiostro, intinte in una carta melmosa, gialla, che sembra prendere fiamme.
    Questa creatura snudata, abbandonata su un fianco, evanescente come la folata di una vampa, è saltata fuori dal talento di un eccezionale e giovanissimo grafico catanese, il nostro Alessio Grillo, che ha scritto affettuosamente qualche rigo più su e che oltre ad essere pittore, grafico, fotografo, è anche un attentissimo lettore.
    Prima di ideare la copertina ha letto il romanzo, ha studiato la donna, ha assorbito in se’ il peso del suo dolore.
    Non l’ha solo disegnata.
    L’ha interpretata. Riportata in vita.
    Ha anche tratto un olio su tela da una scena del romanzo.
    E così ho visto il Pilosa prendere forma sotto l’impasto dei suoi colori roventi.
    Ho visto il suo cappello di coniglio oscillare sulla testa a dritta e a mancina.
    Ho visto ciò che avevo immaginato, ciò che avevo intuito e visualizzato nei sogni.
    Guardandolo negli occhi arditi, ficcanti, lascivi, non ho pensato più di essere di fronte a un dipinto.
    Ho pensato che il Pilosa mi stava davanti.

  36. Cara Simona, spero di procurarmi presto il tuo romanzo al quale nel frattempo faccio tanti auguri. Un abbraccio,
    Gaetano

  37. Cara Maria Rita,
    è bellissimo quello che dici.
    Che perdere le parole equivale a perdere la strada.
    Io aggiungo: equivale a perdere uno sguardo.
    A smarrire quella lente che miracolosamente afferra cio’ che sta oltre le cose. Oltre l’apparenza.
    Il rapporto tra realtà e apparenza è affidato nel romanzo alle maschere del Carnevale.
    Come per Giordano Bruno, la condanna di Francisca sarà pronunciata nel giorno di Martedì Grasso, quando la luna cola a picco sulla terra la luce bagnata dell’equinozio e quando il mondo vive all’incontrario.
    La maschera è ciò che è e ciò che non è. E’ finzione e voglia di credere alla finzione.
    La maschera è dolore.Perchè è consapevole.
    Siamo maschere anche noi quando non vogliamo vedere. Quando non ci diciamo la verità su noi stessi. Quando allestiamo baldorie per non sentire battere il vuoto contro le pareti.
    Siamo maschere anche quando travisiamo le parole.

  38. Un bacio a Gaetano, Miriam e Tessy (a cui auguro un’infermiera dolcissima).
    @ Gordiano Lupi: grazie infinite della sua attenzione. Troverà il libro collegandosi col sito di Perrone! Ma se mi fa avere tramite Massimo la sua mail sarei lieta di avere il suo indirizzo e di fargliene omaggio.

  39. Grazie Simona del tuo ulteriore commento.
    La bellezza alla quale alcuni esseri umani anelano nel sentire vibrare in loro la tristezza causata dal solo sopravvivere, dovrebbe essere l’incentivo per tutta l’umanità di elevarsi dallo stato mediocre verso l’assoluto, immaginato nella nostra mente come bellezza, cioè un qualcosa di puro, armonioso, fantasioso. Il cercarlo in questo mondo è un’illusione, come si rivela più tardi in Francisca.
    Si può solo sognarla e curarla nei nostri cuori, ed essere grati, quando si possa comunicarla a un altro essere dotato della stessa sensibilità e serietà d’animo.
    Il troppo sognarla può renderci inadatti per questa vita, che va vissuta, pur con tutte le sue orrende rivelazioni.
    Al confronto con l’astuzia animalesca non regge e deve ritirarsi, preferendo nei casi tragici voluti dal suo destino la morte, che più non è ma nuova vita. La bellezza dell’animo, che tutto irradia intorno a sé, emana un senso di stranezza, di non appartenenza a coloro che non la possiedono, da suscitare in loro invidia, un sentimento con il quale nessuno può stare e che quindi spinge a una reazione immediata eliminatoria.
    Eliminandola, rispondono a uno stimolo noioso e dannoso, invece di avvicinarsene, esplorarla e assumerla, onde conquistare il senso di poter vivere serenamente e in pace con sé stessi anche in questo mondo di merda e contribuire a migliorarlo.
    Lorenzo

  40. @ Gaetano
    sono giorni che manchi. Bentornato allora e scrivi un bel commento sul grande libro di Donna Simona. Non ti sarà di certo difficile, data la grande sensibilità che il romanzo emana, da sentirla fino qui a Vienna.
    Saluti.
    Lorenzo

  41. Intervengo con piacere nel forum di Massimo che propone sempre temi interessanti e che questa volta mi coinvolge in prima persona avendo scelto con grande soddisfazione di editare con la Perrone LAB il romanzo di Simona. Non vorrei però dilungarmi in uno spot del libro che è molto bello e che mi sembra tanti di voi stanno leggendo e apprezzando, quanto ringraziare col cuore Simona per la persona straordinaria che è e che sono molto felice di aver potuto incontrare grazie al comune amico Luigi La Rosa. Non sempre infatti alla qualità della penna corrisponde la qualità del cuore.
    Giulio

  42. Mio carissimo Lorenzo,
    c’è un modo di trovare la bellezza senza rinunciare a vivere la vita: scrivere….

  43. Mio carissimo Giulio,
    grazie di cuore! La bellezza- dicevo prima – è anche nell’incrociare le proprie strade. I propri destini.

  44. @ Simona
    certo, ma non tutti riescono a farlo brillantemente come lo fai tu.
    Io ho comunicato, fino a cinque anni fa, solo a voce, usufruendo dei miei contatti, anche lavorativi, con gente di ogni origine e livello.
    Il contatto diretto con tante persone crea amicizie e insegna a confrontarsi e imparare dagli altri. Mi chiedo come tu possa avere del tempo per te stessa con tutte le amicizie che penso tu abbia.
    Una domanda: conosci la lingua tedesca, o inglese, da poter leggere qualcosa, anche solo sommariamente?
    Saluti
    Lorenzo

  45. Esistono fondamentalmente due tipi di parole: quelle leggere e quelle pesanti. Sono le stesse parole, capiamoci, ma la loro collocazione le rende volatili o plumbee: e’ dunque il posto in cui si mettono le parole a designarne la forza; ed e’ lo spazio temporale, l’epoca storica, in cui le parole ”cadono”, a dar loro un senso ”forte” o ”debole”. Il contesto, in soldoni, lavora sui lemmi scolpendoli e rendendoli maschere tragiche o comiche o ironiche e via discorrendo.
    Le parole hanno comunque un’anima poco mutevole, fissa come il Cielo che – per chi crede nel Dio cattolico – le ha donate agli uomini non per prostituirne la bellezza ma per cantare le lodi di un uomo redimibile e di un Redentore amorevole e compassionevole.
    Ben altra cosa, percio’, rispetto a chi agisce in malafede (nel romanzo di Simona Lo Iacono molti, a partire da Angimbe’, il quale ”Usa parole. Proprio lui, che delle parole conosce solo la peggior parte”, sta scritto a pag. 151) e a chi ha degli squilibri emotivi altrettanto forti quanto debole e’ la sua personalita’ reale, interiore (penso al truce capopopolo Pilosa, strumento diabolico nelle mani dell’insensato agire dell’Angimbe’).
    La bellezza delle parole dunque ne e’ solo un aspetto, sebbene, analogamente alla Luna, se ne possa in Terra vedere con facilita’ solo una faccia, quella appunto violenta – chi ha cattivi intenti nota, si sa, solo gli aspetti utilitaristici di tutto; e sebbene questa bonta’-bellezza sia recondita, nel racconto Francisca, Pititta e Tufania, ne posseggono solo gli aspetti positivi, celesti e divini. Loro parlano dunque non per comunicare ma per esprimere quanto – causa limitatezza mentale e spirituale – nessuno e’ in grado di cogliere: il latino di Francisca si muta nel ”latinorum” dell’arcivescovo Angimbe’.
    E tanto ci sarebbe ancora da dire – spero di dirlo in seguito – su questo bel debutto romanzesco. Solo una nota negativa: le bozze non devono esser state lette dall’editore, visti i troppi refusi anche gravucci. Maggior attenzione, prego. Il testo la merita.

  46. approfitto di questo spazio per fare a Simona gli auguri e i complimenti.Sono immensamente colpita dal fascino immenso,non circumnavigabile,mai completamente esplorato e definitivamente definito,delle parole,per le loro valenze estrinseche,etimologiche,filologiche,semantiche,ma anche intrinseche,del loro significato e della loro forza:come gli uomini ,esse hanno un abito esterno e uno interno,come le persone hanno un corpo e un’anima.Ma esse non vivono se non svelate e riflesse negli altri,esse danno la vita o la morte,esprimono,sono un veicoli,che secondo il nostro libero arbitrio,contengono e generano bellezza,oppure abiezione,perversione,menzogna.
    esse sono armi per difendere e proclamare la giustizia,la verita’,la bellezza,l’umana meraviglia che è in noi e negli altri.oppure armi per imporre l’inganno,la confusione,la schiavitù e il male.
    Quando sono puramente descrittive il significante prevale ,e il loro valore e’ puramente funzionale allo scopo.
    Ma anche in questo caso una parola assume valenze e significati che sfuggono alle immediate intenzioni della bocca,o della penna,che le ha generate,e finiscono per dare,a chi sa leggerle,lo spaccato di un’anima,di un attimo,di un pensiero,o di tutta una entita’ pensante.
    Tutto questo per dire a Lorenzo:”non sei solo, ma ugualmente destinato alla solitudine”.

  47. Caro Lorenzo, ti ringrazio del bentornato. Purtroppo non ho letto “Tu non dici parole” (non ho ancora acquistato il volume) e quindi non posso lasciare nessun commento in merito. Tuttavia, la conoscenza di Simona avvenuta attraverso Letteratitudine e la lettura di molti suoi commenti e d’un suo racconto non mi lasciano alcun dubbio sulla bellezza del romanzo. Spero di leggerlo presto. Ho apprezzato tanto la tua appassionata recensione – che ha il pregio, tra l’altro, di aver comunicato perfettamente “la grande sensibilità che il romanzo emana” – insieme alle recensioni degli altri amici di Letteratitudine.
    Ti abbraccio,
    Gaetano

  48. Cara Simona, che bello incontrarsi sul filo delle parole. Siamo dei funamboli sospesi nel vuoto. Siamo creature d’acqua che nuotano in un mare di parole. Siamo scintille di fuoco che esplodono nell’aria. Siamo creature di terra nei boschi sacri. Siamo tutto questo e anche di più. Siamo sommersi da parole, ma vogliamo per noi solo le parole belle, le parole che portano amicizia.
    Maria Rita Pennisi 21 gennaio 2009

  49. Miserere: bella la scelta della parola rubata da suor Francesca; un sussurro che riporta a una quiete, una invocazione consolante nella prolungata richiesta di pietà compassionevole. Perché le parole, anche se muoiono chiuse nelle pagine, rivivono col loro suono, immediatamente; anche quelle delle lingue morte, come il latino. Brava Simona, mi intriga.

  50. Carissima Simona, per me è stato un onore presentare il tuo libro d’esordio… spero che tu faccia da battistrada per tutti noi!
    Un caro saluto a Massimo e Luigi, compagni d’avventura in questa presentazione che è una vera e propria festa letteraria… Massimo ha fatto una vera e propria ricerca storica, Luigi ha intavolato un affascinante excursus sulla luna nella letteratura d’ogni luogo e tempo, oltre a tenere a battesimo il romanzo di Simona, da lui letto fin nelle primissime stesure.
    La parola.
    Che dire? Il motivo per cui siamo in questo salotto letterario, per cui compulsiamo volumi, per cui ticchettiamo sulle tastiere e riempiamo fogli.
    Comunicazione, espressione, sfogo, delirio, creazione, illusione di lasciare qualcosa dietro di noi che ci sopravviva, una meta-vita fatta di fonemi, di grafemi, che restituiscano significati e quindi VITA.
    Simona ha scritto parole per riaffermare la forza dell’esistenza, il verbum che caro factum est…
    Un abbraccio ad Alessandro Savona, al caro Alessio, a Maria Rita Pennisi, a Mavie e a tutti i catanesi (Caterina, saremo tuoi ospiti domenica, ciao carissima!)… Indimenticabile la presenza affettuosa di tutti gli amici che hanno fatto festa con noi a Simona…
    Ciao Francesco! Che piacere ritrovarti qui… un bacio da Lucy Steele…

  51. (Segue dal commento delle ore 8: pm di oggi)
    Come, dicevo, il ”puro” latino di Francisca, rappresenta uno ”strumento” di fede eccelsa e primigenia, un profluvio di ”verba” scorrente come acqua di ruscello, una litania la cui suggestione e’ tutta musicale, a voler dichiarare il candore dell’Agnello di Dio, l’agnello sacrificale che s’incarna, pariteticamente, nelle tre donne di ”Tu non dici parole”. Sono parole bianche, albine, immacolate, armoniche e bambine… le stesse che, nella bocca di Angimbe’, si colorano del nero del quale la sua perversione spirituale le vuol tingere, anzi sporcare, immiserire. E quel ”Miserere, miserere, miserere” costituente lo ”slogan” di Francesca ben si adatterebbe al Pilosa, alla perpetua di don Pippino e al curato stesso, se costoro fossero capaci di elevare una siffatta preghiera, la cui umilta’ e’, invece, esclusiva dotazione degli ultimi fra gli ultimi.
    L’argomento del romanzo, di questo variopinto, religiosissimo dramma siciliano secentesco, e’ cosa molto trattata dagli autori moderni (Bufalino e Vassalli in primis), ma qui assume dei guizzi di originalita’ non sottovalutabili perche’, al di la’ dell’uso di vocaboli dialettali, raramente credo si sia letta in Italia un’opera narrativa lunga interamente incentrata sul problema dell’interpretazione del linguaggio scritto ed orale – per di piu’ estendendo questo eterno problema al dilemma concernente il rapporto fra giustizia umana e giustizia divina.
    Per quanto riguarda lo stile e la sintassi adoperati, potrei solo suggerire a Simona Lo Iacono che in molti casi le sue bellissime (ed originali) suggestioni poetiche e la leggibilita’ del testo in genere, non avrebbero assolutamente perso forza anche se espresse evitando le eccessive cesure del testo – faccio un esempio: ”Se e’ fuggito non resta che fuggire. Se l’ha lasciata non resta che cercarla. Anche se non sa nemmeno che direzione prendere, Francisca, che nome invocare”. Ecco, qui, con delle virgole o dei punti e virgola al posto dei punti fermi il risultato sarebbe stato uguale, a mio avviso, pur ottenendo dei periodi piu’ complessi e strutturati.
    E per ora e’ tutto
    Saluti Cari
    Sergio Sozi

  52. Piera Mattei: che bello ritrovare anche te! Non vedo l’ora di rivedere te ed Antonio nella nostra Sicilia.
    Spero nel potere delle parole belle per farvi trovare un weekend di sole e luce!
    Saluto anche Giulio Perrone, che sta seguendo e accompagnando i nostri primi passi letterari… lo ringrazio anche perché sta risvegliando le nostre città con l’idea dei Circoli di lettura…

  53. Riporto per intero il testo prima inviato in due distinti commenti. Ho aggiunto anche un titolo.

    Miserere! – Osservazioncelle del tutto personali su ”Tu non dici parole” di Simona Lo Iacono (G. Perrone ed., Roma 2008)

    Esistono fondamentalmente due tipi di parole: quelle leggere e quelle pesanti. Sono le stesse parole, capiamoci, ma la loro collocazione le rende volatili o plumbee: e’ dunque il posto in cui si mettono le parole a designarne la forza; ed e’ lo spazio temporale, l’epoca storica, in cui le parole ”cadono”, a dar loro un senso ”forte” o ”debole”. Il contesto, in soldoni, lavora sui lemmi scolpendoli e rendendoli maschere tragiche o comiche o ironiche e via discorrendo.
    Le parole hanno comunque un’anima poco mutevole, fissa come il Cielo che – per chi crede nel Dio cattolico – le ha donate agli uomini non per prostituirne la bellezza ma per cantare le lodi di un uomo redimibile e di un Redentore amorevole e compassionevole.
    Ben altra cosa, percio’, rispetto a chi agisce in malafede (nel romanzo di Simona Lo Iacono molti, a partire da Angimbe’, il quale ”Usa parole. Proprio lui, che delle parole conosce solo la peggior parte”, sta scritto a pag. 151) e a chi ha degli squilibri emotivi altrettanto forti quanto debole e’ la sua personalita’ reale, interiore (penso al truce capopopolo Pilosa, strumento diabolico nelle mani dell’insensato agire dell’Angimbe’).
    La bellezza delle parole dunque ne e’ solo un aspetto, sebbene, analogamente alla Luna, se ne possa in Terra vedere con facilita’ solo una faccia, quella appunto violenta – chi ha cattivi intenti nota, si sa, solo gli aspetti utilitaristici di tutto; e sebbene questa bonta’-bellezza sia recondita, nel racconto Francisca, Pititta e Tufania, ne posseggono solo gli aspetti positivi, celesti e divini. Loro parlano dunque non per comunicare ma per esprimere quanto – causa limitatezza mentale e spirituale – nessuno e’ in grado di cogliere: il latino di Francisca si muta nel ”latinorum” dell’arcivescovo Angimbe’.
    Giustappunto, il ”puro” latino di Francisca, rappresenta uno ‘’strumento” di fede eccelsa e primigenia, un profluvio di ”verba” scorrente come acqua di ruscello, una litania la cui suggestione e’ tutta musicale, a voler dichiarare il candore dell’Agnello di Dio, l’agnello sacrificale che s’incarna, pariteticamente, nelle tre donne di ”Tu non dici parole”. Sono parole bianche, albine, immacolate, armoniche e bambine… le stesse che, nella bocca di Angimbe’, si colorano del nero del quale la sua perversione spirituale le vuol tingere, anzi sporcare, immiserire. E quel ”Miserere, miserere, miserere” costituente lo ‘’slogan” di Francesca ben si adatterebbe al Pilosa, alla perpetua di don Pippino e al curato stesso, se costoro fossero capaci di elevare una siffatta preghiera, la cui umilta’ e’, invece, esclusiva dotazione degli ultimi fra gli ultimi.
    L’argomento del romanzo, di questo variopinto, religiosissimo dramma siciliano secentesco, e’ cosa molto trattata dagli autori moderni (Bufalino e Vassalli in primis), ma qui assume dei guizzi di originalita’ non sottovalutabili perche’, al di la’ dell’uso di vocaboli dialettali, raramente credo si sia letta in Italia un’opera narrativa lunga interamente incentrata sul problema dell’interpretazione del linguaggio scritto ed orale – per di piu’ estendendo questo eterno problema al dilemma concernente il rapporto fra giustizia umana e giustizia divina.
    Per quanto riguarda lo stile e la sintassi adoperati, potrei solo suggerire a Simona Lo Iacono che in molti casi le sue bellissime (ed originali) suggestioni poetiche e la leggibilita’ del testo in genere, non avrebbero assolutamente perso forza anche se espresse evitando le eccessive cesure del testo – faccio un esempio: ”Se e’ fuggito non resta che fuggire. Se l’ha lasciata non resta che cercarla. Anche se non sa nemmeno che direzione prendere, Francisca, che nome invocare”. Ecco, qui, con delle virgole o dei punti e virgola al posto dei punti fermi il risultato sarebbe stato uguale, a mio avviso, pur ottenendo dei periodi piu’ complessi e strutturati.

    E per ora e’ tutto
    Saluti Cari
    Sergio Sozi

  54. Carissimi amici,
    grazie. Le vostre parole mi offrono l’opportunità di rispondere a una delle prime domande di Massimo: come ho vissuto questo esordio.
    E’ stata – come ha detto Maria Lucia – una festa.
    Un coro di voci, dalla presentazione (in cui i miei amici si sono alternati nell’illustrare aspetti del romanzo come in una commovente e condivisa staffetta) a questo post. E poi ancora nel raccogliere impressioni, nel commentare il libro, in ufficio, tra le persone care, o con lettori occasionali, incrociati per caso.
    Le emozioni più belle sono legate a questo: all’amore per coloro che fanno il mio stesso viaggio. Che trapassano l’esistenza con perizia funambolesca, che sono – come dice la mia carissima Maria Rita – scintille di fuoco, fauni di bosco, creature marine e immaginarie quanto il barbaglio di un sogno.
    Nessun esordio nè alcuna nascita dipende da noi.
    E’ invece il frutto di chi ha creduto nel nostro destino, di chi l’ha anticipato e curato. Di chi l’ha allevato con amore e rispettato come una stella timida, incipiente, pronta a tremare in un solstizio.
    Io devo tutto ai miei amici.
    A chi ha preceduto questa gioia con lo scambio del companatico nei giorni guasti. A chi ha affatato i sensi per suggerirmi una speranza. A chi, questa speranza, l’ha fatta persino diventare realtà, offrendomi un posto qui, tra voi, e poi ancora rimbalzando, oltre i rarefatti intrichi della rete, per impigli di cielo.
    Massimo, Luigi, Maria Lucia. E poi ancora Maria Rita e Alessio e Francesco e Alessandro…quanti nomi potrei scrivere. Quane mani tese a ricordarmi che questo approdo non è mio.
    Non mi appartiene.

  55. E’ bellissimo leggere gli interventi sul libro della carissima Simona. Tante suggestioni e immagini e riflessioni che toccano il cuore. Non vedo l’ora di immergermi nella storia di “Tu non dici parole”! Un affettuoso saluto a tutti, in particolare a Maria Lucia, a Maria Rita, a Mavie, a Massimo e naturalmente alla dolcissima Simona.

  56. Concordo con Sergio.
    Credo però che lo stile paratattico, fortemente paratattico (per intenderci, quello molto spezzato, fortemente staccato tramite punti) di Simona, sia voluto per evidenziare il ritmo delle parole e per dare loro una maggiore forza.
    Credo anche – ma Simona stessa potrebbe intervenire e darci risposta – che questo suo stilema sia dovuto alla sua lunga frequentazione con la poesia.
    Io stessa ho iniziato a scrivere poesie prima che racconti e romanzi e la lingua poetica, la scrittura poetica, mi hanno influenzato e mi influenzano profondamente.

  57. Carissimo Sergio
    la tua analisi puntualissima e curata mi ha commossa.
    Grazie.
    Hai davvero colto ogni tassello del mosaico che ho cercato di costruire. Ogni voce: oscura, limpida, sonora, vendicativa.
    D’altra parte è questa la vita.
    E la scrittura la raccoglie pietosamente sia quando tradisce, sia quando ama. Sia quando somiglia al cielo, sia quando si insozza di fango.
    Siamo nient’altro che questo: un impasto e un’anima vacillante che cerca ragioni al mistero di esistere.
    E che s’interroga tra coltri pesanti, indrappate di porpore piegose e vane, come tutto ciò che deve finire.
    Il rapporto tra giustizia divina e giustizia umana è il campo di questa ricerca. Di questo oscillare tra opposti come la naca di un neonato.
    Di questa lacrima che rivola sugli occhi quando la notte si spande sulla nostra soltudine e noi siamo qui , chiedendoci – ancora una volta – perchè.
    “…Ma il perchè, a volte, non esiste. O forse il perchè è l’intera storia, il lapillo che ne genera l’inizio, il misterioso battito che da’ vita a tutte le storie, oppure muore.
    Il perchè sta tutto qui. Nella semplicità di questo essere carnale che si svuota e si riempe, e nel suo opposto, nel non essere altro che anima, anima di stelle e cielo, che fatica a sbrogliarsi dei suoi lacci…” (pag 187)

  58. Cara Mari, caro Sergio,
    lo stile paratattico è un’eredità della poesia, addolcita da un senso del ritmo molto forte che precede la mia scrittura.
    Io avverto lo scrivere come un battito del cuore. Un tamburo che tonfa tocchi concitati e pesanti. Uno scampanio di chiesa madre o monastero che schiocca come frusta nel cielo.
    La stessa Francisca sceglie le paole “miserere miserere miserere” senza neanche sapere che sono un’invocazione disperata di tregua. Di sosta all’incessante incalzare della lama.
    Le sceglie perchè può ripeterle assecondando il proprio respiro da animale braccato, la rotolante assuefazione al proprio corpo, al fuire del sangue nelle vene.
    Credo che pause del respiro e punteggiatura debbano annodarsi.
    E che quando lo sterno, e i polmoni, e il pressare delle costole in me sentano che la corsa sta per finire, ecco, io allora debba mettere un punto.

  59. Certo, Simona, certo, l’avevo colta, la ragione poetico-individuale del tuo sostituire paratassi a sintassi, ma, venendo io da un’altra ”regione espressiva”, ho trovato molto spezzato un ritmo narrativo le cui pause potrebbero esser state magari affidate piu’ al lettore che al proprio cuore. Un critico dopotutto, poveretto, che deve fare? Trova luci ed ombre nella Letteratura, se e’ onesto, altrimenti no: da’ fiato alle trombe e urla al miracolo sempre o alla schifezza sempre. Io vado invece nelle sfumature. E dico anche che l’equilibrio del tuo romanzo, fra prosa e poesia, e’ stato comunque ottenuto, nonostante l’oggettiva difficolta’ dell’operazione.

  60. Prosa poetica? Se cosi’ fosse (io lo affermo quasi quasi!) il tuo romanzo ne sarebbe un bell’esempio. (Ma attenzione: le bozze vanno rilette dai redattori editoriali, a scansare disattenzioni grafiche, errori di battitura e refusetti: anche questo e’ rispetto della parola. E dell’arte).

  61. Sapete che – non mi ricordo dove l’ho letto – c’è una correlazione tra stile di uno scrittore e il suo modo di respirare? Sembra pazzesco ma a me non sembra tale. Se leggete il precedente commento di Simona…

  62. Carissimi amici,
    grazie per i numerosi commenti pervenuti su questo post.
    Simona li merita tutti perché il libro è davvero bello.
    Purtroppo temo che stasera difficilmente riuscirò a intervenire ancora. Lo farò con gioia nei prossimi giorni (qui e sugli altri post). Anche perché avrei molte considerazioni da fare. E qualche domanda da rivolgere alla nostra Simona.
    Per il momento mi limito a dire che sono convinto che questo “Tu non dici parole” sarà il primo di una lunga (e crescente) serie di successi letterari firmata Simona Lo Iacono.
    Non sempre, purtroppo, il successo accompagna la qualità di un’opera letteraria. Ma qualche volta, per fortuna, accade.
    Un brindisi per Simona!

  63. Marilu’,
    be’… se ne dicono tante. Io considero lo scrittore un artista, dunque lo vedo come interprete di se stesso e del proprio corpo, non come ”copista” del proprio corpo. L’anima artistica deve staccarsi dal corpo, dopo averlo eventualmente analizzato insieme al proprio spirito.

  64. “Se e’ fuggito non resta che fuggire. Se l’ha lasciata non resta che cercarla. Anche se non sa nemmeno che direzione prendere, Francisca, che nome invocare”.
    A me la scelta della punteggiatura pare azzeccatissima e fornisce un ritmo cadenzato che risulta molto coinvolgente.
    Brava, Simona Lo Iacono.

  65. simona, non è un atto dovuto. il tuo libro lo avevo messo in rampa di lancio senza sapere di questo post e, appunto, ieri sera ho letto tutta la prima parte. Poco per parlare a ragion veduta, ma abbastanza per dire che se Francisca ha la devozione verso le parole, non poteva scegliere miglior narratrice di Simona. Ogni personaggio che finora ho incontrato, compreso il Pilosa, è descritto con parole cucite addosso come vestiti. Nella narazione si insinua qui e là anche qualche elemento “gothic” che lo avvicina ai settori da me prediletti. Perché tu abbia scritto una cosa del genere lo sai solo tu. Io leggo e mi faccio domande. Poi vado avanti a leggere perché quello (tutto sommato) devo fare. E lo sto facendo con grande sorpresa.

  66. Gentile Simona, garantirLe la mia presenza su quest’autorevole blog letterario, dopo l’invito rivoltomi ieri, lo ritengo sia doveroso, sia un piacevole momento per manifestarLe gratitudine sulla scelta del personaggio principale e dell’ambientazione, per trattare un tema contemporaneamente semplice e complesso.
    Leggerò con particolare interesse il Suo «Tu non dici parole».
    Saluti, Luigi Putrino – Bronte (CT)

    P.S. Notizie storiche sono presenti all’indirizzo: http://www.bronteinsieme.it/8not/cron_0.htm

  67. Solo questa mattina posso accedere al mio pc e quindi mi accodo un po’ in ritardo ai commenti degli altri dopo aver saputo di questo appuntamento dedicato a Simona. Non potevo pero’ mancare di far sentire la mia voce, anche se ho appena ricevuto il suo libro e per ora ne ho letto solo il primo capitolo, sufficiente pero’ per farmi riconoscere il respiro, oserei dire il “battito del cuore” di Simona, che si trasforma per l’appunto in parole, parole incise sulla carta ma ancor piu’ nel profondo dell’anima. Questa, lo dico buon’ultima, e’ una vera grande scrittrice italiana, di quelle che nascono ogni tanto sul nostro pianeta. Non l’avrei conosciuta se lei per prima non mi avesse contattata per un’intervista qualche tempo fa dopo aver letto un mio libro, ma sono contenta che a volte i sentieri incrociati della vita ti portino doni veramente inaspettati, come questo. Sul numero di marzo della rivista “In Purissimo Azzurro” che dirigo ci sara’ uno speciale dedicato a Simona Lo Iacono e sara’ presentato il suo libro, l’appuntamento e’ su http://www.inpurissimoazzurro.info. Intanto, un arrivederci a tutti, e un caro saluto a Massimo e a Salvo, e naturalmente alla brava Simona!

  68. Promana da quasi tutti gli interventi un calore umano di compartecipazione, compresenza di baluginii, fiammelle e fiamme nel caminetto acceso di Letteratitudine.

  69. Buon pomeriggio a tutti e grazie di cuore per i vostri interventi.
    Un saluto speciale e un caldo benvenuto (qui a Letteratitudine) allo scrittore Salvatore Spoto.
    Un saluto anche a Luigi Putrino, giornalista e assessore al comune di Bronte (CT).

  70. Mettoin evidenza queste parole che Maria Di Lorenzo (ciao, Maria) rivolge a Simona:
    e’ una vera grande scrittrice italiana, di quelle che nascono ogni tanto sul nostro pianeta.
    Parole forti, importanti, incisive.
    Le sostengo riportando le parole con cui ho chiuso il mio intervento di presentazione del romanzo di Simona a Siracusa (Palazzo Vermexio):
    Questa estate scrissi un articolo sui nuovi percorsi della letteratura siciliana… un articolo pubblicato sulla pagina cultura del quotidiano “Il Mattino”. In coda a quell’articolo ebbi modo di accennare a questo romanzo, che avevo letto in bozza. In quell’occasione presentai Simona Lo Iacono come una “scommessa”.
    Ecco… quello che scrissi allora, lo ribadisco oggi.
    Simona Lo Iacono è una “scommessa” per la letteratura siciliana e per la letteratura italiana.
    E per me (aggiungo)… è una scommessa già vinta.

  71. Piccola parentesi sulla scelta linguistica adottata in questo libro

    In questo romanzo di Simona Lo Iacono (come è già stato fatto osservare) l’italiano è frammisto a espressioni in latino, in volgare, in dialetto siciliano. Dialoghi serrati si alternano e si intrecciano a impennate liriche, barocche, ben dosate e mai autoreferenziali.
    Mi sono domandato:
    – perché Simona Lo Iacono ha scelto di usare questo linguaggio?
    – perché ha scelto di inventarsi questa lingua nata da una commistione di linguaggi?
    – per una questione di sperimentazione?
    Be’, forse anche per questo… ma io credo (non so se Simona si troverà d’accordo) che l’intento primario sia stato quello di riuscire a trasportare il lettore nel cuore della storia, facendogli vivere e vedere luoghi, vicende e sensazioni a lui distanti. In un certo senso è come se il linguaggio usato da Simona per la scrittura di questo romanzo fungesse da navetta spazio-temporale; una navetta dove il lettore si può comodamente sedere per essere trasportato – con sapienza e arte – all’interno della storia.
    Se questo, come io credo, è stato l’obiettivo… ritengo che sia stato perfettamente raggiunto e che Simona sia riuscita a compiere un’impresa difficilissima: quella cioè di imbastire un impasto linguistico perfettamente equilibrato, messo a servizio della storia e del lettore.

  72. Considerazioni sull’ambientazione del processo a Francisca Spitalieri

    Come è stato già detto, nei giorni in cui si celebra il processo a Francisca, a Bronte si festeggia il Carnevale. Per virtù di un “banno” chiunque, per sette giorni, in qualunque occasione e in qualunque contesto, può indossare maschere e circolare vestito o travestito in maschera.
    Per sette giorni – si dice – il mondo, a Bronte, girerà alla rovescia.
    Ora, poiché il processo prevede il coinvolgimento di un peroratore della difesa (figura liberamente ispirata all’advocatus del Santo Tribunale) a Tufania (l’altra protagonista del romanzo), viene l’idea di travestirsi, per non farsi riconoscere dagli inquisitori, e difendere l’amica Francisca. E lo fa anche in virtù del fatto che suo padre, sin da ragazzina – per una serie di motivi – le ha insegnato l’arte della difesa processuale.
    A questo punto inizia una parte bellissima del romanzo, caratterizzata da una pregevole visionarietà artistica e da una grandissima teatralità. Perché inizialmente gli inquisitori, appena vedono spuntare questo “peroratore” (questo difensore) travestito da rondine… si mettono a ridere.
    Sì, ridono di gusto.
    Smettono di ridere nel momento in cui si rendono conto che quel “peroratore” ha, in effetti, diritto a presentarsi vestito (o meglio, travestito) in quel modo per via del già citato “banno”. E non è possibile mettersi contro il volere del signore di quelle terre…

    A quel punto, allora, anche gli inquisitori decidono di stare al gioco. Si dicono: “se noi non potremo guardare in faccia il peroratore della difesa, allora lui non potrà guardare in faccia noi”.
    E si travestono anche loro.

    (dal romanzo “Tu non dici parole”)
    Non s’era mai visto. Non s’era mai sentito.
    Un santo concistoro che processa una strega in vesti di finzione. In cui il peroratore è una rondine. Il decano un falco, i teologi consultori civette, i magistrati secolari storni e i consolatori ratti.
    L’Angimbè, l’inquisitore, è invece un pipistrello colle ali tese da stecche inamidate, cucite dal sarto in sole tre ore e orlate di ricamature d’oro zecchino che evocano lo stemma del soglio pontificio.
    Per la strega s’è pensato alle vesti d’una colomba frammista a piume nere di corvo.


    Ora… credo che questa sia la parte più bella dell’intero romanzo. La più fantasiosa, la più creativa, la più teatrale. E credo che queste pagine in particolare, ma l’intera opera narrativa, si prestino benissimo per una trasposizione teatrale. Anzi, auspico che queste pagine possano essere tradotte in copione per essere messe in scena.
    E c’è di più. C’è anche la metafora. Cioè la “maschera”… considerata come simbolo dell’interrelazione umana, molto spesso condizionata da giochi di ruolo… da posizioni preconfezionate in cui ciascuno di noi è costretto – in un modo o nell’altro – a recitare la propria parte. A volte a malincuore. Altre volte con bieco cinismo.

  73. @ Simona
    Sei d’accordo con le mie considerazioni di cui sopra?
    Le riepilogo di seguito:
    – il linguaggio come mezzo per trasportare il lettore nel cuore della storia
    – la teatralità del romanzo (e la possibilità di una sua trasposizione teatrale)
    – la “maschera”, vista come metafora dell’interagire umano (anche se in effetti ne hai già fatto cenno).

  74. Ma anche in questo caso una parola assume valenze e significati che sfuggono alle immediate intenzioni della bocca,o della penna,che le ha generate,e finiscono per dare,a chi sa leggerle,lo spaccato di un’anima,di un attimo,di un pensiero,o di tutta una entita’ pensante.
    Tutto questo per dire a Lorenzo:”non sei solo, ma ugualmente destinato alla solitudine”.
    Postato Mercoledì, 21 Gennaio 2009 alle 8:20 pm da maria gemma
    Maria Gemma,
    e aggiungo:
    Siamo destinati alla solitudine per invogliarci a cercarci sempre di nuovo e realizzare insieme un qualcosa che ci dia l’illusione di essere, di vivere.
    Grazie della citazione.
    Lorenzo

    Sergio
    La bellezza alla parola lo dà chi sa leggerla e capirne il significato, anche se sarà sempre quello che gli serva nell’attimo della sua lettura.
    La parola diventa viva quando unisce due anime e morta quando le separa.
    La parola è un mezzo per trasmettere intenzioni proprie e concetti; sta a chi le riceve a mettersi in onda o no con chi le trasmette.
    Lorenzo

  75. Caro Massi, torno adesso dal tribunale, sotto una pioggia battente e secca , grossa quanto mondelli di grano.
    Mi preme ringraziare la mia cara Maria Di Lorenzo, Cristina, Enrico, Gianmario, Angela, Lorenzo e l’assessore di Bronte,Luigi Putrino che – letto l’articolo sulla Sicilia – si è messo sulle mie tracce telefonando in tribunale e scatenando la curiosità dei componenti della mia cancelleria. Ufficio che – lo dico per inciso – dirigo con particolare orgoglio, perchè si sottrae a ogni logica burocratica ed è popolato da veri personaggi letterari (ai quali, lo dico sempre, dedicherò un romanzo).
    Il Dottore Barbagallo mi ha passato la telefonata senza incertezze, apostrofandomi con serietà assoluta: Dottoressa Lo Iacono hanno chiamato da Bronte.
    Ho risposto: vogliono parlare con me?
    E lui (compunto): No, con suor Francisca.
    Al che ho compreso che Francisca, a dispetto delle disposizioni della Santa Inquisizione che volle sopprimerne ricordo, viso, esistenza, ha una tenacia e un’ostinazione da vera superstite, perchè viene ormai nominata dai mei collaboratori con familiarità sconcertante.

  76. Devo poi ringraziarti, Massi, per gli spunti che mi offri e la dedizione con cui hai letto e presentato il romanzo.
    Hai colto proprio gli elementi che mi stanno a cuore.
    -1- Il linguaggio.
    -2- La teatralità della rappresnetazione (legata anche alla teatralità della vita e del processo).
    -3- La maschera come velo dietro il quale celiamo un’irrisolta ricerca di identità. La nostra mancanza di coraggio.

  77. Il linguaggio.

    L’uso della lingua in letteratura è fondamentale.
    E’ il linguaggio che ha il compito di suggerirci atmosfere, odori, sapori. E’ il linguaggio che deve farci toccare, vedere, sentire.
    C’è un’affinità profonda tra i nostri cinque sensi e la parola. La scrittura deve balzare dalla pagina, assalirci, prenderci a schiaffi, interrogarci.
    Deve avere sangue, fiato, desideri perduti e mancanze.
    Deve vivere.
    Per fare questo l’artificio deve inventare la nauralezza.
    E lo deve fare scovando non solo le parole usate all’epoca, ma interpretando una parte, indossando vesti e bardamenti di attore, inscenando un tale groviglio di tempi, attese, umori, sguardi, da catapultarci subito in un’altra dimensione.
    La lingua deve assolutamente sedurre.
    E lo scrittore, di conseguenza, deve essere uno scaltro ipnotizzatore, un saltimbanco sfrontato, irriverente, che ti trascina nel suo tendone come un ossessionante imbonitore: venite, gente, venite signori, che lo spettacolo ha da cominciare.
    Ecco, l’inganno è perfetto quando tu sai di entrare in quel tendone per stare al gioco.
    E quando ne esci senza ricordarlo più.

  78. Troppi complimenti a questa Lo Iacono, non vorrei si montasse la testa. Pure Maria Di Lorenzo vuole dedicarle uno speciale. Cos’ha poi di tanto straordinario? Scrittrici come lei ne nascono una ogni cinquant’anni.

  79. In questo passo che ti riporto, ad esempio, ero in difficoltà. L’arcivescovo Angimbè, il persecutore di Francisca, è un consacrato. Ma è anche un uomo che ha subito un abbandono, che nell’ostinazione con cui accusa Francisca riversa rancori e ferite passate, che sente di aspirare alla romanità del soglio pontificio ma è – al tempo stesso – siciliano, di una sicilianità vissuta come marchio dominatore e maschio.
    Come dargli voce?
    Per una settimana ho pensato come lui, ho respirato il suo dolore nel mio, ho finto di avere toghe cardinalizie e tempie incanutite. E poi, tarli di ricordi, incavi dell’anima.
    Ombre. Vendetta.
    L’ultimo giorno ero talmente sfinita che è saltata fuori questa pagina.
    Che non ho cambiato più.

    Frattanto l’Angimbè s’è installato dietro le grate che cingono Francisca, perché, vergine o non vergine, s’è detto, ci son comunque le parole belle che depongono contro di lei, anzi contro le donne tutte.
    Perché parola e donna sono tutt’uno, pensa sua eminenza. A maggior ragione se le parole sono cose di chiesa, cose di anima, cose di stelle.
    Da che sua madre lo partorì senza assicurargli ascendenza paterna, Angimbè ce l’ha colle donne. Con la leggerezza loro, coll’impicciarsi delle cose d’amore. Con quell’essere sapute di figli, di cuore, di canti, che farebbe ammammalucchire un savio.
    Come se non fosse chiaro che natura fecit mulierem contra se, per sbaglio, e comunque sempre pensando prima allo mascolo, come dice la Sacra Scrittura, senza lo quale niuna sarebbe non solo nata ma nemmanco concepta. Perché lo stesso seme è maschio, lo stesso inquattarsi tra le pareti umide da cui germoglia, lo stesso scendere in gole di donna aperte al suo incedere maestoso.
    E poi. Quel piangere gli abbandoni come lutti. Quel travisare destini. Quel pensare subito a cose eterne quando l’amore è niente, un pezzo di vento, un inciampo, al più, che si consuma in poche notti.
    Dopo, tutto già visto, tutto già gustato. Seni, gambe, natiche. Non sono che un accidente da trovare uguale in un’altra, cui la freschezza della gioventù dìa, per un momento, un volto diverso, non ancora esplorato.
    Per il resto, donne si nasce per volere di uomo. Maschio, solo per volere di Dio.

  80. La teatralità.

    La teatralità del romanzo, e delle ultime scene in particolare, è legata all’idea del processo come rituale, come rappresentazione di parti.
    Mi spiego.
    Il processo è come un grande copione le cui parti sono prestabilite dalla legge.
    Deve esserci un giudice (parte prima),
    un avvocato difensore (parte seconda),
    un imputato (parte terza),
    e i testimoni (parte quarta).
    Come magistrato so bene che le parti processuali non corrispondono alla “parte” che nella realtà viviamo.
    Che dietro la difesa può celarsi l’accusa e dietro la colpa l’innocenza. E che tuttavia la sentenza deve accontentarsi di un’istruttoria. Di prove. Di carte da cui non trasudano mai stille di pietà umana.
    E allora ho giocato su questo sfalsamento tra struttura giuridica e vita, e tra vita e cuore, perchè anche la vita- a sua volta – ci immette in ruoli che non vorremmo recitare.
    In copioni scritti da altri.
    Quanto più cresce la consapevolezza di questo sfalsamento tra “ruolo” a cui siamo chiamati e verità, tanto più la maschera è dolorosa.
    Tanto più si accresce la “recita”.
    Da inscenare su un palco.

  81. Le maschere.

    Dal palco alla maschera, poi, il passo è breve.
    Ti riporto qui il capitoletto che apre la processione di maschere, Massi, e ti ringrazio ancora una volta per la grande ospitalità chi mi hai concesso.
    Ti sono molto grata e ti abbraccio forte.

    La processione di maschere sfila come schiera di anime purganti, intabarrata in vesti ora sontuose ora sfilacciate che potrebbero nascondere chiunque al proprio interno.
    Sfila come ondeggiare di barche nella notte, cui le lampare conferiscano bagliori, un unico corpo che intona litanie e invoca al tempo stesso santi e dannati, anime e viventi, corpi decollati e spirdi, malùmmiri, pantasimi.
    Murmurìano le ombre, i morti come fossero in vita, i vivi come fossero trapassati, in una confusione per qualche giorno ammessa tra cielo e terra, quasi un mondo di mezzo ove cittadino è la maschera: colui che è, e al tempo stesso colui che non è…..

  82. @ Salvo

    Ti pare niente che nasca ogni 50 anni – come dici tu – una scrittrice con la S maiuscola, come Simona (che comincia pure per S), e che noi ci siamo capitati proprio in mezzo! L’idea dello speciale poi me l’hai fatta venire in mente proprio tu, quando per primo mi hai mandato una recensione sul libro di Simona Lo Iacono, recensione ottima che uscirà a marzo e perciò… Viva Simona!

    @ Massimo

    Ciao a te, caro Massimo, che fai cose sempre piu’ belle con Letteratitudine, anche se non partecipavo da un bel po’ non ho mai perso di vista il “nostro” open blog, che e’ una vera boccata di aria pura in mezzo ai gas velenosi di ogni giorno. Grazie!

    @ Simona

    Grazie anche a te, Simona, per le tue spiegazioni, che veramente aiutano a entrare “sotto la pelle” del romanzo, nel cuore della storia e dei suoi protagonisti. Solo un autore sa cosa c’è nella testa dei suoi personaggi, ed è molto bello quando si sofferma a spiegare ciò che nel racconto non c’è oppure non è così evidente, spesso deve essere intuito. Vorrei essere anch’io a pranzo da te sabato come Salvo – lui beato! – ma ci sono centinaia di chilometri in mezzo … e allora ti aspetto a Roma 🙂

  83. @Maria. Un saluto affettuoso. La tua rivista è splendida, per contenuto e grafica. Collaboro sempre con piacere. Sono contento di avervi fatto conoscere, tu e la Simo siete due grandi donne (con la differenza, però, che lei mi prepara prelibati manicaretti)

  84. @ Salvo

    Se vieni a Roma te li preparo pure io…

    Grazie comunque per i complimenti alla rivista e soprattutto per la tua preziosa, intelligente e costante collaborazione 🙂

  85. bravo Lorenzo.Con dolcezza hai dato una bella e saggia lezione al destinatario del commento
    Postato Giovedì, 22 Gennaio 2009 alle 3:59 pm da Angela
    @ Angela
    grazie Angela, ringraziamo Simona per il suo grande romanzo e tutti quelli che sono intervenuti con i loro commenti.
    L’unione che ne nasce ci onora e ci sprona a continuare.
    Lorenzo

  86. Accidenti, Massimo!
    Avevo l’intenzione di riportare il mio commento sul post dopo aver riflettuto – convinto dalla tua esortazione – sul numero di persone (tra cui scrittori e intellettuali, ma non solo) che hanno pagato, stanno pagando o pagheranno sulla propria pelle il peso delle parole, senonché mi sono imbattuto in uno scambio coinvolgente e appassionante di giudizi, domande, risposte e informazioni o recensioni sul libro di Simona Lo Iacono, che – contagiato – è venuta anche a me la voglia di acquistarlo.
    Il potere della parola, anzi delle parole! per l’appunto.
    Delle parole, ossia del linguaggio. Ovvero quel corpus codificato di terminologie, nomenclature, sistemi di saperi e conoscenze, saggezza popolare, associazioni di idee, concetti, intonazioni e armonie vocali. Nonché fenomeno proprio di un determinato gruppo, che lo trasmette a ogni singolo componente, formandone la mente in modo che lo stesso linguaggio (o lingua) possa costituire un simbolo di riconoscimento, il principale (tratto da “I temi della comunicazione”, pubblicato nel 2004 dal sottoscritto).
    Simona ha elencato una serie di persone che, per le loro parole e i loro ideali, manifestati con le parole, sono state torturate o hanno addirittura perduto la vita. Ma il loro numero è infinito e crescerà all’infinito se nelle società sottoposte a dittatura (di qualsiasi genere) emergeranno figure alte, nobili, dedite al martirio pur di salvaguardare la libertà personale e altrui.
    D’altronde, è sulla comunicazione – asserisce, tra gli altri, anche la celebre antropologa statunitense Margaret Mead, – cioè sulla scelta di precise parole (e linguaggi) che si costruisce un certo tipo di struttura sociale, di società. Oltre all’assunzione di determinati tipi di atteggiamenti e comportamenti.
    Ne approfitto per formulare a Simona un cordiale “ad maiora”, Ausilio Bertoli

  87. @Giuseppe Ausilio Bertoli: Grazie!
    E’ vero, il nome dei perseguitati a causa della scrittura non è codificabile nè conducibile a statistiche.
    Anche perchè è formato da un esercito di fantasmi silenziosi, surreali, che spesso strisciano tra le vite degli altri coperti da pregiudizi e ostilità.
    Paura di affrontare la diversità.
    Il motivo per cui la scrittura è perseguitata è perchè è UNA DIVERSITA’.
    E’ ciò che fa vacillare le certezze acquisite, che minaccia fondamenta che si credono ben assestate.
    Ciò che provoca a uno sguardo controcorrente.
    La scrittura sovverte luoghi comuni, spiagge conquistate, bandiere sguainate su terre che si credono proprie.
    Svela l’inganno. Sa dirci che questa vita non ci appartiene.
    Per questo fa paura.
    E per questo è una strega.
    La scrittura è sempre – come Francisca – una strega processata e fraintesa. Uno specchio in cui non si vuole guardare. Una verità che non si vuole udire.
    Grazie per questa precisazione , mio caro.
    Mi offre l’oppotunità per riportare nel successivo commento qualche notizia storica sulle STREGHE.

  88. LE STREGHE

    Il ruolo di “antagonista” nelle fiabe è spesso occupato dalla figura, inquietante ma ricca di fascino, della strega, colei che attraverso incantesimi e riti magici provoca un improvviso turbamento nell’andamento della storia narrata, ostacolando l’eroe nel raggiungimento della meta desiderata. Secondo gli accusatori del tempo erano donne che, al calar delle tenebre, si spostavano in volo raggiungendo in poco tempo luoghi anche molto distanti, si riunivano in congresso, operavano malefici, si trasformavano assumendo aspetto animale o forme mostruose. Al mattino riassumevano le loro normali sembianze.
    Il padre gesuita Federico von Spee nella sua Cautio Criminalis del 1631 indicò come, una volta arrestate, restasse a queste donne solo una lieve speranza di salvezza, poiché ogni piccolo dettaglio della loro vita, ogni atteggiamento o parola, veniva interpretato in modo tale da considerarle streghe, nell’estremo tentativo di trovare indizi sufficienti a sorreggere un’accusa che non aveva alcuna sussistenza. Bisogna inoltre tener presente che molte donne, sotto tortura, o pur di sfuggire ad essa, arrivavano ad ammettere colpe inesistenti.

    Ma quali motivi potevano spingere all’accusa di stregoneria?

    Si trattava forse di donne “diverse” rispetto al resto della comunità, con problemi sociali o psichici, o semplicemente in grado di curare alcune malattie usando infusi preparati con erbe officinali, perciò accusate di stregoneria in quanto non usavano le tecniche mediche convenzionali.
    Gli abitanti del paese di Cervarolo, in Valsesia, agli inizi dell’800, arrivarono a temere che una loro compaesana fosse una strega dai suoi tratti somatici, solo perché aveva “una statura alta, con una faccia deforme, nera, bitorzoluta, con una guardatura fiera, contornata da un profondo increspamento degli angoli delle palpebre, del tramezzo delle sopracciglia e di tutta la fronte che rendevala cupa e minacciosa, con un tono di voce sonoro e risoluto, e tutto ciò accompagnato da un umore ipocondriaco e bisbetico”
    (da LA STREGA IL TEOLOGO LO SCIENZIATO, a cura di M. Cuccu e P.A. Rossi, ECIG, Genova, 1986)

    F. Balzani ritiene che un ruolo rilevante nella nascita e nella diffusione di queste forme di superstizione e di suggestione, che poi si riscontrano anche in molte leggende, abbia avuto la crisi sociale del 1500/1600, quando il passaggio dall’economia feudale a quella mercantile influì sulle attività economiche non solo nella città, ma anche nelle campagne.

    Diminuite le fonti di reddito delle classi contadine, abbandonate anche dalla nobiltà rurale, la miseria, l’ignoranza e la denutrizione spinsero i contadini verso la superstizione, che li portò ad imputare i danni ai raccolti e al bestiame non a fattori naturali (conseguenza delle condizioni climatiche o del terreno o dei magri pascoli), ma come conseguenza di atti maligni, da sconfiggere solo con gli scongiuri.

    Le pratiche magico – superstiziose perdurarono poi nei secoli, in particolare nelle zone montane, come indica C. Triglia parlando della Valsesia: “Spesso, ad esempio, gli ammalati rifiutavano l’assunzione di cibo e medicine perché la luna non era propizia. La febbre terzana e la quartana venivano curate con un curioso rimedio, detto “legar la febbre”: si avvolgevano in alcune erbe gli alluci e i pollici dell’ammalato, che poi venivano legati strettamente con un filo di seta rossa; l’operazione era accompagnata da gesti e parole magiche. […] Alla figura del medico, guardata con sospetto e diffidenza dai montanari, si preferiva il rimedio della vecchia guaritrice del paese, più tradizionale e convincente. A completare il quadro non mancavano folletti, streghe e diavoli, che animavano luoghi oscuri e deserti, vallate e boschi, alpeggi e ghiacciai.”
    (da LA STREGA IL TEOLOGO LO SCIENZIATO, a cura di M. Cuccu e P.A. Rossi, ECIG, Genova, 1986).

    D’altro canto sono numerose le leggende, a metà tra realtà e fantasia, tipiche del Canavese, delle Valli di Lanzo e della Val Soana, in Piemonte. Angelo Paviolo, in un articolo pubblicato su “Oltre” spiega come questi luoghi, ed in particolare il Canavese, abbiano fama di essere terra di “masche”, termine con cui nel dialetto provenzale, si indicava la strega: “Strega, piemontese stria, è dal latino striga, con cui i nostri padri indicavano rapaci notturni come il gufo, ma soprattutto la civetta, ritenuta da una credenza non del tutto scomparsa neanche oggi, annunciatrice, quindi portatrice di sciagure; masca, che nel resto del Piemonte vale soprattutto come fattucchiera o anche fantasma, in Canavese è specificamente la strega; è parole provenzale, forse di derivazione longobarda, presente già nel famoso editto di Rotari del 643 con l’espressione “Stria quae est masca “. La derivazione è da mascara-maschera, con il significato di deforme imitazione del volto umano con fattezze animalesche […]”
    In siciliano la stria (strega) diventa “ANIMULARA” , cioè MANGIATRICE DI ANIME.

  89. per simona lo iacono.
    da dove nasce l’esigenza di scrivere una storia come questa?
    da dove nascono le sue storie?

  90. Caro Vincenzo,
    alcune storie crescono con noi. Affondano le proprie ostinate radici nello sguardo con cui nasciamo al mondo.
    Poi qualcosa le risveglia. Un incontro. Un guizzo serale.
    A volte, una visione.
    Francisca Spitalieri mi si è manifestata per caso. In un pomeriggio sciroccoso e domenicale in cui schivavo l’afa siciliana leggendo.
    Sfogliavo le cronache di Luigi Natoli.
    E’ bastato un attimo.
    La sua storia ha scosso in me una profonda commozione.
    Ha risvegliato una somiglianza.
    Credo che scriviamo sempre storie che ci interpretano, attraverso le quali – persino – cerchiamo di capire noi stessi.
    Non sono stata io a riportare in vita Francisca.
    E’ stata lei a riportare in vita me.

  91. Silenzio. Grazie Simona!Silenzio.Il mio di silenzio, a favore dell’ascolto:quando le parole sono superflue,oltre che belle o pesanti,per spiegare le emozioni di chi ti legge,Cara Simona,e condivide con gli altri la ricerca della possibile verità sul significato reale dell’esistenza umana: che viene tradita quotidianamente da tutti noi, anche attraverso le parole,forse.
    Tanto per sdrammatizzare:
    Il tuo editore Perrone ha intenzione di presentarti, per esempio, al premio Strega, Mondello 2009 come esordiente di qualità?
    Cara Simona, cercherò il tuo libro a Milano e lo proporrò al mio gruppo di scrittura creativa come case history: sulla ricerca storica di un personaggio femminile che parla a tutti noi moderni e rappresenta anche una donna che ha conquistato di diritto la parola libertà dai pregiudizi mai tramontati!
    Cara Simona,inoltre, ma dove la prendi tutta questa energia,profondità,liricità,equità di giudizio? Sei sicura di non aver vissuto nel passato, in un’altra vita, la disperazione,lo sconforto,l’impotenza vitale di fronte a ogni tipo di sopruso?
    Baci&Abbracci
    Luca Gallina

  92. Carissimo Luca,
    le tue parole mi hanno molto emozionata.
    Ti prego di dare a Massimo il tuo indirizzo perchè io possa spedirti il mio libro, mio caro.
    E poi sì.
    Anch’io mi sono spesso sentita inadatta all’epoca in cui vivo.
    E l’ho spesso percepita come troppo avanzata rispetto a me, a una voce che sin da bambina ho sentito risuonare antica, lenta, non armonica rispetto a quella degli altri.
    Per questo ho scritto spesso le mie storie nel passato.
    Per costruirmi un tempo adatto ai miei battiti interiori.
    Solo di recente ho affrontato una storia (il mio prossimo romanzo) ambientato nei nostri giorni.
    E l’ho fatto riconciliandomi col presente, accettandolo, finalmente, e sentendomene guarita.
    Anche perchè, mio caro Luca, per vivere la disperazione, lo sconforto, l’impotenza vitale di fronte al sopruso (come dici giustamente tu) non è necessario tornare indietro.
    Basta guardarsi intorno.

  93. Cara Simona,
    ti ringrazio per la tua premura!
    Massimo ha già la mia e.mail, che ringrazio e saluto: puoi richiederla se Vuoi.
    Io ti leggerò con piacere e farò tesoro delle tue belle parole scritte.
    Baci&Abbracci
    Luca

  94. Sono stato molto impegnato nei giorni scorsi e ho aperto il blog solo oggi. Che Simona sia persona squisita e scrittrice sopraffina avevo già avuto modo di accorgermi, sia incontrandola di persona che leggendo qualche suo racconto in rete. Ma questo romanzo mi pare proprio interessante per la sua ambientazione storica (ho un debole per i romanzi storici), per il tema trattato (la devianza e l’eresia sono quelli dei quali mi sono occupato maggiormente nei miei lontani studi universitari, fino alla tesi in storia), per il personaggio scelto (di primo acchito mi fa venire in mente Ildegarde di Bingen, figura storica affascinante, monaca-poetessa medievale dalla religiosità rigorosa ed ascetica, anche lei fortemente sospettata di devianza) e per l’oggetto che sta alla base del libro fin dal titolo: l’uso della parola e la sua importanza; un tema affascinante per qualsiasi scrittore o anche per un semplice lettore come il sottoscritto.
    Non ho ancora avuto il tempo di leggere tutti i commenti e ho scorso rapidamente le belle recensioni della cara Mary- Lou e della Pennisi.
    Non fanno che confermare il mio già fermo interesse.
    Complimenti anticipati, Simo. Cercherò di procurarmi il libro al più presto.

  95. @ Simona:
    L’ho letto. Quanta cupezza, quanta morte, quante “parole di sotto”. In un primo tempo ho pensato ad Antonia, la giovane esposta di Sebastiano Vassalli anche lei morta sul rogo, poi il pensiero è andato ai catari, Eresia pura di Adriano Petta, a Giordano Bruno, ma l’immagine che, per me, sempre esprime o interpreta la violenza oscura del potere per fermare l’immaginazione e la poesia (il Bello) va sempre ad Esmeralda: piccola, pura, tenera e diversa. Una lombarda come me (manzoniana per cultura e formazione, nonostante i se e i ma), fatica ad immaginare quel mondo che tu descrivi: non c’è ne’ speranza, ne’ salvezza. Il fetore del “piscio”, ottunde la mente ad ogni buona volontà. Una scrittura gotica (?), eppure il Gotico, nell’arte è quello delle grandi altezze, delle vetrate colorate, dei rosoni che irradiano luce all’interno delle buie chiese romaniche. Ho letto il testo come espressione, tua, di un momento incerto, difficile e che proprio per questo, andava “fermato”, o meglio, chiuso, dalle parole.
    Un abbraccio, Miriam

  96. @ Simona-Massimo-e gli altri interessati.
    Il carnevale in maschera:
    È giustamente un elemento centrale nel romanzo di Simona.
    È questo elemento che mette in rilievo la situazione sociale del tempo, da poter affermare che l’origine del carnevale si trova nell’evasione da un ordine imposto dalla gente del potere quando sia caratterizzato dall’oppressione sulla massa.
    I potenti possono essere degli Dei, come degli uomini che si sono appropriati la forza del disporre e definire su tutto e per tutti.
    Ognuno che festeggia la liberazione dalle sue costrizioni può assumere il ruolo che più gli piaccia e avrebbe voluto incorporare senza mai poterlo.
    Le maschere rendono i partecipanti incogniti e donano ai loro possessori la libertà di agire senza temere una rivalsa.
    Carnevale rappresenta quindi un’inversione dei ruoli, diventata una necessità per tutti i partecipanti. La bruttezza del potere e la desolazione della sottomissione non giova nel tempo a nessuno; ognuno sente il bisogno di uscire dal giogo e provare l’effetto della sua liberazione. Il male e il bene si aiutano a vicenda a sopravvivere.
    Per il potente che diventa servo come per liberarsi dai rimorsi di coscienza causati dal peso che il potere gli impone senza riuscire a liberarsene, per il servo che diventa padrone e dimentica il suo stato di schiavitù, per il religioso che diventa baccante come per recuperare i suoi piaceri vietatigli dalla sua fede. In questa fase dove tutto il contrario è lecito, ritrova la società il suo equilibrio prima distorto.
    È come prendere una purga e digerire tutto il male dominante per tanto tempo, sia quello causato dall’arroganza e presunzione come quello causato dall’ignoranza che rende incapace di reagire e avvalersi.
    Finito il carnevale, la vita riprende il suo consueto corso, nel quale i forti ridiventano malvagi e i deboli si rilasciano opprimere. Il male, cioè la limitatezza, determina di nuovo il corso della vita terrena.
    Eppure, l’inversione dei ruoli potrebbe causare anche un’altra reazione negli individui sottomessi, quella di riattivare le loro coscienze davanti alle ingiustizie patite e pretenderne un cambiamento.
    Un effetto di risveglio, al quale potrebbe seguire la giusta reazione, quella di considerare il prossimo, un simile e quindi con gli stessi diritti e doveri, e di conseguenza pretendere la giustizia di diritto e trattamento.
    Oggi, nelle società dove i diritti e doveri sono uguali per tutti e sono sanciti dalla costituzione, i carnevali vengono festeggiati per divertirsi e godere la libertà della fantasia.
    Non sempre corrisponde alla verità, ma un confronto rivela, che è stato effettuato un grande miglioramento.
    Il romanzo di Simona assuma qui un’importanza storica-sociale, un monito che vale anche oggi e dovrebbe tenerci svegli sugli andamenti della politica odierna.
    Saluti cari.
    Lorenzo

  97. “Il romanzo di Simona assuma qui un’importanza storica-sociale, un monito che vale anche oggi e dovrebbe tenerci svegli sugli andamenti della politica odierna.”

    parole sante.

  98. permaloso Maugeri, ha impostato i commenti per impedirmi di linkare il blog; un po’ chissene e un po’ grazie: è un onore, esserti nemico

  99. Caro Lorenzo,
    ti sono molto grata delle tue parole.
    Sì, la maschera deve stimolare il cambiamento. Deve esigere una trasformazione. Hai davvero saputo leggere oltre l’apparenza.
    Grazie!
    Saluto con molto affetto anche tutti gli altri intevenuti e corro in cucina.
    Domani è mia ospite Piera Mattei!

  100. @ Giulio Prosperi (shaeddin, marcus)
    Rilassati Giulio.
    Eri finito nell’antispam e ti ho recuperato. Ogni tanto capita anche ai miei commenti e ai commenti di altri. L’ho già scritto in precedenza.

  101. Ringrazio tutti per i nuovi commenti e chiedo un paio di cose a Simona (rispondi con calma anche nei prossimi giorni… non c’è fretta).
    1. Potresti approfondire il collegamento che esiste, a tuo avviso, tra “parola” e “processo”?
    2. Sarebbe possibile inserire tra i commenti un ulteriore brano del romanzo? Magari le prime pagine?

    p.s. buon sabato a te, a Piera Mattei e agli altri tuoi illustri ospiti (salutameli tutti).

  102. Un abbraccio a Simona Lo Iacono e un in bocca al lupo per il suo libro che, a quanto leggo, e’ veramente bellissimo. Lo prendero’, appena possibile. Adesso e’ un periodo allucinante, non riesco a leggere, quasi non riesco a scrivere. E’ dura. 🙁

  103. Così non mi rilassi, mi sorprendi. Se poi l’hai detto tante volte, amen: il punto è che non sei come ti presenti. E ora s’è visto, anche se ti difenderanno tanto e tutti con i migliori sorrisi. Goditeli.

    Tanti saluti ai forumisti (sempreché non sia finito anche stavolta nell’antispam),

  104. @ Laura
    Massima solidarietà. Nemmeno io riesco a leggere tutti i libri che vorrei. Ma la cosa più grave (per me, almeno) è che non sto riuscendo a trovare il tempo per scrivere.
    Temo proprio che dovrò rassegnarmi a rallentare un po’ l’attività del blog:-(
    Giusto il tempo di finire il nuovo romanzo… per poi riprendere di gran lena:-)

  105. @ Giulio/marcus/shaeddin
    Te l’ho detto altre volte. Sei giovane e hai voglia di metterti in mostra. Ma lo fai in maniera sbagliata (almeno, secondo me).
    Però hai ragione quando dici che non sono come mi presento. Assai di rado indosso la camicia celeste. Ti auguro un buon week end.

  106. Caro Massi,
    la tua bellissima domanda mi offre l’opportunità di chiarire il rapporto sacrale tra parola e processo.
    Nell’antico diritto romano (padre del nostro attuale diritto) ogni rapporto di carattere giuridico era regolato da cinque schemi: le “legis actiones”.
    “Lege agere” voleva dire agire per mezzo della legge.
    E ciò veniva fatto attraverso l’uso di formule rigidissime (che in seguito subirono una evoluzione) adattate ai singoli casi concreti.
    Il più antico di questi schemi era “la legis actio sacramento”.

    L’antico schema prevedeva una sfida tra due contendenti posti su un piano di parità. Ciascuna delle parti affermava con parole solenni la spettanza di una determinata res (e in tal caso si aveva la legis actio sacramento in rem) ovvero l’una negava e l’altra affermava l’esistenza di un credito (e in tal caso si aveva la legis actio sacramento in personam). Il sacramentum era per l’appunto la solenne sfida, la scommessa, un giuramento con implicazioni religiose, per cui chi usciva sconfitto al termine della controversia era costretto a pagare la “summa sacramenti” per aver giurato il falso.
    Quindi all’inizio dell’evoluzione giuridica la parola aveva valore sacrale (sacramentum) e bastava sbagliare anche una sola sillaba della formula traslativa per perdere la lite.
    Si riteneva infatti che un errore nella parola fosse segno inequivocabile della mancanza di favore degli dei.
    Ciò perchè la parola, e la formula servivano a dare esistenza alla res, alla cosa.
    Solo pronunciandolo l’oggetto diveniva esistente.
    Questo rispetto reverenziale per la parola come mezzo per fare affiorare la realtà trovo sia eccezionalmente alto ed evoluto, considerando anche che il diritto romano conosceva non solo le cose materiali ma anche quelle immateriali, ed era quindi capace – attraverso la parola – di operare astrazioni.
    E’ anche un bellissimo “nodo”, a mio avviso, tra letteratura (ed esigenze da cui nasce) e processo.

  107. Caro Massi,
    con altrettanta gioia ti riporto le prime pagine.
    Ti copio qui quelle riguardanti i personaggi pricipali, Francisca e il Pilosa.

    Francisca (cap.1)

    Francisca prende l’acqua dal pozzo. Si sporge all’interno come a volercisi nascondere, facendo sgrondare dentro le sue lacrime.
    Al pozzo l’ha mandata la madre superiora. Per punizione, perché stamane Francisca le ha rubato il breviario.
    E’ profondo il pozzo. Una fenditura, quasi, che spacca la roccia a metà e riflette un’immagine lontanissima che dall’alto si stenta a riconoscere. Ma Francisca ha imparato ad aspettare.
    Sa bene che tra qualche minuto, quando l’acqua intorbidata dal secchio tornerà stagnante, la sua ombra balzerà dal buio, e che nel pozzo lei ci si potrà specchiare, finalmente, neri e arruffati i capelli e pieni i seni, straripanti sul corpo magro.
    E, anzi, colla sua immagine, stamattina, Francisca ci vuole parlare, ridere, sbraitare. Un colloquio che pare non avere fine, e come fu che la reverendissima ti scoprì – capra che sei, Francisca? E come fu che non t’insegnai niente in tutti questi anni, a nasconderti come un conigghiu nella tana?
    Ma poi scrolla le spalle e dice: nun m’importa. Non le importa della punizione. Né della reverendissima madre suor Addolorata del Sacro Cuore – ‘u diavoli c’abbrusci ‘u culu all’infernu. Le importa solo di essersi potuta rimirare nel pozzo e – soprattutto – le importa di averle rubato il breviario.
    Non tutto, purtroppo, ché la sventura, ultimamente, pare perseguitarla. E le si accovaccia dietro, la sventura, o le rotola a fianco ovunque vada, su, per le scale della cappella oppure nelle stanze private della reverendissima. Stanze segrete, lo sa bene Francisca che nessuno dovrebbe entrarci e men che meno lei, malaugurata e ladra. Ma tant’è. La foga di rubarle il breviario s’è fatta troppo angariosa, stamattina , e Francisca l’ha dovuta ascoltare. D’altra parte ha preso solo qualche pagina, scelta nella fretta della fuga e infilata di soppiatto sotto l’inginocchiatoio.
    Per questo piange.
    Più tardi, quando il buio scenderà sulla santissima casa del buon fanciullo – anche detta ruota degli esposti – Francisca tornerà a prenderle, le pagine, ripiegandole con cura nel petto e unendole alle altre.
    Con queste sono cento parole. Tutte rubate.

  108. IL Pilosa (cap. 3)
    —-

    Selvatico, lo è sempre stato. E ladro, impostore, ruffiano.
    Ma brigante no, mai, è la prima volta e non si è ancora abituato a quel nome che si sovrappone al suo, e che non è un nome poi, ma un nomignolo o un’identità, nuova, raggiusa , insolente. Pilosa.
    Il Pilosa lo chiamano adesso, per via di quel pelo di coniglio che s’infila di sghembo sulla testa e che dovrebbe essere un cappello, e da dietro, invece, pare la sua, di testa, con le gambe da uomo e tutto il resto, metà animale e metà cristiano come un minotauro meno aggressivo e spaventoso.
    E se ne va così per le strade di Bronte, il Pilosa, spocchioso come un re senza trono e senza regno, riscotendo monete dai suoi iurnatari , accattonati ora qui ora là nella folla sgangherata di mendicanti che s’accasciano sulla scalinata della cattedrale o sotto i tavolacci di legno dei banchi del mercato.
    E si pavoneggia colle monete appena riscosse, le fa tintinnare nella borsa di cuoio ostentandole alle fimmine di buona nobiltà che passeggiano colle serve accanto e che, al solo guardarlo, arricciano il naso mentre tra loro parlottano compiaciute: -Vidisti il Pilosa stamani al mercato? Vidisti comu me taliava, nevvero?
    E tutte sognano che venga a trovarle di notte il Pilosa, con uno dei suoi leggendari salti da coniglio, che pare lo portino d’un balzo nelle camere delle contessine principesse e baronuzze con le insonnie, che smaniano tutte a sospirare una sua prodezza e, non potendola vedere, se la inventano.
    Così si racconta di una sua nottata dalla marchesa Bozzicolonna del feudo di Trilicò, nottata su cui la nobildonna tace per pudore e di cui sussurra soltanto “che l’aere si fece rosso come focu e focu pareva magari il Pilosa…”
    E a sentire le voci che fanno il giro sul suo conto ride, il Pilosa, si sganascia.
    Se sapessero che la sua fama è nata tutta da uno sbaglio.

  109. Un bacio grande grande a Laura a cui debbo ancora una bella recensione…Non ho dimenticato.
    A presto!

  110. E un abbraccio a te, Massi, e un grazie dal profondo del mio cuore.
    E’ stato bellissimo raccontarvi come è nato questo figlioletto di carta.
    E detto ciò…torno in cucina, altrimenti Piera, domani, assaggerà un sugo di aragosta tutto bruciato.

  111. Con un po’ di ritardo mi aggiungo anch’io ma, come avevo detto anche a Simona, ho voluto assaporare lentamente questo libro. Ho finito di leggerlo stamani e ora voglio esternare le mie sensazioni ‘a caldo’.

    Mi è piaciuto molto il linguaggio usato dall’autrice, quell’alternarsi tr adescrizioni auliche fatte di frasi ricercate, vive, metaforiche e descrizioni fatte di spruzzi di parlato, con l’effetto di rendere autentico il ‘sentito’ dei personaggi. Un notevoe spazio viene anche lasciato, oltre che alla selvaggia ecandida Francisca, anche alla coraggiosa e tenace Tufania, così come al sanguigno e indiavolato Pilosa.

    Intrigante la commistione tra storia e romanzo o se vogliamo lo sposalizio tra i fatti storicamente narrati e la fantasia che rendelecite le interpretazioni di essi.

    Ho trovato molto particolare quell’associare una sorta di metalinguaggio al referente letterario e romanzato, così come ho trovato pastoso e incisivo il linguaggio usto nel testo: linguaggio in cui, per certi aspetti, ho visto ombre darrighiane, nelle dicotomie esitenziali e umane, tradotte nel contrasto tra le parole belle e il silenzio,tra la vita e la morte, tra l’essere e l’esser creduto di essere.

    Ci sono dentro echi di Bufalino e di una Sicilia ancora alle superstizioni, ai sortilegi e ho intravisto dentro questo libro puramente siciliano l’immancabile dilemma presente nella nostra storia: quello dell’identità frammentata, del’assenza di una forma compatta. Ho visto una Sicilia fatta di uomini che non sanno cosa e chi sono, per poi divenire ciò che altri vogliono che essi siano.

    Mi sembra di avere tante altre cose da dire ma le parole belle sono troppe…

  112. Carissima Sabina,
    ti sono molto grata per questa lettura del testo e per il tempo che mi hai dedicato.
    Hai colto uno degli aspetti più forti del romanzo. L’incapacità di fare una scelta. Di assumersi una responsabilità.
    La ricerca dell’identità è infatti fortemente ancorata a un percorso responsabile.
    Il personaggio a cui è affidato questo ruolo è il Pilosa.
    Ama e non ama, vuole e non vuole, sceglie e si ritrae.
    Non va mai a fondo.
    E’ ammaliato dal suono del miserere di Francisca ma non ha la forza per andare oltre l’apparenza.
    Se lo facesse potrebbe vedere che non ha bisogno di cercare la bellezza.
    Che l’ha già trovata.
    Il suo tradimento non è quindi del cuore. Ma della volontà.
    Grazie ancora di tutto, dunque.
    Nell’augurarti la buona notte ti riporto un pezzetto del libro in cui il Pilosa si svela per quello che è.

    ….Così il Pilosa. Come prossimo a scroscio di cielo, a raffica di turbine. Come a un passo dal finire, dove, come, non sa.
    E s’incammina malconcio e barbuto, coi punti neri del pelame che lo macchiano in viso al pari di selvaggina: biacchi neri, taccole, colubri leopardiani, poiane, colombacci. Tutti animali che ha ucciso a suon di sassate o con quattro colpi netti, fini, di carabina. Tutte bestie di terra o di aria che per un motivo qualsiasi meritavano di finire in quell’ora, in quel giorno, nell’istante preciso in cui lui premeva il grilletto.
    Poi, c’era più gusto a mangiarli sulla brace, anneriti di erbame e legna, spelati come tanti tronchi senza corteccia, cui il malsecco abbia prosciugato la linfa. C’era più gusto anche ad averne uccisi in eccesso, come omo sazio che non debba chiedere avanzi alla natura, come barone e signorotto, pure, cui lice gettare il di più ai cani, perché ha troppo, ha in abbondanza, e del soverchio fa facile sfoggio.
    Così arriva al castello. Così si approssima a testimoniare. Come chi ha già provato lo spasso d’avere tra le proprie mani la vita di un altro.

  113. Un caro saluto a tutti i brontesi – si dice così?
    Questo paese mi è particolarmente “simpatico” perché patria del pistacchio, uno dei doni di Dio all’umanità, ed anche per motivi letterari. Il padre delle sorelle Bronte, che io adoro, cambiò il proprio cognome perché ammiratore di Nelson, che aveva appunto ottenuto la Ducea di Bronte…
    Simona: giorni per me frenetici a scuola, ma ho pensato al blog e ho voluto scrivere ancora qualcosa. Goditi questa festa letteraria – che bella la metafora del caminetto di Gianmario! – e sappi che la meriti…
    Che cucini di buono? Gnammy…

  114. Mariiiiiiii: cucino mascolino con l’aceto, pasta con l’aragosta, involtini di pesce spada con contorno di carciofini, pomodori secchi farciti, olive e noci, insalata d’arance, paste di mandorla…….
    In omaggio ai brontesi faremo assaggiare a Piera pistacchi farciti al cioccolato e pinoli in scaglie di limone…
    Vieni prestooooooooo

  115. Scrivo da scuola… scrutini, verifiche, periodo frenetico. Una pausa per augurare a tutti un buon fine settimana. All’una e mezza sarò nel salotto di Simona. Avremo Piera Mattei che ci parlerà del suo libro “Melanconia animale” (Manni), dialogando a due voci con Simona e il suo romanzo. Tutto sotto l’egida del buon Luigi La Rosa, che sorveglia i nostri passi letterari e cova come una chioccia i nostri progetti…

  116. Maria Lucia scrive “c’è una correlazione tra stile di uno scrittore e il suo modo di respirare?”. Nel caso di Simona ciò è particolarmente evidente. Il suo è un respiro poetico.
    Ho avuto il piacere di trascorrere con lei, Maria Lucia e Salvo poche ore. Abbiamo parlato. Ho ascoltato solo belle parole. Non potevo aspettarmi niente di meno dal libro che, ne sono sicuro, sarà letto, commentato, citato.
    Simona tocca molti loci a me cari. Riferisce di argomenti nei quali mi sono mosso, pur senza il suo rigore. A lettura terminata dirò ancora del libro. Mi limito per il momento a riprendere alcuni passaggi letti nei commenti.
    Il simbolismo della maschera ha origini e funzioni antichissime: quelle funerarie utilizzate nella civiltà egizia avevano lo scopo di restituire ruolo pubblico, onore e qualità al defunto per il passaggio e per il mondo dell’aldilà, o di fissare e trattenere l’anima; maschere teatrali fungevano da amplificazione del carattere del personaggio, fissità e ieraticità, e indossarla equivaleva ad identificarsi con questo.
    Il latino “persona-ae” designa la maschera dell’attore e ha dato origine al termine persona. E “persona” è il termine che Jung adotterà per indicare la “maschera” che l’individuo assume nelle relazioni e nel rapporto con ciò che lo circonda.
    Secondo Jung ciò non è da intendersi come falsità o manipolazione, ma come identificazione con alcuni aspetti che prendono il sopravvento, al di là del ruolo sociale assunto nella comunità.
    In questa accezione è possibile, quindi, vedere la “maschera” di ognuno come simbolo del sé primario, dell’ego che agisce nel mondo.
    La maschera è sì il diaframma che copre il volto della persona conosciuta, ma che ne rivela altre qualità in un’operazione di riaffioramento e svelamento di aspetti sepolti della psiche.
    La ricerca di Simona, in tal senso, è degna di nota.
    Sulle parole e sul loro uso mi soffermo brevemente cercando di riportare ciò che ho sedimentato dagli interventi di Enrico, Sergio, Maria Lucia e Simona stessa. Le parole sono già date. Le regole sul loro uso anche. Tuttavia è la capacità dell’autore di infondere in esse lo spirito vitale della creazione a dare luogo all’evento.
    Chiedo scusa, ma sono tendenzialmente eversivo in questo e qualunque critico troverebbe argomenti per rilevare solo ombre, ma devo dare corpo a quelli che possono sembrare elementi di riflusso, piccole pieghe, per alcuni orpelli, nella scrittura di Simona perchè fare altrimenti mi sembrerebbe rinnegare una parte del mio stesso sentire. Questo libro mi è vicino così come lo è a chiunque vorrà leggerlo senza la mediazione del moderno, senza l’assillo del quotidiano, ma nemmeno di un prontuario di regole, memore della lingua, degli usi e della memoria . Nel nostro cervello rettile permane la traccia di certe evocazioni, del loro ritmo, della loro funzione. Ognuno getta il proprio sasso nell’acqua, nessuno sa perchè. Scrivere di quelle evocazioni, recuperando e facendo proprie le “parole belle” è un riaffioramento di ciò che abbiamo perduto. Anche solo pronunciare certe parole faceva la cosa. Oggi persino le persone non esistono se non ne rimarchiamo l’esistenza con nomi e parole. In questi tempi di crudele e istantanea obsolescenza, di nickname e di aspiranti avatar…”stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”.
    Grazie Simona.

    Pasquale

  117. Ovviamente, era sottointeso, compliemnti alla bela e lucida recensione di Maria çucia Ricciolie della brava Pennisi.

    Un carissimo saluto a Simona, sono certa che ne scriverai tante altre di meravigliose parole.

  118. @ Simona
    Cara Simo, sono io che ringrazio te per aver riempito il post di contenuti così belli e importanti e per aver risposto alle mie domande nonostante i tuoi impegni di oggi.
    Ne approfitto per augurare buon pranzo a te e ai tuoi ospiti. In questo momento dovreste essere riuniti a tavola!
    (Speriamo che Salvo lasci qualcosa da mangiare anche agli altri):-)

  119. Ecco quanto riporto anche nella mia libreria virtuale di Anobii…………………………………….

    Il primo romanzo di Simona Lo Iacono è spiazzante. Il linguaggio è ricercato, in ché non vuol dire che sia di difficile comprensione. Lo è nel senso di frutto di ricerca attraverso (probabilmente) documentazione antica visto che la storia si svolge a Bronte nel 1600. La magia, la stregoneria e l’eresia in un mondo lontano e affascinante che, forse, è di più intima penetrazione in chi è siculo. Ma lo spirito, le atmosfere e le parole (spesso bellissime e sorprendenti) possono essere patrimonio di chiunque. “Tu non dici parole”, insomma, è un’esperienza da provare.

  120. il linguaggio di simona mi affascina anche quando dialoga semplicemente perciò mi lancerò nella lettura del suo libro,lo faccio perchè intuisco che lei sia brava,perchè bisogna dar fiducia agli scrittori emergenti, ma anche perchè spero che diventeremo amiche cosìcchè io possa andare a pranzo da lei, dopo quello che ho letto. Adoro la tavola fra buoni amici,o la buona tavola fra amici.Come commensale non la deluderei!

    cari saluti a tutti e buon w.e.

  121. Il linguaggio di Simona affascina anche me. e ho capito molto di più del libro leggendo le pagine che ha messo nei commenti.
    sul post Massimo ha scritto ‘Nel solo anno 1546 i quindici tribunali attivi condannarono 120 persone al rogo, 60 in effigie e 600 a penitenze minori. I reati per i quali si veniva processati erano l’eresia… ma anche la bestemmia, la stregoneria, l’adulterio, l’usura.’
    qualcuno si lamentva del fatto che nel libro non c’è speranza. MA QUALE SPERANZA?QUALE SPERANZA? Non ci può essere speranza nei roghi inquistori. io mi indigno e mi infurio.perché li la gente moriva bruciata davvero.
    La speranza semmai è nell’essere coerenti con sè stessi fino alla fine,nella giustizia divina.ma è una speranza che non potrà mai essere colta da chi ha un’anima nera, piccola e micragnosa come Anginbé e i suoi simili. E si.La caccia alle streghe non e mai finita.
    Brava Simona.
    Spero che Massimo perdonerà il tono acceso di questo commento.

  122. @ Martina, non c’è speranza, nel senso che io voglio bene a Simona e le sue pagine mi rattristano, perché non si narra di dolore senza provarlo…leggevo pensando a lei e la vedevo intenta al suo ricamo. (Simona sa benissimo a cosa mi riferisco).
    Sui roghi: in molti ne hanno scritto e ognuno l’ha fatto a modo suo. Così come ogni pittore si esprime con le tecniche e “le forme” che gli sono proprie. Personalmente (e sottolineo PERSONALMENTE) io preferisco le forme distaccate. Ma questo mi succede anche quando leggo un fatto di cronaca: mi basta il titolo, e la tristezza che il fatto mi provoca.
    Molti USURAI venivano condannati al rogo, perché l’usura, in molti città, era l’unica attività commerciale permessa agli ebrei. E il più delle volte era la stessa chiesa ad incentivare tale attività: i finanziamenti erano idispensabili anche a quei tempi.
    Il seicento fu il secolo in cui si ufficializzò la corruzione e contemporaneamente, si sperimentò “l’opinione pubblica”; non più popolo a cui offrire solo uno spettacolo (da circo) ma materia manipolabile. Da allora ci siamo specializzati. Però io guarderei avanti…
    Un bacio a Simona.

  123. Il commento non mi sembrava per nulla benevolo, ma non è un problema mio.comunque per guardare avanti è necessario guardare indietro. Si, è vero, si è scritto tanto sui roghi, MA SECONDO ME BISOGNA CONTINUARE A SCRIVERNE, perché sono convinta che la caccia alle streghe non sia mai finita.Penso che libri come questo contenagano tanta metafora. sondo daccordo con lorenzerrimo quando dice ‘Il romanzo di Simona assuma qui un’importanza storica-sociale, un monito che vale anche oggi ‘ e mi è piaciuto anche quelo che ha scritto Simona sulla metfora del processo. è evidente che viviamo anche oggi in un epoca di caccia alle streghe e di continui processi alle intenzioni.
    poi……… tutti abbiamo dolore,non tutti sanno raccontarlo.il bravo scrittore racconta il dolore di tutti.dalle cose messe qui leggo il dolore di tutta un’umanità abbandonata e condannata senza reale possibilità di difesa.

  124. Carissimi…grazie per questi ulteriori commenti!
    Caro Massi…è vero, Salvo ha smangiucchiato tutto il pranzetto, ma ho combattuto eroicamente per tutelare la deliziosa Piera Mattei e suo marito.
    Nel pomeriggio, dopo il caffè, li ho condotti al convento di Santa Lucia ad ammirare il dipinto della deposizione del Caravaggio, e subito dopo Piera si è fatta interprete dei suoi meravigliosi racconti.
    Con moltissimo orgoglio ho seguito suo marito che fotografava tutto…dalle paste di mandorla ai miei gatti e ti ho rimpianto un po’, perchè sarebbe stato bello avere anche te.
    @Francesca Giulia: mia cara, sarebbe un vero onore averti a uno dei miei pranzetti letterari. Se mi darai la gioia di venire ti preparerò un vero banchetto e – giuro – non inviterò Savo Zappulla.
    @Salvuccio: Non prendertela, se mi regali un altro libro di “gatti siciliani” ti offro la cena….

  125. @Enrico : grazie! L’elaborazione linguistica è un viaggio…hai colto davvero bene il suo spirito!
    E…felice di averti spiazzato!

  126. @ Evento:
    mio caro, che dire di queste parole?
    Grazie.
    Mi fa piacere che tu abbia colto anche il senso “sociale” della maschera, il suo frapporsi tra noi e il mondo come una dolente necessità.E la sua sacralità, il suo farsi pedaggio misterioso per accedere al regno delle ombre.
    Infondo la maschera d’oro del tesoro di Troia copriva di scaglie luminose la decomposizione…
    Ecco, credo che la maschera, come qualsiasi sovrastruttura, abbia due facce: una interna e un’altra esterna.
    E che se a volte ci scherma allestendo una difesa, alle altre ci condanna, quando non sappiamo più farne a meno per trafiggere l’esistenza.
    Un bacio grande e a presto!

  127. @Miriam e Martina: il dolore è una dimensione umana, da vivere e trasformare.
    Non è mai fine a se stesso, neanche quando ci si rivolta contro.
    Neanche quando ci crocifigge.
    Ecco perchè la speranza non va mai ricercata in un finale lieto, ma nel saper accettare qualunque finale.
    Nel saperlo interpretare come un passaggio, un attraversamento.
    Quando questo avviene, quando un uomo e un personaggio approdano alla fine della propria vita ( o all’ultima pagina del libro) avendo vissuto la ferita, avendola reinventata e scelta, la speranza sta nel cambiamento del proprio modo di vedere le cose.
    Di percepire la vita.
    Francisca all’inizio della storia balbetta parole senza capirne il senso, rapita dalla loro musicalità e dalla loro capacità di accostarla al destino degli altri.
    Quando ama, però, tace.
    Quando ha paura, anche.
    Le parole sono intuito, condanna, imperativo. Per certi versi Francisca ne è assalita, dominata.
    Ma c’è un momento in cui, pur sapendo che parlare la bollerà definitivamente come strega, Francisca sceglie.
    Ecco.
    E’ questo il cambiamento.
    Scegliere a chi dire le parole.
    Scegliere di indirizzarle con consapevolezza e amore, trafitta dal profondo senso delle cose, dalla loro precarietà e spinosa bellezza.
    Dal loro tremore simile al battito d’ala di un angelo inquieto, arreso.
    Quando la vita si trasforma in scelta, la scelta si trasforma in responsabilità.
    Il senso morale del romanzo è questo (vi riporto nel successivo commento la pagina in cui Francisca sceglie).
    Un grande abbraccio.

    Cara Martina, è bellissima la tua indignazione.
    La colgo in questa notte in cui la mia casa risuona ancora di tante voci e di tante storie. Di tanti, tanti volti.
    A questi volti stasera vorrei sovrapporre il tuo.
    Lo immaginerò in questa tua collera che reputo santa. Perchè sottende una profonda capacità di sapersi stupire.

  128. A CHI DIRE LE PAROLE

    E ora sta ai piedi di quel cristo morente. Appenzuliatu alla croce come un lenzuolo steso ad asciugare, mosso dal vento. Smagrito come albero agonizzante, prosciugato, che a stento vacilla.
    Ecco i piedi forati in cui Francisca guarda dentro, ecco la testa sfreguliata da rovaglia, ‘u pettu svacantato da lance. E chista? ‘Sta ferita sull’occhio Francisca non l’arricordava, netta, dritta, che non cola più sangue. E ‘sti occhi? Manco quelli arricordava, accussì tristi, Signuruzzu, e accussi’ beddi.
    E d’un tratto, anche lei è triste, ammammalocchuta come a lui, spersa a contemplarlo e a contemplarsi, per un attimo così simili da parerle magari sacrilegio.
    E allora pensa, che ci faccio io – spiritata e maga – a parlare accussì al Signoruzzu nostro? Con parole tinte, rantulianti , senza rispetto? Lui, accussì beddu, e io co’ sta truscia per vestito, e co’ ‘ste mani vuote, senza doni? Che ci faccio?
    Ma è un’attimo. Una cosa ce l’ha, Francisca, e ora la mostra a Nostro Signore impettandosi per l’orgoglio d’avere qualcosa da dargli. Ora gliela offre come inaspettato fasciame di fiori selvatici, spinosi di bellezza. Persino lei, carcerata e strega. Persino lei, malcapitata e ossessa.
    E comincia a sciorinare le parole belle, una a una, principiando dalle prime, rubate alla ruota, e poi da quelle arraffate in convento, e poi imparate da Tufania, e poi da beccacce e tortore, dal fogliame crepitante delle foreste che ha attraversato. Ecco, tutta la sua vita in quelle parole, tutte le sue pene in cento balbettii, detti e ridetti, mormorati e taciuti, e ora urlati, starnazzati quasi come gallina di cortile, che richiama il gallo coll’urlo disperato dell’amore.
    E che le guardie sentano. Che sentano i consolatori, i messi pontifici, i nunzi e tutti quelli che vogliono sentire. Che senta Angimbè, che abbia prova piena del suo sragionare, del suo intonare litanie di appestata, di magara , di folle. Ecco, ora si alza. Ora sputa lo straccio che le serrava la gola e le impediva di parlare. Ora ripete, con voce sempre più alta, le poche parole che l’hanno resa magara e folle.
    Cento come i cento occhi che la fissano increduli, cento come le cento mani che l’afferrano per torturarla, cento come le cento lingue che l’investono di invettive. Centu, Signuruzzu, solo centu, ma per te mille ne urlerei, mille ne vorrei sapere, mille ne vorrei rubare.
    E comincia col suo miserere, e poi con confiteor, e con laudamus domine e con sanctus sanctus sanctus. Francisca le ripete a una a una e per tutta questa sua lunghissima, ultima notte, in cui il cielo tremulìa pieno dell’equinozio.
    Infine, quando l’alba sparpaglia scaglie a mozziconi dalle grate, anche lei ha avuto qualcosa da donare. E ad Angimbè che la fissa soddisfatto, tronfio, colle manuzze sfregulianti sul sigillo papale, rivolge a stento uno sguardo trasognato.
    ‘U Signuruzzu, invece, le pare d’un tratto meno triste.

  129. Cara Simona, bellissima questa pagina. Una delle più belle (forse la più bella) di tutto il libro.
    E quella frase finale ” ‘U Signuruzzu, invece, le pare d’un tratto meno triste” è pregna di amore e speranza. L’amore e la speranza più grandi. Quelle che vanno oltre la morte.
    Grazie per questo ulteriore dono.

  130. @ Simo
    Sono lieto che il pranzetto e l’incontro siano andati bene. Non avevo dubbi.
    Prometto che una delle prossime volte verrò anch’io. Anzi, mi prenoto.
    Magari prima di arrivare porterò con me il buon Salvo in giro, presso qualche bar… così lo facciamo “sfogare”.:-)
    Domani, invece, salvo imprevisti avrò il piacere di incontrare – qui a Catania – Piera Mattei e suo marito.

  131. E ancora grazie a Massi, Martina e Gaetano.
    Sono felice che questa pagina vi sia piaciuta!
    Ora corro al complenno della mia nipotina…si chiama Simona e vuole fare la scrittrice. Ha sette anni, parla di incipit e finali. Mi legge i suoi racconti per telefono e mi sussurra : Ho un dubbio, zia cara.
    Risolti i dubbi letterari, torna felice ai suoi dieci gatti.
    Buona domenica a tutti!

  132. “A Sabina Corsaro un altro abbraccio e la speranza di averti presto qui da me”.

    Cara Simona, verrò di certo in uno di questi tuoi piacevolissimi e aulici incontri, grazie di cuore.

    Magari ci organizzeremo Massimo, Salvo ed io e faremo la “spedizione dei catanesi” 😉

  133. A Simona e al suo disincanto del mondo.
    E la tua parola, carissima Simona, quella scritta, che sia vera nel senso che abiuri il tuo intimo o sia falsa perché non rispettosa della forma voluta dal prossimo, si presenta come un lento scorrere di incandescente magma che brucia e perciò facilmente incorporabile, unica via per raggiungere il luogo della memoria;luogo abitato dalle parole agili e forti,la cui azione é determinante per la conoscenza della vita che scivola implacabile,ma talvolta dal sapore mielato. Le parole che raccontano la vita, le tue, somigliano alle nenie che addormono la parte logica per svegliare l’altra parte, quella che ha sede nel cuore. Un bacione e in bocca al lupo. lucia arsì

  134. @ Lucia Arsì+ altre persone
    Mi ha colpito molto la frase “non rispettosa della forma voluta dal prossimo” e credo di non aver capito male( se l’ho fatto, mi scuso anticipatamente).
    Credo che qualsiasi scrittore che riporta brani tratti dal suo libro o da una sua raccolta di poesie in uno spazio dedicato alla LETTERATURA ( forum o blog, chiamiamolo come vogliamo), in cui tutti possono leggerlo e fare commenti, si “espone” in un certo senso e dovrebbe essere nell’ordine di idee che ciò che scrive POTREBBE( dico potrebbe) non piacere a tutti.
    Ora, Simona Lo Iacono ha dimostrato, in modo molto elegante, di avere questo atteggiamento, cioè riesce ad apprezzare e a capire anche coloro che, eventualmente, volessero dare dei “suggerimenti” di ordine stilistico, diciamo così. Chi li ha dati, poi, questi suggerimenti, lo ha fatto innanzitutto con “cognizione di causa”( non lo faccio certamente io che non ne capisco nulla di certe cose e sono guidata esclusivamente dall’intuito; così come non lo fanno coloro che non sono in grado di giudicare “lo stile” di nessuno) e con argomentazioni ben articolate e precise ( “punto per punto”) riconoscendo alla scrittrice tutti i suoi meriti.
    Quindi non capisco: perchè non accettare che si possa esprimere il proprio pensiero? Chi si dovrebbe sentire eventalmente “offeso” se non lo scrittore in persona?

  135. Aggiungo una piccolissima noticella:
    André Gide aveva “respinto” in un primo momento il primo volume della RECHERCHE di Proust, perché non si era accorto subito della grandezza dell’artista. Poi se n’era pentito. Nondimeno lo aveva fatto.
    E stiamo parlando di Marcel Proust e di André Gide.

  136. @ anonimo:
    vorrei precisare:ogni parola che é espressione del pensiero ha un correlativo:l’altro che la accoglie. Diversamente non sarebbe parola vera ma chiacchericcio.Ebbene, se la parola é vera per te(parola nuova, diversa)é falsa per glialtri che non la capiscono o non la condividono; se é falsa per te (nel senso che é obsoleta, in-utile per te che sai creare) é vera per gli altri.(Ma senza letteralizzare).Ergo:encomiabile la creatività che a Simona non manca, quell’istinto creativo che le permette di far rotolare parole come macigni che feriscono perché forti e fattive, che dischiudono orizzonti e sono le sue intime parole che potrebbero risultare false agli occhi e alle orecchie di chi non riesce a comprendere l’anaforico ritmo di un cuore pulsante(cento occhi, cento mani cento lingue, dice il cuore della nostra).Con simpatia, lucia arsì

  137. @Simo+Massimo. Sono stato a letto per indigestione. Mi sto riprendendo solo ora. Si fa ironia su di me moribondo. Begli amici! Lo Iacono: la prossima volta ti regalo un libro sui topi. E sbrano Piera Mattei.

  138. @Roberta. Simona è talmente intelligente da accettare qualsiasi giudizio sul suo romanzo senza fare una piega. La sua grande forza di scrittrice sta proprio in questo: la consapevolezza delle proprie capacità, l’umiltà di sapere che c’è sempre da imparare ma mai indietreggiare. Per tutti ha una risposta garbata, un pensiero gentile, una frase affettuosa. Ma penso che nessun giudizio potrebbe modificare il suo percorso letterario. E’ nata per scrivere. E’ il suo destino. Dentro la sua anima c’è un vulcano in perenne eruzione. Un grande critico letterario usava dirmi: la scrittura è un vizio, come le sigarette, l’alcol, quando lo prendi non puoi più farne a meno. E Simona questo vizio lo ha preso. L’unico suo grande difetto, se così vogliamo definirlo, è quando pretende di servire agli ospiti formaggi invecchiati. Invecchiati sì, ma non latte di mammut! Mi è tornata la febbre, saluto tutti è torno sotto le coperte, spero di non essermi beccato un’epatite.

  139. Certo, come potrebbe un giudizio modificare il suo percorso? E nemmeno il suo stile. Ci mancherebbe. Ed è giusto così.
    Questo libro è proprio da leggere.
    Ps. Per i pranzi o le cene..che dire? Possono assaggiare solo i suoi amici che, a quanto pare, sono fortunati:)

  140. Carissima Roberta,
    i miei pranzetti possono assaggiarli tutti!
    Basta passare da Siracusa…
    Quindi se pensi di fare un salto…imbandirò la tavola ed eviterò i formaggi che ho “rifilato” a Salvo!
    Quanto ai suggerimenti, la lunga esperienza dei corsi di scrittura (con Silvana La Spina, Claudio Fava, Luigi La Rosa) mi ha veramente formata ad amare gli errori, i ripensamenti, le riletture delle persone con cui mi confronto.
    Uno scambio che non cessa di stupirmi. Di arricchirmi. Di farmi assorbire l’umanità e il pensiero dell’altro.
    Salvo mi conosce bene e sa che scrivere è la mia vita.
    Ma è una vita condivisa e respirata su altre spalle, con altri cuori e altri polmoni.
    Tutto serve. Tutto aiuta. Tutto colma.
    Ti abbraccio con la speranza di averti presto alla mia tavola!

  141. Cara Lucia,
    grazie per aver colto il battito del mio cuore!
    Stasera lo faccio rotolare accanto al tuo!
    Un bacio

  142. Cara Simona,
    da tempo pensavo di venire in Sicilia, sia perchè mia madre, che da giovane ha viaggiato molto, mi ha detto che è bellissima, sia perché ho due amici carissimi che insegnavano qui anni fa e che mi dicono che non verranno più in Sardegna, se prima non vado io da loro.
    Ma chissà se verrò davvero.
    In questo blog ho trovato in voi un’affettuosità rara e mi sento quasi “indegna” di riceverla. Mi lusinga in modo indicibile il tuo invito. E anche le parole che hai per me, sempre affettuose.
    Non mancherò di avvicinarmi alla tua scrittura, nonostante io per natura( e aggiungo-in modo un pò ridicolo- per provenienza “regionale”..) sia sempre restia, all’inizio. E, come spesso succede alle persone che non si lasciano andare subito, mi abbandonerò alla lettura del tuo romanzo e ti ringrazierò.
    Vedi, dicevo a Massimo che un tempo( anche quello in cui facevo finta di conoscere Pavese…)leggevo molto; poi da un pò di anni ero come “assopita” e non volevo leggere più nulla. Ora sono “rinata” e di nuovo “assetata” di letture.
    Conosco alcune persone che scrivono e mi hanno detto: “i migliori lettori sono quelli “normali”, quelli che vanno in libreria e leggono per il gusto di farlo e non per andare a “caccia di stili””.
    Ora, se tu condividi l’opinione di questi scrittori, io sarò uno di quei “normali” lettori.
    Ogni tanto una “lezioncina”( così come ai tempi di quella su Pavese) me la merito e ne sono felice, dopotutto.
    “Tutto serve”, è vero.
    Ti abbraccio anch’io.

  143. Mia carissima Roberta,
    che belli i silenzi che precedono la sete!
    Ci aiutano sempre a riscoprire una necessità! Trovo molto sano questo tuo nuovo approdo tra le pagine. Questo piacere rinato di assaporare la carta.
    Devo però dire che chi va in libreria per il gusto di farlo, per me non è un lettore “normale”, ma è il VERO lettore, quello che affonda tra le parole perchè danno emozione, rapimento, incanto.
    Svolare tra i titoli, e leggiucchiarli assorbendone il sapore per poi tornare a casa con un “bottino” tra le mani, è come salpare per l’isola del tesoro. Imbarcarsi sui marosi della fantasia.
    Il viaggio inizia proprio in libreria…
    Per me dunque non sarai mai una lettrice normale, ma sempre speciale, come lo è ogni vero lettore!
    Un abbraccio grande grande

  144. (scusate, avevo perso la connessione)
    @ Roberta, Lucia, Salvo
    Credo che i vostri commenti non facciano una piega. Avete tutti e tre ragione.

    Bello lo scambio tra Simona e Roberta!

    @ Simo
    Apri un ristorante e fatti pagare per i tuoi pranzetti:-)

    @ Salvo
    L’ingordigia a tavola prima o poi si paga:-) (no… scherzi a parte… rimettiti presto).

  145. Pasqualevento,
    ciao bello, grazie per l’immeritata citazione cui sopra. Stai bene, amico?
    Sergio

  146. Salvuzzo,
    che combini di nuovo nell’editoria, vecchiaccio macilento – quasi quanto me? Essu’… apriti! Eh eh eh!

  147. Ciò che più sorprende nel libro di Simona è la forza del linguaggio. Sono rimasto incantato dalla accuratezza non solo di ricostruzione storica, ma di reinvenzione del linguaggio – tanto più stupefacente in un tempo in cui domina il “traduttese”, come Giuseppe Antonelli ha definito la lingua al grado zero di molti narratori contemporanei. Vorrei chiedere a Simona di raccontarci le tappe di questo lavoro sulla lingua.

  148. Caro Paoletto,
    grazie infinite!
    La lingua deve sempre interpretare la storia, farsene servitrice. Una storia antica esige un affondo nella memoria, deve suggerire l’atmosfera dell’epoca, farsi – come ha detto Massimo – navetta spazio temporale che conduca indietro…indietro…
    La macchina del tempo esiste, ed è la scrittura!
    Per fare questo ho compiuto un viaggio.
    Ho scoperto parole dell’italiano antico e del dialetto, le ho sovrapposte a invenzioni lessicali, le ho mescolate al latino e al volgare.
    Ho consultato il “codice rosso di Sortino”, un testo che raccoglie i “banni” (ossia gli editti) dei signori del tempo – latifondisti, baroni, principi – e ho attinto a idiomi e sintassi del 1600.
    Ma la cosa più bella è stata la scoperta che non ero tanto io a dominare la lingua, quanto la lingua a dominare me.
    E che via via che procedevo, diventava sempre più facile assecondarla nelle sue esigenze, seguirne il respiro di animale vivente, mai addomesticato, guizzante come un saltimbanco veramente indomito e selvaggio.
    Ho scoperto che la lingua ha un’anima e un cuore, e che evocarne il suono e l’intima cantilena aiuta a reinventarla.
    Dopo l’ultima stesura – e prima di ricominciare l’altro romanzo – ho dovuto fare silenzio, perchè cambiare epoca esigeva un altro percorso linguistico, completamente diverso. Altre scoperte. Altre emozioni….

    Grazie e arrivederci qui a Siracusa! Ti aspetto, Paoletto, fammi sapere a che ora arrivi!
    un bacio

  149. Un caro saluto a Pasquale/evento: grazie come sempre della tua lettura poetica di ciò che gli altri scrivono…
    Sabina: sono lieta che la mia recensione ti sia apparsa bella e lucida… quando l’ho scritta ero ancora in preda alla suggestione provocata dal libro nel mio cervello rettile, come lo chiama con metafora pregnante il caro Pasquale Esposito…
    Ciao Paolo! Ti aspettiamo con gioia…
    Grazie per le tue parole, sempre colme di guizzi coltissimi. Questa del traduttese mi piace proprio!

  150. Cara Simona,
    scusa per il ritardo con cui mi inserisco nel blog ma organizzare l’inaugurazione del Circolo di Catania dove ti avremo ospite al prossimo incontro mi ha assorbito completamente. In previsione di questo incontro ho voluto rileggere il tuo romanzo, che ho trovato splendido .Ma questa volta l’attenzione si é spostata dalle parole a un altro tema non evidente ma suggerito. Tu scrivi:”La stabilità era un perenne vagabondare” riferendoti e Tufania e al padre. Ho avvertito nella lettura come un costante vagabondare ,come se i tuoi personaggi si aggirassero per la loro esistenza come vagabondi. Vagabonde le esposte che vagano nel buio della notte alla ricerca di radici per sfamarsi, vagabondo il Pilosa che si muove rumorosamente tra la sua vita miserabile, impuzzata dall’olio dei suoi pellami e dalla sua rabbia silenziosa e tra il clamore della ribalta conquistata quasi per caso. Eroe di gesta immonde, eroe di stracci e di miseria. Vagabonda anche Francisca che attraversa la sua esistenza in silenzio, aggrappata all’ancora delle “parole belle” con indosso un abito di scena sempre diverso:ora esposta umile e degradata, ora Suor Francisca, venerata come una santa sull’altare dalla devozione dei disperati a cui é negata l’esistenza, dei bisognosi, dei malati, o delle stesse suore che hanno rinunciato a godere dei piaceri del mondo. Infine strega, depositaria di segreti e malefici, temuta come la peste e pertanto meritevole di morte. Un mondo di vagabondi che si aggirano nei meandri della propria esistenza, bui e incerti per la maggior parte di loro o apparentemente illuminati dal decoro e dal benessere per altri. Ho avvertito questo messaggio che ritorna in modo ossessivo e magistrale. La scelta di vivere e dunque di continuare a “vagabondare” si ripropone in continuazione e ogni volta é una scelta difficile “Tufania ha scelto:non vuole più il buio, non vuole più l’ombra: sceglie di vivere. L’alba sembra segnare e scandire queste scelte. Il mattino solleva il suo sipario sulle vite dei personaggi. La parola “mattino”é presente molte volte nel testo. E’ come un ciak che da il via alla scena. E’ mattino inoltrato quando viene allestito il rogo per Francesca. E’ un mattino atteso e negato quello delle esposte che saranno sacrificate alla furia dei rivoltosi”E arriva il giorno per Francesca…arriva per le esposte che non potranno più vederlo…”
    L’alba é sempre presente. Si alza come un sipario sulla vita dei protagonisti e mostra la loro decadenza, il loro smarrimento oppure viene agognata come una speranza, un dono. E’ ancora l’alba quando Francisa e il Pilosa si incontrano. Un’alba che fa fatica ad imporsi sulla notte che rappresenta il suo opposto. Questa scende come un drappo nero, carico di presagi funesti “non é nottata di sogni né di stelle” quella del massacro delle esposte che tu hai descritto con una ricchezza di particolari straordinaria così come i personaggi che sembrano parlarci dalle pagine del testo. Personaggi vagabondi. Ma in fondo non lo siamo un pò tutti ? Non ci avviamo tutti attraverso il labirinto di strade della nostra esistenza? Per quale meta, poi? Vagabondi, non viaggiatori. Perché il viaggiatore pianifica il suo viaggio, studia le mappe dei propri percorsi ,si prefigge una meta. Siamo tutti vagabondi ? E citando il tuo libro”lo smarrimento non é perdere il passato ma il futuro”. Sarà questo il tema che vorrei proporre al prossimo incontro del Circolo di Catania. Che ne pensi? Complimenti per il romanzo. Rileggerlo é stato un piacere ancora maggiore.
    Caterina

  151. Eh sì, Caterina, parole meravigliose quelle di Simona.
    Un viaggio ha una meta fissa che non offre molto del cambiamento necessario, dell’improvviso trovare la luce nel buio che accieca e toglie il respiro.
    Quella descritta da Simona è una società amorfa, dormiente il sonno dell’ignoranza e presunzione, una società morta e bisognosa di luce, di respiro.
    Vagabondare è ispirarsi all’intuizione, all’intervento della provvidenza a donarci il coraggio di poter uscire dalla propria ombra timorosa e soggiogata.
    In questo caso si vorrebbe lasciare soprattutto il presente, superarlo per ridargli un futuro migliore, per sé e i propri figli.
    Saluti.
    Lorenzo

  152. Mia cara Caterina,
    hai letto bene.
    Il viaggio è quello che facciamo dentro. Quello che trasforma.
    Ma nella vita, nelle circostanze mutevoli e cangianti, nel mattino che si leva, nella notte che ritorna, non compiamo un viaggio. Siamo viandanti.
    Esuli.
    Lo straniero è colui che fiuta un sentiero ma non lo sente suo. E’ il cercatore di destini.
    Del proprio destino prima di tutto.
    Sa che ciò che è alle spalle si incarica di suggerirci promesse. Ma al tempo stesso conosce – ormai – la vita. Sa.
    Sa della sua fragilità barbagliante, della sua incertezza, degli ori con cui veste gli inganni e dei pretesti con cui copre la verità.
    Specie quando vive in società barocche e malferme accroccate su rituali e visioni, in cui l’ultimo si dimena invisibile accanto al primo , e il primo si foggia di vesti e parvenze, di urli vanitosi e tronfi, che celano il vuoto.
    Ecco.
    Fino a che punto essere viandanti dipende da noi?
    Fino a che punto la messinscena di una società senza fantasia e senza cuore ci disarma?
    C’è un legame segreto e necessario tra l’infelicità che semina un dominatore, un capo di stato,un regnante,un uomo senza amore, e la strada che si perde,la luna che tramonta su albe incestuose, che danno solo l’illusione di rinascere?
    Io credo di sì. Io vedo nel disagio di chi non ha pace, la responsabilità di tutti.
    Lorenzo anche ha colto bene tra le righe!
    Il tema che proporrai ai circoli di lettura è molto bello e ne parlerò con vero piacere! A presto!

  153. @ Simo
    Cara Simona,
    so che in questo momento sei a Bronte a presentare “Tu non dici parole”.
    Di mattina, se non sbaglio, hai incontrato gli studenti delle scuole. Di pomeriggio sarai ospite del Sindaco e della Giunta e presenterai il libro nel palazzo comunale.
    Sono certo che sarà un’esperienza bellissima. Ti sarei grato se potessi raccontarcela.

  154. Cara Simona,
    grazie di cuore per la sua gentilissima disponibilità. Essere stata nostra ospite qui a bronte ci ha reso fieri e orgogliosi, soprattutto i miei giovani alunni la ringraziano e le augurano ancora un successo strepitoso sia per questo meraviglioso libro, ” Tu non dici parole”, sia per gli altri che in futuro pubblicherà, certamente anch’io mi unisco a loro e spero tanto poterla rivedere per dirle , ancora, brava.

    Maria Tomasello

  155. Caro Massi,
    scrivere della festa che ieri si è tenuta a Bronte, proprio oggi che ho appreso della morte di Bonaviri, mi colma di malinconia.
    Perchè è in paesi come Bronte (e come Mineo) che nasce tanta parte della nostra storia di siciliani. Del nostro essere isole, scogli, sassi.
    E non è un caso, credo, che proprio le pietre scandiscano i percorsi letterari.
    Quelle di lava che Suor Francisca Spitalieri ha scalpicciato nelle campagne infestate di pistacchi, e quelle magiche, che a Camuti hanno raccolto intorno a se’ poeti e sognatori.
    Ieri le ombre sfioravano le pareti, gli spiriti della mia storia veleggiavano rasentando terra, gli echi delle loro voci risuonavano tra le nostre.
    I ragazzi della scuola “Luigi Castiglione” mi hanno accolta fragorosamente, inebriandomi della loro giovinezza selvaggia e audace, degli sguardi freschissimi di speranze, di curiosità, domande:” Ci descriva Pititta, dottoressa. E Angimbè. Ci dica: come nascono le storie? Qual è il potere delle parole?”
    Un assedio di risate, foto, abbracci. Rimandi da me a loro: “Chi di voi scrive?” e tante mani alzate, tese: “Io, io, io….”
    E poi disegni, scene del romanzo ricostruite coi pastelli e montate su un video, dove sfumavano tra i luoghi reali di Bronte e dove si susseguivano alle parole della mia storia tra musiche d’epoca e atmosfere suggestive. Una proiezione che ci ha levato il fiato.
    Sequenza dopo sequenza la narrazione assumeva straordinaria verità.
    Suor Francisca viveva più che mai.
    Nel pomeriggio il sindaco, le autorità, il consiglio delle donne, vari delegati della provincia di Catania e il presidente della provincia si sono riuniti nuovamente intorno a me per ricordare questa concittadina brontese morta in circostanze così dolenti.
    Una pianista e un flautista accompagnavano le parole delle mie bravissime relatrici.
    Non diemnticherò mai l’entusiasmo della professoressa Tomasello, della Preside D’Anna, di tutti gli intervenuti e dei ragazzi. Nè le parole di Laura Marullo, Dottoressa in ricerca presso l’università di Catania, di Lucia Firrarello e dell’avvocato Calanna.
    All’ospitalità più calda e affettuosa (un pranzo di prelibatezze locali e l’immancabile pistacchio), ai doni e alle attenzioni di un’intera giornata, si è sovrapposta la certezza di una presenza fisica di Francisca Spitalieri tra noi tutti.
    Ieri era l’equinozio di Primavera.
    In un identico equinozio del 1638 la Spitalieri ardeva sul rogo.
    Quando ci siamo congedati dai brontesi per tornare a casa, la neve folava da nord. Densa. Bianchissima.
    La lava nera riluceva sotto un velo vergine.
    Da sposa.

  156. @alla professoressa Tomasello:
    mia cara, sono io che ringrazio lei della meravigliosa ospitalità e del calore con cui mi ha accolta.
    Non lo dimenticherò mai.
    Mi saluti tutti i suoi rumorosissimi e splendidi “figli” della seconda G!

  157. Cara Simo, com’è poetico e bello il tuo resoconto!
    Sai, credo anch’io che scrivere di gente che non c’è più sia rendere loro omaggio, risarcirle con una carezza dell’oblio e delle violenze subite. E queste ombre non lo dimenticano.
    Certamente lo spirito di Bonaviri, ormai sciolto dai legami terreni, si è levato da Frosinone fino alla sua nativa Sicilia per librarsi su Mineo. E secondo me è passato pure da Bronte…

  158. Cara Simo, grazie per il tuo bellissimo resoconto. So che per te – questa di Bronte – è stata una giornata memorabile… di più: indimenticabile.
    Un intero paese ti accolta abbracciando te, la tua storia e quel personaggio – realmente esistito – che ha abitato quei luoghi… e che – probabilmente – aveva qualcosa da dire.
    Francisca Spitalieri ha ripreso vita dalle tue parole, ed è tornata a casa con un aura di giustizia che trascende il tempo e lo spazio. E i terribili e imperdonabili torti subiti.
    Quando la letteratura è vera, accadono i miracoli.

  159. ieri sera, in occasione della presentazione del libro avvenuta a Rosolini, ho avuto il piacere di udire parole “belle”, parole che ho già ritrovato nelle prime pagine di questo romanzo. Nell’oscurità della notte sono riuscita a divorare solo i primissimi capitoli, poi la stanchezza ha preso il sopravvento…..il mio appuntamento con la storia è fissato per questa sera e, ad essere sincera, non vedo l’ora di conoscere Francisca.

  160. Preciso che nell’occasione dell’incontro stavo presentando un libro di Luigi La Rosa. E che insieme a Simona conobbi anche la nostra Maria Lucia (che aspettiamo presto in veste di romanziera).
    Ma qui, la festeggiata è Simona.

  161. Chi, nella sua vita, ha avuto la fortuna di incrociare Simona ne è rimasto irrimediabilmente toccato. E’ una persona ricca di contenuti, una gemma che riesce a rilanciare in infiniti modi la scarsa luce delle persone che incontra. Siracusa è una città che offre innumerevoli dimensioni culturali, ma il suo tesoro più grande è l’intensa attività intellettuale della quale Simona (e Maria Lucia, consentitemelo) rappresenta un elemento trainante. Io “non dico parole” adeguate alla circostanza. Per cui mi limito solo a fare i complimenti a Simona. Vorrei tanto essere lì per unirmi all’applauso che le verrà tributato. In spirito non mancherò.
    Pasquale

  162. @ simona
    complimenti per il vittorini e per le parole belle che dici. bellissimi i video.

  163. @ massimo
    complimenti anche a te per tutto quello che riesci ad allestire con cotanta maestria

  164. Augurissimi anche da parte mia. Bravi .Mi avete fatto venir voglia di incontrarvi di persona.

  165. @simona la conosco solo attraverso questo blog,attraverso le parole lasciate qui,presto leggerò il suo romanzo e la conoscerò un pò di più attraverso il viaggio che faremo insieme nella lettura.Le faccio i complimenti più sentiti perchè al di là della competenza, che è indubbia,percepisco il sentimento nelle parole che lascia agli altri,oltre che l’emozione della sensibilità dello scrittore e della donna che la spinge sempre ad incontrare “l’altro”, ad aprire braccia e cuore sinceramente. Bene,nella mia modestissima visione della vita nonchè della letteratura, tendere all’incontro con l’altro essere umano o con il lettore è il punto di partenza di qualsiasi movimento artistico e di vita,è passare il testimone della nostra vita vissuta,condividere una porzione di solitudine umana ,una piccola rivincita contro la morte.Credo che Simona abbia tutte le carte per realizzare ciò.
    Augurissimi.

  166. @massimo
    augurissimi anche a te che realizzi un sogno con grande spirito generoso,perchè condividi desideri,ambizioni,emozioni e progetti con tante persone.Sei una perla rara in un deserto d’individualismo spinto.
    Bravissimo.

  167. Frequento questo blog da poco. Sono rimasto ammaliato dalle parole di Simona e incuriosito da questo suo romanzo che voglio assolutamente leggere. Complimenti per il premio.

  168. Sono d’accordo con Francesca nel congratularmi anche con Massimo che da più spazio agli altri che a se stesso. Davvero una perla rara. complimenti

  169. Conto di procurarmi il libro di Simona al più presto.
    L’argomento mi affascina e sapere che la poesia e il diritto sono vivi nella stessa persona mi attrae ancor di più
    Tra gli scrittori martiri ci metterei anche Ipazia di Alessandria, Maestra anche se non “scrisse” ma visse.
    Complimenti vivissimi all’Autrice per il meritato Premio e a Massimo che ce l’ha fatta conoscere su Lettteratitudine.
    Eccezionale!

  170. Non eccedete vi prego. Non eccedete in elogi e lusinghe!!!
    Gentile Simona Lo Iacono, la regista/artista non deve spiegare ogni dettaglio di un opera, le opere devono “parlare da sole”, la scrittrice può fornire qualche utile informazione su interessi, scelte e letture. Lei insiste nei dettagli e snatura così il lavoro dello scrittore. Lei mi sembra una donna abbastanza determinata e sicura, il premio certamente amplierà il ‘giro’ di conoscenze e quindi di ‘vendita’ di libri. E quindi Auguri!
    Non devo ‘giudicare’ la sua opera letteraria ma desidererei meno aggressività nel suo bisogno di emergere dall’anonimato. A che serve parlare del potere oscuro dei pregiudizi umani, dei processi alle intezioni, delle parole che uccidono, dei documenti inoppugnabili che ci condurranno eternamente nel progresso di una umanità calcolatrice e sempre più crudele.
    Criticare opinioni, idee, atteggiamenti, aspetti somatici, modi di vivere e di mostrarsi delle persone (maschere di maschere) non saranno impediti – come dice lei – da «l’innocenza in scavo, in ricerca, in affanno e grido di verità della letteratura».
    La letteratura è INTRATTENIMENTO, la vita reale è VERITA’.
    Non siamo Società, siamo Individualità che seleziona, emargina, odia, invidia, utilizza e a volte ama. Il sistema delle leggi è come se si volesse adattare ad una singola individualità pur sapendo che prevale e prevarrà sempre la diversità. Simona Lo Iacono ritiene che l’inadattabilità agli ecosistemi di un mondo disadattato passi attraverso la presa di coscienza del «nostro fragilissimo e precario passaggio», della «nostra spietata capacità di erigere autodafè e ghigliottine senza avvocati»? E gli avvocati chi sono se non dei venditori ambulanti di false verità!
    Il passato è un «nugolo di ombre»? Bisogna credere «nei sogni»? «Nelle scaglie di stelle che ci inondano quando sappiamo farli vivere come parte di noi stessi».Ecco il punto.
    Lei parla in termini di poesia che s’illude e vuole illudere, poesia che sogna e vuol far sognare. Non la criminalizzo per ciò e specie per chi, come me, sente la vita un mondo OSTILE, GIUNGLESCO, VIOLENTO. I lividi, le ferite, le fratture di ossa, le menomazioni, gli stupri, che subisce l’anima non rimargineranno mai. In fin dei conti Letteratitudine è anche l’idea di una scrittura solitaria che combatte le solitudini del mondo.
    Non posso e non voglio essere né carezzevole, né dolce. «La vita ci immette in ruoli che non vorremmo recitare». Appunto.

    Domande a Simona Lo Iacono?
    – Lei crede nell’amore? Ama gli uomini? Riesce a pensare di poter vivere l’intera vita con un uomo?
    – che cosa pensa dei bambini di oggi rispetto a quelli nati negli anni ’70?
    – Lei è felice?

    Domani è la sua festa, spero di non aver rovinato di amarezze un post troppo eccessivamente sdolcinato. Ringrazio per lo spazio a Massimo Maugeri, intellettuale completo e raffinato.

  171. etna 72, non sempre è facile dire le cose firmandosi con nome e cognome (magari mettendoci la faccia) come fa la bravissima simona, vero?
    giusto. il mondo è ostile, giunglesco e violento. mi pare che lei lo rappresenti bene.

  172. Gentile Simona, ho letto il suo bellissimo libro e mi unisco al coro dei meritatissimi elogi. Complimenti per il premio e tanti auguri per la vita a lei ed a tutte le persone che amano le “paole belle”, che per fortuna sono più di quanto si possa pensare.

  173. Indubbiamente ci sono cose che si possono dire e altre no. Questo dimostra ancora una volta come nella nostra società vi sia una libertà di espressione “vigilata”. La parola è rigorosamente tenuta sotto controllo: come in passato, se si dicono cose innocue, c’è la possibilità di farsi ascoltare; se si dicono cose giuste ma scomode ai più, si viene stritolati nella morsa del silenzio.

  174. Carissimi,
    grazie davvero di cuore.
    E grazie a Massimo che stamattina mi ha svegliata con questa bellissima sorpresa prima di andare in ufficio e mi ha annunciato: “C’è posta per te”!
    Io e Massimo abbiamo incrociato i nostri destini nel 2006 come lui ha detto. Erano anni di sperimentazione. Lui aveva appena aperto il blog. Io ero a metà del mio romanzo. Ma entrambi eravamo su una strada di apertura e condivisione. Lui attraverso la rete. Io attraverso gli incontri a casa mia, dove iniziavo ad accogliere amici e scrittori per parlare di letteratura. Per respirare un sogno.
    Ha ragione Etna 72 quando dice che la letteratura combatte le solitudini del mondo.
    Ma è anche vero che in parte può risanarle, offrire un balsamo, un sollievo.
    Non è solo poesia quella che risana una ferita.
    E’ vicinanza, contatto con l’altro, affondo nel suo mistero e nella sua solitudine.
    Quando madre Teresa di Calcutta raccoglieva i moribondi per strada per offrire loro solo uno sguardo prima di chudere gli occhi, molti le domandavano: ma a che serve, madre? Non vede che è quasi morto? Perchè lo raccoglie dalla strada?
    E lei rispondeva: fino a che ha un solo alito di vita, fino a che ha un solo palpito nel petto, voglio dargli una carezza. Voglio che chiuda gli occhi sapendo che qualcuno lo ha amato.
    Ecco.
    Credo che la letteratura sia quella carezza.
    E che credere in quella carezza non sia voler giustificare nè dare risposte al mistero di esistere, nè alla violenza che – pure – ci cinge.
    Vuol dire – semplicemente – esserci. Offrire una testimonanza. Una voce.
    Forse, un ultimo sguardo d’amore.
    Carissima Etna 72, grazie per le tue domande.
    Cercare di spiegare un libro non si può, diremo anzi che Dio non vuole.
    Ma spiegare – o tentare di spiegare – il perchè, il proprio personalissimo perchè di quella carezza, è più che leggere tra le righe.
    E’ far sentire anche il proprio pianto.
    Ecco perchè sì, per rispondere alle tue bellissime domande, io credo nell’amore. In questo amore. L’amore degli ultimi. L’amore che raccoglie.
    E credo che sì. Penso che sia possibile vivere accanto a un uomo per tutta la vita se tra me e lui c’è l’Uomo per eccellenza, quello che ha portato la croce.
    Se anche ai bambini insegneremo questo, non ci sarà alcuna differenza tra quelli nati oggi e quelli come me nati nel 70. Nè tra quelli di Betlemme, o della Samaria.
    Accettare il segreto del dolore senza profanarlo credo sia uno degli atti di umiltà più grandi che si possano fare.
    Per questo sono felice. Per questo lo sono stata anche nel dolore. E nel lutto. E nella privazione.
    E no, cara Etna 72…non hai rovinato la festa di domani. La mia festa. Ma anche la festa di Massimo, di Luigi, di Maria Lucia, di Pasquale, di Francesca Giulia e di chiunque creda a quello sguardo d’amore (come mi auguro possa crederci anche tu).
    Con i tuoi spunti mi hai consentito di dire cose a cui tengo molto.
    E hai reso la festa ancora più bella.

  175. Caro Massi,
    grazie per questo bellissimo post, che giunge inaspettato e colmo di sorprese.
    Grazie per la cura che hai messo nel leggere il romanzo in bozza, e per quel primissimo consiglio (“Simo, io cambierei il titolo”) che ha ribattezzato Francisca con un verso di Pavese che amavo molto, e che le ha portato una immensa fortuna.
    Grazie per tutte le occasioni di condivisione, per i primissimi scambi (quel pranzetto a Pasquetta con lo scrittore Remo Bassini , condiviso con te, tua moglie Agata e Maria Lucia), e per gli ultimissimi (Catania, Sortino, Rosolini, Acireale….) , grazie per gli incontri a quattro voci, per la sovrapposizione di parole e confronti sulla letteratura.
    Grazie per questi ultimi mesi in cui ci siamo incoraggiati a vicenda e abbiamo fatto rimbalzare le presentazioni dei nostri libri l’uno sull’altro.
    Grazie.
    E grazie per la tua presenza di domani, con la quale tra i gradini del teatro greco mi parrà di abbracciare tutte le voci del blog. Tutti gli incontri di questi anni, tutte le serate di riflessioni, di sorrisi, di poesia.
    Vorrei dedicarti questo canto che la poetessa Ben-Chorin (premio nobel per la poesia nel 1966, conferitole anche quale cantrice dell’esilio, essendo fuggita dalla Germania nazista in quanto ebrea) dedica ad Agar (la schiava di Abramo nell’antico testamento):
    – – –
    Fra le sue stanche mani di schiava
    sprofondò il capo pesante di lacrime
    e avvertì sulla terra un angelo
    che veniva dalla schiera fiammante di un Dio sconosciuto.
    Pensò solo: è arrivato un angelo,
    che si chinò su di lei avvolto in un chiarore splendente
    e fu consolazione e casa.
    E protezione.
    – – –
    A domani!

  176. Complimenti alla mia quasi-omonima Simona: un successone!! Felice anche di vederti accanto al mio amico Francesco Durante che ha scritto un altrettanto ottimo libro.
    Auguri per tutto il meglio che c’è!! 😉

  177. Principessa Letizia di Giacomo lei scrive da qualche parte che «L’analisi di numerose opere letterarie dimostra che lo straniero è una condizione esistenziale e che la diversità è propria di ciascun uomo ; tale riflessione, dunque, dovrebbe essere un invito a non considerare necessariamente qualsiasi forma di alterità come una minaccia, ma come elemento di unione e di arricchimento interiore, a guardare cioè lo straniero con “l’intelligenza del cuore”».
    Bellissime parole che non le appartengono. Lei non ha né cuore né intelligenza. Giudica senza conoscere proprio come denuncia la cara Simona.
    A proprosito, ringrazio invece infinitamente Simona Lo Iacono. Ho capito molte cose. Ha perfettamente risposto alle mie curiosità. Auguri Auguri Auguri!!!
    Adesso posso leggere con più serenità le sue opere. Un abbraccio caro e sentito

  178. mia cara vulcanica etna72, le parole che ha messo tra virgolette sono molto belle, ma non sono mie. da una ricerca di google ho visto che sono firmate da una omonima che, purtroppo, non sono io. dunque ha proprio ragione: non mi appartengono. però le trovo molto condivisibili. ed illuminata dalle straordinarie parole di simona ( proprio belle ) le dico che ha ragione: non ho né cuore né intelligenza. quei surrogati di cuore ed intelligenza che mi ritrovo mi spingono però a chiuderla qui per rispetto di massimo maugeri, che ci ospita,e della stessa Simona. Le auguro un buona eruzione 😀

  179. Cari amici, buon pomeriggio a tutti e grazie per i commenti inviati. Purtroppo (come testimonia l’orario dei miei commenti precedenti) questi di fine giugno sono giorni “di corsa”, per cui sarò costretto a essere sintetico.

  180. Intanto mi preme precisare che – a differenza di quasi tutte le altre volte – la pubblicazione (o meglio, l’aggiornamento) di questo post non è finalizzato a suscitare una discussione. Si tratta di un semplice omaggio rivolto a Simona in occasione dell’attribuzione del Premio Vittorini.
    Per cui invito tutti coloro che hanno letto e apprezzato questo libro e che hanno conosciuto Simona (di persona o qui su Letteratitudine) a farle gli auguri (ma solo se ne hanno tempo e voglia, s’intende).

  181. Altra precisazine.
    I video che ho inserito su Letteratitudine Tv e che ho collegato a questo post non sono comizi di Simona Lo Iacono, ma risposte a domande puntuali che le sono state rivolte in occasione della presentazione del libro.
    Alla stessa stregua delle risposte che ha fornito oggi pomeriggio a seguito di ulteriori sollecitazioni.

  182. Cara Simo,
    grazie a te per il bellissimo commento delle h. 4:19 pm a me rivolto.
    Ho trovato commoventi le parole della poetessa Ben-Chorin.
    Per quanto mi riguarda, “l’angelo che veniva dalla schiera fiammante di un Dio sconosciuto” sei tu.
    Grazie di cuore…

  183. Vado proprio di fretta.
    Ne approfitto solo per ricordare ai siciliani della costa est che la Cerimonia di Premiazione si svolgerà a Siracusa martedì 23/06/2009, al Teatro Greco, ore 21,00.
    L’ingresso è libero.

  184. Un bacione stratosferico a Simo. Domani vengo e mi siedo in prima fila, al posto del Sindaco. E guai a chi cerca di smuovermi dalla poltrona, porto l’incolla tutto.

    @Etna 72. Ha scritto cose molto belle. Le risposte della Simo le hanno valorizzate ancora di più. Ma perchè si trincera dietro il buio liquamoso dell’anonimato? E’ così difficile avere il coraggio di mostrare le proprie idee?

  185. Cara Simona,
    non posso che unirmi alle congratulazioni di tutti.
    Le scrivo, con molto umorismo, che sono certa che se non mi “unissi al gaudio comune”, sarei defenestrata nel giro di pochi giorni.
    Per me la letteratura non è “consolazione”, ma una specie di sondaggio del reale che mi aiuta a capirlo meglio. Dico questo perché in molti casi la lettura di un libro mi ha “aperto gli occhi” ( ricorda “Les yeux ouverts”? Ne abbiamo parlato qui) e non sempre aprire gli occhi fa bene all’anima, anzi.
    Però è certo che sia le PAROLE che la scrittura sono indispensabili agli esseri umani.
    Ci sono poi dei mestieri che permettono di sondare profondamente l’animo umano ( e quindi di descriverlo con molta acutezza); Flaubert era un medico ( e quindi non strettamente un “letterato”). Lei si occupa di “processi”: credo che abbia ottimi strumenti per “affondare il suo bisturi”…
    Congratulazioni vivissime.

  186. Oggi Simona potrebbe dirlo a me: “Tu non dici parole”.
    🙂
    Oggi si compie quello che ebbe inizio cinque anni fa, quando per coincidenze di parole amicizie destini intraprendemmo questo cammino della scrittura che domani ti porterà sulle sacre pietre del Teatro greco.
    Con tutta la mia amicizia di penna e di cuore,
    ML

  187. Pasquale, grazie delle tue parole. La forza della cultura sta nella condivisione, nello spartire il pane del sapere, nel moltiplicarlo con l’entusiasmo e la voglia di fare…
    Massimo, in questo tiro in causa anche te, che dai spazio a tutti, che ti metti da parte per ascoltare, che non fai presenzialismo ma aleggi in questo blog con il rispetto e la delicatezza che ti sono propri.
    Il Premio sarà la festa di chi come noi crede nella cultura, ama i libri e la scrittura e soprattutto per tutta la vita ha cercato spazi e persone con cui condividere tutto questo. Letteratitudine è uno di questi.

  188. Ancora gazie a Salvuccio, Roberta, Etna 72, Letizia Di Giacomo, Simonetta Santamaria, l’inseparabile Maria Lucicchia e …naturalmente Massi.
    Io e Maria Lucia abbiamo avuto stasera una lunga conversazione telefonico-letteraria che riguardava:
    1- il vestito che ci saremmo messe,
    2-le scarpe,
    3- il vestito di Luigi La Rosa , che ha partecipato alla conversazione telefonica da Messina in viva voce (entrato in crisi per un pantalone nero per il quale ha chiamato a raccolta tutti gli amici di Roma, Messina, Catania e Siracusa …per decidere infine che…sì…vada per il pantalone nero – ma per sicurezza si porta altri due cambi ….)
    Tutto questo perchè:
    1- Luigi mi accompagna sul palco in qualità di mio irrinunciabile consulente letterario, e c’ha l’ansia,
    2- Maria Lucia è inserita tra i parenti (insieme a Masimo e sua moglie)nella tribuna alle mie spalle , e deve fare da madrina letteraria,
    3- le pietre del teatro greco non consentirebbero i tacchi ma NOI CE LI METTEREMO LO STESSO a costo di svenire su Fabrizio Frizzi,
    4- mio figlio Nanni ha saputo che premieranno il doppiatore di Omer Simpson (che lui adora) e quindi dovremo trovarci al teatro greco con cinque ore di anticipo per beccarlo e subissarlo di domande….

    Buona notte a tutti!

  189. Come dice giustamente Massimo oggi non siamo qui a commentare il bellissimo libro di Simona ma soltanto per darle un grosso bacio e augurarle che questo inizio trionfale sia appunto solo un inizio.
    Anche io stasera sarò a Siracusa tra il pubblico del teatro per gioire insieme a simona e a tutti gli amici.
    Sicuramente non sarò in prima fila ma le mie corde vibreranno insieme alle tue, Simona. Spero che in tutta quella confusione riuscirò a fartelo percepire.

  190. Caro Maugeri, stasera sarò al teatro greco di Siracusa per condividere il piacere e l’emozione della premiazione di Simona Lo Iacono, una delle (poche, in verità) scrittrici italiane che stimo e che più mi coinvolgono. E spero di essere a Floridia, domenica prossima, in occasione dell’evento “Letterariamente…condividiamo”, per avere la possibilità di scambiare qualche parola, di “sentirla” come persona, oltre che come scrittrice (ché, la scrittrice, l’ho “sentita” subito, già da “I semi delle fave”, per quella speciosa potenza e illusività della sua scrittura, per quella discontinuità tonale del suo narratum, da cui affiora una parola estremamente non-consolatoria, entità rara, preziosa, squisita, capace di scardinare l’dea sicura, precisa che abbiamo di un mondo, di un universo, della storia, in cui tutto si consuma entro limiti esatti,definiti, precogniti: una parola capace di fascinare, dire, inchiodare, nutrire in modo assolutamente nuovo e pregnante).
    Buon lavoro, congratulazioni e arriverderci a presto!
    salvo sequenzia

  191. Quando la fede e la pietas ci vengono in soccorso?
    Pittitta,Tufania,Francisca, così pure il Pilosa, sono dei visionari e percepiscono il pericolo immediato che li sovrasterà;e talvolta sognano il destino che li accomunerà.
    Allora perché, solo il Pilosa non deve trovare pace e giustizia su questa terra? Con una morte atroce il Pilosa avrebbe potuto nel romanzo “Tu non dici parole” di Simona Lo Iacono avere pari dignità come le donne disgraziate incontrate nella sua vita.
    Invece No!Come se la vittima e il carnefice non fossero entrambi vittime di un destino ineluttabile. Certo, la fede ci permette di accettare e di donare il proprio sacrificio alla volontà di un Dio che sovra intende a tutto ciò e saprà riparare all’ingiustizia degli uomini, ma questo è inaccettabile.Noi tutti ci esprimiamo solo su questa terra nel bene e nel male. E le differenze e gli intenti degli uomini sono dovuti a circostanze ben individuate di nascita, di censo, di conoscenza,di salute mentale e fisica: tutto il resto è pura immaginazione ma non è sufficiente per me!
    Il Pilosa viene descritto – Cap.8,p.44 -:
    “E s’è detto ancora – mai più brigante, arruffone e coniglio, mai più violentatore di monache e di esposte.Mai più Pilosa.”
    Ancora,p.45:
    “E forse è questa la sua condanna,pensa. Forse è questo l’inferno che deve patire per quell’assalto a tradimento, per quel prendere corpi su corpi come fossero avanzi, per quel seminare morte senza dolore, senza nostalgia.
    ………..Era meglio prima, si dice.Quando non ci credeva ancora. Quando pensava che i sogni fossero tutti per gli altri, non per se stesso”.
    Fino all’ultimo ho sperato che il Pilosa venisse giustiziato per le atrocità commesse e redento in nome dell’amore struggente provato per Francisca disgraziata come lui: perché altri nel romanzo avevano collaborato con Angimbè – Don Peppino Barravecchia e la sua perpetua – al fine di far trovare (segue)

  192. Francisca destinata al rogo.Continuando con il Cap.8,p.46:
    “Ma forse, poi, a pensarci bene, l’amore non è mai involontario.Non è mai senza colpa”.
    ………(p.47) “Solo l’amore non ha colore, e può essere nero,rosso,bianco.Oppure può arrivare a mani nude.Allora è violenza,ferocia,spaesamento”.
    Sarà che per me l’amore è speranza,comunione di sentimenti profondi e come: penetrare l’infinito, esplosione di energia, perdersi per ritrovarsi.
    Forse è per questo che mi sono interessato al Pilosa da giustiziare in terra e nel contempo salvarlo per l’eternità.
    In buona sostanza il romanzo “Tu non dici parole” di Simona Lo Iacono, che ringrazio e abbraccio affettuosamente per il dono dell’invio del libro, l’ho letto e riletto con passione come quella che ho riscontrato vissuta dall’autrice e come la fede possa vacillare in ogni momento di fronte atrocità universali o come per dolori personali vissuti in solitudine; certo, secondo me.
    Baci&Abbracci
    Luca Gallina
    P.S. In bocca al lupo,cara Simona con i tacchi,perché stasera sarà un vero trionfo che ti godrai meritatamente con i tuoi amici tutti,presenti e assenti.

  193. A Luca Gallina. Perché Shakespeare ha fatto morire Giulietta e Romeo?
    Io avrei preferito che vivessero, che ci fosse speranza per un amore vero condannato dalla stupidità umana.
    Questo cosa l’ho pensata per molto tempo. Poi ho pensato che ogni autore ha il diritto e il dovere di scegliere i suoi personaggi e decidere sulla loro sorte. E nulla impedirà a noi lettori di immaginare destini diversi. Ma il vero Romeo e Giulietta, per fortuna, rimarrà quello scritto da Shakespeare e non quello che ho immaginato nella mia testa.
    A scanso di equivoci aggiungo che io adoro Shakespeare e leggerò con piacere il libro della Lo Iacono alla quale rinnovo gli auguri per oggi.

  194. Carissimi amici…
    ancora grazie a tutti per questi commenti che conservo nel profondo del cuore e che stasera rievocherò, uno ad uno.
    A Mavie dico che percepirò – e ho già percepito- la sua presenza. Come un abbraccio che ti cinge da dietro, sorprendendoti.
    A Lucio che quello champagne schiocchi per lui, per tutti.
    A Salvo Sequenzia che le sue parole sono un dono, che accrescono l’emozione di questa giornata.
    A Gaetano che ricambio di tutto cuore, nell’attesa di conoscerlo personalmente.
    E a Luca, il caro Luca che ha pietà per i Pilosa, dico che ha letto bene. Che la pietà più alta va proprio a chi non sa scegliere, a chi non sa vivere l’amore come una speranza, a chi non ha giustizia in terra.
    Ma che la salvezza nell’eternità ci appartiene ora, adesso, è noi in atto, è noi che vogliamo credere che il sogno possa salvarci. Guarirci.Sollevarci da terra.
    La scelta è nostra. Solo nostra.
    Come dice Francisca sul rogo:
    “…Lo guarda senza nostalgia, senza tenerezza, senza rancore. Lo guarda sapendo che le parole belle non la salveranno dal rogo, non la salveranno da lui.
    Perchè lui non vuole essere salvato.”

    A stasera!

  195. A Giacomo: anche io adoro Shakespeare!
    E anche io ho sognato una fine diversa per Romeo e Giulietta!
    Ma anch’io ho pensato che l’epilogo che desideravo era forse il meno vero.
    Non perchè l’amore non possa compiersi. Ma perchè deve rimanere quel mistero insondabile che ci è stato affidato, quell’essere a dispetto di tutto, quel finire in una morte umana lasciando però aleggiare la certezza che non sia stato inutile, che sia nato per gridare, per regalarsi un ultimo istante. Forse, per essere raccontato.

  196. Qui esprimo le mie migliori congratulazioni a Simona Lo Iacono per l’assegnazione del Premio Vittorini-Opera Prima – riconoscimento meritatissimo per un romanzo nel quale, come tutti sanno, ho creduto sin dall’inizio dimostrandolo in varie maniere.

  197. Il superpremio Vittorini è stato vinto dalla simpatica Emma Dante. Simona Lo Iacono è stata bravissima.

  198. Il teatro greco di Siracusa ieri sera si è vestito a festa per ospitare la XIV edizione del premio letterario dedicato al suo illustre concittadino, Elio Vittorini. Nonostante il tempo fosse un po’ inclemente per il forte vento fresco il pubblico delle grandi occasioni ha riempito ogni ordine di posti ma, soprattutto, è rimasto fino al termine della lunghissima serata a dimostrazione del fatto che quando si riesce ad abbinare letteratura e spettacolo in un raro e perfetto come connubio come ieri sera la gente, che ha voglia di cultura nel senso più ampio e alto del termine, risponde alla grande. I tre finalisti di questa XIV edizione erano Emma Dante con “Via Castellana Bandiera” edito da Rizzoli, Francesco Durante con “Scuorno” edito da Mondadori e Letizia Muratori con “La casa madre” edito da Adelphi. E’ stato assegnato anche il premio speciale della commissione per l’opera prima a “Tu non dici parole” di Simona Lo Iacono edito da Perrone. Per la cronaca ha poi vinto questa edizione Emma Dante, regista e attrice, con questa sua opera prima. La serata è stata presentata con la consueta e nota bravura e simpatia da un Fabrizio Frizzi in splendida forma che ha saputo ben coordinare i diversi momenti della serata, dando il giusto spazio a ogni ospite. Ci sono stati due “momenti” musicali di altissimo livello: prima Antonella Ruggiero che ha interpretato con la sua incredibile voce alcuni brani accompagnata da un pianista e, a fine serata, Fiorella Mannoia, anche lei coadiuvata da un musicista al pianoforte, che ha concluso la sua splendida performance coinvolgendo la parte femminile del pubblico in “Quello che le donne non dicono” di Ruggeri. Sono stati assegnati anche tre premi speciali ad artisti che si sono distinti in alcuni campi e che si sono trasformati in altrettanti formidabili momenti di spettacolo: a Tonino Accolla, doppiatore di celebri attori americani ma anche attore, originario di Siracusa, a Francesco Andaloro, giovanissimo pianista della provincia di Caltanissetta, ormai una brillante stella del panorama musicale mondiale, e a Valerio Massimo Manfredi, archeologo ma, soprattutto, autore di libri storici venduti in milioni di copie e cittadino onorario di Siracusa.
    Daniela Domenici

  199. Premiato un grande nome del teatro contemporaneo – capace di portare sulle scene di tutta Europa l’anima più viscerale della Sicilia – ieri sera, a conclusione della XIV edizione del Premio Vittorini, condotto da Fabrizio Frizzi e patrocinato dalla Provincia Regionale di Siracusa.

    Emma Dante – regista palermitana, al suo esordio letterario con il romanzo “Via Castellana Bandiera”, edito da Rizzoli – è stata infatti insignita del Superpremio Vittorini, che la vivace artista ha accolto con particolare stupore, esclamando sul palco del Teatro Greco: “Ma è troppo!”.

    La Commissione giudicatrice del Premio ha esposto nel corso della serata le motivazioni della scelta dei tre romanzi premiati, spaziando dal realismo magico e visionario della Dante – che racconta di una passione svuotata di significato, squarciata in un’immobilità che si traduce in occasione di riflessione – all’eterna emergenza della Napoli popolare, ironica e rabbiosa dello “Scuorno”(Mondadori) di Francesco Durante, alle incantevoli insidie dell’ “ultimo giorno d’infanzia” di Letizia Muratori ne “La casa madre”(Adelphi).

    Il Premio opera prima è stato invece assegnato al giudice siracusano Simona Lo Iacono, per il suo primo romanzo “Tu non dici parole”, edito da Giulio Perrone, esaltazione della bellezza della parola come veicolo di salvezza dalla morte e da una giustizia iniqua e fallace, ma anche difesa post-mortem della religiosa protagonista della vicenda, ambientata a Bronte negli anni dell’Inquisizione.

    Ad animare la cavea del Teatro – gremita di spettatori – la grande musica di Antonella Ruggiero e di Fiorella Mannoia, che hanno offerto al pubblico alcuni tra i più grandi successi del loro repertorio.

    Il Presidente della Provincia, On. Nicola Bono, ha inoltre assegnato tre premi speciali a personalità del mondo dello spettacolo e della cultura: il doppiatore Tonino Accolla – vero mattatore della serata – il giovane pianista siciliano Francesco Andaloro – già riconosciuto come uno dei maggiori talenti del pianismo a livello internazionale – e lo scrittore e archeologo di fama mondiale Valerio Massimo Manfredi, che si è detto onorato di trovarsi in un luogo – il Teatro Greco di Siracusa appunto – denso di significato per la sua attività professionale ed artistica.

    Ancora una volta, dunque, il meglio del mondo della cultura ha reso onore alla figura di Elio Vittorini, facendosi interprete di quello stesso fermento intellettuale che animò lo scrittore siracusano nel corso della sua vita.

  200. Carissimi,
    un augurio speciale ad Emma Dante e al suo bellissimo romanzo insignito del Supervittorini. Al canto di una immobilità apparente vissuta invece come opportunità di squarcio e finestra sul proprio incavato sè.
    Ma anche alla deliziosa Muratori che ha colto lo struggimento dell’ultimo giorno dell’infanzia, della soglia su cui l’innocenza si muove quando scopre che al di là del proprio sguardo trasognato, vergine, non addomesticato, la vita si muove. Si corrode. Rivela.
    E un particolare augurio anche a Francesco Durante che ha incantato con la sua descrizione di una Napoli bella pur se contraddittoria, ma anche pensierosa, contemplativa, piegata su un dolore.
    E complimenti alle voci di lacrima di Antonella Ruggiero e Fiorella Mannoia, alle dita veloci del pianista Andaloro, alle reminiscenze di Manfredi …ma soprattutto alla sensibilissima e ridente simpatia di Tonino Accolla.
    Seduto accanto a me e mio figlio Nanni, ci ha deliziato con le vocine dei Simpson e ci ha regalato molto calore.
    Infine grazie all’abbraccio del teatro greco, alle sue scoscese insenature umane, a quella concezione dello spazio che gli antichi pensarono per avvolgere chi parlava nella cavea.
    Un essere dentro il respiro degli altri.
    Quasi un grembo odoroso e pulsante. Tattile. Plaudente. Sognante.
    Vivo.

  201. Le bellissima serata del Premio Vittorini è stata adeguatamente descritta nei commenti precedenti… compreso quello di Simona, così carico di poesia.
    Aggiungo che Simona è stata bravissima (e che ha sorpreso tutti portando con sé sul palco il figlio Nanni… a cui il libro è stato dedicato). Dopo la presentazione del romanzo, firmata e letta dalla professoressa Sarah Zappulla Muscarà, Simona ha risposto alle domande di Fabrizio Frizzi da par suo.
    Spero, nei prossimi giorni, di avere la possibilità di aggiungere un video tratto dalla registrazione della serata.

  202. Ottimi e frizzanti gli interventi degli altri scrittori premiati: Francesco Durante, Letizia Muratori e (la super vincitrice) Emma Dante.
    Penso che li inviterò qui a Letteratitudine a discutere dei loro libri.

  203. @ Salvo Sequenzia
    Caro Salvo, un saluto speciale a te.
    È stato un piacere leggere le “parole belle” (giusto per restare in tema) che hai voluto spendere per Simona. Scritte da te – uno dei più validi intellettuali siciliani – acquisiscono una valenza particolare.
    Hai citato il racconto “I semi delle fave”. Chi volesse può leggerlo (o rileggerlo) qui:
    http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2008/03/18/i-semi-delle-fave-di-simona-lo-iacono/
    Mi auguro, caro Salvo, di poterti incontrare a Floridia domenica prossima per salutarti affettuosamente.

  204. Una serata bellissima quella di ieri sera: suggestivo il luogo (come lo è sempre del resto il teatro di Siracusa) e autori, giuria ed ospiti bravi e piacevoli. Ho fatto di tutto per esserci soprattutto perché non potevo non essere presente alla premiazione della meravigliosa Simona che ha risposto con fluida loquela e con sicurezza a tutte le domande rivolte a lei.
    Cara Simo comincia proprio adesso un’ascesa che verrà sempre sostenuta da tutto il gruppo di persone che ti amano: i letteratitudiniani ovviamente 😉

    Un abbraccio e un augurio speciale Simo, siamo con te, a condividere questo bellissimo momento.

  205. @ Simona
    Cara Simo, come ho scritto nel post ci siamo incontrati nel 2006 (e in quell’occasione di parlai di questoblog). Però il tuo primo commento letteratitudiniano è datato 26 settembre 2007.
    Come mai hai deciso di partecipare alle discussioni solo dopo vari mesi?
    Raccontaci, dài…

  206. Caro Massi..
    è vero!!!
    Quello fu un periodo tribolatisimo.
    In quei mesi effettuavo il trasferimento da Siracusa alla dirigenza di Avola e per circa otto mesi (da fine 2006 a metà 2007) ho retto contemporaneamente due uffici molto grossi (Siracusa e Avola)…
    Ero impegnatissima con le udienze sia in sede centrale che in sezione e inoltre il computer faceva le bizze. Ricordo che il sollievo arrivò dopo l’estate 2007 …da lì in poi mi sono insediata stabilmente ad Avola in modo esclusivo e sebbene il mio distretto sia molto impegnativo per mole di processi e ampiezza territoriale, ho almeno concentrato le forze su un unico ufficio!!!
    Comunque ti leggevo anche se non avevo il tempo di intervenire e ti ho visto compiere una crescita prodigiosa!.. Quando poi ho comnciato a commentare…tu sei diventato graualmente una parte integrante della giornata…e attendo ogni nuovo post come un dono!
    Buona notte a tutti e un bacio grandissimo a Sabina

  207. Cara Simona,
    non ho ancora letto il tuo libro, sono sincera. Mi dedicherò alle sue pagine appena un pò di tempo libero me lo permetterà. Promesso.
    Nel frattempo le tue risposte sul linguaggio, sulla teatralità, sulle maschere, mi fanno riflettere in maniera approfondita soprattutto quando parli di quell’ enorme tendone dove il “circense” cerca di catalizzare l’attenzione per rallegrare lo spirito degli uomini, forse alleviarne le pene… Simona colgo il pretesto, al solito, per riportare il parallelo fra pittura e letteratura, ti rammento gli acrobati di Picasso, i circensi di Seurat, le figure di Roualt, le “sgargianti” di Lautrec, come fossero immagini uscite fuori dai libri di Zola, Maupassant, Flaubert, per brevità ho citato il periodo impressionista ma, se ci fai caso, la storia ci testimonia che accanto ai grandi libri ci sono sempre le grandi tele, il linguaggio estetico parla chiaro.
    Ritorno al tema iniziale, all’affabulatore, al circense, non ci fu pittore che, scavando nella coscienza, non cercò di rappresentarlo, di svelare cosa nascondeva la maschera sotto sotto, tu lo sai, puoi trovarci occhi di compassione e amore che guardano con un sentimento di nostalgia dell’Eterno, attenti e distaccati rivolti allo scenario del mondo ………………….oppure puoi accorgerti di due fessure ironiche che ridono di questa vita come fosse l’eterno carnevale, attonita ti rendi conto della visceralità del loro ghigno, pura follia, puro sarcasmo, impotenza, chiamala come vuoi.
    Sono contenta che anche Emma Dante abbia avuto il giusto riconoscimento, è una siciliana tosta, ha coraggio.
    Ti abbraccio.Scrivimi.
    Rossella

  208. Cara Rossella,
    i tuoi sguardi sulle tele e poi sulla parola mi affascinano sempre.
    E sì..aiutano anche a scavare la maschera, a raschiare l’apparenza nebulosa di donna di malaffare che si imbelletta.
    Sotto potremmo trovare amore. Compassione. Morte.
    O sogni…
    Oppure ghigni, come dici tu, che beffano finanche il destino.
    Alla fine…non è che un viaggio, in sè, negli altri e oltre.
    Un viaggio che può aprirsi con un libro e non concludersi mai…nemmeno all’ultima pagina.
    Grazie infinite delle tue suggestioni e un abbraccio fortissimo.

  209. Cara Rossella, ne approfitto per salutarti.
    Oggi Simona e io saremo a Floridia… a “esibirci” nei nostri (ormai) soliti duetti letterari.
    Copincollo dalla sezione “Presentazione di libri ed eventi”…
    ——-
    ——-
    letteraria… mente
    condividiamo

    =============
    Domenica, 28 giugno 2009 – ore 18,00
    Museo della Civiltà Contadina Iblea
    Piazza Umberto I, 27 – Floridia (Sr)
    =============
    Conferenza di presentazione

    “Tu non dici parole”
    di Simona Lo Iacono
    Opera prima del premio letterario
    “E. Vittorini” di Siracusa – 2009

    “Letteratitudine, il libro”
    di Massimo Maugeri
    =============
    Concerto del trio di fiati “Prestige”
    =============
    =============
    … “attraverso
    i linguaggi dell’arte
    ricerchiamo
    la condivisione.
    Per sopravvivere
    all’impietoso scorrere
    del tempo,
    scandito da
    un mondo
    vuoto e frenetico”.

  210. Diabolik ed Eva Kant.
    La coppia terribile della letteratura italiana.
    Ladri di emozioni.

  211. Bellissima serata a Floridia, al museo dell’arte contadina.Ringrazio di vero cuore Cetty Bruno che crede nella condivisione e ha fatto del museo uno spazio vitale, aperto, pulsante.
    Ringrazio il trio prestige che ci ha incantato con il suo bellissimo repertorio, e il numeroso pubblico, affettuoso e partecipe.
    Mi piace ricordare che la struttura del museo era quella di un antico carcere borbonico e che il cortile che ci ha ospitati (abbellito dai dipinti del padre di Cetty) era lo spazio riservato ai detenuti per l’ora d’aria.
    Credo che una trasformazione più simbolica e forte non fosse immaginabile: dalle grate alla letteratura, che è il mondo della libertà…
    Non trovi, Massi?
    Suor Francisca Spitalieri e la rete. Il rogo e il web.
    Tutto può convivere con tutto…
    Un bacio di buona notte!

  212. Caro Salvo, mi fai ridere:-)))
    Però se devo pensare ai fumetti (almeno per quel che riguarda me) mi sento molto più vicino a Paperino che a Diabolik.

    Invece l’esperienza della presentazione a Floridia (presso il Museo della Civiltà Contadina Iblea) è stata bellissima.
    Una bellissima e arricchente esperienza di condivisione… anche (e soprattutto) con il pubblico. Ora è tardi… ne parlerò meglio domani sera.
    Ma eri presente anche tu. Così come Maria Lucia.
    Seriamente… che impressioni avete avuto?
    E tu, Simo?

    Intanto ne approfitto per salutare e ringraziare Cetti Bruno, la splendida organizzatrice della serata.

  213. Scusa, Simo… non pensavo fossi on line 🙂
    Dalle grate alla letteratura, sì… bellissimo.
    Ne approfitto anch’io per ringraziare tutti. E rinvio il seguito a domani.

  214. @ Massimo.
    Davvero una splendida serata, nel Museo del Maestro Nunzio Bruno. Cetty organizza le sue manifestazioni in maniera impeccabile, nulla è lasciato al caso. E’ sempre stata così, ricordo che già all’asilo organizzava recital di poesie e le mie le bocciava regolarmente. Un personaggio che merita attenzione. Se mi permetti, caro Massimo, (ma sicuramente mi permetti) vorrei presentarla qui, ai nostri amici di Letteratitudine.

    Cetty Bruno
    Un manager al servizio della cultura
    Cetty Bruno non è una donna di cui si può dire che ami l’ozio, le sue molteplici attività ne hanno fatto un riferimento, un punto cardine per chi voglia promuovere attività culturali di qualità nel siracusano e oltre. Nata a Solarino nel 1961, vive a Floridia dove coadiuva il padre Nunzio nella valorizzazione del museo etnoantropologico. Dopo le prime esperienze di natura organizzativa all’interno di una radio libera e la fondazione nel 1986 della prima associazione femminile con sede fissa, Cetty compie i primi passi in seno ai movimenti politici locali degli anni 80 e volge i suoi interessi alla comunicazione sociale e alla promozione culturale. Nel 1988 fonda il Centro artistico “Les Volants”, dando vita nella provincia aretusea a una intensa stagione di attività: concerti, mostre d’arte, stagioni teatrali, presentazioni di opere letterarie, circondandosi di collaboratori e referenti di altissimo livello. Nell’aprile del 2001 viene nominata Presidente dell’associazione Nazionale Donne Italiane (ANDIT), sede di Floridia, che comporta un grande impegno in campo sociale, e fonda la rivista “Le Floridiane”, un trimestrale di cultura, attività e realtà femminili, a colori con tiratura di 1500 copie. Nel novembre dello stesso anno è ideatrice e Direttore Artistico della manifestazione “Imprendigiovani” svolta a Palazzolo Acreide e organizzata con la collaborazione della Soc. Coop. Anapos. Nel gennaio 2002, viene nominata Vice- presidente regionale dell’Andt e nell’ottobre dello stesso anno fonda “La Sicilia è donna” associazione di promozione culturale e turistica. Ma intuendo quale immenso patrimonio artistico e storico costituisca il Museo fondato dal padre Nunzio, Cetty inizia a occuparsi di gestione di beni culturali e consegue il titolo di esperto in gestione delle reti museali, frequenta stage formativi specialistici fino a diventare una vera esperta in materia, con lo scopo di valorizzare e rendere fruibile la raccolta di reperti etnoantropologici realizzata nel corso di decenni di appassionante lavoro dal padre Nunzio. La collezione, che costituisce il museo, nasce negli anni 60, e documenta la vita pastorizia, contadina e artigiana del nostro tempo passato. E’ stato istituito a Floridia dalla provincia Regionale di Siracusa e dal Comune di Floridia. Viene inaugurato nel maggio 2004 nelle sale del vecchio carcere borbonico, in Piazza Umberto I. Voluto fortissimamente dal Maestro Nunzio Bruno, discepolo di Antonino Uccello, che incessantemente ha svolto un lavoro di recupero e salvaguardia del materiale che attiene alle nostre tradizioni. Cetty Bruno ne ha assunto la Direzione con sistemi innovativi e manageriali, offrendo degli itinerari insoliti ed alternativi, puntando su un lavoro d’equipe, in collaborazione con altri musei della provincia di Siracusa e Ragusa.

  215. Bravissimo, Salvo!
    Sono felice che tu abbia valorizzato l’opera mirabile di Cetty! Mi appassiona l’idea che il suo sogno affondi così nella storia e nel cuore delle nostre tradizioni, della lingua dimenticata, degli oggetti che ci sono serviti…
    Aratri, gioghi di muli, coffe, giocattoli che non si usano più. Noi come eravamo, semplici e tenaci. Noi da non dimenticare, da tramandare ai nostri figli.
    Grazie, cara Cetty, per essere custode del valore della memoria.
    Un bacio a te, papà Nunzio e Salvuccio che ti ha portata a noi.

  216. Sensibili Amici,
    forse per la prima volta nella mia vita di curatrice di eventi ho la percezione che la tela tessuta da anni d’impegno, di lacrime giuste, di forti delusioni, probabilmente, preziosa è già. Perchè inizia a essere utile.
    Grazie di valorizzare il mio lavoro come nessuno mai lo aveva fatto prima, e con quali “parole”. Dettate da cuori che intendono percorrere un cammino comune: unirci nell’amore per l’arte e per la cultura per sopravvivere all’effimero e codardo “Quotidiano”, che divora inesorabilmente tutti i nostri slanci più puri.

    Un grazie immenso, pieno di affettuosi pensieri.

    Cetty

  217. Sono una vecchia e cara amica di Cetty ed è con gioia immensa che leggo il giusto tributo finalmente a lei riconosciuto, da chi sa cogliere e riconoscere, gioisco meno per non essere stata presente.
    spero nella prossima.
    un saluto a tutti voi
    Donatella

  218. Esattamente una settimana fa io, Simona Lo Iacono e Massimo Maugeri eravamo a Floridia, presso il Museo Nunzio Bruno, per la presentazione dei libri di Massimo e Simona.

    Cetty Bruno, appassionata e infaticabile come sempre, ci ha accolti organizzando per i due autori un incontro nel segno della condivisione.

    Condivisione di pensieri, sentimenti, di bellezza.

    Nel cortiletto del Museo – ex carcere borbonico – i quadri di Nunzio Bruno, aperti sulla storia e sull’infinito. Le finestre, gioia di colori.

    E poi il trio di fiati, che ci ha donato brio e dolci sensazioni.

    Le parole di Simona e Massimo sui libri, la rete, le parole e i ponti che riescono a creare oltre il tempo, lo spazio, ogni muro.

    Il silenzio attento del pubblico, le domande… l’entusiasmo di Nunzio Bruno, la sua inesausta curiosità che lo ha portato, come fotografo di Antonino Uccello, etnografo straordinario sempre alla ricerca di oggetti e testimonianze della cultura siciliana, ad “innamorarsi delle piccole cose”, frase che porto scolpita dentro di me da quella domenica.

    E ora.

    Vi copio l’articolo de “La Sicilia”.

    Ieri mattina un improvviso infarto ha spento gli occhi di Nunzio Bruno che s’illuminavano davanti alle scolaresche, ai suoi bambini, ai tanti giovani che ha portato ad essere artisti. I funerali sono previsti per stamattina alle 10,30 nella chiesa Madre. Fino a sabato pomeriggio “sfrecciava” con la sua utilitaria lungo il Viale. Era deperito a vista d’occhio.

    Avrebbe voluto organizzare una cena a base di nepitella. Ci scherzava su. La morte non sembrava potesse sfiorarlo. In realtà, per quanto lui ha saputo realizzare, sopravvive nella memoria collettiva con la sua forte personalità e con la sua creatività. I figli si sono rinchiusi nel dolore. Donna ‘Nzina, la moglie, è affranta dopo mesi di cure per Nunzio. E’ solida l’eredità del sapere: i suoi scritti, le sue fotografie, le sculture, apriranno tavoli di confronto.

  219. Una settimana fa a quest’ora Nunzio Bruno mi prendeva per mano. Mi faceva scorgere i frammenti raccolti nell’arco di una vita. Foto. Oggetti. Lettere su cui lasciava uno sguardo lucidissimo, stellante, innamorato.
    Da quell’occhio abituato a cogliere la vita da un obiettivo, pronto al click e poi di nuovo al click, da quell’occhio che sapeva che la realtà fotografata non è che un pretesto per guardare oltre, ho colto una carezza. Quando si posava su Cetty.
    Ecco. Quella carezza su Cetty è l’eredità di Nunzio Bruno. Quel lascito di vitalità inesausta e di bellezza.
    Un’eredità non è mai solo chiusura, tempo che si arresta.
    All’università mi insegnavano che l’eredità è memoria.
    Ed è inizio.
    Cara Cetty, il cuore del tuo papà palpita tra noi.
    Ha appena iniziato a battere.
    Un bacio da Simo

  220. Ho parlato poco fa con Cetty, la quale mi prega di porgere i ringraziamenti da parte sua a tutte le persone che le sono vicine in questo momento di dolore. Un abbraccio in particolare a Maria Lucia per la sensibilità dimostrata.

  221. Ho ricevuto la notizia da Maria Lucia per sms, mentre ero fuori (grazie, Mari!).
    Ho avuto l’onore di incontrare Nunzio Bruno domenica scorsa. Uno sguardo d’artista lo si riconosce subito.
    Io l’ho riconosciuto.
    Faccio mie le parole di Maria Lucia, di Simona e di Salvo.
    Un forte abbraccio a Cetty e a tutti i parenti di Nunzio.

  222. niente parole, solo vi dico che sento lui più che mai con noi, per guidarci e condurci alla realizzazione del suo sogno!
    Un grazie infinito a tutti da Nunzio Bruno e la sua famiglia

  223. Cara Cetty,
    rinnovo l’abbraccio a te e ai tuoi cari.
    Oggi, ancor più di ieri, l’opera di Nunzio merita di essere valorizzata. E il suo sogno perseguito. Noi ti aiuteremo.
    Grazie per aver trovato il tempo e l’energia per intervenire.

  224. @Simona,Giacomo,grazie!
    Nel mio intervento ho voluto, solo, attraverso un personaggio del romanzo introdurre il tema della fede e della pietas; e aggiungo adesso della redenzione, dell’espiazione della pena dopo un giudizio di merito in tribunale. La giustizia degli uomini interviene su ingiustizie fatte, talvolta, basandosi solo sui pregiudizi: la fede può accecarti e la pietas provarla la vittima verso il proprio carnefice e la giustizia divina non potrà intervenire ne ora ne mai, per onorare lo sconfitto,l’ umiliato,l’emarginato,e per chi ha avuto la sfortuna di nascere nel posto sbagliato. Dobbiamo risolvere tutto bene e con imparzialità su questa terra.Perché la fede è un dono,un sentire,un dogma, un ‘opinione,il mistero della fede che non appartiene a tutti! E non si può giudicare chi non ha fede con troppa durezza se non per una mancanza grave, che potrebbe mancare anche il credente di qualsiasi religione.
    Certo, questa è una mia opinione e non c’entra molto con il romanzo; ma solo un percepire la storia e come si possa vacillare nella fede dopo tragedie vissute nel dubbio di un destino ineluttabile e che non bastino il libero arbitrio individuale o un possibile sostegno divino ad personam, considerate le conseguenze incontrovertibili degli avvenimenti, a venire in nostro soccorso.
    Tant’è.
    Baci&Abbracci
    Luca Gallina

  225. “Tu non dici parole”

    di Simona Lo Iacono

    Giulio Perrone Editore

    http://www.giulioperroneditore.it

    Narrativa romanzo

    Pagg. 204

    ISBN: 9788863160413

    Prezzo: € 15,00
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    Francisca «ha capito che esistono parole per i ricchi e parole per i poveri. Le une lette, scolpite, recitate e – soprattutto – belle, bellissime come cose che non sono di questa terra. Le altre lorde, bastarde e fetenti dell’alito di chi ha lo stomaco vuoto»

    La lettura di questo romanzo è stata particolarmente travagliata, perché pagina dopo pagina, pur interessato alla vicenda, non riuscivo a comprendere il motivo per cui il testo mi avvincesse, anzi diventasse via via parte di me.

    Di conseguenza, mi sono spesso interrotto, ricominciando ogni volta da capo, con una sensazione di attrazione inconscia che si rinnovava e che trovava puntualmente un’assenza di risposta alla domanda continuamente reiterata: perché?

    Poi, quasi per caso, nel corso di una ennesima rilettura, ho compreso che l’opera presenta più significati, ma che quell’andamento lento, quasi dolente, con le parole che sembrano le componenti di una processione non cristiana, ma eventualmente pagana – qualora si consideri la preminenza dell’elemento spirituale naturale -, era la rappresentazione del potere delle parole. Non si tratta solo di mezzo di comunicazione, ma di un uso dei vocaboli e dei verbi in una sorta di quadro mistico che recupera il valore fondante e immenso del linguaggio.

    La parola non diventa quindi solo mezzo, non è un oggetto, ma è un soggetto, la protagonista di un intero libro, con un personaggio, l’esposta Francisca, che avverte la suggestione della potenza delle parole, profonde, misteriose, evocatrici di un mondo sconosciuto quelle belle, quelle dei ricchi, e dozzinali, quasi dei grugniti quelle della povera gente. E allora impadronirsi di quelle belle, anche se non ne conosce il significato, per Francisca vuol dire evadere dalla dura realtà giornaliera e ascendere a un olimpo di cui tuttavia non ha coscienza. Le parole dei ricchi fanno sognare i poveri ed ignoranti che pensano che il motivo della loro agiatezza risieda in quella lingua così colta, così sovrannaturale, che ben si sintetizza nella litania di quel miserere ossessivamente ripetuto durante il sacco del convento.

    Per Francisca quei termini inusuali sono talmente importanti che finisce con il rubarli, con il sottrarre pagine del breviario, quasi che in tal modo potesse impadronirsi della ricchezza delle parole.

    E così diventa un’ossessione ripetere quelle già udite pronunciare dalle suore, con quella musicalità del latino che permette alla ragazza di sentirsi sopra ogni cosa, ma soprattutto estranea alla durezza di un mondo che a lei non ha riservato una sorte benigna, perché un’ignorante che biascica, che si permette di pronunciare verbi non suoi non può essere che una creatura del demonio, insomma una strega, da bruciare, da purificare con il fuoco.

    Diventa così, senza saperlo, nemica della Chiesa, tutta tesa a conservare per sé il potere delle parole o al più a lasciarne un po’ ai nobili; le classi devono restare al loro posto, un misero, un meschino non può elevarsi, perché ne andrebbe dell’equilibrio del mondo.

    E così, quelle stesse parole che hanno dato a Francisca la forza di vivere, la condannano, l’uccidono, perché la loro ricchezza e il loro potere devono restare a chi da sempre comanda, a chi delle parole ha fatto un uso a difesa dei propri esclusivi interessi.

    Inevitabilmente si arriva al processo della Santa Inquisizione, in un giorno del carnevale, in cui i giudici diventano maschere di altre maschere, se stessi, con una sentenza che è già pronunciata prima di iniziare, perché loro sono i primi colpevoli, complici di un diavolo che esiste solo in essi, solo parolai, di parole che non escono dall’anima, in un rito che più pagano di così non potrebbe essere.

    Ma allora perché il titolo Tu non dici parole? E chi è quel Tu?.

    Al misero non resta che la liberazione della morte, che arriva sempre silenziosa, per tutti e quel Tu non dici parole è rivolto a lei, alla signora in nero con la falce, che non ha preferenze, ricco o povero, colto o ignorante, tutti li ghermisce in un unico abbraccio.

    Questo romanzo, fatto di parole in italiano corrente, in italiano dell’epoca (XVII secolo), anche in dialetto ha la straordinaria proprietà di ammaliare, di far entrare in un’altra dimensione, in uno spazio-tempo sospeso. Per restare in tema verrebbe da pensare che l’autrice riesca a stregare, ma è solo la forza delle parole che perfino travolge.

    E’ inutile che aggiunga che questo libro è imperdibile.

  226. Carissimo Renzo,
    fossi fumo, fossi incensiere, fossi dispensatrice di roghi, t’abbraccerei. Non solo per la lettura commossa, palpitante, della mia esposta, ma soprattutto per quell’iniziale:”non so perchè”. Per quel non chiedere ragioni che non siano il mistero, e il segreto, della parola. Per quell’esserti lasciato invorticare da un lume imprendibile. Da un’intuizione: è lui, è lei, che devo cercare.
    Credo che non si possa dire a uno scrittore frase più piena e appagante di quel “non so perchè”. Credo che sia quello che – infondo – vogliamo: farci prendere. Farci stregare.
    Grazie, perchè la scrittura deve sedurre, dev’essere un’incantatice di serpenti, un dervisco che ruota su se stesso. Deve ammaliare, farti sussurrare: ancora.
    La scrittura è una strega. E’ una manipolatrice, una rapitrice di destini.
    Tu me l’hai fatta percepire viva, stellante, mia.
    Stregata come non avrei mai osato sperare che fosse.
    Un grazie di vero cuore. Un grazie da Francisca.

  227. Cara Simona,
    è vero e per quanto possa sembrar strano in questo libro l’autrice non è il regista che coordina i protagonisti e con loro fa prender corpo a una vicenda, ma è pure lui guidato dalle parole. Infatti, non a caso ho scritto
    “La parola non diventa quindi solo mezzo, non è un oggetto, ma è un soggetto, la protagonista di un intero libro,…”
    L’insolito è proprio in questo, idea di grande originalità, che sarebbe potuta risultare greve in mani non sicure. E invece il romanzo non presenta disomogeneità, ha un andamento, più che lento, al rallentatore, come avvolto in una nebbia in cui la vicenda assume il sapore del ricordo di un mondo in cui magia e stregoneria, miseria e ricchezza sono le facce della stessa medaglia.

  228. Hai detto bene. Hai letto bene.
    Anch’io strumento di altro, di eventi che si sono allineati come pianeti, di incontri, di musiche accennate e poi percorse.
    Non so quanto di noi ci sia dei libri. Non so quanto di altre vite che veleggiano per aria. E’ come se qualcuno ci sussurrasse all’orecchio. Come se anche noi, infondo, non fossimo altro che segno, torsura d’inchiostro, torchio di stamperia. Mezzi.
    Ancora un grande abbraccio e grazie. E’ stato bello leggermi con i tuoi occhi.

  229. @Cinzia: a meno che tu non sia più fortunata di me, devi avere molta pazienza. Pensa che io l’ho ordinato a Perrone a Febbraio, ma risultava esaurito e in corso di ristampa. Non ti dico quante volte ho contattato l’editore e infine il libro mi è arrivato, mi pare, a fine luglio.

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