UN GIORNO DEVI ANDARE, di Giorgio Diritti
con Jasmine Trinca, Pia Engleberth, Anne Alvaro, Sonia Gessner
Recensione di Ornella Sgroi
Succede che un giorno devi andare. Non per obbligo, ma per diritto. Il diritto di seguire quello slancio improvviso che spinge a mettersi in movimento verso qualcosa. Verso se stessi. Un richiamo magnetico che non ammette contrattazioni e che non a tutti capita di avvertire almeno una volta nella vita. Almeno non a chi non ha il coraggio di mettere da parte le proprie evanescenti certezze, per dare ascolto alla concretezza dei propri dubbi.
Succede che un giorno devi andare. A prescindere dal luogo di partenza e dal luogo di arrivo. Anche perché, quando succede, raramente può dirsi a priori dove si arriverà. Magari soltanto sotto casa, con una decisione coraggiosa in tasca. Oppure dall’altra parte del mondo, con nello zaino pochi amabili resti di una vita che non si può ricomporre. Come accade ad Augusta (Jasmine Trinca), giovane donna italiana in bilico sulla cui rotta ci porta con grazia e riserbo il regista Giorgio Diritti, paracadutandoci negli spazi infiniti dell’Amazzonia attraverso una luna argentea che si perde dentro un’ecografia.
È questa la prima, folgorante immagine con cui si apre “Un giorno devi andare”. Un film che prima ancora di essere narrazione è pura esperienza. Un’esperienza immensa, preziosa e rara che va oltre le abitudini e che lascia il segno già dal primo fotogramma, facendo del cinema di Giorgio Diritti un cinema che alla fine della proiezione non vorresti lasciare andare. Che ti entra e che ti resta dentro, per giorni, con tutto il suo bagaglio di bellezza, emozione, contrasti e contraddizioni.
Seguendo il viaggio di Augusta, prima al fianco di Suor Franca (Pia Engleberth) nei villaggi Indios con il libro “Attesa di Dio” di Simone Weil tra le mani, poi da sola nelle favelas di Manaus o in una capanna su una spiaggia deserta, anche lo spettatore si mette in cammino. Lungo un sentiero segnato da parole potenti come interiorità e ricerca spirituale, nello scontro con la prepotenza della natura, che non sempre mostra la propria generosità, e l’arroganza dell’uomo, che avido minaccia l’equilibrio di chi abita luoghi in cui è impossibile non percepire la forza dirompente della vita. Nei suo elementi più essenziali e autentici, da cui ripartire per ritrovare il senso delle cose. Soprattutto di quelle più dolorose, come la maternità negata e la maternità sottratta, in un parallelismo che incrocia il destino di due giovani donne, distanti per luogo di nascita e cultura ma vicine per le esperienze del cuore.
Tutto questo Giorgio Diritti lo racconta con eleganza e verità, bilanciando ciò che è terreno con una profonda e costante percezione del trascendente. Colto nello sguardo infinito dei bambini indios o nei sorrisi, prima solo accennati e poi sempre più pieni, della protagonista che ci parla di sé soprattutto attraverso il silenzio e la musica (di Marco Biscarini e Daniele Furlati), raggiungendo una simbiosi quasi perfetta con l’interprete che non risparmia niente di sé. Merito anche del regista – già acclamato con “Il vento fa il suo giro” e “L’uomo che verrà” – che, lasciandosi coinvolgere in prima persona, arriva a toccare con la macchina da presa l’anima dei suoi personaggi e dei suoi attori, attraverso un dialogo a più voci (e a più sguardi) di cui lo spettatore diventa a sua volta partecipe. Contagiato dalla dimensione di condivisione e di (ri)scoperta che ci abbraccia e ci scalda il cuore. A bordo di quella barca che, sul finale, sembra aver trovato al sua direzione, puntando dritto verso un orizzonte oltre le piante acquatiche che offuscano la visuale.
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Leggi l’introduzione di Massimo Maugeri
Il trailer del film
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