La nuova puntata della rubrica di Letteratitudine intitolata “A botta e risposta (un tandem letterario conversando di libri)“ è dedicata al romanzo “Tutta quella brava gente” di Marco Felder (Rizzoli). Marco Felder è lo pseudonimo di Jadel Andreetto e Guglielmo Pispisa, membri dell’ensemble narrativo Kai Zen e autori di romanzi, saggi e racconti.
Abbiamo invitato i due coautori del romanzo (qui di seguito ritratti in una foto “datata”) a partecipare al “tandem letterario” di Letteratitudine.
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IL TANDEM LETTERARIO TRA JADEL ANDREETTO E GUGLIELMO PISPISA su “Tutta quella brava gente” di Marco Felder (Rizzoli)
Jadel: Come siamo finiti a scrivere un giallo?
Guglielmo: Mi verrebbe da dire perché volevamo sfruttare i meccanismi del genere oggi di maggior successo in modo da poter raccontare anche altro e che dunque il nostro non è solo un giallo e bla bla bla… ma sarebbe una gran bugia. Siamo finiti a scrivere un giallo perché avevamo voglia di scrivere un giallo. E possibilmente di scriverne uno buono. Chissà se ci siamo riusciti? Tu che dici?
Jadel: Be’, le cose sono sempre più complesse di quanto non si pensi perché è un giallo sfumato di noir, con qualche elemento thriller e una bizzarra vena comica. In ballo ci sono anche politica, storia, filosofia morale e due personaggi che hanno sorpreso me per primo… Per cui a me pare buono, molto buono, ma non so se è quello che ci aspettavamo… ma Karl e Tanino ti hanno colto alla sprovvista come hanno fatto con me?
Guglielmo: Porcamiseria e io che pensavo di avere scritto solo un giallo! Riguardo all’interazione dei nostri due sbirri, devo ammettere che mi aspettavo un rapporto movimentato ma l’alchimia ha stupito anche me. Il giochetto della “strana coppia” è un classico e non lo abbiamo certo inventato noi, ma credo che abbiamo alzato l’asticella. Si parte dagli stereotipi sulle differenze nord-sud, ma poi si arriva a zone irrisolte e rimosse della personalità di entrambi, nodi che è bene vengano al pettine. Ma così mi pare che ce la suoniamo e ce la cantiamo da soli e non va bene, per cui proseguo con una domanda non “embedded”: Perché questo romanzo è ambientato a Bolzano? Anche noi ci siamo piegati alla moda del giallo “local”?
Jadel: In effetti sembra che il Sudtirolo sia di gran moda tra gli scrittori di genere. I gialli e i thriller ambientati da quelle parti sono sempre di più, ma, nella maggior parte dei casi, usano lo scenario montano come qualcosa di esotico. Se facciamo due calcoli questa storia era nei nostri cassetti da molti anni, molto prima che l’Alto Adige diventasse la Scandinavia d’Italia, ma ci siamo decisi a finirla solo di recente. Con la differenza che abbiamo fin da subito scelto di ambientarlo in città e non tra le vette, i boschi e le valli. Le ragioni sono molte, ma al primo posto metterei il fatto che si tratta di una città bifronte. Bella, ordinata e pulita, ma con un passato recente fatto di serial killer e terroristi… Chi, come me, è nato negli anni Settanta ed è cresciuto a Bolzano, ricorda ancora il terrore seminato in città e nei dintorni da una serie efferata di omicidi o cosa significhi svegliarsi nel cuore della notte al suono di palazzi fatti saltare in aria col tritolo. Nell’immaginario collettivo, Bolzano è la città dove si vive meglio, quella del welfare, delle ciclabili, dell’attenzione all’ambiente e del benessere. In realtà è una città operaia destrorsa, dove apollineo e dionisiaco si affastellano senza soluzione di continuità, dove le tensioni etniche non sono ancora state risolte del tutto e la pace sociale soffoca ogni guizzo di creatività… e Messina che c’entra?
Guglielmo: Messina è la città natale dell’agente Tanino Barcellona, uno dei due protagonisti, nonché la mia città. La porta della Sicilia, ma paradossalmente anche la meno tipica delle città siciliane, quella dove Storia e Architettura si vedono meno, perché distrutte dal terremoto del 1908. Un dato che ha influito sulle caratteristiche dei messinesi che hanno un imprinting meno forte dei palermitani o dei catanesi e dunque, forse, anche una maggiore disponibilità a ibridarsi. Un messinese proiettato in una città come Bolzano, un luogo fin troppo caratterizzato da connotati identitari, sembrava perfetto. Uno Zelig che agisce in una condizione costante di stupore e curiosità verso una realtà con la quale deve confrontarsi ma che non sempre capisce. Cos’è invece che non capisce l’altro protagonista, Karl Rottensteiner?
Jadel: Karl non capisce quale sia il suo posto nel mondo e non lo capisce da molto, troppo tempo. Di padre tedesco e madre italiana è cresciuto in un luogo ‘binario’ in cui devi essere o l’uno o l’altro… o sei 0 o sei 1, ma è solo la prima delle tante contraddizioni di un uomo tormentato da un passato faticoso e da una dipendenza che lo ha portato alle soglie, e pure oltre, della malattia mentale. C’è molto da dire su K, come lo chiamiamo nei nostri scambi, ma se lo facessi, poi chi leggerebbe il libro? Lasciami solo aggiungere che Tanino è stato l’uomo giusto al momento giusto, anche se non ha ancora compreso giusto per cosa… Ma senti, in ‘sto cavolo di giallo scritto da due maschi, i personaggi femminili secondo te funzionano? Dovremmo chiederlo alle lettrici, lo so, ma per ora ho solo te a cui domandare…
Guglielmo: In effetti per due scrittori esponenti del sesso stupido, cioè noi, il pericolo di scivolare nello stereotipo della sbirra femmina era alto, ma dovevamo provare, non potevamo certo popolare la questura di Bolzano solo di maschi. Abbiamo evitato sia il genere bonazza con la pistola, sia il genere madre coraggio. L’idea, per tutti i personaggi, uomini e donne, era quella di tratteggiare persone con sentimenti e cervello e spero che questo sia servito anche alle nostre Giulia, Angelica e Barbara, ma saranno le lettrici a giudicarci (speriamo senza massacrarci troppo). Tu prima hai parlato anche di un lato comico, che c’entra il comico nel giallo?
Jadel: Niente… eppure eccolo lì. Certo, non è un giallo comico o una parodia del genere. È che la vita è comica nella sua tragedia e viceversa e la letteratura, anche se di genere, a mio modestissimo avviso deve fare i conti con questo aspetto dell’esistenza. Aggiungo anche che il giallo è il genere che porta ordine nel caos, mentre il comico fa l’esatto contrario, quindi la combinazione, se ben dosata, può rivelarsi interessante. Ai lettori l’ardua sentenza. In Tutta quella brava gente, di conti però ne facciamo anche altri… con il male soprattutto e come in tutti i romanzi dei : Kai Zen :. Sbaglio? Esagero?
Guglielmo: Effetto ce la cantiamo e ce la suoniamo di nuovo! Comunque no, non sbagli, il male, come il comico e gli spigoli al buio a piedi nudi fanno parte della vita ed è giusto farci i conti. L’importante è non semplificare, non dimostrarsi manichei, perché nessuno è del tutto candido e nessuno del tutto oscuro. Però eviterei anche la tirata sulle sfumature di grigio. Diciamo che il nostro è un romanzo bordò. E adesso mi pare il momento di chiudere con la domanda da un milione di dollari. Solo che non mi viene.
Jadel: Ce la cantiamo e ce la suoniamo tra noi perché non c’è nessun altro a farlo, questi di Letteratitudine non hanno voglia di lavorare… Cosa direbbero Karl e Tanino al nostro posto? Il primo credo wovon man nicht sprechen kann, darüber muss man schweigen, il secondo qualcosa in siciliano che non capirei mai…
Guglielmo: Senza google neanch’io avrei capito il tuo tedesco, comunque. Tanino invece immagino che direbbe: ‘Ttacca u sceccu unni voli u patruni.
Jadel: Ah, senti qual è il tuo personaggio secondario preferito?
Guglielmo: Ma che domanda è? I lettori ancora manco conoscono i protagonisti!
Jadel: È che non te l’ho mai chiesto…
Guglielmo: Se tralasciamo i poliziotti, direi il notaio Achmueller, sia la figlia che il padre. Personaggi dalle ottime potenzialità.
Jadel: Avrei detto il Faina…
Guglielmo: A parte i poliziotti, appunto. Se no era troppo facile. Grande Faina!
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La scheda del libro: “Tutta quella brava gente” di Marco Felder
Per un poliziotto siciliano da troppi anni a Roma, desideroso solo di tornare a casa, non c’è niente di peggio dell’attendere un trasferimento che non arriva. Anzi, una cosa c’è: un trasferimento punitivo con decorrenza immediata. A Bolzano. Tanino Barcellona avrebbe fatto meglio a non inimicarsi certi superiori. Adesso che è in esilio tra le montagne, circondato da gente che parla tedesco, con la colonnina di mercurio inchiodata allo zero, non ha nemmeno il tempo di pentirsi degli errori commessi. Un assassino è all’opera: soffoca le sue vittime e non lascia traccia. Il caso è da prima pagina, l’inchiesta delicatissima. E Tanino è costretto ad affiancare nell’indagine Karl Rottensteiner, un veterano della Mobile che assomiglia a Serpico. I due formano una coppia esplosiva: tanto è schietto, impulsivo coi guastafeste e galante con le donne il siciliano, quanto è laconico, indecifrabile e tormentato il collega. Se poi ci si mette Giulia Tinebra, agente scelto dai capelli rossi con la passione per le moto di grossa cilindrata, allora i fuochi d’artificio sono assicurati. Tra vecchie birrerie, strade ghiacciate e baite nel fitto dei boschi, i poliziotti dovranno risolvere un mistero che affonda nel passato – ancora aperto – di una terra contesa, dove le guerre, i vessilli del nazionalismo e il boato del tritolo non sono mai stati dimenticati. Qui le ferite non si rimarginano, qui i cuori covano odi antichi. Alternando i toni della commedia alla durezza del noir, Tutta quella brava gente riapre una delle pagine più controverse della storia d’Italia e racconta dal bordo di un confine gli incubi collettivi di ieri e di oggi.
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