Come tutti voi sapete, il 17 marzo 2011 si celebra il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Vorrei dedicare la pagina che state leggendo (e che spero possiate contribuire a riempire) a questa ricorrenza così importante.
Se penso a questa nostra terra mi sovviene la figura della madre, dunque della donna. Ecco perché vi propongo di partecipare ai festeggiamenti concentrandoci soprattutto sulle figure femminili che hanno attraversato il Risorgimento italiano e – più o meno indirettamente – con la loro vita e il loro operato hanno contribuito alla nascita di questo nostro Paese.
In particolare ci occuperemo di una figura meno nota di altre a livello nazionale e anche per questo maggiormente meritevole di essere messa in risalto: quella della poetessa siciliana Mariannina Coffa (1841 -1878). L’occasione ce la offre la recente uscita del romanzo d’esordio di Maria Lucia Riccioli (nella foto accanto), intitolato “Ferita all’ala un’allodola” (Perrone Lab, 2011) di cui approfondiremo la conoscenza nel corso della discussione.
A voi, amici di questo blog, rivolgo l’invito di scrivere qualcosa (un pensiero, una citazione, o quant’altro) per contribuire alla celebrazione della ricorrenza…
Sulla festa del 150°, inoltre, mi piace segnalare questo bell’articolo di Alessandro Mari pubblicato su Tuttolibri del 12 marzo, intitolato: Italia forever giovane e forte.
E a proposito delle donne del Risorgimento italiano, ci tengo pure a segnalare questo libro di Bruna Bertolo: “Donne del Risorgimento. Le eroine invisibili dell’unità d’Italia” (Ananke, 2011).
Di seguito, il booktrailer del romanzo “Ferita all’ala un’allodola” di Maria Lucia Riccioli e gli approfondimenti firmati da Luigi La Rosa e Simona Lo Iacono.
In chiusura, l’inno di Mameli offertoci da Roberto Benigni nel corso di una serata del Festival di Sanremo di quest’anno.
Massimo Maugeri
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(booktrailer realizzato dall’artista Maria Francesca Di Natale, Sonia Vettorato esegue le musiche di Chopin che accompagnano il video)
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MARIA LUCIA RICCIOLI E MARIANNINA COFFA: UN INCONTRO
di Simona Lo Iacono
Tutto inizia in un cortile. La mattina è di quelle buone, il sole saetta come sempre fa in Sicilia, balzando sui dirupi e le nuvole. A Noto, poi, dove Maria Lucia si ferma, raddoppia l’intensità e la sferzata, perché pare farsi materia sulla materia del barocco, e incurvarsi, o arricciarsi, o gonfiarsi nel vezzo di questi balconi che tremano, di questi basalti rapaci, ghignanti, cui mano d’uomo ha dato forma di animale, di maschera balorda, di pietosissima impastatura di bestia e cristiano.
Non sa ancora che si fermerà lì, nei pressi del San Domenico. La strada fatta da Siracusa le pesa sul cuore, sebbene la nuova scuola in cui è stata chiamata a insegnare le piaccia, perché a percorrerla si snuda di quella fatica che troppo spesso è vivere, s’immette in un assaggio di paradiso, in un’ anticipazione, fastosa e luttuosa insieme, del suo vizio di sempre, o – come pure le piace chiamarla – della sua dannazione:scrivere.
E tuttavia non è preparata a questo incontro che sa già di destino segnato, Maria Lucia, finora ha imbastito versi da angelo, e la poesia non è cosa che ti venga contro come questi segnali. La poesia è dentro, lo sa bene lei che l’ha pescata nel respiro, non è come un romanzo, che – a iniziarne la trama – ti perseguita come un dio ostinato e malfattore che comincia a cospargere la tua strada di indizi. Ma da oggi imparerà che la sua storia non è più solo la sua, che sta per irrompere il flagello della narrazione con tutte le piaghe d’Egitto, la gioia, la paura, la rabbia, la speranza. Da quando si ferma in quel cortile e vede le due statue, Maria Lucia non sa ancora – infatti – che nella sua vita è entrata Mariannina.
All’inizio non le era sembrato niente più che uno di quei monumenti che si dedicano per ozio e reverenza alle ombre, ai resti del secolo, ma poi no, s’era detta, no. Questo che l’attirava con un dolore pungente, di fattucchiera, era diverso.
Due busti, infatti, uno a Matteo Raeli, che se ne stava impettito nel cortile a rasentare lo sguardo sul mondo. E poi l’altro, indecifrabile quasi, misterioso, notturno. Una donna levigata dalle rare piogge, la fronte ampia, l’occhio riverso a scrutare oltre. E poi – ma è davvero così o sogna, Maria Lucia? – basso su di lei come per una preghiera. Forse , una richiesta.
Certo, si dice sventrata dal richiamo, certo che a raccontarlo la prenderebbero per pazza. Ma le pare un incontro di carne, quello appena avvenuto, non la fissità della pietra (su cui campeggia inciso il nome di Marianna Coffa Caruso, poetessa) contro il sangue. Non l’eternità del tempo faccia a faccia col suo, di momento, veloce e appena scoccato, ma uno spazio in cui le è facile distinguere un’unica strada, senza barriere di prima e dopo, senza inciampi né logiche, suo, si dice Maria Lucia, e con lei Mariannina: nostro.
Così comincia. Come un riconoscimento.
E sì, di questa donna sapeva, della sua vita dolente di letterata. Del matrimonio cui la famiglia l’aveva costretta ignorando il suo amore per Ascenso Mauceri. All’università forse, le pare ora di ricordare, s’era detta che doveva essere stato difficile per Mariannina essere scrittrice in pieno risorgimento, mettere al mondo figli di un uomo che non senti tuo, forzarti a una vita da moglie che gli altri vogliono senza libri, senza sogni, senza quella pioggia di passi che invece sentiva scalpicciare nel fondo dell’anima, e che doveva tradurre in versi.
Questo s’era detta.
Ma ora, ad averla davanti, Mariannina, dritta come un fuso , raggelata in un marmo, privata, anche dopo, del rossore che la faceva bellissima, del coraggio con cui aveva sfidato le barriere della mentalità e dell’apparenza, Maria Lucia ha pure una vampata di sdegno, una morsicatura che la punge. E decide: ridarle vita.
Così, inizia a scoprirla. Nelle ore d’archivio, dove trova carte dei notabili di sua maestà Vittorio Emanule II di Savoia, ultimo re di Sardegna e primo re d’Italia. O a Noto, dove s’inerpica per le strade su cui spassavano gli adepti del l”Accademia dei trasformati” di cui Marianna fece parte con il nome di “inspirata”. E a Siracusa, dove aveva frequentato il collegio “Peratoner”, o a Ragusa, dove per puro caso alza gli occhi e le vien detto: è lì, che dopo sposata, viveva la Coffa Caruso. La conosce?
Maria Lucia inizia a seguire le tracce di cui sempre è cosparsa la letteratura quando risponde al suo segreto: essere una seconda possibilità. Resuscitare. Redimersi dall’unico peccato: finire, morire. Opporsi all’indecenza del silenzio, dell’oblio.
E spalanca i giorni, Maria Lucia. Ferma i minuti. Si trova a sfiatare nella canna di un flauto magico come un’incantatrice di serpenti che ridesta i torpori. Non le è difficile perché Marianna è lei e non è lei, una distanza la separa, ma anche la colma, e capisce, Maria Lucia, che quella è nostalgia, e che per questo può chiamarsi arte: perché adempie. Perciò non è arduo pensare i suoi pensieri, rievocare le voci, ridare al suo precettore – Don Sbano – il tono della cantilena netina, o al marito – Giorgio Morana – il fiato roco di quella prima notte d’amore che ha vissuto come un dovere, o all’amato Ascenso le negazioni e le affermazioni della passione, i sensi morti dell’abbandono, i veleni della gelosia e del rimpianto.
Maria Lucia Riccioli irrompe con questo suo primo romanzo facendosi mediatrice e creatrice, affermando la pietà e l’amore, dando consistenza irresistibile alla memoria.
Chiusa la pagina con l’ultima scena, ancora ambientata in quel cortile dove tutto è iniziato, Marianna svola dalla pietra, liberata, quasi una navigatrice alla prora o all’albero di maestra. Taglia il vento, sfida le onde, ride. Dietro sta la felicità perduta, i maledetti sogni delle donne, la loro innocenza e tracotanza insieme: trovare in un uomo il proprio destino. Forse a qualcuna sarà pure riuscito, pensa Mariannina, ma a lei non è stato dato, invece, che questo tempo circoscritto e traballante, queste mani che adesso stringono altre mani, inchiostro, carta, una penna.
Se esiste un destino che si compie su questa terra, sembra dirci, non è che quello di compassione. Di chi viene finalmente raccolto dall’altro e raccontato.
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MARIANNINA COFFA: IL CORAGGIO DELLA FERITA
di Luigi La Rosa
Profonde e indimenticabili le suggestioni prodotte in me dalla lettura di Ferita all’ala un’allodola, il romanzo che Maria Lucia Riccioli dedica all’esistenza tormentata e leggendaria della poetessa netina Mariannina Coffa. Un libro che nasce dalle viscere: che delle viscere possiede l’urgenza, la necessità, il fuoco intimo. Un libro che colma una delle più grandi lacune della storia letteraria italiana: nonostante i preziosi contributi di Marinella Fiume e altri eminenti studiosi, ancora troppo poco nota è infatti la vicenda umana ed esistenziale della Coffa, intellettuale, artista della parola, poeta, patriota, oltre che spirito libero di indomabile perspicacia.
Alcuni sono i temi più importanti che mi piacerebbe prendere in considerazione in questa breve analisi del testo. Primo tra tutti: il rapporto centrale e irrinunciabile tra sogno e tradimento, tra innocenza e caduta.
Mariannina Coffa è figlia della società borghese del Risorgimento. Per via paterna e famigliare le appartengono privilegi e speranze che si aprono dinnanzi al suo futuro come un ventaglio di rosee promesse. C’è luce nei suoi giorni, come nel lustro del suo cognome risonante. Mariannina è figlia di tutto un mondo fintamente scintillante, che investe nel suo talento, nel suo splendore, nella sua intelligenza. Ma che pretende obbedienza. In cui tutto ha un prezzo. E sa trasformare i benefici in spine che trapassano le carni.
Il futuro, divenuto presente, ha ben poco degli sfavillii che la sorte sembrava annunciare, soprattutto dove: “Il respiro è un ppp, un pianissimo come quelli delle partiture impolverate che si è portata dietro da Ragusa. Perché, poi. In questa casa non c’è pianoforte, a stento si mangia. Mariannina vuole vedere il cielo, vuole parlare alla luna di notte, come faceva a casa Coffa. Vuole scrivere ancora, magari anche sulle lenzuola, alla cieca, e poi decifrare al mattino i versi del suo genio notturno, l’Angelo che la visita e le detta dentro. Ma stanotte no. Gli occhi sono chiusi, le orecchie sorde alla musica divina dell’Angelo. Un diavolo si sta mangiando le sue carni.”
Un tradimento imperdonabile l’avvicina alla figura di un’altra donna ferita e umiliata nei suoi sogni più genuini. Un’altra vittima del suo tempo e dell’incomprensione sociale. L’ennesima allodola ferita all’ala, precipitata sui freddi sentieri del silenzio e dell’afonia. Mi riferisco ad Annemarie Schwarzenbach, narrata con accenti di toccante poesia da Melania Mazzucco, nel libro biografico Lei così amata. La gemellanza che lega le due figure mi sembra davvero emblematica, e il fascino con cui la grande scrittrice romana rievoca i giorni dolenti di Annemarie rimanda a quello che alona di sublime malinconia la Mariannina siciliana.
“La chiuderanno nella sua camera, fra i mobili che ha comprato lei stessa, le sue tende, i suoi libri, le sue cose che nessuno avrà toccato. Ma l’entità-Annemarie non sembrerà riconoscerle: non saprà più cos’è una macchina da scrivere, una penna, un foglio di carta, una fotografia. Nella casa di Sils-Baselgia ci sarà un silenzio mortale, e in lontananza si spegnerà anche l’eco delle campane della chiesa.”
Mariannina e Annemarie tacciono, perché il destino sembra averlo loro imposto. Perché non c’è ascolto intorno. Perché le parole sono fuggite lontane. E’ il loro canto del cigno, e tutt’intorno nessuno si chiederà il perché di una simile caduta, le motivazioni di uno spreco di sensibilità tanto imponente. Riflessione che ci conduce, inevitabilmente, al secondo grande tema del romanzo di Maria Lucia Riccioli: l’antitesi complessa e insanabile tra artista e contesto sociale d’appartenenza.
Mariannina insegue una direzione che sembra fissata fin dal principio, dai primi anni di vita. Lungo la strada risplendente che il genio parrebbe spianarle si annidano incognite pericolose e avvilenti, rancori, invidie sotterranee. Struggente dalla prima riga all’ultima il passaggio che rappresenta l’ingenuo e innocente tentativo di ribellione dell’artista davanti alla bieca normalità del gregge.
“Da quanto tempo teneva la mano alzata? Serra si riscosse da quelle che bollò come fantasticherie e abbassò lo sguardo dalla predella su uno dei banchi mediani. La signorina Coffa Caruso voleva porgli una domanda. Che non avesse compreso il compito? Che la fanciulla volesse mettersi in mostra? Una risatina o due subito interrotte dalla mano alzata di Serra. Invidie e gelosie erano le serpi consuete che strisciavano nelle teste di ragazzine che il volere dei genitori aveva rinchiuse in questo angolo di Siracusa, a dormire e studiare testa con testa, gomito a gomito, la dotata con l’indolente, la volenterosa con la promossa a via di denari del padre medico o funzionario del governo.”
Maria Lucia Riccioli manifesta una consapevolezza rara, che è la stessa dei grandi romanzieri del passato. Come Tolstoj nella Karenina, così pure lei organizza tra le sue pagine la fitta maglia delle anticipazioni e forgia l’infanzia sognante della Coffa nella materia combattuta di quelle prime nuvolose mutevolezze, indice e profezia della ventura battaglia contro la società e il suo perbenismo.
Mariannina sarà domani una donna diversa perché è stata ieri una bambina segnata, e perché il fuoco è disceso in lei, fin dalla tenera età dei primi studi. Sarà una donna sola, perché sente che è nella solitudine che ci è dato percepire il respiro possente delle cose. E sarà anzitutto se stessa, perché non v’è tradimento più grande che quello nei confronti della verità e del cuore.
Ma anche di questo la vita la costringerà a macchiarsi: del tradimento dell’amore. Per questo, poi, non ci sarà pietà dei suoi giorni. Del suo dolore. La passione di Mariannina Coffa per il giovane Ascenso Mauceri, prestante Bellini di provincia, che la scrittura della Riccioli solfeggia con accenti di intensa sensualità, prima o poi è condannata all’oblio. Le dure leggi della rispettabilità borghese impongono una differente unione, un matrimonio che ha dell’inverosimile e dell’assurdo. Tuttavia, il giuramento della Coffa è indelebile, e possiede la forza dell’acciaio e della pietra. E’ qualcosa che niente potrà mai abbattere.
“Vero è che si è tentato di dividerci, e mia madre era più d’ogni altro impegnata a farmi sposa di quel tale, ma io sfiderò gli uomini e il destino, né mai sarò d’un essere che non ha altro merito che le sue ricchezze. Non dolerti per me, che presta ad ogni sacrificio saprò anche morire per esserti fedele. Addio – amami sempre. La tua Mariannina.”
L’ipotetica incrollabilità del patto amoroso si scontra con la realtà: pian piano l’amore tra il musicista e la poetessa dal fato infelice svanirà, perché nuovi obblighi, nuove impellenze – e soprattutto nuovi lancinanti dolori – si abbatteranno sui pochi giorni che il cielo sembra disposto a concederle. Controversie famigliari, ribellioni, abbandoni, lutti personali, discese quotidiane agli inferi del risentimento e della rabbia. Un inferno da cui non ci sarà nessuno scampo, se non grazie al potere salvifico della scrittura e al miracolo terapeutico dei versi inanellati in appelli strazianti e disperati.
Viene da chiedersi: cosa è successo nell’esistenza, cosa succede nel cuore di Mariannina Coffa? Ferita all’ala un’allodola manifesta d’un tratto la sua profondità, proprio nel punto in cui la vicenda si carica di tensione psicologica, e il dramma dell’una si tramuta nella parabola universale delle tante, le molte, tutte le donne che esattamente come lei subiscono la sistematica imposizione di una poetica di vita, il sigillo comportamentale che più si conviene, la schiavitù dei sensi contro cui non bastano più parole e lacrime.
Maria Lucia Riccioli ci regala un’opera d’indiscutibile valore, oltre che un’avventura dello spirito di frastornante bellezza. Leggere questo libro significa restituire voce all’assenza, corpo alla fuga, necessità all’impegno e lineamento a una donna eccezionale, che lascia il segno in un’impronta civile di rigorosissimo impatto. Inseguendola, ci accorgiamo che Mariannina sta parlando di noi. Di noi tutti. E della nostra tristezza. Ma pure del nostro coraggio, di quello che ostentiamo davanti ai propositi traditi, agli inganni non meditati, ai pentimenti che si tramutano in fiele, e che ci tocca mandar giù, goccia per goccia. La luce s’è abbassata, e sul fondo, ora, solo il silenzio rotto dal canto. In quel silenzio, le allodole sono tornate a volare.
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Cari amici,
come sapete il 17 marzo si celebra il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Ho pensato di dedicare alla ricorrenza questo spazio, con l’idea di riempirlo insieme…
Come ho scritto sul post, se penso a questa nostra terra mi sovviene la figura della madre, dunque della donna. Anche per questo vi propongo di partecipare ai festeggiamenti concentrandoci soprattutto sulle figure femminili che hanno attraversato il Risorgimento italiano e – più o meno indirettamente – con la loro vita e il loro operato hanno contribuito alla nascita di questo nostro Paese.
In particolare ci occuperemo di una figura meno nota di altre a livello nazionale e anche per questo maggiormente meritevole di essere messa in risalto: quella della poetessa siciliana Mariannina Coffa (1841 -1878).
L’occasione ce la offre la recente uscita del romanzo d’esordio di Maria Lucia Riccioli, intitolato “Ferita all’ala un’allodola” (Perrone Lab, 2011) di cui approfondiremo la conoscenza nel corso della discussione.
A voi, cari amici di questo blog, rivolgo l’invito di scrivere qualcosa (un pensiero, una citazione, o quant’altro) per contribuire alla celebrazione della ricorrenza…
(ma in particolare – come anticipato – mi piacerebbe occuparmi delle figure femminili che hanno attraversato il Risorgimento italiano. Ringrazio anticipatamente tutti coloro che mi daranno una mano a realizzare questo progetto).
A proposito delle donne del Risorgimento italiano, un libro molto interessante è senz’alltro questo di Bruna Bertolo: “Donne del Risorgimento. Le eroine invisibili dell’unità d’Italia” (Ananke, 2011):
http://www.ibs.it/code/9788873253877/bertolo-bruna/donne-del-risorgimento.html
Sul romanzo “Ferita all’ala un’allodola” di Maria Lucia Riccioli (sul post potete vedere e ascoltare il booktrailer) è possibile saperne di più leggendo gli ottimi ed emozionanti approfondimenti firmati da Luigi La Rosa e Simona Lo Iacono.
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(Cara Simo, caro Luigi… grazie davvero!)
Ovviamente l’invito a partecipare alla discussione è rivolto soprattutto a coloro che hanno letto (o stanno leggendo) il romanzo di Maria Lucia (che, naturalmente, parteciperà al dibattito).
Sul post ho segnalato ques’ottimo articolo di Alessandro Mari:
http://www3.lastampa.it/libri/sezioni/news/articolo/lstp/393017/
Ne riporto qualche passaggio anche qui tra i commenti…
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(…) speranza era ciò che animava quegli stranieri divisi in stati, granducati e ducati che batterono la penisola con in bocca la rivoluzione; incarnavano i ticchi e il genio delle regioni natie, ne portavano con sé le radici, ma anziché coltivarle per farne siepi che servissero da divisori, da confini ulteriori, vollero pensarsi fratelli d’Italia. Perché la terra, come vuole l’adagio indiano, non si riceve dai Padri, bensì si ha in prestito dai figli, e quei giovani, che spesso morirono prima di procreare, vedevano ciononostante i loro figli italiani.
Ecco il sogno del Risorgimento: la speranza di abitare, o quantomeno di garantire alle generazioni future una terra unita e di popolo, di maggiori diritti, istruzione e ferrovie che abbattessero le distanze, una nazione da non subire ma alla quale partecipare col voto, nelle assemblee di governo, nella Guardia Civica.
Da qui, ne sono convinto, discende la memoria genetica che abbiamo in corpo. Laggiù siamo nati e da laggiù muove l’istinto di affermare che chiunque, se il presente stritola, può esigerlo diverso. Per questo fraternizziamo coi libici e gli egiziani, e per questo va rifiutato il distacco che fa del Risorgimento un momento di sbadiglio scolastico. Tuffandoci nei nostri anni di fondazione vedremo chi eravamo, forse capiremo chi siamo, senz’altro sentiremo più ineluttabile la domanda: l’Italia di oggi va verso il sogno che noi figli abbiamo affidato ai nostri padri contemporanei, e i nostri figli a noi?
Poiché se quella promessa di terra si sta sfuocando, il compleanno dell’Italia unita è l’occasione per recuperare il senso primigenio del Risorgimento e farsi cassa di risonanza di quel sentimento vivificante della gioventù che precede ogni declinazione politica; invece di rassegnarsi, si può alzare la testa come germogli e contrastare la pena che si prova dinanzi a un fusto morente. I giovani del Risorgimento lo fecero. Si affidarono al carisma di valorosi generali e all’astuzia dei politici, beninteso, ma i «grandi» della svolta epica della nostra storia nazionale nulla avrebbero ottenuto, se non avessero potuto attingere all’edificante coraggio della gioventù di allora.
Perciò auguri, giovine Italia. Non invecchieremo se reclameremo per i figli di domani un Paese solidale, a misura loro. Vien voglia d’un tuffo anche se non è ancora stagione, col tricolore a mo’ di mantello. Perché un Paese non vive di soli simboli e memoria, ma ne abbisogna per non dimenticare. Per guardarsi meglio dentro e dattorno.
In chiusura di post, l’esegesi di Roberto Benigni su “L’inno di Mameli” (che molti di voi avranno visto al Festival di Sanremo).
Intanto potete ascoltare Maria Lucia nella puntata di “Letteratitudine in Fm” di venerdì scorso (ospite insieme a Viola Di Grado):
http://www.rhprogrammi.com/letteratitudine/puntata11marzo2011.mp3
@ Maria Lucia
Raccontaci un po’ la storia questo libro…
(ti ci ritrovi nelle parole di Simona?)
@ Maria Lucia
Raccontaci qualcosa in più su Mariannina Coffa…
E poi: cosa significava essere poetessa, in Sicilia, negli anni in cui si faceva l’Italia?
Per stasera chiudo qui. Una serena notte a voi.
mi piace la visione della propria terra come madre. bisognerebbe senz’altro recuperararla e valutarla. redo che il festeggiamento del 150° dell’unità possa essere una buona occasione. condivido.
Dimenticavo di fare gli auguri a Maria Lucia Riccioli per il libro. Auguri e complimenti.
ottima idea. vediamo se posso contribuire nei prossimi giorni.
intanto: W l’Italia, la sua unità e le donne italiane.
Un bacio notturno alla carissima Mari, a questo libro che canta l’amore, la morte, il rimpianto con una forza struggente e vera. E un forte abbraccio a Luigi La Rosa, che lo ha visto nascere e crescere seguendone passi e sogni.
Domani interverrò con maggiore calma, ma adesso vorrei dire che è bellissimo che l’idea di unità passi per l’idea di madre. E che questa maternità ci sia restituita da una poetessa, che conobbe i martiri della perdita precoce dei filgli.
Carissima Mari, dicci della tua Mariannina, dei suoi lutti, di come – anche – fu madre, oltre che sposa.
Un bacio a tutti, e a te, Massi, un grazie di cuore e sempre per la bellezza di questo luogo.
Bellissimo l’intervento di Benigni, da vero artista. Ma non da storico: non una parola sul Sud, sul plebiscito-farsa, e sulle tragiche conseguenze dell’Unità. Che è un valore incontestabile, ma fu fatta da una parte del paese a danno di un’altra. E non una parola sul fatto che gli ultimi due re Borbone erano molto più italiani dei liberatori Savoia, madrelingua francesi allora come ora.
Carissimi, un saluto. Rientro tardissimo, in questa Roma che si prepara a festeggiare l’unità d’Italia coi suoi tricolore alle finestre. Rientro nel silenzio di questo inverno freddo e trovo il bellissimo post curato da Massimo. Un saluto, Massi. E un saluto a Simona, che sceglie sempre le parole migliori. Un saluto alla grande Maria Lucia, e al suo romanzo, cui auguro vita felice. Saluto ancora tutti i lettori, ai quali consiglio la lettura di “Ferita all’ala un’allodola”. Grande libro. Buonanotte a tutti. A domani…
Carissimi, un saluto e un grazie a Massimo Maugeri, scrittore, blogger e amico che conosce il dono della condivisione.
L’uscita del mio libro è festa per tutti noi che ci abbiamo creduto.
Grazie a Simona, alla sua lettura così intima e vera del mio legame con Mariannina Coffa.
Grazie a Luigi che mi ha regalato un’esegesi profonda della mia scrittura. E che mi ha incoraggiata sempre, anche quando le pagine di questo romanzo stentavano a spiccare il volo.
Tarda è l’ora che volge anche fin troppo il desio, quindi vi auguro una buona notte e… a domani con le risposte alle domande e la discussione sulle donne del Risorgimento.
COMUNE DI MILITELLO IN VAL DI CATANIA
Assessorato alla Cultura
Giovedì 17 Marzo
– Ore 18:00, Chiesa Matrice S. Nicolò-SS.Salvatore: solenne Celebrazione Eucaristica interparrocchiale, in occasione della ricorrenza del 150° anniversario dell’Unità d’Italia;
– Ore 19:00, Auditorium San Domenico: inaugurazione della mostra fotografica “ 150 anni d’Unità d’Italia: Eroi di Ieri e di Oggi”, in collaborazione con l’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci (sez. di Militello in Val di Catania), l’Associazione Nazionale Carabinieri (sez. di Scordia) e la Stazione Carabinieri di Militello in Val di Catania.
– Ore 19:30, Auditorium San Domenico: presentazione del romanzo sui moti del Risorgimento in Sicilia, dal titolo Ferita All’Ala Un’Allodola di Maria Lucia Riccioli.
Il Sindaco L’Assessore alla Cultura
Antonio Lo Presti Dott. Giuseppe Ragusa
Ecco l’invito alla presentazione del 17 marzo. Sono orgogliosa di presentare il romanzo proprio nel giorno del 150esimo…
Bellissimo il book-trailer realizzato da Maria Francesca di Natale. Una vera chicca d’arte! Brave, soprattutto a Maria Lucia Riccioli.
a dopo
Rossella G.
Un calorosissimo augurio alla nostra Maria lucia e al suo romanzo su Mariannina Coffa, una delle figure più suggestive della letteratura italiana del secondo Romanticismo. Mariannina è personaggio alquanto complesso ma sono certo che la nostra Maria Lucia è stata in grado di scavare in profondità e tirarne fuori un romanzo con i fiocchi. Sono molto curioso di leggerlo
Mi piace moltissimo l’idea di pensare la ricorrenza dell’Unità d’Italia dal punto di vista delle donne. Mi piace l’idea di considerare la propria terra come madre. L’impressione è se oggi utilizzi la parola “patria” ti guardano in cagnesco, nemmeno se avessi urlato una bestemmia.
Non sarà per questo disamore nei confronti della nostra terra, della nostra PATRIA, che ci siamo ridotti come siamo oggi?
Clara Maffei, figura fondamentale per il Risorgimento italiano, ha scritto in tempi ben lontani dall’emancipazione femminile:
“Io appartengo a me medesima, e solo io voglio essere giudice del mio operare’. E vinsi, almeno, la schiavitù delle cose convenzionali. È a duro prezzo ch’io acquistai tale libertà; pure è qualche cosa anch’essa quando non si vuole usarla che per bene.”
Ripensare alla storia, rivisitarla, correggerla se è sbagliata (“revisionarla”) è giusto e sacrosanto. Ma secondo me bisogna discernere le due cose. Nel giorno della celebrazione tutti i rancori, le contraddizioni, i rammarichi per le occasioni perdute devono essere messe da parte, magari per essere ripresi in un altro contesto. Nel giorno della celebrazione bisogna dare spazio ai sentimenti positivi (siamo ancora capaci di provarne, o siamo solo pieni di rabbia e veleni?).
Ecco perché l’intervento di Benigni è stato bellissimo: non da storico, ma da artista. Che gli storici facciano gli storici, e gli artisti gli artisti.
A ciascuno il suo.
Ma nel giorno della festa, bando ai veleni.
L’UNITA’ D’ITALIA E LE DONNE NEL RISORGIMENTO ITALIANO
Il titolo di questo post è bellissimo. Come è bellissima l’intenzione di ridare lustro alle donne che hanno sempre vissuto dietro le quinte gli eventi epocali che comunque hanno contribuito a creare.
Ecco perché leggerò i post che arriveranno dai partecipanti al blog con particolare attenzione e voglia di saperne di più.
Grazie.
E naturalmente anche da parte mia vanno i migliori auguri a Maria Lucia Riccioli per il suo romanzo. Commovente, il book-trailer. Deliziosi gli articoli di Simona Lo Iacono e Luigi La Rosa.
È bello essere qui.
Buona giornata.
Mariannina Coffa nacque a Noto la mattina del 30 settembre 1841 dall’avvocato Salvatore Coffa, un liberale impegnato nelle vicende politiche del Regno di Napoli, e da Celestina Caruso, e fu battezzata in Cattedrale il 3 ottobre.
Dopo aver ricevuto una prima istruzione a Noto, nel 1851 passò al collegio “Peratoner” di Siracusa, dove già compose le prime poesie d’occasione. Considerata un precoce talento poetico, fu affidata al canonico Corrado Sbano (1827-1905), che nel limitato ambiente culturale della cittadina passava per essere un’autorità nel campo delle lettere e un facile verseggiatore, affinché la indirizzasse nelle letture, le suggerisse i temi delle composizioni e le correggesse la tecnica di versificazione.
Naturalmente don Sbano le consigliava letture cattoliche e sorvegliava che i temi delle sue poesie rifuggissero da quelli tipici degli «autori esagerati e intemperanti», così da essere poi accusato di aver corrotto e soffocato le naturali tendenze della giovanissima artista, portata a un’effusione sentimentale di matrice schiettamente tardo-romantica, e di averla nutrita di una disordinata miscela di autori classici disparati, senza che questa si fondesse in unità nello spirito della giovane.
I successi poetici della bambina si espressero nelle improvvisazioni tanto apprezzate nella arcadica «Accademia dei Trasformati» di Noto, cui fece parte dal 1857 con il nome di Inspirata – e fece parte dall 1858 anche dell’«Accademia Dafnica» e di quella degli «Zelanti» di Catania – pubblicando nel 1855 la raccolta Poesie in differenti metri, e successivamente i Nuovi canti nel 1859.
A completare la sua educazione artistica la famiglia le fece impartire dal 1855 lezioni di pianoforte dal giovane Ascenso Mauceri (1830-1893), del quale finì per innamorarsi fino a progettare il matrimonio, con l’iniziale assenso della famiglia che tuttavia cambiò idea, obbligandola a sposare, l’8 aprile 1860, il ricco proprietario terriero ragusano Giorgio Morana.
Trasferitasi con il marito a Ragusa nella casa del suocero, iniziò una vita fatta di gravidanze annuali – ma due dei quattro figli morirono ancora infanti – e di difficoltà di scrivere a causa dell’ostilità dei parenti a un’attività che essi ritenevano riprovevole, addirittura strumento di perdizione. Scarsa consolazione le venne dalla corrispondenza con l’ex-fidanzato, che le rimproverava di aver subito il matrimonio, al quale descriveva la miseria della sua esistenza: «Se sapeste quanto soffro allorché mi è necessario prendere la penna! Gli occhi severi e maligni di mio suocero mi seguono come per fulminarmi […] Egli, il mio onorando suocero, non fece apprendere alle sue figlie il leggere e lo scrivere, appunto perché non fossero disoneste o cattive donne di casa».
Intrattenne rapporti epistolari anche con Giuseppe Aurelio Costanzo, Giuseppe Macherione, Mario Rapisardi e Lionardo Vigo Calanna e, per i fibromi all’utero di cui soffriva, conobbe il medico omeopata catanese Giuseppe Migneco, cultore del magnetismo animale, della teosofia e massone come il suo allievo di Noto Lucio Bonfanti, cha la introdusse nella Loggia Elorina: si trovano, nelle poesie di questo periodo, riferimenti ai suoi nuovi credi misteriosofici.
Lasciata la casa del marito, si trasferì a Noto per seguire le cure del medico Bonfanti: fu questi a ospitarla dopo che i genitori la cacciarono dalla loro casa, scandalizzati dal suo comportamento.
Nelle sue ultime lettere la Coffa espresse tutta la sua violenta esasperazione nei confronti di quanti, genitori, marito e parenti, imponendole la loro volontà e impedendole la libera manifestazione della sua personalità, le avevano rovinato la vita.
– Poesie in differenti metri di Mariannina Coffa Caruso da Noto, Siracusa, Stamperia Pulejo 1855
– Nuovi canti di Mariannina Coffa Caruso da Noto, Noto, Stamperia Spagnoli 1859
– Nuovi canti di Mariannina Coffa in Morana da Noto, Torino, Stamperia dell’Unione Tipografica Editrice 1863
– Versi inediti di Mariannina Coffa Caruso in Morana da Noto, pubblicati per cura dell’affezionato ammiratore F. Santocanale, Palermo, Stabilimento Tipografico Lao 1876
– Ultimi versi di Mariannina Coffa Caruso in Morana, Palermo, Tipografia Virzì 1878
– Un sogno, versi inediti di Mariannina Coffa Caruso, per cura di Giuseppe Conforti, Noto, Zammit 1878
– Lettere ad Ascenso, a cura di G. Raya, Roma, Ciranna 1957
– Scritti inediti e rari di Mariannina Coffa, a cura di Miriam Di Stefano, Noto, Arti grafiche San Corrado 1996
– L’episolario amoroso Coffa–Mauceri, in Marinella Fiume, Sibilla arcana. Mariannina Coffa (1841–1878), Caltanissetta, Lussografica 2000
l’idea di rivalutare il ruolo delle donne nel Risorgimento italiano piace anche a me. è un argomento su cui non sarebbe male saperne di più. ed è un buon modo per festeggiare il 150simo. approvo.
per esempio, ammetto molto candidamente che non avevo mai sentito parlare di Mariannina Coffa. la sua biografia, letta sopra, è interessante. brava la Riccioli a farla rivivere nel suo romanzo.
Mio carissimo dottor Maugeri,
bravo davvero ( e geniale come sempre) a mettere in luce il legame profondo tra la donna e il risorgimento.
Non solo perchè ribalta la visione ufficiale di una storia popolata solo da politici e soldati, ma perchè salva la riflessione dagli stereotipi, dal clamore facile, e pone lo sguardo sulla commozione dell’invisibilità, sul sacrificio nascosto di chi ha vissuto nell’ombra, o nel pregiudizio, o nella mancanza di mezzi.
La donna è stata infatti il luogo dell’invisibilità, la parte nascosta della storia. E’ bene che si ricordi, invece, che è in lei e per lei che non solo i figli, ma anche gli eventi e la cultura hanno fatto passi avanti.
Accanto a nomi già più noti, come quelli di Anita Garibaldi e di Cristina di Belgioioso, sono esistite anche umili combattenti, le eroine delle Cinque Giornate di Milano. E le donne che seppero curare i feriti in un’organizzazione ospedaliera spesso affidata quasi esclusivamente al volontariato femminile. O le giornaliste straniere che raccontarono con i loro articoli le vicende delle lotte risorgimentali, come Margareth Fuller e Jessie White Mario. O le grandi poetesse risorgimentali, come Giannina Milli o l’appassionata torinese Giulia Molino Colombin.
Le donne sono state poi le vere animatrici delle idee, con il mondo dei salotti : in una società come quella ottocentesca che affidava alla donna sostanzialmente i soli ruoli di moglie e di madre, i salotti rappresentarono infatti una essenziale forma di aggregazione sociale e culturale che stanò talenti, sostenne le voci più accorate, diede vigore e coraggio all’arte.
Ben vengano occasioni di riflessione come queste che uniscono alla profonda meditazione della storia, anche ciò che la storia spesso nasconde.
Mi associo dunque ai complimenti per la cara dott.ssa Riccioli, e porgo cordialissimi saluti al dott. La Rosa e alla dott.ssa Lo Iacono.
Il vostro sempre affezionato
Professor Emilio
Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, meglio conosciuta come Anita Garibaldi (Morrinhos, 30 agosto 1821 – Mandriole di Ravenna, 4 agosto 1849), fu moglie di Giuseppe Garibaldi; è conosciuta universalmente come l’Eroina dei Due Mondi.
Anita Garibaldi nacque il 30 agosto 1821 in Brasile a Morrinhos, presso Laguna nella provincia di Santa Catarina, figlia del mandriano Bento Ribeiro da Silva, detto “Bentòn”, e di Maria Antonia de Jesus Antunes. La coppia ebbe sei figli, tre maschi e tre femmine. La bambina fu battezzata Ana e chiamata in famiglia Aninha, che è il diminutivo di Ana in lingua portoghese. Fu Garibaldi, a suo tempo, ad attribuirle il diminutivo spagnolo Anita, con il quale è universalmente nota. Dopo che la famiglia si fu trasferita a Laguna, nel 1834, in pochi mesi morirono il padre e i tre figli maschi. Pare che il trasloco a Laguna si fosse reso necessario per allontanarsi dai propositi di vendetta di un carrettiere di Morrinhos il quale, attratto dalle grazie di Anita e avendolo dimostrato con “modi poco rispettosi”, si era visto sfilare il sigaro di bocca dalla ragazzina che, per sottolineare il suo diniego, pensò bene di spegnerlo sul viso del focoso pretendente.
Il 30 agosto 1835, all’età di 14 anni, Anita va in moglie a un calzolaio, Manuel Duarte de Aguiar, nella cittadina di Laguna. La veridicità storica di questa unione – talvolta contestata, ma senza successo, anche da Menotti Garibaldi, figlio di Anita e del Generale – sembra essere dimostrata da un atto di matrimonio ancora esistente e da quanto scritto dallo stesso Garibaldi nelle sue “Memorie”.
Nel luglio del 1839, all’età di 18 anni, Anita incontra Garibaldi a Laguna. Da quel momento, dopo aver verosimilmente abbandonato il marito, Anita sarà la donna di Garibaldi, la madre dei suoi figli e la compagna di tutte le sue battaglie. Combatterà sempre con gli uomini e come gli uomini, sostenendo il fuoco avversario, e pare che venga spesso assegnata alla difesa delle munizioni, sia negli attacchi navali sia nelle battaglie terrestri.
All’inizio del 1840, nella battaglia di Curitibanos, Anita cade prigioniera delle truppe imperiali brasiliane. Ma il comandante, molto colpito dal temperamento indomito della giovane, le concede di cercare il cadavere del marito sul campo di battaglia. Anita, approfittando della distrazione delle guardie, afferra un cavallo e fugge. Si ricongiunge con Garibaldi a Vacaria, nel Rio Grande Do Sul.
Il 16 settembre 1840 nasce il loro primo figlio al quale danno il nome di Menotti, in onore di un patriota italiano, Ciro Menotti. Dodici giorni dopo il parto, Anita sfugge a una nuova cattura. I soldati imperiali circondano la sua casa, uccidono gli uomini lasciati da Garibaldi a difesa e cercano di catturarla. Ma Anita, con il neonato in braccio, esce da una finestra (o da una porta secondaria), inforca il cavallo e fugge nel bosco. La sua estrema abilità di cavallerizza e la sua coraggiosa vitalità la salvano ancora una volta. Rimane nascosta nel bosco per quattro giorni, senza viveri e con un neonato al petto, finché Garibaldi e i suoi la trovano.
Nel 1841, essendo divenuta ormai insostenibile la situazione militare della rivoluzione brasiliana, Garibaldi e Anita prendono congedo da quella guerra e si trasferiscono a Montevideo, in Uruguay, dove rimarranno sette anni, durante i quali Garibaldi manterrà la famiglia impartendo lezioni di francese e di matematica. Nel 1842 Anita e Garibaldi si sposano nella parrocchia di San Bernardino. Stando alle “Memorie” del generale, Garibaldi dovette dichiarare formalmente di avere notizia certa della morte del precedente marito di Anita. Negli anni successivi nascono i figli: Rosita (1843) che morirà a soli 2 anni, Teresita (1845) e Ricciotti (1847), quarto e ultimo figlio.
Nel 1848, alla notizia delle prime rivoluzioni europee, Anita con i figli si imbarca per Nizza dove viene ospitata dalla madre di Garibaldi. Il marito la raggiunge con un altro bastimento qualche mese più tardi.
L’anno seguente Anita è di nuovo in combattimento. Il 9 febbraio 1849 presenzia a Roma alla proclamazione della Repubblica Romana, che però avrà vita breve. Gli eserciti francese e austriaco attaccano la città eterna per ripristinare il potere papale. I garibaldini danno vita a una eroica resistenza, respingendo gli assalti quartiere per quartiere, per molti giorni. Ma la superiorità di uomini e mezzi a disposizione delle forze avversarie è schiacciante. E dopo l’ultimo scontro sostenuto nella zona del Gianicolo, Garibaldi e i suoi sono costretti alla fuga.
Quella fuga prenderà storicamente il nome di “trafila”, una marcia forzata attraverso mezza Italia. I garibaldini si sparpagliano su strade diverse per sfuggire alla caccia dei soldati austriaci e della polizia papalina. Garibaldi rimane solo con Anita e con il fedelissimo Capitano Leggero. Mirano a raggiungere Venezia, l’unica repubblica che ancora non sia stata travolta dagli eserciti delle potenze imperiali europee. Ma Anita è incinta, al quinto mese di gravidanza. La sua fuga, a piedi, a cavallo, attraverso montagne e fiumi, è un calvario. Le sue condizioni di salute peggiorano a vista d’occhio. Nelle valli di Comacchio si consuma la tragedia. La donna perde conoscenza. Pur braccati dai nemici, Garibaldi e Leggero la caricano su una piccola barca e poi, su un vecchio materasso, la trasportano nella fattoria del patriota Guiccioli in località Mandriole di Ravenna, dove subito accorre un medico, il quale però può solo constatare che Anita è spirata.
La data della sua morte è il 4 agosto 1849. Anita ha ventotto anni. La sua avventura umana, storica e sentimentale accanto a Giuseppe Garibaldi è durata appena undici anni.
La vicenda terrena di Anita, al di là perfino di quanto succintamente detto fin qui, presenta aspetti che sembrano sconfinare nel romanzesco. E tali fatti meritano di essere descritti in modo più dettagliato.
Una descrizione certamente attendibile di Anita è quella lasciata dallo stesso Garibaldi nelle sue “Memorie”: “Era una donna alta, col volto ovale, i grandi occhi neri e i seni prosperosi” scriverà il generale. Nulla di più sull’aspetto fisico, che tuttavia doveva aver colpito il giovane Garibaldi in modo straordinariamente intenso, dato che dopo averla vista per la prima volta col cannocchiale scrutando un villaggio della Laguna da bordo della sua nave, volle immediatamente sbarcare per mettersi alla ricerca di quella ragazza. La cercò inutilmente per un’ora o giù di lì, finché fu invitato da un abitante del villaggio nella sua casa a prendere una tazza di caffè. Aperta la porta, Garibaldi si trovò davanti quella ragazza alta, fiera e dai “grandi occhi neri” che stava cercando. E, secondo il suo stesso racconto, le disse spavaldamente in italiano (perché a quel tempo non conosceva bene il portoghese): «Tu devi essere mia».
Alla morte di Anita, si racconta che Garibaldi piangesse stringendo nelle mani il polso di lei e non volesse abbandonarla. A fatica il fedelissimo Leggero lo convinse a riprendere la fuga e a mettersi in salvo prima dell’arrivo della polizia papalina e dei soldati austriaci. «Generale, dovete farlo. Per i vostri figli, per l’Italia…» avrebbe detto Leggero.
Il corpo senza vita di Anita fu frettolosamente sepolto nella sabbia, dal fattore e da alcuni amici, nella vicina “motta della Pastorara”, allo scopo di nascondere il corpo alle perquisizioni delle pattuglie.
Sei giorni più tardi, il 10 agosto 1849, la salma venne casualmente scoperta (un braccio affiorava dalla sabbia ed era già stato mordicchiato dai cani) da un gruppo di ragazzini. Fu trasportata al cimitero di Mandriole.
Nel decennio successivo alla morte, i resti di Anita vennero riesumati per ben 7 volte da varie parti che se ne contendevano il lascito morale. Per volontà del marito, nel 1859 le sue spoglie vennero trasferite a Nizza, non nascondendo la valenza affettiva e l’intento polemico della scelta:
.
« Al santuario
Venduto de’ miei padri avranno stanza
Le tue reliquie e d’altra donna amata
Madre ad entrambi, adornerai l’avello! »
( da Anita di Giuseppe Garibaldi)
.
In seguito, nel 1932, furono definitivamente deposte nel basamento del monumento equestre eretto in onore di Anita Garibaldi sul Gianicolo, a Roma
probabilmente è un dato inutile, ma è giusto per creare un collegamento.
quando è morta Anita Garibaldi, Mariannina Coffa aveva otto anni.
Che splendore!
Mi collego fortunosamente solo adesso e già tanti commenti…
Andiamo con ordine.
Massimo caro, certo che mi ritrovo nelle parole di Simona! Lei ha espresso in maniera mirabile le affinità elettive che mi legano a Mariannina.
Ho cercato di dar voce a questa donna spinta intanto da una pietas profonda nei suoi confronti e dell’interesse verso la sua poesia, la sua scrittura.
Poi il resto l’hanno fatto le ricerche d’archivio e in biblioteca, le letture, i tentativi di scrittura, lo studio.
Non è stato un cammino facile. Ma per vie misteriose e magiche – la scrittura è anche questo – sono arrivate le soluzioni agli intoppi, gli indizi mi sono venuti incontro, le disiecta membra del romanzo hanno trovato forma.
E sono stata felice di aver avuto questo personaggio, questa amica netina come ormai la considero, a farmi compagnia.
Buona serata a tutti! E’ bello vedere questa festa in atto! Donne, ricordi, citazioni, la storia come cosa vera e viva!
Mando un bacio a Maria Lucia e le pongo qualche domanda per entrare nel cuore del suo romanzo: Mari, per quale motivo la famiglia di Marianna impedì le nozze con Ascenso?
E perchè il matrimonio con il marito, Giorgio Morana, fu celebrato nell’alba della giornata di Pasqua?
Inoltre, cara Mari, vuoi parlarci delle gravidanze di Mariannina? Come ti sei documentata? Quali le fonti?
Ci siamo incrociateeeeeee!!!
Rifaccio un po’ la “cronistoria” di questo romanzo che Simona Lo Iacono, da amica preziosa e da artista, ha saputo raccontare così bene.
Nell’anno 2005/2006 mi ritrovo ad insegnare a Noto. Nella splendida sede dell’ex convento di San Domenico – sede dell’Accademia dei Trasformati, società culturale ma dagli scopi politici e della quale faceva parte il padre di Mariannina, Salvatore Coffa Ferla – si trova il Liceo “Matteo Raeli”.
Intreccio uno splendido rapporto con la città, con i colleghi e i ragazzi.
Le ore buche sono un’occasione per scoprire Noto.
Ed ogni giorno mi viene incontro lei, Mariannina.
Il suo busto.
Niente di più che A MARIANNINA COFFA – LA PATRIA – 1878. Così recita.
Ai piedi di Mariannina, un angelo fanciullo dall’espressione dolcemente mesta che sulle ginocchia tiene un libro aperto. Vuoto.
Il libro è il tentativo di scrivere qualcosa, di dare parole a quell’angelo muto.
Cara Mari,
chi era questo Giorgio Morana? Come mai fu scelto per la Coffa un marito così lontano dal suo mondo interiore, dallo spirito della poesia, della musica, dell’arte, dato che durante l’infanzia Marianna era stata celebrata anche dalla sua famiglia come un piccolo prodigio, come un vero genio del poetare?
Simoooooooooooooooooooooooo!
🙂
I motivi per cui il fidanzamento tra Mariannina Coffa Caruso e Ascenso Mauceri, suo maestro di pianoforte e frequentatore di casa Coffa e Caruso (Giuseppe Caruso era il nonno materno di Mariannina, un medico) andò a monte sono in parte ancora misteriosi.
Era di undici anni maggiore di Mariannina ma non era questo il problema: era forse la sistemazione economica della coppia la preocccupazione principale.
Mauceri si era diplomato nel celebre Conservatorio di San Pietro a Majella, a Napoli. Per intenderci, quello di Bellini.
Ed era chiamato il Bellini di Noto, affascinante com’era e reso come affatato dall’aura del Continente…
Mia cara Mari, quell’angelo non tiene più in grembo un libro senza parole.
Perchè tiene in grembo il tuo libro.
E con esso, tutti i libri che confermano un atto di vera libertà.
Credo che il destino di Marianna, una volta sposata e inserita in una famiglia poco incline alla cultura, tutta calata nella catalogazione dei ruoli “ufficiali” (madre, moglie), sia stato infatti emblema della liberazione interiore attraverso la scrittura, a dispetto delle maglie e delle grate che infliggono una prigionia.
Cos’è la libertà se non questo? Volare oltre, ma con la sola forza della parola, del verso, del deflagare di un urlo – dentro, e poi ancora fuori, dove il mondo possa sentire.
Un conturbante atto d’affermazione. Di espiazione.
Di resurrezione.
Grazie per questa Mariannina finalmente liberata.
una buona notte, cara Mari!
Raccontaci ancora…
un bacio grande e a domani!
la tua Simo
Il problema era che pur avendo l’età per sposarsi, a quasi trent’anni non aveva ancora un’occupazione stabile.
Aveva scritto dei drammi (raccolti e pubblicati poi sotto il titolo di SAGGIO DI LAVORI DRAMMATICI, Tipografia d’Andrea Norcia, Siracusa 1863) ma la fortuna che si aspettava dalla loro rappresentazione sembrava lontana ed incerta.
In effetti attori come Giacinta Pezzana e Tommaso Salvini furono gli interpreti più importanti di alcuni dei suoi lavori, ma la fama era ancora di là da venire.
Oltre al problema economico, c’erano delle illazioni sulla moralità di Ascenso Mauceri, che frequentava la casa di Matteo Raeli, futuro Guardasigilli ed estensore della Legge sulle Guarentigie che regolava i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa.
A causa dell’esilio di molti patrioti a Malta – isola vicinissima alla Sicilia, dalla quale i capi reggevano le fila di congiure rivolte rivoluzioni – le case spesso rimanevano private di mariti e figli. Così pure casa Raeli.
Si malignava su Mauceri e le Raeli (madre e figlia).
Anche la più piccola ombra poteva gettare discredito su Mauceri in un ambiente colto, raffinato ma anche ristretto quale era la Noto dell’Ottocento.
Grazie Simo… felice notte anche a te, e che sia gravida di parole e di idee da liberare!
🙂
Continuiamo con Mauceri.
Io credo comunque – e l’ho scritto nel romanzo – che ci fosse anche qualche mmotivazione politica alla base della rottura.
Un probabile avvicinamento agli esponenti del repubblicanesimo, mentre Coffa e i suoi appartenevano all’ala più moderata.
Supposizione, certo.
Valsero molto le “persuasioni efficacissime e continue”.
Vi invito a leggere l’epistolario Mauceri-Coffa, poeticissimo e drammatico.
Un vero e proprio romanzo di sdegni, repulse, proteste d’amore, promesse…
A Marinella Fiume, storica appassionata, scrittrice di gusto finissimo, che io stimo anche per l’impegno civile, va il merito di aver raccolto l’epistolario e di aver scritto un saggio interessantissimo su molti aspetti poco conosciuti della figura di Mariannina Coffa
(Marinella Fiume, Sibilla arcana, Lussografica Edizioni, Caltanissetta 2000).
Vi segnalo la bella iniziativa di questo sito, che da settimane pubblica vite di donne del Risorgimento.
http://www.graphe.it/GM/2011/03/04/donne-e-risorgimento-peppa-a-cannunera#comment-5736
In questo “numero” trovate la storia di Peppa la cannoniera, ovvero una barricadera siciliana ante litteram.
E ce ne furono tantissime…
Pensiamo a Testa di Lana, a Santa Di Liborio…
La stessa poetessa Concettina Ramondetta Fileti, amica e corrispondente di Mariannina, durante i moti del 1820 scappò di casa per unirsi agli insorti sulle barricate.
Un grazie a Giacomo Tessani.
Devo dire che il mio non è il primo romanzo sulla Coffa: Teresa Carpinteri, canicattinese (sorella della più nota Laura Di Falco che forse qualcuno di voi conoscerà) scrisse nel 1978 per i tipi di Flaccovio un romanzo intitolato L’ERINGIO.
Il 1978 tra l’altro era l’anno del primo centenario della morte di Mariannina…
Il libro è fuori catalogo ma si trova in biblioteca.
Ringrazio Mariannina per i “viaggetti” che mi ha fatto fare, per le realtà che mi ha fatto conoscere.
La biblioteca di Canicattini è bellissima e possiede anche il “Fondo Carpinteri”, il lascito preziosissimo delle carte della scrittrice, che meriterebbe una riscoperta.
Ringrazio tutti per i contributi pervenuti.
Cara Maria Lucia, benvenuta in questo post che ti vede protagonista insieme a Mariannina Coffa e alle altre donne del Risorgimento.
Annamaria, grazie…
Salvo, ciao! Grazie anche a te. Che il romanzo sia con i fiocchi non lo so, ma è pieno di coccarde tricolori…
Un saluto ad Andrea Bellonzi.
La terra è madre, la patria è donna e madre anche se è chiamata patria perché è la terra dei padri.
Quando i poeti cercano di personificare la patria la raffigurano sempre in forma di donna, sciolti i capelli, catene ai piedi, la figura mesta e dolente per la schiavitù. Perché sono le donne a subire violenza, perché la terra violata da scarponi stranieri è sorella madre amica sposa amante figlia volata.
E la patria redenta dalle donne era un’idea del Risorgimento: che le donne contribuissero alla redenzione della loro terra intesa come loro sorella e madre… con la parola, con l’educazione dei figli ai valori sublimi di patria onore dovere sacrificio virtù… con l’azione quando era possibile.
Cara Mari, abbiamo scritto entrambi alle 10:18 pm… bellissimo questo tuo commento qui sopra.
Dici: “La patria redenta dalle donne era un’idea del Risorgimento”, cara Maria Lucia.
Un motivo ulteriore per rendere ancora più ricca questa finestra che abbiamo aperto.
Amelia Corsi, grazie. Osservazione pertinente la sua.
Purtroppo l’idea di patria per molto tempo è stata “politicizzata”, quindi solo il pronunciare questa parola voleva dire essere etichettati.
Idea per me comunque distorta.
L’idea di patria, di terra dei padri, è antichissima.
L’Italia specialmente, l’idea di patria che è giunta fino a noi risale a millenni fa.
La nostra letteratura credeva nella patria quando ancora non esisteva e forse l’ha inventata.
Interessanti i contributi biografici su Mariannina Coffa e Anita Garibaldi: due donne diversissime, direi…
Anita dà l’idea della libertà: decide di amare Garibaldi, sceglie di seguirlo.
Mariannina subisce la costrizione della famiglia: sposa un uomo diverso da colui che ama.
Ma forse, come dice Simona, la libertà di Mariannina Coffa trova strade altre e si incarna nella parola, nei versi.
@ Maria Lucia
Nelle note biografiche inserite qui sopra, mi colpisce questo passaggio:
“Nelle sue ultime lettere la Coffa espresse tutta la sua violenta esasperazione nei confronti di quanti, genitori, marito e parenti, imponendole la loro volontà e impedendole la libera manifestazione della sua personalità, le avevano rovinato la vita”.
–
È proprio così, Maria Lucia?
Cosa emerge da quelle lettere?
Una breve annotazione su “Ferita all’ala un’allodola”.
Credo che Maria Lucia sia stata davvero brava a ricostruire la storia di Mariannina Coffa con perfetto equilibrio. Il rischio che la scrittura potesse sconfinare nella saggistica (come sempre avviene in tentativi letterari ambiziosi, come questo con cui si è cimentata la nostra Maria Lucia) era sempre dietro l’angolo…
E invece la storia fila che è un piacere!
Brava, Maria Lucia!
Massimo, ciao! Telepatia… comunque con Mariannina queste cose capitano…
🙂
Cara Laura, grazie del tuo intervento… Clara Maffei è un’altra splendida figura del Risorgimento. L’emancipazione femminile è un tema risorgimentale: pensiamo a quelle donne barricadere che trascinavano cannoni, sparavano, si arruolavano nella Guardia nazionale… pensiamo alle artiste e scrittrici, alle educatrici, alle fondatrici di ordini religiosi… pensiamo alle donne che gestivano la propria vita, case e attività quando mariti compagni fratelli padri figli mietevano allori o scontavano prigionie ed esili. O addirittura erano condannati a morte o morivano in battaglia. Pensiamo alle donne che organizzano sottoscrizioni, alle donne che rivendicano per se stesse la libertà che i loro uomini volevano per la patria.
Ringrazio gli altri intervenuti, a partire dai già citati Simona Lo Iacono e Luigi La Rosa…
(Ancora grazie Simo e Luigi!)
Saluti e ringraziamenti a: Maurizio De Angelis, Amelia Corsi, il prof. Emilio, Salvo Zappulla, Giacomo Tessani, Annamaria, Rossella, Andrea Bellonzi…
Un ringraziamento speciale a Laura Costantini che ci parla di Clara Maffei (figura che, spero, avremo modo di approfondire).
A tutti voi, una serena notte.
@Maurizio De Angelis: grazie dell’intervento.
Benigni ha parlato da artista, non ha testa di storico, come direbbe Camilleri.
La cosa bella del suo intervento è che ci ha resi fieri di quest’inno – diciamolo – un po’ bandistico, un po’ rétro rispetto ad inni musicalmente più belli forse ma che non ci accendono il cuore come queste note di Michele Novaro su versi di Goffredo Mameli.
Ora i nostri alunni sanno – si sono commossi, ne abbiamo parlato in classe – cosa c’è dietro quest’inno, un ragazzo di vent’anni che subì un’amputazione e sofferenze gravissime per un sogno. Che morì senza vedere compiuta l’Unità, come scrive Mazzini in una lettera che vela gli occhi.
Certo la storia del Risorgimento ha pagine molto ambigue.
Noi siciliani ne sappiamo qualcosa.
Pensiamo alla scomparsa di Ippolito Nievo, rievocata dal nipote Stanislao in “Il prato in fondo al mare”. A Bronte, alla repressione dei moti. Alla “normalizzazione”, alla “lottizzazione” dei terreni demaniali, a tutta la letteratura delle delusione postrisorgimentale che va dal Verga di MASTRO DON GESUALDO a I VECCHI E I GIOVANI fino a I VICERE’ e a IL GATTOPARDO.
Ma il sogno era bello e forse giusto.
Grazie Massimo…
Io stessa mi sono posta il problema per prima.
Amo i romanzi storici, sono per me linfa vitale perché alcuni di essi hanno il potere di far rivivere un’epoca, personaggi, vicende.
Da I PROMESSI SPOSI in poi non mi sono più fermata.
Alessandro Manzoni pubblica il romanzo insieme alla STORIA DELLA COLONNA INFAME. Per tante generazioni è stato lui il modello per chi vuole scrivere romanzi storici, il paradigma, l’Autore per eccellenza. Intreccio di vero e finzione, il vero e il verosimile… la ricerca storica e l’invenzione.
Ho cercato di farli convivere e soprattutto di insufflare vita ai documenti.
I saggi sono un’altra cosa e li lascio agli specialisti. Un romanzo deve creare una dimensione narrativa per rendere i fatti raccontabili.
Credo che l’esasperazione che mostra Mariannina – gli ultimi versi, dedicati all’amico Santocanale, un avvocato che forse avrebbe potuto consigliarla sull’annullamento del matrimonio, sono una rivolta nei confronti dell’ambiente e delle persone che le stanno attorno e non l’hanno compresa – fosse dovuta all’aggravarsi della malattia, alle sempre crescenti incomprensioni col marito, ai lutti e alle delusioni che si affastellano nella sua esistenza.
Le ultime lettere mostrano una Mariannina umiliata dalla mancanza di denaro, addolorata per la lontananza dai figli, prostrata da dolori fisici e morali.
Massimo, rispondo con questo intervento anche alla tua domanda su cosa significasse essere poetessa nell’Ottocento.
Mariannina Coffa viene da una famiglia borghese. Il padre, Salvatore Coffa Ferla, è un avvocato. La madre, Celestina Coffa Caruso, è figlia di un medico. Il nonno Coffa si diletta di lettere latine e greche e scrive per il teatro. L’ambiente in cui Mariannina cresce è quindi favorevole alla cultura e l’istruzione della bambina è accurata, anche perché essa può costituire un “valore aggiunto” al momento del matrimonio, unico orizzonte nella vita delle donne dell’epoca.
Mariannina è una bambina precoce. All’epoca fioriva la pratica della poesia improvvisativa: questo modo di poetare – a tema, spesso con i versi e le rime obbligate – metteva in risalto le capacità inventive e di memoria del versificatore ed ebbe molto successo in epoca risorgimentale perché i temi scelti – patria in primis – infiammavano salotti e platee di teatri e perché era un modo per trascorrere le serate oltre alla danza e alla musica.
Le doti improvvisative della bambina la portano ad esibirsi nei salotti: diventa così la reginetta di Noto e non solo, dato che studierà a Siracusa.
Nel collegio Peratoner le sue capacità poetiche vengono affinate ed incoraggiate e giovanissima pubblica i primi versi.
Questo primo periodo poetico di Mariannina è molto felice.
Le difficoltà verranno dopo, quando abbandonata l’improvvisazione per una maniera di poetare più meditata Mariannina cercherà temi personali oltre a quelli religiosi e patriottici diremmo così “di maniera”.
Inoltre a Ragusa dovrà subire l’incomprensione della famiglia del marito.
Basti pensare che secondo il suocero “scrivere rende le donne disoneste” e che egli non aveva permesso che le sue figlie imparassero a scrivere.
Il fidanzamento con Morana.
Giorgio Morana era benestante e ragusano.
Figlio di un proprietario terriero, evidentemente venne visto come un partito serio rispetto alla figura del Mauceri, affascinante artista ma ancora in cerca di sistemazione.
Per quanto riguarda le ricerche su Mariannina, Morana e i figli ho trovato molto nel materiale a stampa.
Se dovessi fare ricerche negli Archivi di Stato di Modica e Ragusa potrei scrivere un’altra storia: ho invece focalizzato il libro sulla figura di Mariannina, anche se la storia dei suoi figli potrebbe essere interessante.
Sono comunque sempre presenti nelle lettere di Mariannina.
Non svelo altri particolari per non guastare il piacere della lettura…
🙂
Maria Lucia cara, torno tardissimo, dopo una giornata particolarmente impegnativa, ma non potevo mandarti un saluto affettuoso. Oggi Roma si prepara ai festeggiamenti del 17. Dappertutto bandiere e segni di gioia per l’anniversario. Un saluto caro anche a Simona, Massimo e gli amici del blog. Grazie a chi ha commentato gli articoli ma grazie soprattutto a Maria Lucia per il suo bellissimo impegno. Un abbraccio a tutti…
Professor Emilio, grazie come sempre del suo garbo e del suo intervento.
Leggo tra i nomi che lei cita quello di Giannina Milli, una grande improvvisatrice che venne a Noto e… che Mariannina conobbe! Lo scrivo anche nel romanzo. Mariannina viene attratta dalla figura di questa donna che con i suoi versi infiamma salotti e teatri.
Sì, lei coglie nel segno quando vede la grandezza in donne come queste, spesso misconosciute ma mirabili per sacrificio abnegazione coraggio nella quotidianità delle storie quotidiane e pronte all’appello della Storia.
Quante eroine dimenticate, quante donne che cucivano bandiere e coccarde, curavano malati e feriti, educavano orfani… quante scrittrici artiste giornaliste costrette a nascondere le proprie doti, a vedere sottovalutati ed irrisi i propri talenti… e quanto grandi le loro piccole vittorie, conquistate in un momento storico e in ambienti così poco favorevoli all’autoaffermazione e all’autodeterminazione femminile.
Grazie carissimo Luigi…
Mi piacerebbe che raccontassi un po’ tu la storia della revisione del libro, le mie difficoltà che abbiamo tentato di risolvere insieme parlandone.
Molto interessante rileggere la breve intensissima vita di Anita Garibaldi.
Ho avuto il piacere di conoscere a Siracusa la signora Anita Garibaldi, pronipote di Giuseppe. Che emozione…
Vi posto il link all’articolo che ho scritto per l’occasione e che – onoratissima – mi sono vista pubblicare sul sito della Fondazione Garibaldi.
http://www.fondazionegaribaldi.it/wordpress/celebrazioni-siracusane-del-150%c2%b0-dellunita-ditalia.html
Complimenti, Massimo, per questa iniziativa sull’Unità d’Italia, e un grande augurio a Maria Lucia Riccioli per il suo romanzo di passione e condivisione, che restituisce alla memoria dei Siciliani, la storia dimenticata di Mariannina Coffa.
Un’altra storia del tutto cancellata è quella della savoiarda Rosalia Montmasson: l’unica donna che partecipò alla spedizione dei Mille, fu decorata con la Medaglia dei Mille ed è inserita nell’album fotografico dei partecipanti, che il fotografo Pavia realizzò negli anni settanta dell’Orttocento.
L’unica donna, dunque, tra i mille garibaldini; coraggiosa, capace di ogni impresa, fu lei a venire in Sicilia e a Malta a informare e collegare comitati rivoluzionari, tra marzo e aprile del 1860, alla viglilia della spedizione; a testimoniarlo, lettere e memorie di garibaldini -Oddo, per esempio, ma anche Banti, Abba, ecc- ma successivamente del tutto cancellata dalla grande storia. A cancellarla, il grande potere del marito Francesco Crispi -con cui aveva condiviso idee politiche, attività cospirativa (mazziniana), esilio, fame (a Torino e a Londra lavorando come lavandaia per la loro comune sopravvivenza): nel 1872 Crispi la lasciò per una giovane donna. E attorno a lei si fece il deserto e il silenzio.
Una vita straordinaria di sentimento,attività cospirazione, passione, che meriterebbe un romanzo, che ancora nessuno ha mai scritto, Ma, chissà, che prima o poi , non lo scriverò io!
Onore a Marianna, a Rosalia, e a tutte le dimenticate.
Grazie a Rossella… sono felice che il booktrailer ti sia piaciuto!
La mia amica Maria Francesca Di Natale è una pittrice che ama cimentarsi anche come videomaker ed è anche un’ottima disegnatrice; Sonia Vettorato è una pianista bravissima che ho avuto modo di apprezzare a Milano – suona spesso in Galleria per il Comune – : è pure un’ottima insegnante. Siamo diventate amiche grazie a Francesca e adesso siamo legate dalla comune amica Mariannina.
LE DONNE NEL RISORGIMENTO ITALIANO
Si dice che dietro un grande uomo, si nasconda una grande donna!
Io credo che sia più giusto dire che “accanto” ad ogni grande uomo,
“lavora” una donna coraggiosa e paziente!
Così è stato in ogni epoca e così continuerà ad essere.
Anche nel Risorgimento, grande periodo storico della nostra “Rinascita”, è accaduto ciò e il contributo femminile è stato determinante in tutte le sue tappe, anche se meno evidente di quello degli uomini di quel tempo.
Penso alla moglie di Luigi Settembrini, Raffaella Faucitano che, con grandi sacrifici, fu vicina al marito patriota condannato all’ergastolo; penso a Cristina Trivulzi che sovvenzionò Ciro Menotti per i moti di Modena; e penso alla napoletana Enrichetta Caracciolo, che si battè per riconquistare la sua libertà e poter sposare il patriota Giovanni Greuter, al fianco del quale proseguì il suo impegno di cittadina partecipe della vita sociale e politica di quel tempo.
Ecco, sono solo tre nomi, ma importanti; sono state donne che hanno segnato, nel loro “piccolo” un momento importante della Storia della nostra amata (ultimamente troppo bistrattata!) Patria.
Maria, mi fai un grande dono con le tue parole… un augurio da parte tua è davvero prezioso.
Che piacere ritrovare qui la tua passione, il tuo amore per la scrittura, il tuo interesse sempre vivo per la Storia! Specie per la storia degli ultimi, dei dimenticati che si nascondono tra le sue pieghe o che vengono schiacciati dallo stivale dei vincitori.
Bene fai a ricordarci figure come quella della Montmasson. Come lei molte donne sono state volutamente misconosciute.
Chissà che Rosalia non reclami la tua penna. CONCETTA E LE SUE DONNE, un libro dei tuoi che ho molto amato è stato un grande atto d’amore, condivisione e memoria. Forse ti attende un’altra grande figura femminile cui prestare corpo e voce.
Grazie davvero.
Grazie, Patrizia…
Le donne che hai ricordato mostrarono di possedere coraggio e tenacia nell’amare i loro uomini e nel condividerne il destino.
Essere moglie compagna sorella figlia amante di un patriota – Anita Garibaldi docet – voleva dire essere pronte alla fame, all’esilio, all’esclusione sociale.
La storia del Risorgimento vede sempre di più emergere dall’oblio le donne. I documenti parlano chiaro: il contributo femminile alla nostra riscossa nazionale fu importantissimo. Non è facile far riemergere tutte le figure dimenticate ma il lavoro che ne viene fuori vale la fatica.
Un esempio: il dizionario ITALIANE ha trovato eco in Sicilia in SICILIANE, raccolta di biografie di donne illustri e non che sono patrimonio – ignorato o poco conosciuto – della Sicilia. Curatrice ne è Marinella Fiume per i tipi di Emanuele Romeo Editore.
Lì per esempio potete trovare biografie di artiste, patriote, nobili e popolane, mistiche e fondatrici di ordini religiosi, poetesse, attrici… e le donne dell’Ottocento sono tantissime.
Madri da cui dovremmo prendere esempio.
Ed ora… l’olio della lampada faglia.
La notte avanza.
Forse è l’ora di riporre l’elettronico pennino.
A domani e grazie a tutti per gli stimoli, gli interventi e le osservazioni. E per i vostri auguri… ne ho bisogno!
🙂
@Maria Lucia Riccioli: complimenti ed auguri per il libro. Premesso che l’Unità è un valore assoluto, proprio per la comunanza di lingua, di radici e di cultura, Benigni ha detto una serie di falsità, facendo cenni da storico. Tipo “è una rivoluzione che partì dal basso”: fu invece architettata dai vertici piemontesi, appoggiata dalla massoneria e dai servizi segreti britannici (avevano le camicie rosse per confondersi coi marinai inglesi nel porto di Marsala). E dai mafiosi siciliani. I camorristi napoletani diedero una mano nel momento del bisogno. “Ai meridionali, non resteranno neanche gli occhi per piangere”, previde Franceschiello quando tutto si compì. Ma ognuno, in proposito, è ovviamente liberissimo di dire il contrario e suonare la grancassa del vissero tutti felici e contenti.
La storia è spesse volte contraddittoria, la realtà è complessa e ha molte sfaccettature. Io sono grato a Benigni per il suo intervento a Sanremo. Intervento da artista, come si diceva, finalizzato a mettere in luce i sentimenti positivi che hanno mosso le donne e gli uomini, i ragazzi e le ragazze di quegli anni. Poi, tutto può essere strumentalizzato e viene strumentalizzato. Accade anche oggi. Ma quei valori, quei sogni, sono veri. Quando l’uomo smette di credere ai valori e ai sogni, senza per questo mettersi le fette di prosciutto davanti agli occhi, smette di vivere.
Auguri a Maria Luicia Riccioli anche da parte mia. E grazie per avermi fatto conoscere questa poetessa del Risorgimento, che altrimenti sarebbe rimasta a me ignota.
Benigni ha dato una interpretazione molto poetica del Risorgimento, da grande artista e di grande effetto. In questo momento particolare in cui l’unità d’Italia sembra solo uno spazio geografico in cui ognuno tira per conto proprio, con i leghisti che rifiutano di ascoltare l’inno di Mameli, un presidente del Consiglio che dinanzi all’Altare della Patria, tutto impettito e commosso, discute con Fini sul caso Ruby. Quella di Benigni è stata una scossa all’orgoglio degli italiani, una sana ventata di patriottismo, forse demagogica ma salutare. (De Angelis non mi toccare Benigni se no vengo fino a Napoli). Per il resto la storia è fatta di mille sfaccettature e di piaghe nascoste, a volte incancrenite. La prospettiva unitaria faceva comodo al ceto dirigente sabaudo e all’industria del nord che a causa delle barriere doganali trovava difficoltà a far circolare la propria merce. Ma veniva reclamata anche dal mondo intellettuale e da insigni sicilianisti come Pietro Lanza di Scordia, Isidoro La Lumia, Michele amari. Garibaldi e i suoi referenti isolani promettevano la terra ai contadini che si sarebbero battuti per la patria ma i fatti di Bronte, Alcara e altri centri hanno gettato molte ombre sul garibaldismo.
bellissima iniziativa!
lodevole dare spazio alle donne del Risorgimento.
diamo luce a chi è stato relegato a vivere nel buio!
Il volume racconta il periodo risorgimentale visto “dalla parte delle donne”. Una galleria di personaggi femminili che, in modi diversi, hanno contribuito a scrivere pagine di quel lungo, faticoso, controverso periodo che portò all’unità d’Italia. Emergono figure straordinarie che hanno saputo trasformare il loro tranquillo quotidiano in lotta, mettendo in pericolo le loro esistenze e i loro affetti per un futuro che non poteva offrire certezze. Accanto a nomi noti, come quelli di Anita Garibaldi e di Cristina di Belgioioso, l’autrice porta in scena il mondo femminile delle umili combattenti, le eroine delle Cinque Giornate di Milano, nonché le donne che seppero curare i feriti nelle organizzazioni ospedaliere spesso affidate al volontariato femminile. Offre uno spazio ampio al ruolo delle giornaliste straniere che raccontarono con i loro articoli le vicende delle lotte risorgimentali, come Margareth Fuller e Jessie White Mario. Penetra nei versi delle poetesse risorgimentali, come la grande improvvisatrice Giannina Milli o l’appassionata Giulia Molino Colombini, per raccontarne il valore nella costruzione di un ideale patriottico sempre più saldo e sicuro. Si inserisce nel mondo dei salotti: in una società come quella ottocentesca che affidava alla donna sostanzialmente i ruoli di moglie e di madre, questi momenti di incontro rappresentarono una essenziale forma di aggregazione sociale e culturale che cambiò nel corso del secolo, anche in relazione ai fatti storici e alla lenta emancipazione femminile che cominciò a fare capolino nei discorsi prima e nelle istituzioni poi. L’autrice offre insomma una ribalta a protagoniste quasi invisibili, alle quali la Storia ha riservato poche delle sue pagine ufficiali: e si avvicina a loro, al di là della dimensione della ricerca storica, con un particolare sguardo di tenerezza.
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BRUNA BERTOLO, Nata a Rivoli, dove risiede, è laureata in Pedagogia. È iscritta all’ordine dei giornalisti pubblicisti dal 1988. Dopo aver collaborato alla nascita della testata di informazione locale Rivoli 15, focalizza la sua attenzione sulla ricerca storica e sulla sua divulgazione, con particolare attenzione per la Storia dell’Ottocento. Per molti anni si è occupata delle pagine culturali del bisettimanale Luna Nuova, riportando alla luce personaggi e fatti che rappresentano pagine importanti di microstoria locale spesso dimenticati. Accanto alla Storia, l’altro interesse predominante è quello per il mondo dell’Arte; collabora con periodici del settore e fa parte del Comitato di redazione della rivista Segusium. Ha pubblicato numerosi saggi; per i tipi di Ananke ha collaborato alla realizzazione del volume collettaneo Egittomania (2006).
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http://www.ananke-edizioni.com/
Carissimo dottor Maugeri,
è bello che passo passo, a partire dalla netina Marianna Coffa, tutte le donne del risorgimento siano evocate come un coro di ombre, un esercito che ha passato un misterioso e prezioso testimone.
Mi sia concesso, al riguardo, citare una frase della grande Cristina Trivulzio di Belgiojoso, 1866….
“Vogliano le donne felici ed onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto tratto il pensiero ai dolori ed alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata, felicità!”
Ecco.
Mi pare bello che le donne di oggi non dimentichino quelle di ieri, grazie alle quali non solo sono approdate alla libertà, ma anche alla possibilità di rivendicare un’eredità.
Lo so, detto da un uomo pare strano, caro dottor Maugeri. Ma vede, io ho avuto una moglie artista, una rievocatrice dei destini dimenticati.
Mi ha insegnato tanto.
E, attravreso lei, mi son messo a guardare certe donne che portano pesi da uomo, in silenzio.
La società tutta è in obbligo con queste donne, caro dottor Maugeri, con quelle del passato e con quelle del futuro, con quelle che combattono in trincea e con quelle che la trincea la devono scavare in famiglia o nel lavoro.
Grazie da un vecchio nostalgico.
Vostro,
professor Emilio
“Avevo bisogno d’una donna che mi amasse subito!… sì, una donna!, e trovai Anita, la più perfetta delle creature… Da quel giorno non ho desiderato più niente. Il mio viso , come il viso del sole, era sfiorato dal suo sguardo, che era come una pioggia leggera, calma, sul mare” (dalle ‘Memorie’ di Giuseppe Garibaldi).
Ana Maria de Jesus Ribeiro, da tutti conosciuta come Anita, non fu certamente l’unica eroina del nostro Risorgimento.
Rosa Donato (1808- 1867) si unì alla schiera dei liberali messinesi che si ribellarono al governo borbonico dal gennaio al settembre 1848. Impadronitasi di un cannone sottratto ai nemici fu posta al comando della batteria dei “Pizzillari” con il compito di difendere le mura a nord-ovest di Messina.
Per ricordarne le gesta lo scultore Vincenzo Gugliandolo scolpì un suo busto in marmo, collocato nell’atrio dell’attuale Banco di Sicilia a Messina. (da “Eroi messinesi nell’epopea risorgimentale”)
Cordiali saluti a tutti da un angolo dell’Italia unita
Ines Desideri
@Maurizio De Angelis: vero è che gli anniversari del 1911 e soprattutto quello del 1961 furono occasione di parlare del Risorgimento come “rivoluzione mancata”, dato che la leva obbligatoria – sette anni rubati alla gioventù, alla terra da coltivare, alle donne lasciate a casa. Pensiamo a questi ragazzi mai usciti dal loro borgo, come ‘Ntoni Malavoglia, che si trovano nelle grandi città ad ubbidire a capi che non capiscono… – , le tasse – la più odiosa, quella sul macinato – e la piemontesizzazione del paese fecero bollare il Governo italiano “veru buttànu” in un canto siciliano popolare.
Vero è pure che la Massoneria, l’Inghilterra e il governo piemontese orchestrarono il Risorgimento col contributo delle classi più istruite.
Ma l’apporto popolare è indubitabile.
In Sicilia specialmente la rivoluzione del 12 gennaio 1848 fu prettamente popolare.
Nel mio romanzo io lego la delusione di Mariannina come donna e poetessa e quella postrisorgimentale.
Le ambiguità ci furono, forse questa unità fu più orchestrata a tavolino che frutto di un movimento spontaneo – pensiamo ai fallimenti delle spedizioni mazziniane, che avrebbero dovuto godere dell’appoggio delle popolazioni locali da “liberare” e invece furono votate al martirio.
Ma qui non si tratta di grancasse.
Non credo che la questione oggi sia “Risorgimento uguale tutto bello buono giusto e vero”.
La questione è: cosa rimane oggi di quel fermento? Siamo oggi orgogliosi e fieri di essere italiani? Qualcosa di quelle forze propulsive può generare una nuova fioritura?
Nell’Ottocento libertà voleva dire autodeterminazione dei popoli, liberazione dal dominio straniero, unità nazionale. Questi obiettivi erano anche quelli di un determinato ceto sociale, la borghesia, che nell’Ottocento trova piena affermazione. E quelli del liberalismo. Quindi libertà “condizionata” dalla politica, dall’economia…
Cos’è libertà oggi? Diritti umani, futuro per i nostri giovani, affrancamento dalle pastoie di certa cultura che ci vuole imbarbariti per farci consumatori passivi.
Grazie al professor Giuseppe Barone, docente di storia contemporanea nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, ed alla dottoressa Concetta Sirena ho avuto modo di approfondire la tematica del Risorgimento nei vari aspetti che riguardano la realtà della Spedizione dei Mille, i preparativi soprattutto, l’attività diplomatica, i contatti con gli ingelsi, etc, e il Risorgimento nel melodramma, nel costume, nell’opera lirica, nel simbolismo delle manifestazioni, Scrivendo la mia tesi di laurea su Francesco Paolo Perez (Palermo 1812-92) trovo che fu il precettore di Giuseppina Turrisi Colonna, sensibile, eroica, appassionata poetessa palermitana che morì di parto a soli 26 anni. Fu grazie a Perez che Giuseppina compose le sue patriottiche e infiammate liriche,il suo primo maestro privato , Giuseppe Borghi non aveva saputo -coltivare- questo aspetto del -cuore lirico- della sensibile Giuseppina, lo fece il Perez . Al maestro Giuseppina nel 1847 dedicò una lirica e quando il poeta palermitano pubblicò la poesia ALLE DONNE SICILIANE rispose La Turrisi Colonna con un’altra lirica dedicata Alle donne siciliane, composta negli anni 1846-1847- contenuta nella raccolta G.Turrisi Colonna, Liriche e lettere, a cura di F. Guardione, Paravia Torino 1922- che si conclude con alcuni indimenticabili versi impressi da una appassionata tonalità rivendicativa dei diritti e doveri delle donne e del loro protagonismo educativo, e di conseguenza, morale e civile;
Di speme, di coraggio
Ebbre correte il nobile sentiero,
E nell’amor, nell’ira
Dimostrate il valor che più non dorme.
Né trastullo, né servo il vostro sesso,
Col forte salga a dignità conforme;
Veder deh tosto il raggio
Di sì bel giorno deh
mi sia concesso;
Ah, vi sproni il mio verso
A ridestar la patria e l’universo
Ritroviamo le donne del Risorgimento,
scriviamo una storia del Risorgimento con le vicende delle donne nonsolonelleschede?
Elena Clara Antonia Carrara Spinelli (Bergamo, 13 marzo 1814 – Milano, 13 luglio 1886) è stata una patriota e letterata italiana, meglio nota come Chiara o Chiarina Maffei, dal nome del marito, il conte Andrea Maffei.
Si sposò a diciassette anni con Andrea Maffei, da cui si separò consensualmente il 15 giugno 1846. Ebbe una lunga e duratura relazione con Carlo Tenca.
Fu nota per il suo salotto milanese, punto d’incontro di tante persone illustri: letterati, artisti e patrioti del Risorgimento, tra cui Alessandro Manzoni, Giuseppe Verdi e Giovanni Prati.
Morì di meningite nel 1886.
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Per approfondimenti:
http://www.letteraturaalfemminile.it/la_contessa_clara_maffei.htm
Credo che sia questo il lascito del nostro Risorgimento: riflettere su come abbiamo ottenuto la nostra indipendenza per condividere le speranze di chi adesso lotta per il futuro – pensiamo ai libici, agli egiziani, ai tunisini. A proposito: anche qui si parla di guerra di popolo / guerra eterodiretta per fini che travalicano la volontà popolare.
Vengo adesso da scuola.
Dopo la cerimonia dell’alzabandiera, canti e poesie del nostro Risorgimento.
Che festa di bandiere, coccardine… commovente un ragazzo che recitava i versi di un suo anonimo coetaneo in camicia rossa.
Ho visto passione, partecipazione.
Ecco, se la nostra gioventù può riuscire a trovare ragioni di unità nel passato, ben vengano le celebrazioni.
L’Italia siamo noi. Dobbiamo ricordare ciò che siamo stati, accettare il nostro passato con le luci e le ombre per costruire l’avvenire del nostro paese.
Ricollegandomi all’intervento della collega Annalisa Stancanelli vi posto qualche appunto sulle donne del Risorgimento.
I cosiddetti “studi di genere” hanno fatto luce su figure storiche di donne inghiottite dall’oblio più o meno deliberato in cui erano state confinate e più in generale sulla storia del genere femminile.
Neanche la storia del Risorgimento si sottrae a dimenticanze, ad occultamenti spesso deliberati: alzi la mano chi si ricorda qualche altra donna patriota oltre ad Anita Garibaldi, alla madre di Mazzini, dei fratelli Cairoli…
Eppure non tutte le donne dell’Ottocento possono essere ridotte al cliché dell’angelo del focolare, al “santino” di sorelle spose e madri di eroi.
Anzi proprio l’Ottocento è il secolo in cui le donne lottano maggiormente per l’autodeterminazione, per l’autoaffermazione che era il sogno dei popoli oppressi ma anche del genere femminile.
Molte furono le donne impegnate in attività di fiancheggiamento della nostra riscossa nazionale e tante tra esse furono le siciliane, pur tra le mille difficoltà dovute a retaggi culturali duri a morire. Alcune di esse furono addirittura impegnate in prima linea durante i moti risorgimentali.
Un proclama del gennaio 1848 recita infatti: «Abbiamo donne combattenti che ci ricordano il valore delle Amazzoni». L’esortazione era quella di rendersi «degne del nome di donne».
Pensiamo a Giuseppina Bolognini, ovvero Peppa la cannoniera (1841-1900). Umile trovata, esercitò il mestiere di stalliera tra signori e cavalcature. Allo scoppiare del moto della Gancia, divenne la portamessaggi, la “postina” della rivoluzione. Unitasi agli insorti di Mascalucia, diede fuoco alle polveri nel vano di carica di un cannone, legando per sempre ad esso il proprio nome. Vestita d’azzurro, giacchettina alla calabrese, penne di gallo e borraccina, si unì perfino alla Guardia nazionale ottenendo il grado di caporale d’artiglieria e una pensione vitalizia di quattro tarì al giorno.
Oppure ammiriamo la figura di Rosa Donato Rosso (1808-1867), che tra gli insorti messinesi si distinse come cospiratrice e combattente, o quella di Antonina Cascio (1797-1905), che a capo di duecento popolane come lei strappò il vessillo borbonico ai soldati che tentavano di arginare la rivolta del 1820, cui seguì una violenta restaurazione. Nel 1859 avvertì Crispi dell’agguato all’albergo Vittoria e riuscì ad incontrare Garibaldi.
Ricordiamo anche Santa Di Liberto, sarta, che il 12 gennaio 1848 distribuiva coccarde tricolori ed ospitava nella sua bottega riunioni sediziose. Le cronache raccontano che «ben fu ardimentosa, poiché lungo la piazza del Gianraffaello, appena spuntata l’alba […], spiegando la tricolorata bandiera eccitava il popolo ad unirsi a quei valorosi dicendo che era volere di Dio, di Pio IX, dell’Italia tutta, difendere la causa peraltro santissima; che quello era il sogno della nostra rigenerazione, che se sordi a quel grido saremmo stati calpestati dall’odioso tiranno e maledetti da tutte le nazioni». Fu pubblicamente lodata con queste parole: «Sia lode a questa cittadina che a buon diritto merita di essere ricordata come uno dei principali motori della nostra rivoluzione».
Altra popolana entrata nella leggenda è la cosiddetta Testa di lana, Anna o Teresa o addirittura Maria nei documenti, capraia o venditrice di fichi d’India che, abbigliata in foggia strana, pugnale, pistole e sciabola al fianco, fu un’altra delle “barricadere” di estrazione popolare.
Siamo infatti avvezzi a figure come Cristina di Belgioioso ed altre nobildonne, mentre le donne del popolo sono state spesso dimenticate.
Possiamo quindi dire che da una parte la cultura risorgimentale vuole le donne impegnate a trasfondere sublimi sentimenti nei figli, conferendo quindi loro una grande responsabilità educativa, dall’altra le figure femminili che emergono sono molto variegate, impegnate come le vediamo sia sul fronte dell’arte che su quello della politica o addirittura militare.
Per quanto riguarda il versante delle poetesse e delle artiste in genere, la Sicilia ne vanta un’ampia schiera: ricordiamo Concettina Ramondetta Fileti (1829-1900), poetessa, corrispondente e amica di Mariannina Coffa; Lauretta Li Greci (1833-1849), che unì la sensibilità al sentimento civile, Giuseppina Turrisi Colonna (sua sorella Anna sarà una pittrice e ricercatrice), Rosina (1815-1866) e Concettina Muzio Salvo (1836-1909), note per la loro poesia patriottica e civile che le apparentava alle sorelle lombarde, alle donne toscane.
Molte furono le mistiche – che continuarono una secolare tradizione pur in un periodo storico caratterizzato dalle cosiddette leggi eversive e più in generale da rapporti molto tesi fra lo Stato e la Chiesa, frutto anche della temperie culturale del Positivismo – e le fondatrici di ordini religiosi a fini assistenziali ed educativi oltre che contemplativi: una per tutte la Beata Maria Schininà, che nel 1871 fu nominata ispettrice scolastica insieme alla Coffa (la quale scrive di lei ad Ascenso Mauceri, l’antico fidanzato, parlandone come di una “buonissima giovane”). La baronessina Schininà, lottando contro l’ostilità della famiglia e certe incomprensioni della Chiesa, fonderà l’ordine delle suore del Sacro Cuore di Gesù.
Possiamo concludere con i versi di Giuseppina Turrisi Colonna: «L’ardire dei Sicani si rifonda in noi» e «Sorgete o care, e nella patria stanza / per voi torni l’ardire e la speranza». Solo le donne possono e devono risollevare le sorti della patria, «Né trastullo né servo il nostro sesso».
Molto interessante la mini bio della Maffei.
@ Oreste: grazie dell’intervento: non potrei riassumere meglio il mio pensiero su Benigni. Un artista non è uno storico. Quando Omero narra le vicende della guerra di Troia non possiamo chiedergli né precisione cronologica né ricostruzione rigorosa dei fatti. La poesia viaggia su altre categorie logiche. Stessa cosa per Shakespeare: i drammi storici hanno un taglio da drammaturgo, non da storico. Si parva licet, nella mia narrazione – che è un romanzo e non un libro di storia, un saggio… cose che lascio agli specialisti – ho utilizzato documenti lettere libri, ma avevo bisogno di trasmettere emozioni, sentimenti, valori. Che mi si critichi pure, ma lo scrittore trasmette una forma altra di verità. Secondo Sciascia la più alta, ma in ogni caso diversa.
Sempre ad Oreste: grazie. Se il mio libro e questo post riusciranno a gettare luce su una figura come quella di Mariannina ne sarò felice.
@ Ines: grazie per aver parlato di Rosa Donato, una delle “barricadere” delle nostre rivoluzioni.
La Sicilia non è stata solo spettatrice passiva ma parte attiva del Risorgimento.
I settentrionali che oggi mettono in discussione l’unità nazionale dovrebbero ricordare quanti lombardi piemontesi liguri e via nordeggiando combatterono e morirono per l’idea di patria, idea finora letteraria – la Repubblica delle Lettere esisteva già dall’Umanesimo se non da prima, sottolineamolo.
E c’è anche da dire che l’idea federalista che oggi ci sembra appannaggio dei leghisti verdefazzolettati è un’idea ottocentesca che ebbe dei siciliani come antesignani.
Professor Emilio,
altro che nostalgico… uomo d’altri tempi piuttosto.
Non sono molti oggi i compagni e i mariti che ringrazierebbero le proprie donne per aver loro insegnato qualcosa.
Grazie sempre per i suoi interventi. Molto bella la citazione della Belgiojoso…
🙂
Stasera avrò il piacere e soprattutto l’onore di cantare in occasione dei 150 dell’Unità d’Italia al Teatro Vittorio Emanuele di Noto insieme all’Accademia di canto “Carmelo Mollica”.
http://www.accademiamollica.it.
Che si trova di fronte al “Matteo Raeli”, la scuola dove ho insegnato.
A guardarci dalle aiuole, i busti di Matteo Raeli e Mariannina Coffa.
Ah! La Turrisi Colonna! La amai molto in gioventù , cara dott.ssa Stancanelli, questa poetessa che direi in tutto simile a Leopardi!
Quando parla degli affetti famiglairi, ad esempio, lo fa per raccoglimento in se stessa, volontario esilio dall’“uman disastro”, dal “vuoto”, dal “gelido torpor” di un secolo” fatto più “di colpe” che “di virtù”.
…molto moderna, davvero.
Brava ad averla ricordata
Il vostro
Professor Emilio
Mi sono piaciute le interpretazioni che ne hanno fatto di “ferita all’ala un’allodola” Simona Lo Iacono e Luigi La Rosa. Illuministica la prima, romantica la seconda e quindi entrambe con strumenti intellettuali risorgimentali. Mi congratulo con la scrittrice Maria Luisa Riccioli(Rìccioli o Ricciòli?) che nella scelta del tema rivela tante qualità di donna , di intellettuale e di insegnante. A Massimo dico che è bravo a trovare materia di qualità ma mi permetto di consigliargli di allungare lo sguardo oltre la terra di Archimede, così per non chiudersi in quella concezione greco-antica quando la terra era quadrata ed il cielo rotondo.
• Mi sembra che questo libro interroghi anche la società del tempo sulle fondamenta del femminismo e sulla collocazione della donna intellettuale nella società del nostro tempo. Dalla vita e l’opera di parecchie donne vissute tra il settecento e l’ottocento ho tratto l’idea che la donna sia stata percepita sempre come un pericolo per la società,soprattutto a livello politico e culturale, forse per la memoria forte che l’umanità ha della bibblica Eva e quando si è cercato di rivalutare la “persona donna” tutto si è dibattuto sulla questione del lavoro e del voto che ha continuato a relegare la donna ad una dimensione esclusivamente familiare. Quando nel Risorgimento qualche segnale di emancipazione cominciava a delinearsi all’orizzonte esso riguardava sempre donne della buona borghesia o mogli e madri di eroici combattenti . Ma se a loro era concesso di uscire dal tetto domestico lo era per vederle in una dimensione domestica più ampia tipo associazionistico sul quale anche la chiesa era d’accordo. Infatti il filantropismo illuministico e il sociologismo sansimoniano hanno fatto uscire la donna da casa. Il nostro Risorgimento le ha fatte infermiere, dame di carità, ma non ha parlato ad esse di promozione civile e politica e meno che meno di uguaglianza di diritti. In una Italia di Mazzini, di Rosmini, di Gioberti questa Italia assente davanti alla sofferenza della donna si rivela sempre come un’Italia del potere e della prepotenza, un’Italia medioevale con il suo ponte levatoio. Tuttavia, secondo me, all’interno della questione operaia nel Risorgimento si coagula la questione femminile. Dai miei ricordi di pedagogia riemerge la figura di Laura Mantegazza,fondatrice, mi pare,del Ricovero per i neonati poveri, detta la “cilappa” soprannome con cui si esprimeva la cognizione che si aveva della donna come persona ingenua e non in possesso di quelle malizie necessarie per espandersi e governare nel mondo. Il Risorgimento italiano nelle gerarchie delle priorità e dei privilegi riserbò questi esclusivamente agli uomini.
Certo la Storia dell’emancipazione femminile ci pone davanti ad una serie di interrogativi, una storia che non è soltanto nostra del Risorgimento italiano ma di tutte le donne della Terra che vivono in questo momento l’oscurantismo umano senza uno spiraglio di luce per sperare in un sofffio di giustizia e di libertà. Sono convinta che fino a quando le donne non solidarizzeranno con le schiave nessuna di noi sarà veramente libera. Io parlo di donna e non di femmina. La donna ha dei diritti universali, la femmina si gestisce come vuole e fino a quando le scelte sue che non condivido sono a dieci centimetri da me, si goda pure la sua libertà.
E’ un bel tema e meriterebbe qualcosa di più approfondito. Sarà per un’altra volta quando cioè il tema donna “letteratitudine” lo sposterà su quello del Femminismo e possiamo parlare di Hanna Arendt,ed….. e nessuno avrà più paura di Virginia Woolf.
Luigi La Rosa :sei di Castroreale?
@ Mela Mondi
Le consiglio di guardare questo post, che forse può essere di suo interesse. A me colpi’ molto, tempo fa, mentre scartabellavo tra il blog
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/06/16/le-donne-e-le-societa-difficili-salma-e-abeeda/
Bellissimi i contributi su donne e Risorgimento che ho letto finora. Grazie
Carissima sig.ra Mela,
molto bello il suo intervento, me ne compiaccio!
Tuttavia non direi che il carissimo dottor Maugeri non vada oltre la sacra terra d’Archimede quando scova la bellezza e la qualità.
Non si spiegherebbero allora esordienti che vivono a Londra (Viola Di Grado), autori di riconosciuta romanità (Dacia Maraini), baresi (Gianrico Carofiglio), sardi (Murgia, di recente vincitrice al Campiello), tedeschi e d’oltre oceano (vedi “Letteratitudine chiama mondo” e la rubrica “babelit”).
Direi che ce n’è per tutti i gusti e per tutte le nazionalità!
Evviva la magnifica capacità di letteratitudine di saper dare spazio a tutto e atutti!
Il sempre vostro
professor Emilio
Un saluto al prof. Emilio.
Sul post dell’8 marzo ho letto anche questo pezzo della professoressa Razgallah sulle donne tunisine
http://www.protagonisteinrete.it/?q=node/3115
Ma qui si parla di donne nel Risorgimento italiano. Un saluto a tutti/e dal freddo Nord
Cristina Trivulzio Belgiojoso (Milano, 28 giugno 1808 – Milano, 5 luglio 1871) è stata una patriota italiana che partecipò attivamente al Risorgimento italiano. Fu editrice di giornali rivoluzionari, scrittrice e giornalista.
Il suo nome completo era: Maria Cristina Beatrice Teresa Barbara Leopolda Clotilde Melchiora Camilla Giulia Margherita Laura Trivulzio
Cristina, figlia di Gerolamo Trivulzio e Vittoria dei Marchesi Gherardini, rimase orfana di padre molto presto. La madre si risposò poco tempo dopo con Alessandro Visconti D’Aragona ed ebbe un figlio maschio e tre altre figlie femmine. Cristina fu molto attaccata ai suoi fratelli e sorelle (Alberto, Virginia “Valentina”, Giulia , Teresa).
Non si sa molto della storia di Cristina da bambina. Le poche informazioni che si hanno sono tratte da una lettera in cui lei si descrive alla sua amica Ernesta Bisi, contrariando un frenologo che pretendeva di conoscere le persone solamente dalla forma del loro corpo. Cristina stessa dice: “Ero una bambina melanconica, seria, introversa, tranquilla, talmente timida che mi accadeva spesso di scoppiare in singhiozzi nel salotto di mia madre perché credevo di accorgermi che mi stavano guardando o che volevano farmi parlare”.
Ernesta Bisi era la sua maestra di disegno. A quel tempo usava insegnare alle giovinette di nobile famiglia il canto, il disegno e altre forme d’arte. Nonostante la differenza d’età, rimasero grandi amiche per sempre e le confidenze più intime saranno fatte proprio a lei.
Ernesta la introdusse nel mondo della “cospirazione”, attraverso le sue amiche. Il momento più importante della giovinezza di Cristina è il matrimonio con il bello e giovane principe Emilio Barbiano di Belgiojoso. Molti cercarono di dissuaderla, conoscendo le abitudini libertine di Emilio, ma alla fine il matrimonio si fece. Ci furono grandi invitati nella chiesa di S. Fedele a Milano il 24 settembre 1824. La più ricca ereditiera d’Italia si portava una dote di 400.000 lire austriache (più di 4.000.000 di € odierni). Aveva solo 16 anni quando acquistò il titolo di principessa.
Il matrimonio non durò molto. Ufficialmente non divorziarono mai, ma in realtà si separarono pochi anni dopo, rimanendo buoni amici (con qualche alto e basso) fino alla morte. Il marito continuò la sua vita libertina, accompagnandosi con la contessa Anna Berthier di Wagram per dieci anni nella sua villa sul lago di Como Villa Pliniana.
Alla fine degli anni venti Cristina, dopo l’arresto del patrigno si avvicinò alle persone più coinvolte con i movimenti per la liberazione. Gli austriaci, che dominavano la Lombardia dal 1815 e specialmente il capo della polizia Torresani iniziarono la loro opera di spionaggio che durò fino all’unità d’Italia. Era bella, potente, e poteva dare molto fastidio. Fortunatamente la sua fama, la sua posizione sociale, e la sua solerzia alla fuga, la salvarono da arresti facili. Agli austriaci non andava di sembrare “cattivi” con l’élite milanese, e faceva loro comodo chiudere un occhio sulle sue frequentazioni. Non va inoltre dimenticato, che il nonno di Cristina, il Marchese Maurizio dei Gherardini, fu Gran Ciambellano dell’Imperatore d’Austria e poi, fino alla sua morte a Torino, anche Ministro Plenipotenziario d’Austria presso il Regno Sabaudo. Un arresto della nipote avrebbe ulteriormente ingigantito lo scandalo.
Nonostante ciò, con la dovuta cautela, il governo di Vienna le mise comunque i bastoni fra le ruote, e sentendosi costantemente minacciata, Cristina scappò nel sud della Francia. Il racconto di questa fuga è stato raccontato da alcuni biografi con aspetti rocamboleschi. È sicuro in ogni caso, che lei si sia trovata in Provenza sola e senza soldi. Tutti i suoi averi erano stati congelati dalla polizia austriaca e per molto tempo non poté attingere alcun denaro. L’ultima liquidità era stata infatti impegnata a pagare i debiti del marito, in cambio della sua libertà.
Cristina Trivulzio Belgiojoso – 1832, dipinto di Francesco HayezSi ritrovò sola ed ospite di amici nel paesino di Carqueiranne. Qui entrò in scena un nuovo amico, tale Pietro Bolognini detto “il Bianchi”, ex notaio di Reggio Emilia, a cui le spie austriache assegnarono subito il ruolo di amante. Qui conobbe Augustin Thierry, uno storico divenuto da poco tempo cieco, che le rimarrà amico fino alla morte. Dopo alcuni mesi, nonostante la mancanza di soldi, sbarcò a Parigi e si trovò un appartamentino vicino alla chiesa della Madeleine.
Si arrangiò con pochi soldi per alcuni mesi. Si cucinò per la prima volta da sola i suoi pasti e si guadagnò da vivere cucendo pizzi e coccarde. Una vita un po’ diversa da quella a cui era abituata a Milano; eppure quando aveva iniziato quest’avventura, non aveva riflettuto molto prima di agire, anche se sapeva di dover così affrontare tempi difficili. Sarebbe stato semplice recuperare i suoi soldi e stare comoda nei suoi palazzi a Locate o a Milano. Le sarebbe bastato star tranquilla e non alzare troppa polvere di fronte al Torresani. Persino il governatore austriaco Hartig ed il Metternich in persona si scambiavano lettere riguardo alla principessa e placavano il loro capo della polizia, che l’avrebbe invece volentieri incarcerata.
Dopo poco tempo, un po’ con i soldi inviati dalla madre e un po’ con quelli recuperati dai suoi redditi, riuscì a cambiare casa e ad organizzare uno di quei salotti d’aristocrazia, dove riuniva esiliati italiani e borghesia europea.
Negli anni trenta frequentò il poeta tedesco Heinrich Heine, il compositore ungherese Franz Liszt, lo storico francese François Mignet, il poeta francese Alfred De Musset e tanti altri. Ebbe anche una fitta corrispondenza con l'”eroe di due mondi” La Fayette, vecchio generale protagonista della rivoluzione francese. Le attribuirono tanti amanti, un po’ come ci si aspetterebbe oggi da una bella donna ricca in una situazione del genere. Aveva ancora rapporti di amicizia con il marito, con cui condivideva però il pensiero politico e nient’altro. In questi dieci anni ella continuò a contribuire alla causa italiana, cercando di influenzare i potenti, scrivendo articoli e diventando addirittura editore di giornali politici, quando non trovava altri editori disposti a pubblicare suoi scritti giudicandoli pericolosi.
A lei continueranno ad arrivare richieste di soldi per fini patriottici, e lei cercherà di distribuirne tantissimi, in modo da aiutare i poveri esuli italiani, di cui lei era ormai diventata la referente parigina, e investendo in sommosse o addirittura organizzando movimenti di armi per i “ribelli” italiani. Nel 1834, ad esempio, donò 30 000 lire (su un suo budget complessivo di centomila) per finanziare il colpo di mano mazziniano nel Regno di Sardegna, in cui peraltro perse la vita Giovanni Battista Scapaccino, considerato la prima Medaglia d’Oro al Valor Militare del futuro esercito italiano. Per l’occasione, la nobildonna aveva persino ricamato con le proprie mani le bandiere degli insorti
Nel 1838 la sua vita subisce una rilevante svolta con la nascita di Maria, la sua prima figlia. Il padre naturale non era sicuramente il marito, che non frequentava. È stato ipotizzato fosse il suo amico François Mignet o il suo segretario Bolognini.
Da quel momento ella lascia i suoi salotti ed i suoi ricevimenti e trascorre alcuni anni di semi-isolamento. Trascorre una vacanza in Inghilterra con i suoi fratelli e sorelle, e in questa occasione si reca a trovare Napoleone III in esilio riuscendo a strappargli una promessa: dopo che avrà acquistato potere in Francia, cercherà di operare a favore della causa risorgimentale italiana. Accadrà invece che, una volta andato al potere in Francia, i suoi comportamenti nei confronti della causa risorgimentale procureranno a Cristina Trivulzio Belgiojoso molte contrarietà.
Successivamente ella torna a Parigi per circa un anno, per poi tornare finalmente nella sua Locate, dove inizia le sue opere sociali. Qui organizza asili e scuole e trasforma il suo palazzo in un falansterio, ovvero nel centro di una comunità secondo il modello idealizzato da Charles Fourier; a questo modello ella apporta alcune modifiche da lei ideate. Inoltre crea uno scaldatoio pubblico e dona delle doti alle sposine più povere. Cristina vorrebbe anche modificare gli insegnamenti religiosi, che ritiene in parte criticabili, ma non procede in questa direzione che avrebbe incontrato notevoli ostacoli.
Cristina Trivulzio Belgiojoso continua anche la sua opera politica cercando di convincere tutti che l’unica soluzione per muoversi verso l’unione italiana era di supportare Carlo Alberto e quindi il prevalere della dinastia dei Savoia. Il suo obiettivo non era una monarchia, ma una repubblica italiana simile alla francese; tuttavia, se per arrivare alla repubblica bisognava prima unire l’Italia, l’unico mezzo era di appoggiare la monarchia dei Savoia.
Nel 1848, trovandosi a Napoli durante l’insurrezione che porta alle cinque giornate di Milano, parte subito per questa città; inoltre paga il viaggio ai circa 200 napoletani che decidono di seguirla, tra gli oltre 10.000 patrioti che si erano assiepati sul molo per augurarle buona fortuna.
Per qualche mese si respira aria di libertà, ma si sviluppano anche forti discordie interne sulle modalità del proseguimento della lotta. Pochi mesi dopo, il 6 agosto 1848, gli austriaci ritornano a Milano e lei, come molti altri, è costretta all’esilio per salvarsi la vita. Si calcola che almeno un terzo degli abitanti di Milano espatriasse prima del ritorno degli austriaci.
Passato un anno, Cristina Trivulzio Belgiojoso si ritrova in prima linea nel corso dell’insurrezione romana divampata dal 9 febbraio al 4 luglio del 1849. A lei assegnarono l’organizzazione degli ospedali, compito che assolse con dedizione e competenza, tanto da poter essere considerata come antesignana di Florence Nightingale.
Anche a Roma la rivolta è sedata e per di più proprio con l’aiuto dei francesi sui quali Cristina tanto aveva contato. Sfumata anche questa speranza di libertà e sentendosi tradita dal suo stesso amico Napoleone III, salpa su una nave diretta a Malta. Inizia così un viaggio che la porta in Grecia per finire in Asia Minore, nella sperduta e desolata valle di Ciaq Maq Oglù, vicino alla odierna Ankara, Turchia.
Qui, sola con la figlia Maria e pochi altri esuli italiani, senza soldi e mantenedosi solo a credito, organizza un’azienda agricola. Da qui invia articoli e racconti delle sue peripezie orientali ed in tal modo riesce a raccogliere dei denari che le consentono di continuare a vivere per quasi cinque anni. Nel 1855, grazie ad una amnistia, riottiene i permessi dalla autorità austriaca e riesce a tornare a Locate.
Nel 1858 muore il suo ancora legale marito Emilio e pochi anni dopo ella riesce finalmente a far legittimare sua figlia Maria. Nel 1860, dopo il matrimonio di sua figlia con il buon Ludovico Trotti Bentivoglio, inizia una vita da suocera. Nel 1861 si costituisce finalmente l’Italia unita, da lei tanto desiderata, e lei può lasciare la politica con una certa serenità.
Da questo momento vive appartata tra Milano, Locate ed il lago di Como. Acquista una villetta a Blevio dove si trasferì con il suo fedele Budoz, il servo turco che l’aveva seguita ormai da vent’anni e Miss Parker, la governante inglese che aveva vissuto con lei fin dal suo viaggio del 1839 in Inghilterra.
Muore nel 1871, a soli 63 anni. Aveva avuto una vita con molte peripezie e aveva sempre sofferto di varie malattie, nonché un tentativo di omicidio che le aveva lasciato diverse ferite. Viene sepolta a Locate, dove la sua tomba si trova tuttora. Al suo funerale non partecipa nessuno dei politici dell’Italia che lei cosi grandemente aveva contribuito ad unire.
Caro dottor Maugeri,
ben vengano tutte queste belle testimonianze!
Sono finiti – per grazia di Dio – i tempi in cui Carlo Cattaneo affermava: “Rispettiamo il romanzo storico, lo accettiamo con plauso, specialmente quando lo scrive D’ Azeglio, Grossi e Guerrazzi, ma ci è del tutto indifferente che le nostre letterate se ne occupino”.
A causa di questa chiusura il nome di talune letterate davvero illustri è sfuggito alla storia.
Il suo
Professor Emilio
Eccomi di nuovo qui a godere della bellezza di questo luogo!
Buona sera a tutti!
Condivido la malinconia del professor Emilio nel constatare la triste chiusura di tanti letterati dell’Italia preunitaria nell’accettare l’opera femminile. Basti pensare che Francesco Domenico Guerrazzi nel 1857 dopo il Carnevale, pubblicò un libello dal titolo “Memento homo”, in cui deplorava con parole roventi la partecipazione delle donne ai balli. Gli rispose Nina Bardi, il 22 marzo, con una intensa brochure, per i tipi di Delle Piane di Genova, con parole piene di dignità e di orgoglio, ricordando le varie forme di presenza femminile “… in questi tempi in cui il sesso dei forti (fatte poche eccezioni) s’addorme in vano torpore…”
Eppure in questo periodo le donne amano appassionatamente e di questo amore alimentano progetti e attività.
Sia che aprano i loro salotti al nuovo spirito libertario, come Nina Schiaffino Giustiniani, o Bianca De Simoni Rebizzo, o accolgano gli esuli nelle loro case, come Giuditta Sidoli, o svolgano nuovi ruoli, come fondare scuole e istituti professionali, asili per gli orfani, studiare problemi sociali e del lavoro, come Bianca Rebizzo, Cristina Trivulzio, Elena Casati Sacchi, Luisa Solera Mantegazza, esse consegnano alla storia e al futuro dell’Italia un patrimonio di valori morali e civili che accompagnerà il faticoso percorso dell’unità.
E tuttavia il riconoscimento del loro valore si ridusse spesso ad una valorizzazione di elementi romanzeschi, mentre molti pregiudizi maschili impedirono anche a uomini di valore di comprendere l’intelligente e costruttivo apporto di idee di alcune straordinarie figure di donne, quali Cristina Trivulzio.
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Una berve nota giuridica: Il cammino verso l’emancipazione sarà lungo,le donne avranno il diritto di esprimere il loro voto solo nel 1947.
Nel 1945 infatti, il Consiglio dei Ministri a presidenza Ivanoe Bonomi emanò il decreto legislativo luogotenenziale 2 febbraio 1945, n.23, che così recitava:”Estensione alle donne del diritto di voto”.
Nel 1946 venne infine previsto il ” Voto universale per uomini e donne che abbiano compiuto la maggiore età (21 anni inizialmente, e 18 anni a partire dal 1975)”.
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La prima occasione di voto – la prima in assoluto per le donne in Italia – sono le elezioni amministrative che si tengono in tutta la penisola fra il marzo e l’aprile del 1946; subito dopo, il 2 giugno 1946, gli italiani sono nuovamente chiamati alle urne per il referendum istituzionale tra Monarchia o Repubblica e per l’elezione dell’Assemblea costituente
@Simo. Eppure si sente la mancanza delle brave donne di una volta: ubbidienti, devote, servizievoli.
Tornando a Mariannina Coffa, vorrei chiedere a Maria Lucia di parlarci dei suoi ultimi anni di vita, quelli in cui, sfinita dalle sofferenze fisiche e morali, decise di allontanarsi dalla casa coniugale per rientrare a Noto, dove la famiglia rifiutò di accoglierla.
Cara Mari, parlaci di questo momento, della solitudine di questa donna, delle illusioni e dei sogni perduti.
Salvuccio…anche adesso ci sono donne devote, più di quanto si possa pensare! Coraggio!
…e con questo ultimo atto di speranza vi auguro una meravigliosa vigilia!
Che domani squillino le trombe!
L’Italia s’è desta.
Bacio
Simo
Il Book-trailer che introduce il libro biografico di Marianna Coffa riassume il trinomio di qualità pittura-musica-immagine: ed è sulle note di Chopin, intervallata da architetture di splendido barocco siciliano, che riconosco Francesco Hayez con il suo quadro d’apertura intitolato Malinconia (1842), dove viene raffigurata la solennità fisica di una fanciulla seriosa e burbera. I critici l’hanno identificata come rappresentativa dell’Italia di quel tempo, ah però fu subito un gran successo, tanto che il veneto Hayez ne fece varie versioni.
Qualche anno dopo, nel 1860 al caffè Michelangelo di Firenze si riunivano letterati ed artisti, fra i quali Giovanni fattori capostipite dei macchiaioli; dal momento che Giovanni Fattori fece esperienza di soldato, ho pensato che sul campo di battaglia al posto della baionetta portasse i pennelli, ma è artista memorabile grazie alla luce dentro le tele, al suo sguardo raffinato di disegnatore, poetico narratore risorgimentale.
Comunque, per rappresentare la donna socialmente attiva come la intendiamo noi dobbiamo arrivare al famoso “Quarto Stato” dipinto da Giuseppe Pellizza Da Volpedo, non tralasciando quel genere detto realismo che attraversa l’Europa a metà ottocento e che ha già trovato i suoi autori in Courbet, Corot, Millet, il corrispettivo di Fattori in Honorè Daumier, intendo bellissimi quadri dove la Storia con le sue guerre ed i suoi eventi sociali sembra passare sul volto dello spettatore come una carezza …
Aggiungo che l’idea di inserire nel book-trailer fotografie d’epoca mi è piaciuta molto, sono toni di seppia delicati.
Come delicata e densa di sensibilità appare la vita della poetessa Marianna Coffa, detta “Mariannina, piccola e senza posteri? Per colpa di chi?
Ciao Lucia e grazie per aver portato alla luce storie di grandi sicule
Una leggenda o una realtà? Virgina Oldoini, contessa di Castiglione.
Una bellissima donna che fece di se stessa un mostro e un mito.
Quanto contò il suo negligé e se contò per l’Unità d’Italia?
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Chi fu veramente Virginia Oldoini, contessa di Castiglione?
La bellissima cugina di Cavour che favorì la causa italiana diventando l’amante di Napoleone III o la fredda cocotte che annotava i particolari dei tanti flirt nel suo Journal intimo, servendosi di un codice cifrato, e che seppe abilmente riciclarsi come informatrice politica ed economica a pagamento di banchieri e potenze straniere.
Figlia del diplomatico e marchese spezzino Filippo Oldoini e di Isabella Lamporecchi, ma nata a Firenze, si dice che debba il suo soprannome infantile Nicchia, attribuito a Massimo d’Azeglio grande amico della famiglia, alla deformazione del suo nome Virginia in Virginicchia o all’abitudine di tenersi rannicchiata.
Quando lei era bambina, i Bonaparte in esilio in Italia e Alexandre Walewski, figlio naturale di Napoleone, frequentavano i salotti di sua madre a Firenze in inverno e in estate alla Spezia, piccolo borgo marinaro, frequentato durante la stagione balneare dai reali piemontesi e dalla crema internazionale dell’epoca.
Allieva distratta di sfilze di insegnanti, per tutta la vita si batté con l’ortografia, in compenso aveva il dono per le lingue e parlava correntemente italiano, francese, inglese e tedesco.
Dopo un’adolescenza movimentata circondata da adoratori, era bella e perfetta come una statua antica, a sedici anni accadde quello che accadde con Ambrogio Doria primogenito del marchese e tenente del Piemonte Reale.
Confessata la colpa, la pragmatica reazione del padre fu di trovarle con urgenza un marito. La vittima sacrificale, ma per sua scelta e Virginia dichiarò senza mezzi termini di non amarlo, fu Francesco Verasis di Castiglione.
Non si innamorò mai. Il matrimonio, che lei giudicò noiosissimo, la trasferì a Torino e vide la nascita di un figlio, Giorgio. Ma non dimenticò Ambrogio Doria e, in seguito, divise equamente i suoi favori tra lui e i fratelli minori.
Le testimonianze scritte, scampate ai falò dei servizi segreti sabaudi dopo la sua morte che certificano il suo fervido impegno per la “causa” (italiana) sono ben poche:
La prima di Cavour molto pratica: ‘Riuscite cara cugina. Usate tutti i mezzi che vi pare, ma riuscite!’
La seconda, una lettera da Parigi del principe Poniatowski, amico intimo di sua madre (le malelingue sostenevano addirittura che fosse suo padre): ‘Sbrigati a venire, bisogna approfittare della gravidanza che tiene l’imperatrice lontana dal marito…’
Virginia aveva diciotto anni. Alcune note dei giorni prima della partenza scritte nel suo Journal fanno pensare che il generale Cigala zio del marito che lei chiamava Barba e l’ammiraglio Persano siano stati dei paraninfi discreti tra lei e re Vittorio che volle vederla prima dell’imbarco a Genova, ma forse anche per darle istruzioni?
Si era conclusa da poco la guerra di Crimea che aveva visto la partecipazione del Piemonte al fianco degli alleati.
A Parigi le fu messa a disposizione una villa e Nicchia, tramite la principessa Matilde Napoleon cugina dell’imperatore, fece il suo applauditissimo ingresso a corte.
La principessa di Metternich la definì una statua di carne!
Oggi si tende a considerare aleatorio il contributo dato alla storia italiana
dal negligé della contessa di Castiglione. E’ indubbio che la camera azzurra di Compiegne fu testimone del fattaccio. E’ indubbio che Napoleone III la mantenne come amante quasi ufficiale per un anno e mezzo, facendole doni favolosi come il ciondolo con lo smeraldo e offrendole una casa di lusso in Avenue Montaigne, ma non mi sembra abbastanza per farla l’arbitro dell’avvio della II Guerra d’Indipendenza…
Certo non guastò alla causa, ma quando la bella contessa fu sfiorata dal sospetto di aver complottato alla vita del’imperatore, la polizia fu poco tenera con lei e in modi decisi fu invitata a lasciare Parigi.
E sono la prima ad essere convinta che la discesa in campo di Napoleone al fianco di Vittorio Emanuele II sia stata motivata soprattutto dal desiderio di una rivincita personale, dopo il Congresso di Vienna che aveva maltrattato i Bonaparte, dalla volontà di imporre la Francia come un’ancora maggior potenza internazionale e non ultima, l’approfondiremo tra poco, dalla alleanza matrimoniale tra i Bonaparte e i Savoia.
Comunque Napoleone III venne in Italia anche se: come dichiarò causticamente il ministro piemontese Massimo d’Azeglio alla fine riuscì nel paradosso di “Andare in Italia con 200.000 uomini, spendere mezzo miliardo di franchi, vincere quattro battaglie, restituire agli italiani una delle più bella regioni e ritornare maledetto…” (“Aller en Italie avec 200.000 hommes, dépenser un demi-milliard, gagner quatre batailles, restituer aux Italiens une de leurs plus belles provinces et en revenir maudit par eux…”)
Ma la leggenda della contessa di Castiglione è troppo bella per essere dimenticata
Un matrimonio per l’Italia.
I patti di Plombières imposero quello di Clotilde di Savoia e Napoleon Joseph, cugino di Napoleone III.
Una giovanissima Clotilde per suo piacere o dispiacere innamorata del marito, diversa da quello ci ha raccontato l’iconografia cattolica.
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In Wikipedia e nelle biografie agiografiche scritte da religiosi si dice di lei:
Clotilde di Savoia, figlia prediletta del padre, per ragion di stato, dovette accettare controvoglia il matrimonio, che ebbe luogo il 30 gennaio 1859, con Napoleone Giuseppe Carlo Paolo Bonaparte (1822 – 1891), noto e attempato libertino, combinato dal Cavour e da Napoleone III. Visse quindi a Parigi sfuggendo gli splendori della Corte imperiale, dedita alla beneficenza con gran dispetto del marito…
Non posso negare che fosse la figlia prediletta del padre, il re arrivò addirittura a sollecitare il suo permesso prima di sposare la bella Rosina, né che per ragion di stato dovette accettare il matrimonio con Napoleon Joseph di 21 anni più vecchio di lei (allora quale matrimonio reale non era combinato?), ma non era una stupida, parlava correntemente quattro lingue e i diplomatici stranieri a Parigi furono sbalorditi dal suo aplomb.
Si drammatizza il suo consenso, il suo pallore durante la cerimonia nunziale, ma… la corte dei Savoia era stata solerte, la giovanissima principessa aveva ricevuto istruzioni dettagliate per la prima notte di nozze a Genova. E forse la tanto conclamata fama di libertino servì al trentaseienne sposo per mostrarsi più delicato…
Evidentemente funzionò. E al loro arrivo a Parigi sua sorella Mathilde poteva tranquillizzare il cugino imperatore riferendogli:
“Napoleon ha detto che è stato tutto perfetto.”
Comunque per suo piacere o dispiacere la giovanissima Clotilde si innamorò del marito. I suoi scritti, gli scritti altrui, le numerosissime testimonianze dell’epoca lo certificano.
L’imperatore aveva per lei un occhio di riguardo. Con l’imperatrice i rapporti furono più formali. Resta celebre la reazione della giovane principessa a dei consigli non richiesi sul suo abbigliamento: “Vous oubliez Madame que je suis née à la cour.”
Ma le univa la comune passione per i cavalli e una sincera devozione religiosa.
Napoleon suo marito, non era un uomo facile, forse non l’amò mai davvero, ma era fiero di aver sposato la figlia di un re, ed arrivò ad esserle veramente affezionato.
La stimava, le permise di continuare le sue quotidiane abitudini di preghiera, aveva a disposizione una cappella a Palais Royal e la lasciò senza problemi a dedicarsi alla beneficenza.
Mantenne l’amante in carica, in seguito, la sostituì con un’altra, ma diversamente dall’imperatore più farfallone era abituato ad averne una per volta.
Clotilde , per altro, assunse con regale dignità i suoi impegni di rappresentanza al fianco del marito, frequentò la corte imperiale e si divertì, come era giusto per una ragazza della sua età alle series (settimane di cacce e vacanze della coppia imperiale) di Compiegne.
La loro unione tenne. Clotilde adorava viaggiare e, a detta di tutte le persone che li accompagnarono, come Maurice Sand o Maurice Dudevant, figlio di George Sand che li seguì nella lunga crociera americana, era una compagna di avventure ideale, sempre pronta ad affrontare gli imprevisti con una risata. La sua descrizione in una lettera alla madre, George Sand, della principessa affogata in un impermeabile giallo in visita alla cascate del Niagara che affronta allegramente un sentiero quasi impraticabile è straordinaria.
Ma non dimentichiamo che il loro matrimonio faceva parte integrante dei patti di Plombières che garantivano l’entrata in guerra della Francia al fianco del Piemonte in caso di attacco austriaco. E, quindi, non dimentichiamo il contributo dato da Clotilde di Savoia alla II guerra d’indipendenza che avvicinò l’Unità d’Italia.
E il matrimonio con lei portò Napoleon Joseph, liberale, detto il Bonaparte Rouge, già sensibile alla causa italiana e amico di tanti patrioti, a farsene il paladino anche a costo di mettersi contro il cugino imperatore.
Vittorio Emanuele II e Cavour si servirono di lui come loro eminenza grigia in Francia…
Lei, all’Unità d’Italia non ci credeva…
Per questo Maria Sofia Wittelsbach, regina delle Due Sicilie, l’eroina di Gaeta, restò sugli spalti a battersi a fianco del marito, Francesco II di Borbone.
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Bella, intrepida, avventurosa, diventata quasi più popolare dello stesso Garibaldi, Maria Sofia di Borbone fu nell’Italia pre e postunitaria il simbolo più fulgido del legittimismo reazionaro.
Nata Wittelsbach, una delle splendide cinque figlie del duca in Baviera e sorella minore dell’imperatrice Elisabetta (Sissi), trascorse la giovinezza nel castello paterno. Dal padre aveva appreso l’amore per la natura, la caccia, i cavalli, i cani e i pappagalli. Poco condizionata dall’etichetta di corte, era indipendente e anticonformista, amava l’equitazione, il fumo e la fotografia.
Appena diciassettenne, dopo aver sposato per procura in gennaio Francesco duca di Calabria, figlio di Ferdinando II ed erede del Regno, s’imbarcò a Trieste sulla fregata borbonica ‘Il Fulminante’ e sbarcò a Bari il 3 febbraio 1859, per conoscere il marito.
La prima notte di nozze il principe, comunicò a Nina Rizzo, cameriera della moglie:
“Dite alla duchessa che farò tardi. Mi sento poco bene”.
Non la toccò per tanti anni (fino a quando si operò di fimosi). Aspettava che s’addormentasse, le si metteva a fianco di soppiatto, restava tutta notte a contemplarla e, prima dell’alba, scappava.
Maria Sofia era alta un metro e settanta. Bruna, occhi azzurri, elegante, si tuffava allegramente nel porto di Napoli , fumava sigari, tirava di scherma, sparava con la carabina e cavalcava in compagnia dei cognati, fratellastri del marito.
Bella, intelligente e colta, pochi mesi dopo il suo arrivo nel regno di Napoli, doveva divenirne l’ultima regina. Re Ferdinando, infatti, fece appena in tempo a conoscere la nuora, con la quale simpatizzò subito, prima di rendere l’anima a Dio il 22 maggio.
Ma il difficile regno di Francesco II e Maria Sofia, minato dalle incertezze, durò meno di due anni.
Dopo l’impresa di Garibaldi e la conquista di Napoli da parte dei piemontesi, i Borboni tentarono un’ultima disperata resistenza a Gaeta.
Il prodigarsi della giovanissima regina durante l’assedio della fortezza fece nascere la leggenda dell’eroina di Gaeta. Diversa dal marito, bigotto, timido e complessato, lei, con il suo carattere forte, aperto, espansivo e che ogni giorno si mostrava coraggiosamente sugli spalti, fu adorata dai suoi soldati.
J’aurais bien désiré une petite blessure” disse a Gaeta, dopo essersi offerta ai colpi all’artiglieria piemontese, con addosso un mantello bianco sopra la divisa da cacciatore calabrese, perché la vedessero meglio. Ma gli attaccanti non osarono colpirla. (“Il periodo più felice della mia vita” ricordava tanti anni dopo)
L’Europa impazzì per quella figura di combattente leggendaria.
In seguito Daudet ne fece la regina d’Illiria nel romanzo Les rois en exil, Proust la chiamo “reine soldat”, D’Annunzio “aquiletta bavara.”
Alla capitolazione di Gaeta, 13 febbraio 1861, osannata dalle truppe borboniche, s’imbarcò con il marito, la famiglia, ministri e i corrispondenti stranieri, che avevano vissuto l’assedio, sulla nave da guerra francese La Muette diretti a Civitavecchia.
A Roma re Francesco costituì un governo in esilio. I sovrani e la famiglia reale furono prima ospitati dal pontefice al Quirinale, per poi trasferirsi a Palazzo Farnese di loro proprietà.
Le calunnie su di lei fioccarono. Furono messi in giro dei montaggi in cui la testa di lei, ripresa dalle cinquanta foto che le aveva fatto lo studio romano Alessandri, era stata incollata sul corpo nudo della puttana Costanza Vaccari. Gli esecutori furono presi e condannati.
Lei in realtà si era innamorata di un ufficiale della guardia pontificia, il belga Armand de Lawayss, 25 anni, alto, biondo, barbetta dorata. A novembre del 1862 gli dette due gemelle, partorite in Baviera e affidate a terzi con l’impegno di non cercarle mai.
Lo confessò al marito e fu perdonata. Nel 1869, Francesco si era fatto operare, ebbe una figlia anche da lui, la principessa Maria Cristina Pia di Borbone, che morì ad appena tre mesi.
Amata dai giovani eroi romantici, che giungevano da ogni parte d’Europa per porre ai suoi piedi il loro cuore e la loro spada, la “eroina di Gaeta” continuò a combattere la sua battaglia senza regole e senza quartiere contro gli odiati Savoia fino al nuovo secolo.
Segnalo la figura di una scrittrice siciliana poco conosciuta, insegnante, direttrice didattica, poetessa, studiosa di folklore, conferenziera, nata ad Avola (Sr) nel 1880 e morta a Catania nel 1963, Adelia Bonincontro Cagliola sulla quale uscirà entro il mese di Aprile un mio libro dal titolo ” Adelia.Una donna nell’arte e nella vita”. La Cagliola amò la sua terra per la quale scrisse ” I canti popolari in Sicilia”. Nel 1910 nella ricorrenza dell’anniversario della nascita dell’eroe nizzardo tenne al Teatro Garibaldi di Avola la conferenza “Giuseppe Garibaldi”. Nello stesso teatro tenne un’altra conferenza “Per il XLV Anniversario del XX Settembre” pubblicata nel 1915. Tutto questo ci dice che molte furono le donne che amarono l’Italia e la sua storia. Di queste donne, spesso e ingiustamente, si hanno poche notizie. Tra questa Adelia Cagliola che ho avuto il piacere di ricordare a tutti voi in questo giorno speciale .
Carmen Rita Pantano
17 Marzo 20011
Buongiorno a tutti e che questa sia davvero una giornata tricolore.
E buongiorno soprattutto a Maria Lucia che ci ha dato una ragione in più per trovarci qui.
Quando finalmente è stato deciso nelle alte sfere che questo sarebbe stato un giorno di festa a tutti gli effetti, ho tirato un sospiro di sollievo. Ho pensato che in una nazione in cui si decida di dedicare un giorno alla celebrazione della propria identità, non tutto poteva essere perduto.
E probabilmente proprio la dabbenaggine, se così la si può definire, della attuale classe politica dominante, ci ha dato paradossalmente la forza di riunirci mentalmente e col cuore verso quella che potrebbe essere una nuova unità di valori.
Per troppo tempo, nei decenni scorsi, concetti come Patria e Nazione sono stati bollati come negativi, confinati dentro stanze dai perimetri angusti, dietro le lavagne, tra le cose di cui vergognarsi.
Era giunto il momento di tirare fuori il desiderio di peculiarità e autonomia culturale, in un luogo dove, come ci ha ricordato Benigni, è nata prima la cultura e poi lo stato.
Un benvenuto particolare , quindi al romanzo di Maria Lucia.
Un poco l’ho visto nascere anche io, mi considero quindi a tutti gli effetti una zia.
E una zia pure di Mariannina, dimenticata tra i dimenticati. Donna, poetessa e siciliana. Ce ne è abbastanza perché faccia parte degli abbandonati.
Se non fosse che la sensibilità di Maria Lucia e lo stesso imporsi di Mariannina alle sue attenzioni, abbiano dato vita alla vita di una creatura che non poteva dare fiato a quella voce libera per la quale aveva cercato di vivere.
Come ci ha ricordato Maria Attanasio nel suo bell’intervento, la Coffa non è certo l’unica dimenticata tra le donne.
Ci ha parlato di Rosalia Montmasson, ma a decine si contano le donne dimenticate o non tenute in giusta considerazione.
Sempre un passo indietro come un coniuge di un’altezza reale.
E ciò è ancora più drammatico in certi ambiti.
Data la mia formazione, mi viene in mente il mondo scientifico che ne è un esempio lampante.
E se dal punto di vista artistico si è vista qualche donna emergere, nel campo scientifico la vita per le donne scienziato è stata veramente dura in un mondo in cui fino alla metà del secolo scorso era impossibile pure frequentare l’università.
Certo i tempi apparentemente sono cambiati, facciamo che cambino nella sostanza.
Le strade da seguire sono molteplici e Maria Lucia ridando visibilità a Mariannina Coffa, ne ha scelto una.
Auguri Maria Lucia e un saluto a tutti.
Giannina Milli (Teramo, 24 maggio 1825 – Firenze, 8 ottobre 1888) è stata una scrittrice, poetessa estemporanea ed educatrice italiana.
Le sue “serate”, durante le quali declamava versi composti all’istante su temi proposti dal pubblico presente in sala, avevano soprattutto lo scopo di accendere gli animi a sentimenti patriottici.
Nata a Teramo, ricevette dalla madre la prima educazione. Dopo i soggiorni a Chieti e a Napoli rientrò dal 1842 nella sua città natale dove ebbe tra gli altri come maestri il letterato Stefano De Martinis e il musicista Camillo Bruschelli. Tra il 1850 e il 1860 fu a Napoli, in Puglia e in Sicilia, a Roma, a Firenze, a Bologna e infine a Milano, accolta nei più importanti teatri e salotti letterari, sempre incoraggiando alla lotta contro la tirannia e all’impegno per l’Unità d’Italia.
Fu in amicizia e in corrispondenza con intellettuali e politici tra i quali Alessandro Manzoni, il critico letterario Francesco De Sanctis, lo storico Pasquale Villari, i poeti Giovanni Prati e Aleardo Aleardi, il memorialista Luigi Settembrini e lo scrittore Alceste De Lollis; tra le amiche oltre alla contessa Clara Maffei che la ospitò spesso nel suo salotto, anche Luigia Codemo, Eugenia Fortis, Emilia Peruzzi e Cesira Pozzolini.
Visse a lungo a Roma dove fu Direttrice didattica e Ispettrice ministeriale. Seguì poi in varie città il marito Ferdinando Cassone nominato provveditore agli studi. Ritornò infine nella sua amata Firenze dove morì nell’ottobre del 1888.
Le migliaia di lettere dei suoi epistolari si conservano in particolare presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e la Biblioteca provinciale Melchiorre Dèlfico di Teramo. Sempre nella biblioteca di Teramo si conserva anche la collezione delle fotografie: quattro album con oltre 400 ritratti d’epoca recanti dediche e pensieri alla Milli rivolti da personaggi della cultura e della politica europea.
Testi e componimenti poetici della Milli sono sparsi in centinaia di pubblicazioni edite in varie parti d’Italia; Poco più che ventenne pubblicò la sua prima raccolta Poesie varie (Teramo, Marsilii, 1848), mentre la più importante fu stampata a Firenze dall’editore Le Monnier in due volumi: Poesie (col discorso di Giovanni Frassi, 1862-1863).
Rose Montmasson, detta Rosalia (Saint-Jorioz, 12 gennaio 1825 – Roma, 10 novembre 1904), è stata una patriota italiana. Nativa della Savoia, allora parte del Regno di Sardegna, fu moglie di Francesco Crispi ed è celebre quale unica partecipante femminile alla spedizione dei Mille.
Nata da famiglia di umili origini, Rose conobbe il futuro marito nel 1849, durante l’esilio piemontese, quando lei svolgeva le mansioni di lavandaia e stiratrice, mentre Crispi era un giovane rivoluzionario, rifugiatosi in Piemonte dopo il fallimento della rivoluzione indipendentista siciliana del 1848.
In seguito al soffocamento della cospirazione mazziniana a Milano, nel 1853, Crispi fu costretto a lasciare il Piemonte e ripararsi a Malta. Rose lo seguì e i due si sposarono, nell’isola mediterranea, per poi trasferirsi a Parigi, dove vissero fino al 1858, quando furono espulsi dalla Francia, sospettati di complicità con Felice Orsini, e forzati a raggiungere Giuseppe Mazzini a Londra.
La coppia tornò in Italia nel 1859, durante la seconda guerra d’indipendenza, subito prendendo contatto con le compagnie garibaldine che preparavano lo sbarco in Sicilia e collaborandovi attivamente.
Nel marzo 1860, Rose s’incaricò di raggiungere Messina a bordo di un vapore postale, affinché i patrioti siciliani rendessero possibile lo sbarco di Rosolino Pilo e Giovanni Corrao. Proseguì poi per Malta per avvertire i rifugiati Italiani dell’imminente spedizione e, sempre con il vapore postale, tornò a Genova, in tempo per unirsi ai Mille, dei quali fu l’unica partecipante femminile. La leggenda vuole che si travestì da militare per imbarcarsi sul “Piemonte”, contravvenendo all’ordine del marito di restare a Quarto.
Durante la spedizione dei Mille si occupò prevalentemente della cura dei feriti, già dalla battaglia di Calatafimi operò tra i combattenti per portare in salvo i colpiti e, nell’occasione, imbracciò il fucile. Prestò il suo servizio nelle ambulanze di Vita, Salemi e Alcamo, dove i siciliani la ribattezzarono Rosalia, nome che contrassegnò poi tutta la sua esistenza, tanto da essere trasposto come vero anche sulla sua lapide.
Dopo la nomina a deputato del marito, seguirono alcuni anni di vita relativamente tranquilla, terminata qualche tempo dopo il trasferimento della coppia a Roma, quando venne ripudiata da Crispi, il quale denunciò l’irregolarità del matrimonio contratto a Malta. Il motivo di litigio tra i due, probabilmente, fu il voltafaccia di Crispi che abbandonò i repubblicani per schierarsi con i monarchici; una scelta che nella visione di Rosalia dovette apparire come un tradimento dei compagni di tante avventure e degli ideali per i quali avevano combattuto.
Il 26 gennaio 1878, Crispi prese in moglie Lina Barbagallo, giovane leccese, di nobile ceppo borbonico, dalla quale aveva avuto una figlia cinque anni prima. Il matrimonio provocò un grande scandalo che coinvolse anche la regina Margherita di Savoia, la quale si rifiutò pubblicamente di stringere la mano al ministro Crispi, dopo aver presa visione della copia fotografica dell’atto di matrimonio celebrato a Malta. Lo scandalo portò a un processo per bigamia nel quale Crispi venne assolto, avendo i giudici accertata l’irregolarità formale del matrimonio maltese, dovuta al fatto che il prete celebrante era in quel momento sospeso a divinis, per la sua attività patriottica.
Rosalia rimase a Roma, sopravvivendo con la pensione assegnata ai Mille; morì in povertà, tanto che la sua salma venne tumulata in un semplice loculo, concesso gratuitamente dal comune nel cimitero del Verano, ove ancora riposa.
Buonasera a tutti.
Vorrei fare il copia-e-incolla dell’intervento di un ragazzo che ho trovato su un forum di giovani, dove ogni tanto ci naviga mio figlio, e che ha voluto farmi leggere.
Non è strettamente dedicato alla questione della donna ma, anche se di straforo, per un attimo ne accenna. E però mi interessa di riportarlo perchè mi sembra esemplare del giudizio di un giovane del Sud sulla “storica” giornata del 17 marzo.
Alla fine della sua analisi il ragazzo se la prende con i “leghistelli” ma, al di là di questo che suppongo presupponga un dibattito antecedente tra i ragazzi, merita veramente di essere letto come testimonianza di un giovane e di come viene sentita l’unità nazionale da loro.
Quanto abbia ragione oppure no, adulti e anziani dovrebbero saperlo ancora meglio.
E quanto alla fonte, non sono ben sicura di poterla dire visto che si tratta di un dibattito per iscritti. So però che, oltre play station, fumetti manga e gustosissimi filmati da loro stessi costruiti, si trova anche quello che segue:
Scrive il ragazzo:
*
“Ecco perchè io non festeggio l’unità d’italia…e i tizi della lega che motivi hanno?
1.NON FESTEGGIO perché quando i piemontesi hanno invaso il sud lo hanno fatto SOLAMENTE per scongiurare il rischio di bancarotta delle finanze savoiarde, già dissestate;
2.NON FESTEGGIO perchè al momento dell’unità d’Italia, il Regno delle due Sicilie possedeva un patrimonio di 443,3 milioni di lire oro (il più alto tra tutti gli stati preunitari italiani e corrispondente al 65,7% di tutta la moneta circolante della penisola), possedeva la terza flotta navale d’Europa, aveva primati nell’ambito dei trasporti,infrastrutture,energia,telecomunicazioni e soprattutto ECONOMICI da far invidia al resto d’Europa;
3.NON FESTEGGIO perché, dopo l’Unità, tutti i più importanti poli industriali del sud furono smantellati dai piemontesi per trasferirne gli apparati, prima, e le produzioni, poi, al nord;
4.NON FESTEGGIO perchè per conquistare le ricchezze del sud, fu consumata la PRIMA PULIZIA ETNICA della civiltà occidentale, con oltre 1 MILIONE di MERIDIONALI TRUCIDATI senza contare tutte LE NOSTRE MADRI e SORELLE STUPRATE;
5.NON FESTEGGIO perchè l’appena nato STATO ITALIANO costruì il PRIMO LAGER DELLA STORIA EUROPEA, “FENESTRELLE”, deportando poveri contadini ed ex soldati borbonici a morire di stenti e vessazioni perpetrati da chi si reputava un liberatore;
6.NON FESTEGGIO perché, dopo l’Unità, le terre promesse inizialmente al popolo per il proprio sostentamento furono concesse, con l’inganno, ai già noti possidenti terrieri ed alle nascenti mafie locali che sostituirono le autorità borboniche con protervia e violenza;
7.NON FESTEGGIO perché SOLO DOPO l’Unità d’Italia la gente del sud iniziò ad emigrare per poter vivere dignitosamente mentre chi restò venne etichettato come “brigante” ed ucciso solo perchè patriota del sud;
8.NON FESTEGGIO perché gli emigranti del sud che decisero di partire verso le Americhe, dopo l’Unità, furono beffati oltre che danneggiati in quanto tassati ulteriormente per finanziare l’emigrazione dei loro omologhi del nord verso l’Europa;
9.NON FESTEGGIO perchè dopo aver lasciato il SUD nelle mani della mafia locale e costretto a vivere di solo latifondismo, le famiglie furono inoltre “derubate” delle braccia agricole per andare a morire in prima linea al fronte durante la guerra del 15-18…tanto, è gente del SUD, non ci “serve”;
10.NON FESTEGGIO perché sui libri di storia ho sempre letto un’altra storia in cui il sud, prima dell’ Unità, viene descritto come un luogo selvaggio e incivile, povero, in mano a tiranni ed il nord come un posto di grande modernità e cultura e ricco. VOGLIO GIUSTIZIA PER IL MIO POPOLO, VOGLIO CHE VENGA RISCRITTA LA STORIA PER COME E’ AVVENUTA.
Penso che anche chi non condivide questa idea un minimo di comprensione nei confronti delle persone che hanno subito questi torti e continuano a subirli anche se in maniera diversa ogni giorno appena un politico, leghista e non, apre bocca dovrebbe averla. Noi gente del sud amiamo la nostra patria siamo fieri di essere italiani anche dopo tutto quello che abbiamo subito.Personalmente vorrei metterci una pietra sopra, pero ci sono persone che invece di pensarla cosi sfruttano ogni occasione per sparare a 0 sul sud, sulla loro “presunta” superiorità e ci etichettano come animali buoni a nulla. Come puo allora una persona con tutta la buona volontà sentirsi “importante” per la patria e considerarsi parte di una “magnifica” nazione?
Chiedo ai leghistelli del forum, noi non festeggiamo per questo motivo, voi invece perchè? “
Se non è già stato fatto, cito una conterranea risorgimentale: Laura Solera Mantegazza.
Di lui ne parlò il figlio, Paolo Mantegazza, in un biografia dal titolo: “La mia mamma – LAURA SOLERA MANTEGAZZA (a beneficio della Scuola Professionale femminile di Milano)” – Milano, Tipografia Fratelli Richiedei, 1876.
Laura Solera nasce a Milano il 15 gennaio 1813 da Cristoforo Solera e Giuseppina Landriani. Appartiene ad una famiglia borghese di agiate condizioni economiche. Laura cresce con la madre, studia al Collegio femminile Coudert dove impara francese, inglese e tedesco. Educa nel suo tempo libero i figli analfabeti dei domestici dimostrando molto precocemente una grande passione pedagogica. Lo sposo, Giovan Battista Mantegazza, è figlio del podestà di Monza. Il 31 ottobre 1831 nasce a Monza il figlio primogenito Paolo, che negli anni a venire acquisterà grande fama in tutta Italia per i suoi studi e le sue pubblicazioni. Nella Milano liberata, la famiglia si adopera per la causa italiana ed è probabile (ma non certo) che nei quattro mesi seguenti Laura abbia conosciuto e frequentato Giuseppe Mazzini con il quale dall’anno seguente sarà spesso in rapporto epistolare.
Fu attiva politicamente e per scopi civili e umanitari, nelle Cinque Giornate di Milano soccorse instancabile i feriti; istituì asili per bambini e scuole per operaie.
E poi vorrei ricordare anche la tanto bistrattata Carolina Invernizio, scrittrice prolifica di cui dò qualche notizia biografica. Non è proprio una risorgimentale nel senso rigoroso del termine ma è un’anticipatrice del riscatto famminile. Senza di lei, le mamme delle nostre nonne avrebbero continuato a leggere solo libri di cucina e manuali di igiene e puericultura spicciola (quando avevano la ventura di saper leggere ma non la cultura o i mezzi per farsela).
*
C. Invernizio (Voghera 1858 – Cuneo 1916), è stata, probabilmente la più prolifica autrice italiana: circa 130 titoli di cui alcuni in più volumi, in sessant’anni di carriera. Fu anche la scrittrice più letta del suo tempo e si impose, non solo sul mercato italiano, ma anche all’estero, in particolare nell’America Latina. Nel 1877, non ancora ventenne, comincia la sua lunga collaborazione con l’editore fiorentino Salani, presso cui esce il suo secondo romanzo (il suo primo romanzo era stato pubblicato sul giornale della scuola, per altro giudicato scandaloso, e per il quale aveva rischiato l’espulsione). Disconosciuta dalla critica fino all’insulto (Gramsci la definì “onesta gallina” della letteratura italiana e Gian Pietro Lucini “impudente scombiccheratrice di carte”) ma amata di uno straordinario amore dal pubblico femminile, fu comunque campionessa di un nuovo protagonismo femminile, perché i suoi scritti rispecchiano una volontà di emancipazione e un nuovo e contraddittorio desiderio di riscatto. Vittorio Spinazzola, a proposito della Invernizio, parlò di “collasso del patriarcato” (cfr. Eugenia Roccella, “La letteratura rosa”, Roma, Editori Riuniti, 1998)
Gentile Antonella Beccari. Nei giorni scorsi avevo scritto che la storia è spesse volte contraddittoria, la realtà è complessa e ha molte sfaccettature. Ma dicevo anche che è importante mettere in luce i sentimenti positivi che hanno mosso molte donne e uomini, ragazzi e ragazze del Risorgimento. Poi, dicevo, tutto può essere strumentalizzato e viene strumentalizzato. Accade anche oggi. Ma, dicevo, quei valori, quei sogni, sono veri.
E’ probabile che il giovane del “Non festeggio” abbia letto l’importante libro di Pino Aprile intitolato “Terroni” http://www.edizpiemme.it/libri/terroni-9788856612738
Piemme ha appena pubblicato il libro di Lorenzo Del Boca intitolato “Polentoni” http://www.edizpiemme.it/libri/polentoni-9788856619577
Se fosse una partita di calcio potremmo dire: 1-1
C’è da sperare che la Piemme pubblichi anche, prima o poi, un volume intitolato “Italiani”.
Trovo bellissimo il tentativo di riportare in luce l’identità, spesso sconosciuta, delle molte donne che hanno svolto un’importante ruolo negli anni del cosiddetto Risorgimento italiano. Per questo mi sento di esprimere la più sincera gratitudine.
Ad Antonella Beccari,
NON FESTEGGIO con te e con tutti coloro che NON FESTEGGIANO, NON FESTEGGIO per tutti i motivi che hai elencato
NON FESTEGGIO perchè se i nordisti non festeggiano dov’é l’Unità d’Italia? NON FESTEGGIO perchè il nordismo l’ho sperimentato personalmente ;
NON FESTEGGIO perchè lassù sono nella nebbia e io sono nel sole e loro non apprezzano neanche il nostro sole.
NON FESTEGGIO per Garibaldi a Bronte
NON FESTEGGIO per la bella Rosina e Vittorio Emanuele II
NON FESTEGGIO perchè mentre si festeggia l’unità d’Italia si preparano a dividerla;
Non FESTEGGIO perchè a me che ho vissuto simili enfatici apparati festivi ricordano fame e miseria
IO NON FESTEGGIO, perchè in questo caso mi sembra che IL PARTECIPARE NON SIA UNA VIRTU’
Grazie, signor Oreste, credo ci sia proprio bisogno di un volume intitolato “italiani”, e questo non per alimentare campanilismi ma perchè identità e senso di appartenenza sono indispensabili alla crescita individuale e sociale.
Cari amici, ho solo la possibilità di lasciare un commento al volo (domani spero di poter intervenire in maniera più consistente).
Ci tenevo a ringraziarvi tutti per i vostri contributi.
Per quanto riguarda la festa di oggi, dico che ognuno può trovare nel suo cuore e nella sua mente i motivi per partecipare o per non partecipare, per aderire o non aderire.
L’intento primario di questo post, però (almeno nelle mie intenzioni) è quello di dare visibilità alle tante donne del Risorgimento dimenticate dalla storia.
Dunque vi ringrazio per i commenti e per i contributi rilasciati. E vi sarò ulteriormente grato se poteste continuare a dare “voce e identità” ad altre donne che hanno vissuto in quegli anni.
Grazie a tutti.
Ciao Massimo, a questo proposito mi permetto di segnalare questo sito, se non è già stato fatto
http://www.kila.it/archivio-notizie-in-primo-piano/le-donne-invisibili-nell-unit-d-italia-3.html
ho il libro di maria lucia sul comodino, e non vedo l’ora di leggerlo.
🙂
@ Oreste
Tutto sommato ritengo che siamo ancora una nazione giovane, in senso di nazione unita. Abbiamo avuto una storia complessa e spesso tragica e molti elementi contrastarono (e contrastano) perchè ci fosse un sentimento nazionale.
Anch’io auspico un libro che si intitoli “Italiani”, perchè l’eterogeneità di mentalità, abitudini, usi e costumi, retroterra storico, è in realtà il nostro punto di forza, non un handicap, per la nostra nazione. Ne sono profondamente convinta. Ma soprattutto auspico che questo libro si scriva nella mente e nel cuore di tutti noi italiani che, pur restando regionali perchè la bellezza dell’Italia sta nella sua diversità, abbiano la lungimiranza di un occhio più vasto e più alto di unità nazionale.
E qui mi vien da ridere: perchè, ancora una volta, noi italiani dobbiamo distinguerci per l’originalità del nuovo e ancora nascente sentimento di unità nazionale (che potrebbe e ha sicuramente dei risvolti estremamente proficui). Un francese o un inglese non potrebbero mai avere un sentimento di unità nazionale come il nostro, e nemmeno l’esplosività creativa che ci caratterizza, non vi pare? Praticamente sono nazioni da sempre.
*
@ A Massimo:
Qui mi fermo perchè Massimo invitava a parlare di donne e non di altro.
Massimo, scusami per l’intermezzo del “non festeggio” del ragazzo ….. però vedi che poi mi sono riscattata citando due donne? 🙂
Parce nobis, iuvenes sumus.
@ Mela
Ciao Mela, il “non festeggio” era quello del ragazzo, non il mio.
Io ho festeggiato con voi.
E soprattutto con voi donne perchè ho la fortuna di essere una donna.
Ti abbraccio, amo il sole del Sud e la nebbia del Nord.
che bello leggere questa pagina e scoprire la vita di tutte queste donne che hanno vissuto intorno al 1860. grazie. molto interessante ed istruttivo.
Colomba Antonietti (Bastia Umbra, 19 ottobre 1826 – Roma, 13 giugno 1849) è stata una patriota italiana, visse quasi tutta la sua vita a Foligno.
Nella Chiesa della Misericordia (Foligno), il 13 dicembre 1846 sposò, contro il parere delle rispettive famiglie, il conte Luigi Porzi, (anch’egli eroe del Risorgimento), tenente delle truppe pontificie e discendente da una nobile famiglia di Ancona.
Dopo il matrimonio, Colomba Antonietti seguirà il consorte a Roma.
Nel 1848- 1849 il marito aderì alla Repubblica Romana. Colomba, romantica figura, per combattere al suo fianco, si tagliò i capelli e vestì l’uniforme da bersagliere. Inizialmente affrontò le truppe borboniche nella Battaglia di Velletri (18 – 19 maggio 1849) e di Palestrina, dimostrando coraggio, valore ed intelligenza, tanto da meritarsi l’elogio di Giuseppe Garibaldi. Successivamente combatté a Porta San Pancrazio in Roma, dove morì sotto il fuoco dell’artiglieria francese, in difesa della Repubblica Romana; la tradizione vuole che morendo tra le braccia del marito avesse mormorato: “Viva l’Italia”. Dopo la sua morte il Porzi si trasferì in Uruguay.
Fu sepolta dapprima nella Chiesa di San Carlo ai Catinari; nel 1941 le sue spoglie furono traslate presso il Mausoleo Ossario Garibaldino sul Gianicolo, che accoglie i caduti nelle battaglie per Roma Capitale e per l’Unità d’Italia (1849 – 1870).
La sua morte eroica (non era usuale che una donna combattesse all’epoca) venne celebrata non solo da Giuseppe Garibaldi, ma anche da grandi poeti e scrittori, come Giosuè Carducci e Alexandre Dumas (padre).
A Colomba Antonietti sono dedicati due simulacri e un dipinto:
A Bastia Umbra: monumento costruito nel 1964 in Piazza Cavour, di fronte alla sede municipale. Sostituisce il precedente di Vincenzo Rosignoli, eretto nel 1910 in Piazza Mazzini, di cui riutilizza in parte l’impianto decorativo.
A Roma: il suo busto è fra le Statue e monumenti dei patrioti sul Gianicolo.
A Foligno, Palazzo del Municipio (Sala consiliare): Colomba Antonietti muore per la difesa di Roma nel 1849 (1886 – 1887), affresco a tempera, di Mariano Piervittori.
Antonietta De Pace (1818 – 1894) nata a Gallipoli, fu patriota, educatrice, infermiera militare.
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Antonietta De Pace nacque il 2 febbraio 1818 a Gallipoli, in provincia di Lecce, da Gregorio, un banchiere napoletano, e da Luisa Rocci Cerasoli, una nobildonna d’origine spagnola i cui fratelli avevano partecipato attivamente alla Repubblica napoletana del 1799.
La sua educazione fu affidata allo zio paterno, il canonico e astronomo Antonio De Pace, che aveva fondato a Gallipoli, nel 1813, una vendita carbonara.
Ad otto anni Antonietta rimase orfana del padre, morto in circostanze misteriose, probabilmente avvelenato dal suo segretario particolare, che voleva impossessarsi del suo patrimonio. La vedova fu confinata nella villa di Camerelle, mentre Antonietta, insieme alle sorelle Chiara, Carlotta e Rosa, fu rinchiusa nel monastero delle clarisse di Gallipoli, la cui badessa apparteneva alla famiglia De Pace.
Delle quattro sorelle minorenni, private della legittima eredità, la più grande, Chiara sposò lo zio Stanislao De Pace, Carlotta morì tisica, Rosa sposò Epaminonda Valentino e condusse nella sua casa Antonietta. Patriota napoletano, figlio di Cristina Chiarizia, che si era distinta durante le vicende rivoluzionarie del 1799, collaboratore di Poerio, Conforti e Pepe, Epaminonda, tesseva le fila della corrispondenza politica tra Napoli e la Terra d’Otranto. Insieme al cognato, Antonietta entrò a far parte della Giovine Italia. “Svelta, intelligente, ardita e prudente insieme, dimenticò il mondo femminile, e tutta l’anima versò nel proposito di concorrere a liberare la patria dalla servitù” (B.Marciano). In quel periodo Antonietta fu una valida collaboratrice del Valentino, che nelle sue lunghe assenze la lasciava depositaria di ogni segreto; la giovane donna riceveva i corrieri da Lecce da Brindisi o da Taranto. Prese attivamente parte alla preparazione, in Terra d’Otranto, dei moti del 1848; il quindici maggio di quell’anno era a Napoli, dove, nelle barricate di via Toledo, il Valentino. combatté accanto a Settembrini. Arrestato insieme al duca Sigismondo Castromediano e ad altri patrioti salentini, Valentino morì in carcere a Lecce, a soli 38 anni. Dopo la fine prematura del cognato Antonietta lasciò Gallipoli per andare a vivere a Napoli con la sorella Rosa e i nipoti.
Abbiamo festeggiato l’Unità d’Italia ma quando la realizzeremo veramente?
Non certo attraverso l’omologazione perchè distruggeremmo la diversità,caratteristica fondamentale dell’essere italiani. Comunque , grazie Massimo perchè mi hai dato l’opportunità di dare sfogo alla litania dei miei disappunti italiani, miei e di nessun altro. Il tema è coinvolgente e ci sarebbero molte cose da dire.
Una domanda che mi sono posta è”Come lo scrittore dell”800 vedesse la donna del Risorgimento”. Non so se questo è stato trattato, nè posso vederlo in questo momento perchè purtroppo io sono una che condivide , quasi sempre, i primi e gli ultimi post. Non ho tempo e per un motivo molto serio.
Mi sono ricordata del Focazzaro che fa entrare nei suoi romanzi sempre una donna straniera che è in antitesi con le altre donne italiane. In Malombra c’è Edith che egli definisce “una reazione della coscienza” come se volesse farne l’alter ego di Marina sensuale e spregiudicata.
Giovanni Verga nel Romanzo “Tigre reale” mette sulla scena una donna russa, donna procace, strana avventuriera del piacere.
Qual era allora, nel Risorgimento, l’ideale maschile di donna? Ho pensato alla Fata Turchina di Pinocchio il quale per la verità non ha neanche una madre. Nel panorama femminile collodiano non c’era una donna degna di far da madre a Pinocchio ? Scusatemi ma questo è maschilismo radicale! Però poi mi chiedo cosa significa per Collodi la scelta di questa figura femminile, forse che nella Firenze del tempo nella struttura mentale dell’uomo c’era ancora l’angelicata madonna Beatrice di Dante, la donna come divina provvidenza? Una donna destinata ad essere la salvatrice dell’uomo che Pinocchio le dà carne ed ossa quando si innamora e la vede come la sua donna e non più come sua madre?
La prima preoccupazione di Antonietta De Pace fu quella di riannodare tutte le relazioni di Epaminonda, sia con i patrioti che erano ancora in libertà, sia con quelli prigionieri o in esilio. Per questo motivo la De Pace conobbe personalmente Antonietta Poerio, zia di Carlo e Alessandro, l’inglese Pandola, che aveva abbracciato la causa italiana, Raffaella Faucitano, moglie di Luigi Settembrini, Alina Perret, moglie di Filippo Agresti, la sorella di Antonio Leipnecher, Costanza, e Nicoletta Leanza, figlia del detenuto politico Luigi, che sarebbe stata processata nel 1854.
Inoltre Antonietta entrò in contatto con il console inglese Palmerston e stabilì collegamenti con l’ambasciata sarda, dove si procurava i giornali che si pubblicavano nello Stato sabaudo, come l’Opinione di Torino e il Corriere Mercantile di Genova. Collaborò con il comitato napoletano della Giovine Italia, presieduto dall’avvocato tarantino Nicola Mignogna e nel 1849 fondò un Circolo femminile, composto prevalentemente da donne di estrazione nobile o alto borghese, i cui parenti si trovavano nelle carceri borboniche. Antonietta seguì con attenzione anche la famosa causa “dei Quarantadue”; il compito delle donne era quello far da tramite tra i detenuti politici e i loro parenti, di far pervenire nelle carceri viveri e altri mezzi di sussistenza, lettere e informazioni politiche. Antonietta si recava personalmente al carcere di Procida. Dichiarandosi parente del detenuto Schiavone e fingendo un prossimo matrimonio con un altro recluso, Aniello Ventre, ottenne il permesso di occuparsi della loro biancheria, riuscendo in tal modo a ricevere dai patrioti in carcere importanti comunicazioni. Grazie all’aiuto di Luigi Sacco, cameriere sulle navi che navigavano periodicamente lungo la tratta Marsiglia – Genova – Napoli, la donna inviava le preziose informazioni a Nicotera, che si trovava a Genova; di lì queste giungevano a Lugano e poi a Londra dove risiedeva Mazzini. Tramite Antonietta Poerio, la De Pace teneva vive le relazioni con i condannati di Montesarchio e Montefusco, e con l’aiuto di Alina Agresti e della Settembrini, con i reclusi del carcere di Santo Stefano.
Oltre a dirigere il Circolo femminile, e il successivo Comitato politico femminile, attivo negli anni 1849-1855, Antonietta collaborò ad associazioni patriottiche meridionali quali l’Unità d’Italia (1848), la Setta carbonico – militare (1851), il Comitato segreto napoletano (1855), guidato da Mignogna, che propugnavano l’unificazione dei numerosi movimenti politici del Meridione sotto l’egida repubblicana. A causa della sua attività eversiva la donna era costretta a cambiare spesso abitazione, sia per non coinvolgere la sorella Rosa, sia per depistare la polizia borbonica. Lasciata la casa della sorella, si ritirò inizialmente nel convento di San Paolo in qualità di corista.
Nel 1854, per avere maggiore libertà di contatto con gli agenti della Giovine Italia, mostrando la necessità di “fare dei bagni”, ottenne dalla superiora del convento il permesso di recarsi a casa di Caterina Valentino (sorella del defunto Epaminonda), che sosteneva le sue iniziative.
Lì fu arrestata il 26 agosto 1855 dalla polizia borbonica: pochi giorni prima era stato arrestato anche Nicola Mignogna, a causa del tradimento di Domenico Francesco Pierro, un infiltrato della polizia borbonica.
Al momento dell’arresto Antonietta “tolse dal petto due proclami di Mazzini, ne fece una pillola, poiché Mazzini usava la carta velina, e in faccia a loro li inghiottì”(B.Marciano), dicendo ai poliziotti che si trattava di un medicinale. Fu condotta al commissariato di polizia di Piazza Mercato, dove cominciava il fondaco del Carminiello tagliato dall’opera di Risanamento, che porta oggi il suo nome. Fu tenuta dal commissario Campagna, “fido servitore del dispotismo” (B. Marciano) in una stanzetta, per circa quindici giorni, senza potersi mai né distendere su un letto, né lavare, subendo interrogatori nel cuore della notte. Le accuse di cospirazione erano suffragate dal fatto che, pur avendo Antonietta distrutto la corrispondenza più pericolosa, nella sua cella del convento di San Paolo erano state rinvenute lettere che nel loro frasario facevano pensare a documenti politici cifrati, cosa che in effetti erano. Ma Antonietta fu sempre particolarmente abile nel sostenere gli interrogatori, tanto che non ne emersero prove vere e proprie delle sue attività cospirative. Uscita dal commissariato di Piazza Mercato, fu condotta nel carcere di S. Maria ad Agnone, retto dalle Suore di carità, dove fu reclusa per diciotto mesi; lasciò la prigione per recarsi alle udienze presso Castelcapuano per ben quarantasei volte.
Durante il lungo processo ebbe il solo privilegio di stare in una stanza da sola, mentre le altre detenute – prostitute, ladre, assassine – dormivano nei “cameroni”. Antonietta era chiamata “la signorina”, perché si trovava in carcere per “costituzione”, ossia era una prigioniera di Stato (B.Marciano). L’accusa muoveva dalla convinzione dell’esistenza di una cospirazione repubblicana guidata dal Mazzini. I proclami sequestrati al Mignogna e le lettere di Antonietta erano il corpo del reato. La difesa era rappresentata da prestigiosi avvocati napoletani: Castriota, Longo, Lauria e Pessina. Nonostante le confessioni del traditore Pierro, Mignogna tacque e Antonietta seppe magistralmente difendersi dalle accuse della polizia.
Il procuratore generale Nicoletti aveva chiesto la condanna a morte per Antonietta, ma poiché la giuria si espresse a parità di voti, tre contro e tre a favore, la donna fu assolta. “L’incertezza e il dubbio erano penetrati nell’animo dei giudici, l’opinione pubblica dichiarava il processo un’infamia….sul governo cadde il discredito delle potenze estere e l’anno successivo l’Inghilterra e la Francia ritirarono i loro ambasciatori lasciando a Napoli semplici agenti consolari” ( B. Marciano). Il processo fece molto scalpore, perché l’imputato era una donna e, per giunta, appartenente all’alta borghesia. Vi partecipò sempre una gran folla, tra cui gli ambasciatori inglese, francese e della Stato sabaudo. Le corrispondenze dei giornali dell’epoca, tra cui l’Opinione di Torino, il Corriere Mercantile di Genova, il Journal des debats e il Times, erano tutte a favore dell’imputata.
Secondo la prassi giudiziaria dell’epoca Antonietta, libera, fu posta per un certo numero di anni sotto la tutela di un parente, il cugino Gennaro Rossi, barone di Capranica. Presso di lui, al numero 4 di Vico Storto Purgatorio ad Arco in Napoli, Antonietta visse fino al 1859, strettamente sorvegliata dalla polizia. Ma non abbandonò la sua attività di cospiratrice: fondò a Napoli un Comitato politico mazziniano, di cui facevano parte Antonietta Poerio, Raffaella Faucitano, e Alina Perret.
Sotto la guida di Antonietta, le donne, che si riunivano nella Villa Poerio in via San Nicola a Nilo, stabilirono nuovi contatti con il comitato mazziniano di Genova.
Nell’ottobre del 1858 Antonietta incontrò Beniamino Marciano, un giovane prete liberale di Striano, che era venuto ad abitare nello stesso edificio in cui risiedeva Antonietta. Tra i due nacque subito un intenso rapporto, sul piano sentimentale e politico; ma si sposarono solo nel 1876, quando Antonietta aveva già 58 anni. Beniamino divenne il segretario del comitato femminile; poi, insieme, si adoperarono per favorire l’impresa garibaldina. Quando, il 9 gennaio 1859, il Re Vittorio Emanuele II pronunziò le note parole “il nostro cuore non può rimanere insensibile al grido di dolore che giunge da ogni parte d’Italia…”Antonietta abbandonò ogni riserva e, lasciata la casa del cugino, si stabilì clandestinamente in via S. Giuseppe de Nudi, dove si raccoglievano sospettati e perseguitati politici. Per sfuggire alla polizia aveva studiato con cura le chiese napoletane dotate di una doppia uscita: entrata da una porta, usciva dall’altra! Si recava a casa della Poerio, dell’Agresti, al consolato sardo.
Divenne il tramite tra il Comitato napoletano e quello salernitano, che aveva sede nella casa dell’avvocato Nicola Ferretti. Lì giunse Garibaldi il 6 settembre 1860, con soli ventotto uomini. Il 7 settembre Garibaldi entrava trionfalmente a Napoli con i ventotto ufficiali e due donne, Emma Ferretti e Antonietta De Pace, vestita con i colori della bandiera italiana. A Beniamino Marciano fu affidato il comando ad interim della provincia di Salerno. Garibaldi affidò ad Antonietta la guida dell’ospedale del Gesù, mentre la direzione di tutti gli ospedali napoletani era affidata a Jessie White Mario. Garibaldi le assegnò, inoltre, una pensione di “venticinque ducati al mese pei danni e per le sofferenze patite per la causa della libertà” (B. Marciano).
Recatasi a Torino per i funerali di Cavour, Antonietta fu accolta con grandi onori dai patrioti meridionali che sedevano nel Parlamento italiano. negli anni successivi si batté per l’annessione di Roma al nuovo Stato, fondando a Napoli un Comitato di donne per Roma capitale, di cui facevano parte Alina Agresti, Luisa Papa, Enrichetta Di Lorenzo e Teodora Muller. Garibaldi scrisse al comitato napoletano, che gli aveva inviato del denaro “…Voi donne interpreti della divinità presso l’uomo molto già avete fatto per l’Italia, e molto ancora dovete operare per l’avvenire. Molto confido nelle donne di Napoli” (B. Marciano). Per la sua attività a favore dell’annessione di Roma, Antonietta fu arrestata dalla polizia pontificia, mentre in treno si recava da Napoli a Firenze, dove il Marciano dirigeva il giornale l’Italia. Antonietta doveva presentare al governo italiano una relazione circa la possibilità di organizzare una spedizione militare di volontari guidata da Nicotera, per penetrare nell’agro romano da Ceprano. Fu rilasciata per le proteste del governo sabaudo e grazie alla sua abilità nel distruggere le carte compromettenti che portava con sé.
Dopo un periodo di depressione, dovuto alle alterne vicende politiche, e alla morte del nipote Francesco Valentino, avvenuta in battaglia a Bezzecca, Antonietta riprese la sua abituale vitalità, quando, il 20 settembre 1870, i soldati italiani entrarono a Roma. Intanto a Napoli, il progressista Imbriani, eletto sindaco, promosse importanti riforme nella pubblica istruzione, a cui si dette un’impostazione laica. Ad Antonietta fu affidata l’ispezione delle scuole della sezione Avvocata.
Si dedicò così all’attività educativa insieme al marito, assessore alla Pubblica Istruzione di Napoli. La malattia di lui, il suicidio del cognato Peppino Marciano, nel 1881, la morte di Caterina Valentino, provocarono un nuovo esaurimento nervoso ad Antonietta, che per distrarsi iniziò a viaggiare. Visitò col marito Roma, Firenze, Torino e Milano e tornò a Gallipoli, dopo trentaquattro anni di assenza. Si stabilì per un lungo periodo a Castellammare di Stabia, dove Beniamino Marciano dirigeva l’”Ateneo”; poi si recò a Striano, paese natio del Marciano. Il 1° maggio 1894 il municipio di Striano deliberò di intitolare ai due eroi due strade del paese.
Dopo essersi rifugiati in Puglia per sfuggire all’epidemia di colera del 1884, i due tornarono a stabilirsi a Napoli, a Piazza San Gaetano, dove era la sede dell’Istituto e del Convitto fondati dal Marciano. Antonietta si dedicò all’educazione dei fanciulli, che esortava dicendo: “noi abbiamo fatto l’Italia, voi dovete conservarla, lavorando a farla prospera e grande”(B.Marciano).
Racconta Beniamino Marciano che il 3 aprile 1893 Antonietta, costretta da tempo a letto da una forte bronchite, chiese di bere dello champagne, che fu reperito con difficoltà, perché era lunedì in albis; “trovato il vino ella mi disse volerlo bere nel bicchiere a calice e subito la contentai: ne bevve avidamente un primo e dopo un secondo bicchiere…Ma in quello stato in cui ella era il vino la eccitò soverchiamente e si dette a discorrere” (B. Marciano). Poi lui le chiese: ” Antonietta, mi ami?”. Lei sorrise e a stento si udì la risposta: “e me lo chiedi?” (F:Marcano). Furono le sue ultime parole: Antonietta morì la mattina del giorno successivo, a 76 anni.
Ai suoi funerali parteciparono, con le fanciulle e le maestre delle scuole, le associazioni operaie, garibaldine e numerosi rappresentanti delle istituzioni. Il comune di Gallipoli chiese al Marciano il ritratto ad olio di Antonietta, dipinto dal Sogliano (ora esposto al Museo civico della città, accanto ai ritratti del nipote Francesco Valentino e di Antonio De Pace, zio di Antonietta ed insigne astronomo). Lo stesso municipio intitolò alla patriota una via cittadina. Nel 1959 le venne intitolato l’Istituto Professionale Femminile di Lecce. Silvio Spaventa le aveva detto, un giorno: “Signorina nei vostri costituti siete stata un uomo. Così molti uomini nei loro non si fossero dimostrati donne!” (B. Marciano).
Gentillissimo professor Emilio,
posterò a breve alcuni versi di Mariannina Coffa che daranno un po’ l’idea di quanto la sua poesia la apparenti alla Turrisi Colonna.
La Coffa però a mio parere si distingue per una vena spiritualistico-esoterica che ne fa una sorta di pre-decadente.
Un caro saluto.
@ Mela Mondi: Rìccioli, come i capelli…
🙂
Hai colto nel segno: questo romanzo è anche l’occasione per rivalutare il ruolo delle donne nella società ottocentesca e per capire quali passi siano stati fatti.
Una donna come Mariannina Coffa, unica donna dell’Accademia dei Trasformati – meno che ventenne venne ammessa in quest’accolita che dietro il paravento di cenacolo culturale perseguiva obiettivi politici – , sostenitrice dell’omeopatia contro la “dittatura” dell’allopatia – quindi costretta a battagliare in casa, dato che il nonno materno era medico – , “spiritista” per la sua ricerca dell’Assoluto, voce che si leva a reclamare i propri diritti di donna, mi è sembrata meritevole di ascolto e di riflessione.
Ad Amelia Corsi: grazie.
Mi scuso se sono stata poco presente a causa di impegni corali e letterari oltre che familiari.
Mi riprometto di pubblicare versi della Coffa e commenti critici per approfondire il discorso.
Cara Maria Lucia,
ti chiedo anche (se possibile) di farci leggere un brano a tua scelta estrapolato dal romanzo…
Provo a recuperare con i saluti e i ringraziamenti…
Un caro saluto a tutti i nuovi intervenuti nella discussione: Maria Attanasio (grazie di cuore per esserci stata, Maria), Patrizia, Oreste, Salvo, Mirella, Maurizio…
Ancora saluti e ringraziamenti a: prof. Emilio, Ines, Simona, Annalisa, Amelia
@ Mela Mondì
Cara Mela, grazie di cuore per i tuoi interventi e per i suggerimenti. Sarebbe davvero interessante poter approfondire come le donne che hanno vissuto gli anni del Risorgimento erano davvero viste dagli uomini e dalla società dell’epoca. Credo che il romanzo di Maria Lucia, da questo punto di vista, possa fornire un’interessante “chiave di lettura”.
Ancora saluti e ringraziamenti a: Carmen, Mavie (grazie per il link), Antonella (grazie per gli spunti e per le “finestre” sulle donne del Risorgimento che hai proposto)
E grazie a Angelo Orlando Meloni e a Eva.
(Spero di non aver dimenticato nessuno/a. Nell’eventualità, vi prego di perdonarmi).
Grazie a tutti/e per i contributi inseriti.
Credo che si stia sviluppando una pagina molto bella e ricca.
Continuate pure a dare spazio e visibilità alle donne del Risorgimento italiano, se potete…
Per oggi devo chiudere qui… e non so se domani avrò la possibilità di connettermi.
In ogni caso colgo l’occasione per augurare a tutti voi uno splendido fine settimana.
“Rispettiamo il romanzo storico, lo accettiamo con plauso, specialmente quando lo scrive D’ Azeglio, Grossi e Guerrazzi, ma ci è del tutto indifferente che le nostre letterate se ne occupino”.
Ringrazio il professor Emilio per questa citazione.
Come vedete le donne non erano neanche libere di scegliere le tematiche dei loro componimenti.
Per quanto riguarda Mariannina Coffa, vi ricordo che dopo la fase improvvisativa, da poetessa estemporanea, su temi patriottici civili e morali – la ragazzina visse nel mito del poeta vate, cioè cantore della nazione – passa alla fase più meditata. Questo accade anche grazie al precettore, don Corrado Sbano, che spesso le suggerisce anche temi religiosi e le propone letture variegate per costruire una base culturale solida all’edificio poetico della pupilla.
Certo Mariannina avrà “ingabbiato” molte delle sue aspirazioni poetiche personali. In una fase successiva la vediamo affrontare temi molto personali – rimpianti, rimorsi, l’amore negato per Mauceri, la vita penata e misconosciuta a Ragusa… – e spiritualistici. Le ali della poetessa si spiegano. Ma con grande difficoltà, a causa della difficile situazione familiare, delle malattie continue, dei lutti.
Bravissima Simona… grazie di aver ricordato che si volevano le donne relegate in casa. Che le donne italiane hanno votato solo nel 1946. Che il loro diritto a fare cultura e politica è stato sempre osteggiato – se non formalmente, nella sostanza sicuramente.
Patriote sì, ma solo a cucire bandiere e coccarde.
Lavoratrici sì, ma sottopagate e senza il diritto di essere donne – madri e spose – ma solo forza lavoro.
Scrittrici sì, ma solo di galanterie da salotto, di bozzetti di vita familiare.
Quando invece stiamo approfondendo il loro ruolo di spose compagne madri sorelle di patrioti e patriote esse stesse, con il desiderio di emanciparsi e di far fruttare i propri talenti.
Salvuccio, l’Italia si è desta, le donne pure…
🙂
Tornando seri: per quanto riguarda certi aspetti del rapporto uomo/donna, per vari motivi economici, sociali, culturali, si vorrebbe tornare all’idea della donna decorativa ornamento dei salotti.
Ma credo che questo centocinquantesimo anniversario, caduto in un momento di disgregazione istituzionale, di caduta di valori e ideali, sia l’occasione per la riscoperta di ciò che ci unisce come Italiani, di approfondimento storico, di ritrovato orgoglio della nostra italianità, di rinnovata primavera.
Le donne che manifestano chiedendo dignità e rispetto dovrebbero guardare alle sorelle di duecento anni fa che lottarono contro circostanze ambientali che non riusciamo ad immaginare.
@ Rossella G.: grazie per aver parlato del booktrailer.
Pensa che è per me davvero un dono che molte energie di amici affettuosi si siano convogliate attorno a Mariannina e al mio progetto.
Il booktrailer è stato realizzato da Maria Francesca Di Natale in pochissimi giorni e praticamente via Internet.
Ci tenevo a che fosse un “manifesto” dell’età romantica.
Segreto: la copertina del romanzo avrebbe potuto anche essere il quadro di Hayez, che secondo me riassume lo spirito del libro.
Ma la fotografia dell’amico grafico e pittore Alessio Grillo mi ha conquistata per la sua carica evocativa.
Chopin.
All’inizio avevamo pensato con la Di Natale all’opera lirica ottocentesca.
Però la forza struggente di Chopin ci è sembrata la “colonna sonora” più adatta.
Le foto d’epoca sono i soli ritratti fotografici conosciuti di Mariannina Coffa e di Ascenso Mauceri. Che espressioni: un romanzo intero è scritto già nei loro occhi.
Maria Luisa Riccioli, sei la migliore agente pubblicitaria della tua opera,tanto da farmi venire la curiosità di leggerla. Infatti comprerò il tuo libro.I tuoi pezzi di post sono rivelatori di te come persona che cerca, piena di curiosità e di quel garbo sottile della persona che crede in quel che l’appassiona e riesce a coinvolgere gli altri ed ascoltarla. In quello che scrivi su Mariannina Coffa, sui suoi versi “ingabbiati”, di cui forse noi posteri raccogliamo il finale e intrepido respiro, trasmetti una sofferenza che ti fa oltre che scrittrice mediatrice tra Mariannina e noi, i moderni, ma anche tra le nostre bisnonne e noi presenti.
E mi sembra di vedere tutta il dolore dell’Arte che si incarna nell’umanità senza badare alla distinzione di genere. E tutto questo va oltre il romanzo storico e la critica letteraria.
Ciao carissima.
@ Mela Mondi: hai scritto per me delle parole bellissime, grazie.
Se sono riuscita ad essere mediatrice tra Mariannina e tutti voi, ho raggiunto il mio scopo.
Le nostre antenate vivono in noi, noi siamo la speranza della loro redenzione da retaggi atavici.
Senza distinzioni e barricate di genere, ogni essere umano è degno di memoria oltre che essere soggetto di storia e di Storia.
L’Arte ha questo di meraviglioso: restituire alla memoria, magari tributare una carezza, deporre un fiore.
@ Mela: il discorso Pinocchio mi preme per vari motivi – ad esempio è di questi giorni la pubblicazione dell’edizione nazionale degli scritti di Lorenzini…
La figura della Fata Turchina ha molto della donna angelicata, di Beatrice e… della Madonna. Già il colore dovrebbe essere un indizio!
Pinocchio e Geppetto hanno – se ci pensiamo – lo stesso nome (Giuseppe). Non vi fa pensare a nulla?
Comunque io considero il romanzo uno straordinario Bildungsroman ed Eco lo stima migliore del “Cuore” di De Amicis ritenuto reazionario e retorico, mentre Pinocchio conserverebbe una eversiva carica vitale che ne fa un classico per tutte le generazioni.
Io amo entrambi i libri perché rispecchiano anime diverse dell’italianità.
Comunque Fata Turchina è una donna emancipata per l’epoca!
Un saluto ad Eva – nomen omen? Per il post è adattissimo! 🙂 – e ad Antonella Beccari…
Grazie a Carmen Pantano per averci ricordato questa figura misconosciuta di donna.
Vedete che a furia di stanarle queste donne vengono fuori?
Ieri sera ho presentato a Militello in Val di Catania il libro.
Mi ha commossa la mostra che accompagnava l’evento: fotografie di soldati morti per difendere l’Italia durante le ultime due guerre mondiali. E poi stampe, medaglie, proclami… tanto materiale sui Carabinieri.
I volti però mi hanno colpita più di tutto il resto: la Storia è la storia di uomini e donne reali, non di miti ammantati di retorica, fatta com’è dai visi di questi soldati fotografati in divisa in uno studio fotografico di primo Novecento, su sfondi finti di fiori e paesaggi.
Penso al loro destino, tra le alture del Carso, i deserti africani, l’inferno gelato della Russia…
Grazie Mavie!
🙂
Certo che puoi considerarti a pieno titolo zia del mio libro! E un poco anche di Mariannina…
Condivido in pieno le tue parole: questo anniversario forse ci lascerà – spente le luci, ammainate le bandiere… – un ritrovato orgoglio.
Ci lascerà forse un nuovo rispetto per le parole patria e per lo stesso nome di Italia. L’Italia che è stata un sogno di poeti prima di farsi nazione.
Ho scelto Mariannina – o lei ha scelto me. Non so.
So solo che ad un certo punto non ho potuto fare a meno di raccontare la sua storia. Che è un po’ la storia delle siciliane dell’Ottocento ed è la storia di noi donne. Anche oggi.
Bene fai a ricordare le donne scienziate.
Rita Levi Montalcini ha dedicato la sua vita alla scienza.
Maria Montessori è stata una grandissima educatrice ma chi sa la sua laurea in Medicina fu un vero scandalo – lei donna tra colleghi uomini?
Ed entrambe hanno sacrificato tantissimo della propria vita personale.
Pensiamo al fatto che la Montessori presentava il proprio figlio Mario come assistente, dovendo nascondere la propria condizione di “ragazza madre”, di donna non sposata con un figlio.
E la Montalcini non ha avuto una famiglia propria.
I premi Nobel?
Uomini.
Non tutti sanno che la scoperta del DNA si deve a una donna che è morta di tumore perché continuamente esposta a sostanze cancerogene per poter fare analisi e scoprire la struttura della molecola della vita.
E il Nobel a chi è andato? A Watson e Crick.
Le scienziate hanno dovuto lottare quanto o più delle artiste, perché per secoli si è ritenuto che la scienza fosse appannaggio esclusivo degli uomini e che l’arte fosse più consona alla mente femminile.
Grazie ad Antonella Beccari per aver ricordato la Mantegazza e la Invernizio… ne ho letto qualche romanzo. Vero è che è la classica narratrice d’appendice, ma quanto ha scritto, quanto è stata amata, quanto ha sdoganato l’immagine della donna scrittrice ed artista!
Possiamo dire che fu una delle prime scrittrici professioniste…
Ne riparleremo.
condivido questa bella inziativa che mi sta facendo conoscere tante donne del nosto risorgimentoche meritano di uscire dall,oblio.IERI AD UN CONVEGNO HO PARLATO PROPRIO DEL RISORGIMENTO INVISIBILEE IN PARTICOLARE HO RACCONTATO LA STORIA DI ANTONIETTA DE PACE CHE NESSUNO CONOSCEVA .HO FATTO UN FIGURONE!!!E HO INCURIOSITOIL PUBBLICO.GRAZIE MASSIMO E SAPPI CHE SABATO 26 MARZO OSPITERò LA GRANDE DACIA MARAINI NEL MIO COMUNE FALCIANO DEL MASSICO (CE).SONO AL SETTIMO CIELO!!!!!!!CIAO
@ Maria Luisa
Grazie a te. Scusa ma non ho avuto il tempo di seguire il dibattito. Sono sicura però che, se avrò bisogno di bibliografia sulla figura femminile risorgimentale, questo sarà il luogo giusto.
Bel dibattito-corso.
Proporrò il tuo libro alle biblioteche locali di cui mi servo.
Quanto alla narrativa popolare della Invernizio, è vero. Ma, ripeto, se è vero il “(quando avevano la ventura di saper leggere ma non la cultura o i mezzi per farsela)”, allora evviva l’appendice. Soprattutto se indigna Gramsci e Lucini. Vuol dire che ha colpito nel segno. Altrimenti, i due signori non si sarebbero mossi a scrivere una sola parola.
Già me li immagino i mariti e i padri a cercare sotto il letto delle rispettive consorti e figlie i libri “proibiti” della Invernizio.
Ciao 😉
Ciao Massi 🙂
Un giorno o l’altro, perchè non indici un dibattito anche sulle dimenticatissime scrittrici italiane dell’Otto e del primo Novecento?
Chi conosce più, per esempio, Flavia Steno? O Fiora Vicenti? E Nevra Garatti, mai sentita? Dora Felisari? Carlotta Mandel?
E tante altre che nessuno legge più e che, pure, hanno costruito la nostra letteratura.
Da molte di queste sono uscite la Deledda e la Serao, per esempio.
E molte di queste sono state anche eccellenti poetesse.
C’è un mondo sommerso da cui proveniamo (donne!), di cui non è stato scritto e detto nulla.
Buona giornata.
E grazie a Massimo per le belle occasioni. 🙂
Enrichetta Di Lorenzo è stata una donna del Risorgimento italiano.
Nasce ad Orta di Atella il 5 giugno 1820.
E’ stata patriota e infermiera militare
Enrichetta è nota per lo sfortunato rapporto d’amore che la legò a Carlo Pisacane. Enrichetta, che conosceva Carlo fin dall’infanzia, era sposata con un uomo molto più anziano di lei, Dionisio Lazzari, dal quale aveva avuto tre figli. Carlo stesso traccia un ritratto – certo non imparziale – di Dionisio in alcune lettere ai suoi familiari, dipingendolo come un uomo ignorante , che trattava la moglie “con le maniere le più rovinose, con le parole le più indecenti, con i modi più bruschi”(Pisacane), non lasciandole spazio neppure nell’educazione dei figli.
Dopo aver a lungo soffocato i propri sentimenti reciproci, i due giovani si dichiararono il proprio amore. In quello stesso periodo Carlo, ufficiale del genio nell’esercito borbonico, la notte del 12 ottobre 1846, venne aggredito a pugnalate davanti alla sua casa, a Napoli, forse –secondo i biografi- da un sicario del Lazzari. La notizia dell’episodio suscitò nella capitale borbonica pettegolezzi e scandalo.
Dopo aver analizzato le possibili alternative alla fuga, tra cui quella di un doppio suicidio, e dopo aver scartato come indegna la possibilità di mantenere a Napoli una relazione clandestina (lo racconta lo stesso Carlo in una lettera ai familiari), all’inizio del 1847, la coppia – sotto falsi nomi – si imbarcò per Livorno, di qui per Marsiglia. Enrichetta aspettava un figlio di Carlo.
Cominciò una lunga odissea che li portò da Marsiglia a Londra, poi a Parigi, senza mezzi, soggetti alla persecuzione delle autorità diplomatiche napoletane. A Londra i due amanti vissero nel povero e periferico quartiere di Blackfairs Bridge, mentre Carlo, con l’aiuto di Gabriele Rossetti, cercava invano un’occupazione; Palmerston respinse le richieste napoletane di estradizione della coppia. In Francia, invece, il governo di Luigi Filippo li chiuse in carcere “sotto il pretesto di contravvenzione al regolamento dei passaporti, ma in realtà nell’aspettativa che da Napoli fosse giunta la querela del Lazzari per potere agire più crudelmente” (Romano 1933b) – non essendo l’adulterio perseguibile se non su richiesta della parte lesa. Il 28 aprile 1847, dunque, Carlo ed Enrichetta furono arrestati in un albergo di Rue S. Dominique d’Eufer, dove si erano rifugiati sotto falsi nomi. Il duca di Serra-Capriola, ambasciatore napoletano a Parigi, su consiglio di un amico ecclesiastico inviò ad Enrichetta, in carcere, una nobildonna francese, che la esortò a tornare sulle proprie decisioni, ma trovò in lei ” una riunione delle più esaltate e cieche passioni, con una sfrontatezza e la più orrida immoralità, e l’ateismo il più positivo”, come Serra-Capriola scrisse al Principe di Scilla, commentando “(..) debbo far conoscere che non vi è alcuna speranza di veder la signora Lazzari ritornare in famiglia, tanto più che la Polizia mi ha dato tutte le facilitazioni ed aiuti per riportare sulla retta via questa donna travata e madre snaturata” (Romano 1931).
L’otto maggio, non essendo giunta alcuna querela dal Lazzari, i due vennero rimessi in libertà. La difficoltà di trovare mezzi di sussistenza e la nostalgia di Enrichetta per i figli la indussero più volte a tentare un accordo col marito e con le autorità borboniche che le consentisse di tornare a Napoli senza che Dionisio si valesse del suo diritto di farla incarcerare, né che le imponesse di tornare a vivere con lui. Enrichetta, come scrive nelle lettere ai parenti, avrebbe voluto vivere in una condizione di indipendenza, aspettando che un evento rivoluzionario – che riteneva imminente – consentisse a Carlo di tornare a Napoli e riunirsi a lei. Ma da Napoli le giungevano proposte inaccettabili. Da Marsiglia, il 28 ottobre, Enrichetta scriveva alla madre:
“Cara Madre,
Sono rimasta meravigliata ed inorridita di ciò che si pretende da me; mi condannate per avere io lasciato i miei figli che hanno un nome, una fortuna, delle persone che possono prenderne cura come la loro madre istessa, e poi mi si propone, anzi si esige, che io abbandoni il caro figlio dell’amore a cui sono per dare la luce, e che non avrà né nome, né fortuna, per cui ha più dritto all’amore mio ed alle mie cure!”(Romano 1933a)..
Da poco scarcerato, il 31 maggio 1847 Carlo scriveva da Parigi all’amico Giovanni Ricciardi : “l’amore di madre è in lei fortissimo (..) i disagi a cui con me va soggetta le fanno temere la perdita di un pegno che porta nel suo seno, e che ci lega, queste due ragioni, l’indurrebbero a ritornare a Napoli ed a lasciarmi, ed io vedrei in questo il suo bene (..)”.
In questa ed in altre lettere ai parenti Enrichetta espone la sua critica alla dominante ipocrisia morale e – citando talora George Sand – la libertà dei sentimenti e la dignità del suo rapporto con Carlo. I due giovani, grazie alla presentazione del Rossetti, erano entrati in contatto con Guglielmo Pepe e con l’ambiente degli emigrati italiani in Francia, assorbendone cultura e ideali. Grazie all’intervento del Duca di Montebello, vecchio amico di famiglia e ministro della Marina francese, poi, Carlo ottenne l’arruolamento nella Legione straniera, col quale sperava di far fronte alle esigenze materiali sue e della sua compagna, che lasciò a Marsiglia, in casa di amici., sostenuta anche dai parenti, che la visitarono e le inviavano denaro da Napoli.
All’inizio di dicembre nacque Carolina, di cui si perdono ben presto le tracce, tanto da far supporre una fine prematura. Tornato Carlo dall’Algeria, i due giovani assistettero con emozione ai moti parigini di febbraio e alla proclamazione della repubblica “lì 28 febbraio 1848, anno destinato a farci vedere grandi avvenimenti” così viene datata una lettera al fratello Achille (Romano 1933a). La rivoluzione del marzo 1848 indusse la coppia a recarsi a Milano, dove Carlo strinse fraterna amicizia con Carlo Cattaneo e combattè come capitano contro gli austriaci. Ferito, venne raggiunto e assistito da lei a Salò. Poi i due amanti si trasferirono a Roma, dov’era stata proclamata la repubblica.
Qui Enrichetta entrò in un comitato per l’assistenza ai feriti presieduto da Cristina di Belgiojoso e fu nominata dal triunvirato “direttrice dell’ambulanza”. Il 30 aprile 1849 partecipò ai combattimenti contro i francesi, a San Pancrazio. Sul Monitore Romano del 5 maggio pubblicò una lunga relazione di quel combattimento, esaltando la parte presavi dai trasteverini, e firmandosi “Enrichetta Pisacane”.
Caduta Roma, con le sue incessanti premure presso il generale Oudinot ottenne la scarcerazione di Carlo dal carcere di Sant’Angelo.
Quindi la coppia si rifugiò in Svizzera, dove Carlo sbarcava il lunario scrivendo articoli sulla guerra recente: articoli aspramente critici, che gli procurarono accanite ostilità negli ambienti patriottici. Enrichetta, ancora lacerata dalla nostalgia per i figli, si ritirò, da sola, in un modesto albergo di Genova, per poter mantenere più facilmente i contatti con la propria famiglia, forse anche incontrare i suoi figli (come si desume da alcune lettere ad Achillle). Dopo una breve crisi sentimentale di Enrichetta, che conosciamo da alcune lettere scritte a Carlo, lui la raggiunse nell’autunno 1850, per viverle costantemente accanto nei sette anni successivi, in una casetta sul colle Albaro (presso Genova).
A Napoli, dopo il suo coinvolgimento nella Repubblica romana, Enrichetta, era considerata non più una qualsiasi donna “traviata”, ma una persona pericolosa per la sicurezza del Regno. Lei ne era ben consapevole. Scrive al fratello: “Come credere così facile mi si accordi il permesso, ora che hanno saputo esservi un decreto stampato del Triunvirato romano in cui io fui nominata Direttrice dell’ambulanza, ora che saranno al certo conosciuti i miei principi e la mia fede politica? (..) Potresti tu credere in buona fede che il Governo se mi accorda l’entrata non fosse solo per vendicarsi? Lo ha fatto un’altra signora, è giunta in Napoli e l’hanno chiusa in Monastero. Ho veduto l’avv. Conforti, e mi ha detto essere la cosa la più ruinosa l’andare in Napoli prima che fosse passato il parossismo della reazione(..)” (Romano 1933a).
All’inizio del 1853 dalla coppia nacque un’altra figlia, Silvia. Frattanto Carlo, riavvicinatosi a Mazzini, cominciò a progettare una spedizione volta a sollevare il Sud. Entrò in contatto con il Comitato insurrezionale repubblicano di Nicola Mignogna, Teodoro Pateras, Antonietta De Pace.
Espulsa da Genova a causa delle attività rivoluzionarie di Carlo, Enrichetta si rifugiò a Torino con la piccola e gracile Silvia. “Quando la spedizione nel Napoletano fu decisa, la maggiore avversaria fu la De Lorenzo. (..) ella supplicò, scongiurò perché questi giovani non corressero incontro alla morte, ch’ella col suo speciale intuito muliebre vedeva sicura: in ultimo, al Pisacane irremovibile, oppose il supremo argomento, che lui era padrone di farsi ammazzare, ma non aveva il diritto di condurre tanti giovani al macello”(Romano 1931). Così scrive Aldo Romano, che più di ogni altro ha contribuito a ricostruire le vicende della celebre coppia. Nel 1857 Carlo, come è noto, perse la vita con i suoi compagni nella tragica spedizione di Sapri. I pochi sopravvissuti, tra cui Giovanni Nicotera, furono incarcerati.
Enrichetta ottenne di tornare a Genova con la sua “Silvietta”. Qui gli emigrati napoletani la confortavano “recandosi nella di lei casa come se vi fosse stata la tomba di Pisacane” , come si legge in un rapporto della polizia sabauda (Romano 1933b). Agostino Bertani, Medici, Pallavicino Trivulzio, Pasquale Stanislao Mancini, Acerbi, Cosenz, Camillo Boldoni ed altri patrioti lanciarono, immediatamente dopo la morte di Carlo, una sottoscrizione a favore di Silvia, in testa alla quale veniva espresso l’impegno della nazione a fare “suoi i figli di coloro che le avranno fatto sacrificio della vita” (White Mario). D’accordo con Enrichetta, si tentò di costituire un consiglio di tutela: il progetto fallì – a quanto riferisce Jessie White Mario – a causa delle divergenze politiche all’interno del gruppo dei sottoscrittori, in rapporto alla discussa figura di Carlo Pisacane e ai suoi scritti. I promotori della sottoscrizione rinunciarono perciò a lanciarla a livello nazionale e, per iniziativa di Bertani, stipularono per la figlia di Carlo un’assicurazione, che prevedeva anche garanzie per Enrichetta.
Nel 1859, per interessamento del musicista Mercantini, Silvia venne collocata nel collegio delle Peschiere.
Una lettera di Enrichetta a Bertani, del 1860, lascia intravedere il suo sostegno a Nicotera, che scontava la sua pena nel carcere di Salerno, e ai suoi compagni di prigionia:
“Gentilissimo Bertani, ieri io era dispiacente perché la mia Silvia aveva la febbre, e dimenticava di fare la ricevuta al vostro domestico dei quattrocentoquindici franchi e ottantotto centesimi. La fo quest’oggi perché la Silvia sta meglio e si alzerà dal letto. Potete immaginare quanto io vi sia grata per ciò che avete fatto per i nostri prigionieri. Fu una felice ispirazione la mia di dirigermi a voi. Io invierò a Nicotera quel denaro in due rate” (White Mario).
Entrato Garibaldi in Napoli, Enrichetta potè far ritorno nella sua città. Con decreto dittatoriale, Garibaldi fece assegnare una pensione di 60 ducati alla piccola Silvia, con la quale intrattenne una corrispondenza. Uscito dal carcere, Giovanni Nicotera, adottò la bambina, come aveva promesso a Pisacane poche ore prima del suo suicidio.
Le ultime notizie che abbiamo di Enrichetta la vedono, a Napoli, in un Comitato di donne per Roma capitale fondato a sostegno dell’impresa garibaldina del 1862 da Antonietta De Pace, con Alina Agresti , Luisa Papa, Teodora Muller ed altre patriote.
Silvia Pisacane morì giovane, nel 1890. Aveva custodito gelosamente il carteggio tra i suoi genitori. Dopo la sua morte, la sorella di Nicotera lo distrusse, “sopraffatta da scrupoli morali”(Romano 1931).
Esiste un dizionario biografico che riunisce le donne di maggior rilievo nella storia d’Italia, dall’Unità ad oggi… non so se sia già stato citato, comunque è un’opera (in tre volumi) estremamente valida dal punto di vista bio-bibliografico.
Si tratta di:
ROCCELLA, Eugenia – SCARAFFIA, Lucetta – “ITALIANE – Dall’Unità d’Italia alla prima guerra mondiale, Dalla prima guerra mondiale al secondo dopoguerra, Dagli anni Cinquanta ad oggi” – Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le Pari Opportunità; Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria; Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2004
E, visto che oggi è la festa del papà, un grazie a tutti quei papà che hanno sostenuto le proprie figlie femmine (notate il tautologico pleonasmo 🙂 , che fossero i papà delle nonne delle nostre nonne o delle mamme di oggi.
L’intelligenza e la sensibilità continuano a non avere età. Di qualsiasi sesso. Se poi ce l’ha un papà, almeno si è sicure di partire.
Quanto al percorso e alle diritture di arrivo, su quello non ci possono fare nulla. Ma è un altro discorso.
Brava Maria Lucia che con cura , competenza e grazia parla di figure femminili messe in ombra ma importanti per riconoscerci tutti nella nostra storia. Non conoscevo Mariannina Coffa e le sue poesie perciò ringrazio la passione e il lavoro di Maria Lucia, leggerò con curiosità ed interesse il suo libro.Ancor più per me e per q
..e per quelli che come me non conoscevano la protagonista è fondamentale il raccontare di Maria Lucia che svela figure ed impegni attraverso la scrittura, grazie davvero. E naturalmente lunga vita al suo libro! un abbraccio.
…suggestivo il book trailer e complimenti per le recensioni appassionate e nitide, come sempre, della bravissima e squisita Simona e di Luigi .
…Chopin…cara Maria Lucia, praticamente un accompagnamento perfetto, meraviglioso!
(Pesaro 1819 – 1882)
–
Sara Nathan Levi nacque a Pesaro il 7 dicembre 1819 da famiglia di modeste condizioni economiche. Rimasta orfana di madra all’età di tre anni, visse prima a Modena e quindi a Livorno, presso la famiglia Rosselli, parenti del ramo materno. Nel 1836 sposò Meyer Moses Nathan, gentiluomo tedesco con il quale l’anno successivo si trasferì a Londra.
Qui conobbe Giuseppe Mazzini ed entrò in contatto con numerosi esuli italiani, spesso acogliendoli in casa e partecipando a sottoscrizioni a favore della causa italiana. Dopo il 1849, caduta la Repubblica romana, Mazzini tornò a Londra, rifugiandosi dai Nathan, la cui casa divenne il punto di riferimento dei mazzininai ed più in generale dei democratici in Inghilterra. Tra coloro che furono accolti vi era Maurizio Quadrio, che divenne l’istruttore dei figli dei Nathan e che rimase sempre molto legato ad essi.
Dopo il 1859, rimasta vedova Sara Levi Nathan tornò in Italia, prima a Firenze poi a Milano, sempre restando un punto di riferimento per i mazziniani. Nel 1862 dovette trasferirsi a Lugano, per sfuggire all’arresto per il suo appoggio al Partito d’azione; nella villa a Lugano di nuovo Mazzini ebbe spesso accoglienza. Nel marzo del 1872 Sara levi Nathan accorse a Pisa, nella casa dei Rosselli, ove si trovava Mazzini, ormai morente, assistendolo fine alla fine assiene ad altri famigliari. Nei mesi successivi essa si occupò della pubblicazione delle opere e di tutti gli scritti del patriota repubblicano, acquistando tutti i manoscritti e tutti i diritti su scritti ed opere, affidandone la cura editoriale a diversi esponenti repubblicani, tra i quali il Quadrio.
I dizionari biografici del Risorgimento danno di lei poche e contraddittorie notizie.
Nata a Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina nel 1826 secondo alcuni, nel 1841 secondo altri, nel 1835 secondo altre ancora.
«frutto degli illeciti amori di un tal Antonino Mazzeo, sensale di agrumi» , è nota ora come Giuseppa Bolognari dal nome della nutrice alla quale viene affidata in assai tenera età, ora come Giuseppa Calcagno, secondo un’altra versione che la vuole invece affidata dalla locale Congregazione di carità a certa Maria Calcagno, “nutrice di trovatelli”. L’iconografia ne fa risaltare il bell’aspetto, mentre altre fonti testimoniano la bruttezza del suo viso, butterato dal vaiuolo. Incerta la professione, forse serva di un oste catanese e poi aiutante stalliera in un fondaco e rimessa di carrozze da nolo; più certa la sua cattiva reputazione («Benché come donna virtuosa non fosse molto stimata»…) dovuta anche al suo legame con un ragazzo molto più giovane di lei (“il giovinetto Vanni”).
Di certo partecipa alla insurrezione del 31 maggio 1860 che ha per teatro le strade e le piazze di Catania, dove le squadre popolari, male armate, guidate dal colonnello Poulet, tengono coraggiosamente testa, per ben sette ore, a oltre duemila soldati borbonici, comandati dal generale Clary, barricatisi nella piazza dell’Università, costretti ad abbandonare la città in mano ai rivoltosi. La giovane si distingue per due atti di valore – il primo, avvenuto nei pressi della Piazzetta Ogninella, e l’altro, nella Via Mazza, in prossimità dell’attuale Piazza San Placido – per i quali viene persino decorata con una medaglia di argento al valore militare.
Nel primo mentre le milizie borboniche si erano barricate nella piazza dell’Università, e le milizie di Panlet si preparavano ad assalirle, l’eroina in compagnia di un certo Vanni riuscì ad impadronirsi di un cannone tenuto dai napoletani e seppe così bene manovrarlo da infliggere gravissime perdite al nemico
Il secondo atto eroico di Peppa è così narrato da uno storico locale:
«Era già mezzogiorno, e gli insorti avevano quasi esaurito le munizioni, sicché il loro attacco incominciò ad infiacchire; di ciò si accorse il generale Clary, che cercò con una carica di cavalleria per la Via del Corso (l’attuale Via Vittorio Emanuele) di aggirare la destra dei suoi avversari. Giusto in quel punto, un gruppo di insorti, con alla testa Giuseppa Bolognara, sboccava in piazza San Placido dalla cantonata di Casa Mazza, trascinando il cannone guadagnato ai borbonici, per cercare di condurlo sul parterre di casa Biscari e lanciare qualche palla contro la nave di guerra che già bombardava la città, coadiuvata dal fuoco di due mortai posti sui torroni del Castello Ursino. Appena però quei popolani sboccarono sulla Via del Corso, videro in fondo a Piazza Duomo due squadroni di lancieri che si apparecchiavano alla carica. Temendo d’essere presi, scaricarono all’improvviso i loro fucili, abbandonando il cannone già carico; ma Giuseppa Bolognara restò impavida al suo posto e con grande sangue freddo improvvisò uno stratagemma dando nuova prova del suo meraviglioso coraggio. Sparse della polvere sulla volata del cannone e attese tranquilla che la cavalleria caricasse; appena gli squadroni si mossero, essa diede fuoco alla polvere ed i cavalieri borbonici credettero il colpo avesse fatto cilecca prendendo soltanto fuoco la polvere del “focone”.
Si slanciarono perciò alla carica, sicuri di riguadagnare il pezzo perduto: ma, appena avvicinatisi di pochi passi, la coraggiosa donna, che li attendeva a piè fermo, diede fuoco alla carica con grave danno degli assalitori, e riuscì a mettersi in salvo».
L’epiteto di Peppa la cannoniera che l’ha resa famosa insieme ad un gruppo di popolani e al giovanissimo Vanni, suo compagno di avventure, che non sopravvive a questa impresa, si impadronisce di un cannone, abbandonato dai soldati borbonici e, caricatolo sopra un carro, lo mette in salvo a Mascalucia, quartier generale delle truppe rivoluzionarie. Per i suoi servigi gode di una pensione di 9 ducati mensili dal Comune di Catania che pretende erogati nell’unica soluzione di una gratifica di 216 ducati. «Poche sono le pagine dell’Istoria in simili casi che le donne si abbiano combattuto per la Patria con tanto coraggio e migliore di un uomo» e il pittore Giuseppe Sciuti le dedica una tela, conservata nel Museo del Risorgimento di Catania, mentre un’effige scolpita in gesso la ricorda ancora oggi nel Museo Nazionale di Palermo.
Dopo aver partecipato alle azioni militari, cacciate le truppe nemiche, fa da vivandiera della Guardia nazionale e prende parte all’espugnazione di Siracusa.
Si dice che Vanni e Peppa si amassero e questo aggiunge un tocco ancora più struggente e “romantico” alla storia di questa donna straordinaria.
Finalmente riesco a connettermi di nuovo… poco a poco voglio rispondere a tutti voi.
Francesca Giulia, grazie!
🙂
Poi mi dirai… attendo i tuoi commenti!
@ Antonella Beccari: grazie dei puntuali e interessanti commenti.
La festa del papà… il rapporto di Mariannina Coffa con il padre fu molto complesso: la figlia venne da lui istruita ed esaltata. Ne fece la reginetta dei salotti di Noto e la fece ammettere – unica donna – nell’Accademia dei Trasformati. Ma la vicenda della rottura del fidanzamento con Mauceri, del matrimonio con Morana, della malattia di Mariannina, incrinò i loro rapporti o quanto meno li complicò notevolmente.
Coffa oscilla tra comprensione del genio della figlia e sostanziale misconoscimento delle sue esigenze di donna. Il tutto dovuto certo alla morale e all’educazione dell’epoca – l’istruzione era una dote tutta da far fruttare per la figlia di un avvocato – ma credo che questa vicenda presenti dei caratteri universali.
Enrichetta Di Lorenzo… ne parlo di straforo anche nel mio libro, perché la donna viene citata come esempio di amore romantico e sfortunato perché passione sconsiderata. Viene quindi posta come esempio negativo perché Mariannina non pensi ad una fuga con Mauceri.
Antonella, hai colto nel segno: critici e scrittori, intellettuali e poeti provavano uno scorno notevole nel vedere che le proprie mogli e compagne leggevano la Invernizio!
Il libro che possiedo io è una ristampa anastatica e contiene delle belle osservazioni della Invernizio.
Magari ne potremmo riparlare in un post a parte…
Grazie della proposta alle biblioteche… uno dei miei desideri è quello di lasciare il mio libro alle biblioteche che frequento. Infantile desiderio di immortalità grazie alla letteratura, pensiero che qualcuno possa leggerlo richiedendolo ad un bibliotecario…
@ Palmina Manica: salutaci Dacia Maraini e dille che la aspettiamo in Sicilia… a maggio verrà nella mia scuola e non sto nella pelle!
🙂
Parlaci di Antonietta De Pace.
Auguro una buona serata a tutti. In particolare a Maria Lucia, con la quale mi sto incrociando… 😉
Mari, mi raccomando… facci leggere un brano tratto dal libro…
@ Palmina Manica
Grazie mille a te, cara Palmina.
Salutami tanto Dacia (che sarà fresca di ritorno dal viaggio negli Stati Uniti per un tour nelle università americane).
@ Antonella Beccari
Cara Antonella, in effetti credo che sarebbe interessante e utile dare spazio e “voce” alle scrittrici e letterate dell’Ottocento e del primo Novecento. Prima o poi lo faremo.
Un caro saluto a Francesca Giulia e a tutti gli altri…
Cosa hai detto della De Pace? Qui ne è stata postata una biografia. Ci sono altri aspetto su cui hai relazionato?
Cara Mari,
ho rilanciato “la camera accanto” proponendo una discussione su “la questione nucleare”.
Ma questo dibattito incentrato sul tuo romanzo dedicato a Mariannina Coffa (e sulle donne del Risorgimento italiano) continuerà ancora nei prossimi giorni… con la collaborazione di tutti gli amici del blog.
Ciao Massi… vari problemi mi hanno impedito di collegarmi.
Adesso vi posto l’incipit del libro.
Poi magari inseriamo qualche altro brano.
Il respiro è un ppp, un pianissimo come quelli delle partiture impolverate che si è portata dietro da Ragusa. Perché, poi. In questa casa non c’è pianoforte, a stento si mangia. Le medicine – musture! schifiarei di duttura imbriachi!, così le chiamano questi notigiani convinti di sapere tutto e invece forse niente sanno, specialmente di lei – sedimentano inerti nel vetro opaco delle boccette. Aspettano l’alba che spiova dagli scuri socchiusi.
Mariannina vuole vedere il cielo, vuole parlare alla luna di notte, come faceva a casa Coffa. Vuole scrivere ancora, magari anche sulle lenzuola, alla cieca, e poi decifrare al mattino i versi del suo genio notturno, l’Angelo che la visita e le detta dentro, che l’ha fatta prima credere una poetessa ispirata da Dio, poi una folle invasata che rompe zitaggi, che lascia marito e figli per rintanarsi in una Noto che – troppo tardi l’ha capito – non la vuole più.
Ma stanotte no. Gli occhi sono chiusi, le orecchie sorde alla musica divina dell’Angelo. Un diavolo si sta mangiando le carni di Mariannina – il rimorso, fu. Certi colpi di testa si pagano. Poi si dice che il Signore castiga. Ce li andiamo a cercare, i castighi. Noto parla. Noto sparla. Noto addita e condanna. Ma Noto non sa.
Non sa il dolore. Lancinante. Che dura ore, notti, giorni interi.
Poi torpore. Misericordioso.
L’arpa della poesia questa notte non suonerà. Le candele riposeranno senza consumarsi alla febbre di Mariannina. L’inchiostro seccherà, e forse qualcuno per non sprecarlo domani l’allungherà con un po’ d’acqua e lo userà. Una nota per la lavandaia, il conto del droghiere. Le prime spese, perché certo si dovrà pensare a…
La penna obbedirà, la carta non farà resistenza.
La carta non sa. Non conosce padrone. Come l’inchiostro, come la penna.
Forse domattina l’Angelo visiterà qualcun’altra. Domani notte forse ispirerà versi a una nuova sensitiva.
Forse pure Mariannina è una penna, un foglio di carta, una boccetta d’inchiostro. A volte l’ha pensato. E stanotte? Lo sa?
Forse l’ha capito.
Forse lo sa che l’Angelo, stanotte, se la porterà via.
Grazie Massi… buonanotte!
🙂
Bello leggere anche di Colomba Antonietti…
@ Ang: attendo critiche e commenti!
🙂
Grazie a te, cara Mari.
Una serena notte a te e a tutti gli amici di Letteratitudine!
Buon inizio settimana!
Ho molto riflettuto su ciò che ha postato il ragazzo su quel forum.
Trovo comunque molto bello che un giovane si schieri e si appassioni.
Ma non dobbiamo cedere all’emotività e a certi revisionismi che ci farebbero buttare il bambino insieme all’acqua sporca.
Qualche sera fa ascoltavo il prof. Iachello dell’Università di Catania che sottolineava il coinvolgimento decisivo delle classi dirigenti siciliane nell’impresa dei Mille in Sicilia, che datava 1848 se non prima – vedi il fallimento dei moti del 1820-21 e 1830-31…
Vero è che ci furono molte ambiguità e ombre, vero è che la delusione postrisorgimentale fu tremenda… ma l’ideale era bello e vero ed anche giusto.
Strano che i miti fondanti della nostra nazione – Risorgimento e Resistenza – suscitino tante divisioni. Ma forse è il motivo per cui furono così vitali.
Sui punti 1 e 2 potrei anche concordare – però le eccellenze locali non servirono al Regno delle due Sicilie da volano economico.
Il punto 3 mi sembra perlomeno azzardato. Penso alla Siracusa prerisorgimentale e le poche attività industriali che mi vengono in mente sono qualche cartiera e delle industrie conserviere. Censura, pochi libri e giornali, analfabetismo, latifondismo.
Ci sarebbe da discutere anche sui restanti punti, ma restiamo in argomento e parliamo delle donne del Risorgimento. Certo, le donne siciliane vissero sulla propria pelle la leva obbligatoria di mariti figli padri fratelli, cosa che sottrasse molte braccia all’agricoltura e che aggravò la miseria dei più poveri. Sette anni. Sette anni sono molti per la terra che deve essere coltivata, per le fidanzate, per i figli.
Saluto Mirella e mi scuso con chi eventualmente avessi dimenticato…
Vi segnalo il gruppo Facebook dedicato a Mariannina Coffa:
http://www.facebook.com/group.php?gid=64514178435
E il gruppo che ho fondato su Facebook dedicato al mio libro…
Vedrete anche le foto delle vetrine, me con la coccardina tricolore, i segnalibri esclusivi… insomma, FERITA ALL’ALA UN’ALLODOLA che si immerge nel cuttigghio globale (citazione della mia amica L.R. : cortile globale è la sua definizione di FB.)
http://www.facebook.com/group.php?gid=64514178435#!/home.php?sk=group_127884123948998&ap=1
http://w3.uniroma1.it/dprs/sites/default/files/442.html
Ecco un bel link per approfondire le figure della Muzio Salvo e della Li Greci… si parla anche di Mariannina e della Fileti.
La Contessa di Castiglione, Clotilde di Savoia… Maria Sofia…
Quante donne.
A domani, primo giorno di primavera.
Giornata mondiale della poesia.
Per festeggiarla degnamente vi posto dei versi di Mariannina.
http://www.giornaledisiracusa.it/rubriche/la-piazza/20904-a-noto-mostra-documentaria-su-mariannina-coffa.html
Dall’otto marzo al trentuno maggio, visitate se potete questa mostra documentaria su Mariannina Coffa…
Grazie Maria Lucia… ci sarebbe proprio bisogno di un nuovo Risorgimento perchè oggi più che mai «Né trastullo né servo il nostro sesso col forte salga a dignità conforme»!!!
http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Eventi/visualizza_asset.html_720819650.html
Noto, 25 gennaio 1863
1.
Amo…che val se l’universo è muto
Alle più sante melodie del core?
Se in te l’anima mia tutto ha perduto
Vive,combatte,ed è gigante amore.
Diletto mio!…sai tu che i giorni e l’ore
Le lagrime e la prece ho rattenuto?
Che ho fidato a le stelle il mio saluto
Ed ha pianto natura al mio dolore?
Sai tu che mille volte in rotti accenti
Ho chiesto al Ciel di rivederti e indarno
Indarno sempre la mia prece uscia!
Che non pugnai coi disperati eventi?
Oggi vivrei fra l’armonie dell’Arno
Di te più degna e della cetra mia?
2.
Si…vivrei per amarti, e ignota e oscura
Morir vorrei sull’adorato petto!
Credi,amor mio, d’un solo unico affetto
Arde quest’alma nella sua sventura.
Te m’offrivo in un punto arte e natura
Te maggior d’ogni nume e d’ogni obietto.
Ah tu nol sai, la mesta creatura
Vive straniera nell’estraneo letto!
Senza amor, senza luce e senza speme,
Fra le memorie mie chiuso il pensiero.
Dimmi: il duol che mi strugge è morte,o vita?
Vivo, e del vover suo l’anima geme,
Moro, e pace non ha la mia ferita…
e viva e morta ti vagheggio, e spero!
3.
Che mi valse l’ingegno,il core e l’arte
Se te perdendo ogni Ciel perdei?
Se il nume che fu vita ai sogni miei
Mi condanna tacendo e si diparte?
Oh se vedrai queste dolenti carte
Che d’un alito ignoto accendi e bei
Saprai ch’ove sospiri,e piangi e sei
Ivi piange il mio core a parte a parte.
Saprai ch’io t’amo,ed è miracol novo
La vita mia….perchè son morta e vivo,
E là dove non sei non ritrovo!
Saprai,ch’ombra adorata,a me d’accanto
Ti riveggio pur sempre o sogno o scrivo
E più che il labro tuo trovo il tuo pianto.
4.
E invan m’è dato rivederti,invano
Le lunghe notti in un martir profondo
Me stessa impreco,e la natura e il mondo,
E il sogno onde mi piacqui,e il voto insano.
Terribil voto che a me stessa ascondo,
Che trasse al nulla un avvenir lontano,
Ch’estinse il raggio di un affetto arcano
Che m’ha lasciato d’ogni morte il pondo.
Oh potessi un istante il mio martire
Disvelarti,amor mio,potessi almeno
Udir che mi perdoni e poi morire.
Paga morrei pur che fia salvo il core
Paga morrei sull’adorato seno,
Il tuo sguardo sognare e il nostro amore.
http://www.giornalismoestoria.it/getpage.aspx?id=902
Vi ho postato il link ad una pagina che parla di giornalismo femminile nell’età che ci interessa.
Mariannina Coffa scrisse su LA DONNA E LA FAMIGLIA, mensile di Genova.
Cara Maria Lucia, sono molto contenta che tu abbia pubblicato il tuo libro, al quale so che hai dedicato lunghe cure e tanta passione. Sono ansiosa di leggere questa storia di Mariannina.
Nell’attesa, nonostante Tutto (quel che accade intorno) buona festa della primavera, e buona festa della poesia!
@ Maria Luisa
… già… soprattutto perchè la Invernizio, nel perdente mondo femminile a cui erano erano stati tolti il corpo sessuale e quello riproduttivo (le alternative erano o cancellarsi e farsi mistica, oppure esporsi e farsi martire, oppure arrangiarsi e macchinare; aggiungo – non inorridite – farsi puttana per affermarsi, quale ironia!), offriva mille trucchi e mille spunti per il trionfo delle sue eroine.
E tu padre, e tu fidanzato, e tu fratello, e tu critico letterario che mi dai addosso, guardi le schiere delle pazze che mi leggono e temi…
Ma questo non è Risorgimento.
E’ comunque singolare come, quando le cose si misero male, anche le donne (risorgimentali) andassero bene per fare resistenza e congegnare sollevazioni.
Credere che, a cose finite, tutto tornasse come prima, fu un anacronismo.
Quando si combatte dalla stessa parte, cambia la prospettiva…
Ciao Maria Luisa, buona giornata.
@ Massimo
Sempre gentile e tollerante 🙂
Se non fossi un uomo risorgimentale, ti darei del cavalier cortese.
………………….. ma scusate, è già stata citata la Fallaci con il suo “Un cappello pieno di ciliegie”???
Si parla tanto di certe fregnettine ma le perle non si leggono mai.
Eh..il caso Fallaci prude sempre.
Comunque… uno splendido spaccato di vita femminile anche ottocentesca. Consigliato!
@ Maria Lucia
Scusami, rientro un attimo in studio e mi accorgo di avere scritto Maria Luisa invece di Maria Lucia. Perdonata?
Si chiamava Atonia Masanello e con suo marito combatté dalla Sicilia al Volturno nelle file delle camicie rosse.
Lo fece sotto mentite spoglie, facendosi passare per il fratello del consorte, visto che l’arruolamento per le donne a quei tempi non era consentito.
Atonia, o Tonina, dopo aver combattuto valorosamente per l’Unità del nostro Paese morì di tisi a Firenze, in un’umile casa dove viveva con il suo compagno. Diede la vita per fare l’Italia, ma l’Italia la dimenticò presto. Di lei ci parla “Lo zenzero”, giornale popolare di Firenze, che nel 23 maggio 1862, pubblicò un articolo commovente intitolato semplicemente “Atonia Masanello”.
Anche Francesco Dall’Ongaro, noto poeta del Risorgimento, scrisse di lei, parafrasando Dante: “Era bella, era bionda, era piccina; ma avea cuor da leone e da soldato”. Ma le gesta di Tonina arrivarono fin oltre oceano, di lei parlò persino un quotidiano di New Orleans, “The Daily True Delta”, in un articolo del 10 agosto del 1862, intitolato “ An italian heroin”, un’eroina italiana. Poi su Tonina cadde il silenzio, un lungo oblio durato più di un secolo.
Fin quando a Cervarese Santa Croce, paese d’origine della garibaldina, lo storico Alberto Espen, ha deciso di riportare alla luce la storia di Tonina. Grazie alle ricerche di Espen è emerso che gli ufficiali dicevano di Tonina: “ avrebbe potuto comandare un battaglione se per la sua condizione di donna non gliel’avessero impedito”.
A centocinquant’anni dall’Unità d’Italia non possiamo esimerci dal ricordare Atonia Masanello, come recita una poesia di Giovanni Perin “Tra i tanti eroi della nostra storia registrar dovemo la Masala, per conservar viva la memoria, desta gueriera dona, forte e bela”
–
L’ abbiam deposta, la Garibaldina
all’ ombra della Torre di San Miniato
con la faccia rivolta alla marina
perchè pensi a Venezia, al lido amato.
Era bionda, era bella, era piccina ma avea
cor di leone e di soldato.
E se non fosse che era donna
le spalline avria avute e non la gonna
e poserebbe sul funereo letto
con la medaglia del valor sul petto
Ma che fa la medaglia e tutto il resto?
Pugnò con Garibaldi, e basti questo!”
(Francesco Dall’Ongaro)
Carissima Piera,
il tuo augurio è per me preziosissimo…
Hai seguito anche tu le vicende di questo libro che spero spicchi il volo come una poetica allodola.
Nonostante Tutto, come dice il poeta, anche se cogliessimo e strappassimo via tutti i fiori non potremmo fermare la primavera. E con essa la poesia, che è la primavera del cuore e dell’anima.
Grazie davvero.
Giuditta Tavani Arquati (Roma, 30 aprile 1830 – Roma, 25 ottobre 1867) è stata una patriota italiana.
Figlia di Adelaide Mambor e Giustino Tavani, un difensore della Repubblica Romana trasferitosi in esilio a Venezia dopo aver scontato una lunga pena nelle carceri pontificie, la Arquati crebbe in un ambiente che le fece acquisire saldi principi laici e repubblicani.
Nel 1844 nella parrocchia romana di San Crisogono Si sposò a quattordici anni con Francesco Arquati seguendone il percorso politico. Insieme a lui si trasferì prima a Subiaco e poi nel 1865 a Roma.
La mattina del 25 ottobre 1867, giorno in cui Garibaldi prendeva Monterotondo nel corso della terza spedizione per liberare Roma, una quarantina di patrioti, di cui 25 romani, si riunirono in via della Lungaretta 97, nel rione romano di Trastevere, nella sede del lanificio di Giulio Ajani, per decidere sul da farsi. Il gruppo preparò una sommossa per far insorgere Roma contro il governo di Pio IX. Deteneva delle cartucce e un arsenale di fucili.
Alla riunione partecipò anche la Arquati, con il marito e uno dei tre figli della coppia, Antonio.
Verso le 12 e mezzo, una pattuglia di zuavi giunta da via del Moro attaccò la sede del lanificio. I congiurati cercarono di resistere al fuoco. In poco tempo, però, le truppe pontificie ebbero la meglio e riuscirono a farsi strada all’interno dell’edificio. Alcuni congiurati riuscirono a fuggire, mentre altri furono catturati. Sotto il fuoco rimasero uccise 9 persone, tra cui Giuditta Tavani Arquati, incinta del quarto figlio, il marito e il loro giovane figlio.
La figura di Giuditta Tavani Arquati divenne simbolo della lotta per la liberazione di Roma e per anni gli abitanti di Trastevere e le associazioni laiche e repubblicane commemorarono l’eccidio. Il 9 febbraio 1887 fu fondata l’Associazione democratica Giuditta Tavani Arquati, che fu sede di numerose iniziative laiche e anticlericali. L’associazione fu sciolta nel 1925 dal Fascismo e, in seguito, ricostituita dopo la Liberazione. Grazie agli sforzi dell’Associazione e di altre istituzioni il 1º novembre 1909 piazza Romana, che si trovava nelle vicinanze del lanificio di via della Lungaretta, viene rinominata Piazza Giuditta Tavani Arquati.
Trastevere ricorda la patriota romana con una lapide posta accanto all’ex lanificio Ajani. L’episodio dell’eccidio al lanificio Ajani è citato nel film di Luigi Magni, In nome del Papa Re.
@ Antonella: certo!
🙂
Sono abituata a sentirmi chiamare Maria X… e mi giro ugualmente!
Non conoscevo – colpevolmente – la Arquati… interessantissima figura. Grazie.
Massimo è davvero un cavalier cortese! Magari con la camicia celeste…
Per quanto riguarda la Fallaci: un’intellettuale per molti versi scomoda ma intelligente, acuta, stimolante sempre.
Antonia Masanello: un’altra combattente. E che bella la poesia di Dall’Ongaro: le poesie all’epoca avevano il compito anche di esaltare gli animi, di coltivare sentimenti patriottici e civili (e questo ci riporta a Mariannina Coffa e al poeta-vate, interprete delle aspirazioni e dei dolori di un popolo).
Per quanto invece concerne il post Risorgimento l’osservazione di Antonella è molto giusta: si pensò che a cose fatte le donne sarebbero tornate nei ranghi.
Per molte di loro fu così, ma per molte altre si aprono le strade dell’arte, dell’impegno civile, della politica. Indietro non si torna. Chiaramente c’è un reflusso, come avvenne per esempio dopo la seconda guerra mondiale. Immaginiamo le donne che – mariti fratelli padri figli lontani – vengono impiegate anche nelle industrie, oltre che negli uffici. Penso alla mia bisnonna che mieté il raccolto da sola con dei figli ancora piccoli. Pensiamo a Marilyn Monroe che lavora in una fabbrica di aerei…
Dopo la guerra si rivolevano le donne a casa ed in effetti gli anni Cinquanta sono anni conformisti e ipocriti, ma molte donne “non ci stanno”…
Jessie Jane Meriton White, spesso chiamata Jessie White Mario o Jessie Mario dal cognome del coniuge (Portsmouth, 9 maggio 1832 – Firenze, 5 marzo 1906), è stata una patriota, scrittrice e filantropa inglese naturalizzata italiana.
È stata un importante personaggio del Risorgimento italiano. Fu soprannominata “Miss Uragano” o la Giovanna d’Arco della causa italiana (quest’ultimo appellativo le fu dato da Giuseppe Mazzini). Fu infermiera in quattro campagne con Garibaldi; fece ricerche sulle condizioni di vita nei quartieri più poveri di Napoli e dei minatori delle solfatare siciliani. Scrisse copiosamente sia come giornalista che come biografa.
Nata in una ricca famiglia di armatori dello Hampshire, Jessie compì in gioventù studi classici studiando filosofia con Félicité Robert de Lamennais alla Sorbona di Parigi tra il 1852 ed il 1854. A Parigi Jessie conobbe Emma Roberts, che si considerava legata a Giuseppe Garibaldi. Diventarono amiche e quando Emma Roberts fece visita a Garibaldi prima a Nizza e poi in Sardegna, Emma portò Jessie con sé. Fu grazie a questo incontro che Jessie decise di dedicare se stessa alla causa dell’unificazione italiana.
Nella primavera del 1855 tornò a Londra nella vana speranza di diventare la prima donna medico dell’Inghilterra. Si avvicinò quindi a Giuseppe Mazzini, allora in esilio a Londra. Scrisse articoli spiegando la situazione italiana e raccogliendo fondi per la causa italiana nel nord Inghilterra ed in Scozia. Quando, nel 1857, Mazzini tornò a Genova, Jessie lo seguì. Il suo arrivo fu annunciato dal giornale mazziniano l’Italia del Popolo.
Col fallimento della spedizione di Carlo Pisacane, Mazzini fuggì a Londra mentre Jessie – con il fidanzato Alberto Mario – fu catturata ed imprigionata a Genova per quattro mesi. Nel dicembre del 1857 Jessie ed Alberto Mario si sposarono in Inghilterra. Jessie continuò ad effettuare comizi in Inghilterra e Scozia. Nel 1858 Jessie ed Alberto furono a New York per perorare la causa italiana. Nella primavera del 1860 li troviamo a Lugano, pronti per giungere a Genova per imbarcarsi con la seconda ondata di volontari che partivano per la Sicilia per raggiungere Garibaldi. Alberto fu nel comando vicino a Garibaldi mentre Jessie svolse il ruolo di infermiera.
Partecipò alla terza guerra di indipendenza, nel 1866, aggregata come infermiera al corpo di sanità garibaldino, operando nella cura dei feriti dopo la battaglia di Bezzecca, nella spedizione di Monterotondo e Mentana nel 1867 ed infine seguì Garibaldi nella guerra franco-prussiana, nel 1870, prendendo parte alla battaglia di Digione. Dopo l’unificazione italiana, si occupò dei problemi sociali che non erano nelle priorità dei primi governi post-unitari.
Dal 1870 si occupò in tre progetti di ricerca riguardanti:
– il problema della pellagra nelle campagne, dovuta alla cattiva alimentazione dei braccianti.
– la ricerca sulle condizioni dei poveri di Napoli, vista erroneamente dal governo come una città molto prosperosa. Jessie trovò che larga parte della popolazione viveva in grotte, sotto le strade in condizioni sanitarie pietose. Da questa sua ricerca fu pubblicato un libro – La miseria di Napoli – nel 1877.
– la salute dei minatori nelle solfatare siciliane. Denunciò il largo uso di lavoro minorile e le cattive condizioni di lavoro e di salute dei minatori siciliani che arrivavano ad essere inidonei al servizio militare.
–
Continuò l’attività giornalistica scrivendo per giornali italiani, inglesi e statunitensi. Scrisse biografie di Garibaldi, Mazzini, Bertani, Cattaneo, Nicotera e difese accoratamente il garibaldino Castellazzo, accusato di aver tradito i congiurati di Mantova del 1852.
Nel febbraio 1879 il premio Nobel Giosué Carducci, criticando l’inoperosità della sinistra italiana verso le classi più deboli, in quell’anno forza di governo a sostegno di Depretis, scrisse:
« La democrazia conta un solo scrittore sociale: ed è un inglese, ed è una donna; la signora Jessy Mario, che non manca mai dove ci sia da patire o da osare per una nobile causa. »
Morì il 5 marzo 1906 a Firenze. Il funerale si svolse con cerimonia non religiosa, tenutasi nell’appartamento della Mario, alla quale seguì un lungo corteo funebre che attraversò le strade di Firenze. Le ceneri di Jessie White riposano ora nel cimitero di Lendinara accanto ad Alberto Mario
Molto bella la biografia di Jessie White. Non conoscevo questa donna.
Perdonate l’assenza, ma sono giorni di grande fatica…
Sono molto felice dello sviluppo di questa discussione: sia per il meritato riscontro ottenuto dall’ottimo romanzo di Maria Lucia, sia perché abbiamo contribuito a dare visibilità a tante donne che hanno rivestito un ruolo importante nel Risorgimento italiano e che la Storia aveva in parte dimenticato.
Ne approfitto per ringraziare tutti per i commenti e i numerosi contributi pervenuti.
Un saluto speciale a coloro che hanno partecipato a quest’ultima coda di dibattito: Maria Lucia (ovviamente!), Piera Mattei, Antonella Beccari, Annamaria…
@ Maria Lucia
cara Mari, perché non ci offri – se possibile – un ulteriore brano tratto dal romanzo?
Inoltre Maria Lucia, vorrei che ci raccontassi di un’esperienza letteraria che ti ha coinvolta in prima persona e che ha a che fare con… i Carabinieri.
Ti andrebbe di raccontarci qualcosa?
(Non importa se è fuori argomento).
Anche per me giorni faticosi ma sono lieta che il dibattito continui…
Grazie a tutti, davvero.
Molto bella la biografia della White. Gli inglesi – le inglesi – spesso viaggiavano nel nostro paese nel Sette-Ottocento per il Grand Tour e il loro interesse per l’Italia non era solo emotivo o legato all’arte ma investiva anche la sfera del sociale.
Vi posterò domani qualche altro brano del romanzo.
Massimo, colgo l’occasione per segnalarvi il concorso “Carabinieri in giallo” che ho avuto la ventura di vincere nel dicembre 2010.
Il mio racconto si intitola “Dossier Pinocchio” e potete leggerlo sul sito dei Carabinieri.
La cosa bella – oltre alla premiazione a Roma presenziata da De Cataldo presidente di giuria – è che a luglio 2011 uscirà un’antologia con i racconti finalisti e premiati… nei Gialli Mondadori!
Vi posto il link…
Se cliccate su HANNO ARRESTATO PINOCCHIO troverete il resoconto della premiazione ed una foto…
Se cliccate su DOSSIER PINOCCHIO potrete leggere il mio racconto.
Il bando dell’edizione 2011 è pure presente.
I Carabinieri tra l’altro mi hanno regalato l’agenda e il calendario storico, come sempre meravigliosi e quest’anno speciali perché dedicati alla storia dell’Arma durante il Risorgimento.
Quando sono stata a presentare il libro a Militello in Val di Catania una cosa molto bella è stata essere accolta nell’Auditorium San Domenico dalle splendide immagini della mostra dedicata proprio all’Arma dei Carabinieri e ai combattenti delle due guerre.
I Carabinieri hanno attraversato molta della nostra storia nazionale e sono un corpo molto letterario!
Cari amici, perdonate la mia assenza, ma un guasto al computer mi ha lasciato per giorni e giorni in un silenzio devastante. Recupererò leggendo pian piano i meravigliosi contributi di questi giorni…
A Maria Lucia: grande, Maria Lucia, vedo che questo post è un vero successo. Sono felice per te. Lo meriti davvero; in merito alla redazione del romanzo, posso dire di averla vista crescere e maturare giorno per giorno, notte per notte. Mentre io vagavo per l’Italia facendo su e giù da Roma, la penna di Maria Lucia correva sulla pagina, a inseguire il profilo invisibile di Mariannina. Inseguendo quell’altra celebre penna, dispensatrice di virtù e di passione!
A Mela: cara Mela, non sono di Castroreale, ma di Messina, anche se vivo a Roma ormai da undici anni ormai. Un caro saluto e grazie;
A Maria Attanasio: Maria cara, un saluto affettuoso, che bella la figura di cui parli, mi hai proprio incuriosito. Spero di sentirti presto;
A Massimo, Simona, Salvo, Mavie e tutti gli amici qui riuniti, un saluto a tutti e grazie di cuore a chi ha dato il sangue per poterci oggi chiamare italiani…
Complimenti in ritardo, ma doverosi, alla brava Maria Lucia Riccioli.
Un romanzo importante, questo suo, che esce nel momento giusto. La figura di Mariannina Coffa, poi, meritava di essere messa in risalto.
Ho letto qua e là i commenti ed ho apprezzato soprattutto gli inserimenti delle biografie di queste donne vissute nel Risorgimento italiano. Molte di loro non le conoscevo.
Dunque, grazie.
Caro Luigi, grazie per essere tornato a intervenire.
Un saluto anche a Marco Vinci.
Maria Lucia, se è possibile (e se ti fa piacere)… perché non ci fai assaggiare un altro po’ del tuo romanzo?
Grazie a voi tutti… settimana impegnativa e poco tempo per collegarmi, scusatemi.
Vi posto il link a CENTONOVE…
Luigi La Rosa mi ha intervistata, quindi troverete me e Mariannina Coffa insieme a tante donne del nostro Risorgimento in due splendidi paginoni nella sezione culturale del settimanale.
Ci vediamo in edicola!
http://www.centonove.it/4DAction/w_home
Ecco il link…
Un caro saluto a Luigi La Rosa…
Grazie a te, che hai seguito palpitando le vicissitudini della Mariannina letteraria…
A Marco Vinci: grazie davvero.
Sono lieta che la mia penna abbia potuto suscitare anche solo un pizzico di interesse in più per la nostra storia Risorgimentale e per il Risorgimento delle donne…
Oggi pomeriggio, promesso: posterò altre pagine!
Rieccomi… vi posto il brano in cui Celestina Caruso, la madre di Mariannina, si domanda che cosa ne sarà della figlia.
Mariannina, dov’è Mariannina? Quella benedetta figlia non si sa mai dove si cacci e cosa faccia. Oh, eccola. Sempre a contemplare, come se il mondo intero fosse stato creato da Domineddio per finire nei suoi occhi e dentro i manoscritti che ricopia con tanta cura.
Celestina si domanda cosa ne sarà della sua carusa. Non è la prima volta né l’ultima. Questa scuola. Si augura che non le metta strane idee nella testa già streusa e fantasiosa. Che maestri e compagne la comprendano. Che la fatica dello studio non le tolga l’appetito già scarso. Guarda, non ha assaggiato manco un boccone di pane ed è digiuna da ieri sera.
Un altro brano.
Durante il colera del 1854 – che è lo stesso di STORIA DI UNA CAPINERA, per intenderci – la famiglia di Mariannina va a vivere in campagna.
Celestina Caruso Olivo rispetta il silenzio geloso di Mariannina che è corsa in camera a centellinare da sola quella lettera sperata, attesa, infine giunta.
Scuote il capo mentre torna ad agucchiare. Punti piccoli, che richiedono attenzione. La signora Coffa però fatica a concentrarsi.
Sta figurandosi la foga gioiosa di Mariannina, quella figlia tanto desiderata, tanto attesa come una lettera dal Padreterno. Quella figlia così dotata che non si sa cosa farne, come di un ninnolo troppo prezioso ricevuto in dono e che si tema di rompere sol tenendolo troppo stretto fra le dita. Le dita. Celestina Caruso le porta alle labbra. Si è punta e piccole stille color rubino si adagiano sulla tela. Mette via il lavoro. Che Mariannina sia come le principessine delle fiabe, adorate dalla sorte, invidiate da maghi tessitori di sventura?
Ripone il telaio Celestina. E vorrebbe metter via anche i mali pensieri. Il colera, quel viaggio d’inferno fatto di prescia, con la roba ammunziddata sui carretti, le serve pigliate dai turchi…
Salvatore, il signor marito, sempre nirbuso, con la testa camuliata di pinzeri per la patria, no, la Patria, come se fusse ‘na cristiana, ‘na santa, martirizzata, scannata da questi Borboni – a bassa voce, a bassa voce, perfino quando lo pensa – sfruttatori sbirri sconoscenti…
Celestina, si vergogna a dirlo e mai lo confesserebbe, neanche a padre Sbano in confessione, al marito mai e poi mai…
Celestina a volte di questa patria è un poco gilusa. Italia. Certe volte Celestina manco se la figura questa Italia che è. Sulla carta geografica dispiegata sulla buffetta della cucina le pare misera cosa. Uno stivaletto. Da caccia? Da passeggio forse. Che prende a calci la Sicilia.
Salvatore, Salvatore, signor marito temuto e amatissimo… non mi fate penare. Per questa Italia, per questa fimmina in forma di stivale che volete unita a tutti i costi alla Sicilia, a noi…
Per Celestina la patria era tutta lì, alla Falconara, racchiusa nelle solide mura del casale. Nella dimora di Noto, coi balconi che riuscivano ad occhieggiare il mare oltre il giardino di pietra barocca, miele puro degli Iblei al sole.
Patria era Salvatore e ’Nzulu e Giuseppe. Patria era Mariannina. Eppure anche lei, anche lei, la sua figliola amatissima, era innamorata di quella Italia che voleva perderle il marito e ai figli il padre. Scriveva di patria, di libertà conculcata. Di Ducezio, il mitico re di Sicilia che l’aveva fatta bella e grande prima che orde di stranieri la sopraffacessero. Di patrioti ed esuli fieri indomiti ribelli.
Salvatore, Salvatore… Mi hai lasciata qui. Sola.
A difendere la domestica patria, Celestina.
Sacro dovere anche questo.
Così le diceva, così credeva di conquistarla alla lotta, all’idea. E lei ad abbassare la testa, come se chiedesse la benedizione prima di un’impresa in cui avrebbe trovato morte. La fuga di notte a notte per i fatti del Quarantotto, l’esilio a Malta, gli arresti, i contatti con gli altri rivoluzionari… Tutto gli aveva permesso, anche le riunioni degli Accademici in casa. Trasformati, si chiamavano. Letterati, uomini di chiesa, padri di famiglia, impiegati. Sediziosi, tutti. Solo le carte in casa non aveva volute. Le registrazioni delle sedute. Carte d’inferno, che potevano spedirli tutti nelle carceri dei Borboni, re dai gigli d’acciaio. E Mariannina. Infuocata pure lei, animosa, desiderosa di partecipare alla lotta per l’ideale, lei, una bambina che tutti credevano, che si credeva lei stessa, vate di Neas, l’antico nome di Noto. Vate.
Riprese il lavoro. Per seguire un solo filo, non quella torma di pensate ingarbugliate e ritorte. Le macchie di sangue. Sarebbe bastata un po’ d’acqua fredda. Anche per la febbre dei patrioti? Tele bagnate d’acqua ghiacciata? Non per Salvatore. E, lo capì proprio quel giorno, in quel preciso istante, preparato dal colera, dai bagagli approntati all’intrasatta, dalla lettera di quella sconsiderata femmina della Fileti, non per lei. Non per Mariannina.
Cara Mari,
grazie per averci fatto assaggiare un altro po’ del tuo romanzo.
Lunga vita alla memoria di Mariannina Coffa (e di tutte le donne del Risorgimento italiano) e a questo tuo bel libro.
Mi auguro che la discussione possa proseguire ancora.
Grazie Massi…
Posterò altre pagine.
Ma ora è tempo di lasciare spazio anche a te, uomo dalla camicia celeste, padrone di casa, anfitrione di questo splendido salotto.
Ora è il momento di festeggiare te.
Auguri di cuore per questa nuova uscita che non vedo l’ora di leggere.
Passo sul tuo post!
🙂
Ci tenevo tanto a ringraziare un’altra donna speciale che ha reso unico il mio libro: Lia Levi.
Non c’è bisogno di presentazione: gli amici di LETTERATITUDINE la conoscono e la apprezzano come merita.
Mi uniscono a lei oltre che la stima verso il suo lavoro di scrittrice – e di straordinaria affabulatrice nei confronti di torme di bambini e ragazzi – un’amicizia della quale sono onorata.
Lia mi ha fatto il dono – oltre che di preziosi suggerimenti, di affettuosi incoraggiamenti – delle sue parole sulla quarta di copertina.
Ve le riporto, ricordando anche che Lia ha scritto anche di Risorgimento (sia per bambini che per adulti) ed è stata di recente insignita di un prezioso riconoscimento da parte del Presidente della Repubblica.
Grazie Lia!
Una ricerca storica tanto approfondita e minuziosa farebbe presupporre
un romanzo che tragga il suo valore dalla forza dei fatti. Niente di più
sbagliato.
I fatti – e quali fatti – restano, ma sopra di loro Mariannina prende il volo per offrirsi come uno dei più trepidi e irradianti personaggi del nostro panorama letterario. E lo stile della Riccioli! Basterà leggersi la magistrale scena delle nozze in cattedrale in un’alba livida e la sposa “presa di freddo”, presagio di un amaro destino.
Una prosa sfumata e robusta, mai dimentica di ritmo e poesia in un
impianto di scrittura senza cedimenti né pause, in una parola, che va dritta al cuore.
Lia Levi
Come tutti qui – e altrove – sanno, chi scrive il patriottismo cerca di metterlo in pratica e di dichiararlo ad alta voce sempre, quotidianamente e dovunque, non solo in Italia e in occasione delle solennita’ (le quali tuttavia a volte sono benvenute: e’ il caso di questo 150o anniversario dell’Unita’).
Dunque questo post sulle donne scrittrici, e’ un tocco di raffinatezza in piu’ donato ad un’occasione veramente magnifica e del tutto condivisibile (senza se e senza ma, ammiro gli Eroi risorgimentali dal primo all’ultimo). Inoltre, questo 150o, per me sara’ irripetibile, visto che fra cinquant’anni, chissa’ se io… mmmh…
Sul romanzo di Marilu’ Ricci, mi esprimero’ dopo averlo letto, per adesso dico solo di averlo in casa, pronto per cadere sotto le mie occhialute iridi. L’incipit e’ attraente e la lingua di Marilu’ molto personale, come sempre. Ma vedremo in seguito.
Un saluto a Sergio, che dalla Slovenia segue i destini letterari e non della nostra patria.
Abbiate pazienza, tu e le tue occhialute iridi, non con me ma con Mariannina Coffa.
Grazie per le osservazioni su lingua ed incipit…
Grazie, Mari. Spero che la discussione possa continuare ulteriormente.
–
Un caro saluto a Sergio.
Vi invito a visitare la mostra documentaria MARIANNINA COFFA POETESSA NETINA, organizzata dall’Archivio di Stato di Siracusa – sezione di Noto e dalla Biblioteca comunale di Siracusa.
http://www.marialuciariccioli.splinder.com per ulteriori informazioni, ma avete tempo fino al 31 maggio.
http://www.archivi.beniculturali.it/UCBAWEB/ricerca.php?nome=NOTO
La mostra copre tutta la vita di Mariannina tra pubblico e privato: dagli atti di nascita e morte ai libri, dalle lettere ad Ascenzio alle pubblicazioni successive alla morte della Poetessa… bellissimo.
Sono lieta di presentare, giorno 18 aprile 2011, il romanzo FERITA ALL’ALA UN’ALLODOLA e la figura di Mariannina Coffa in due scuole: l’I.I.S. FILIPPO BRUNELLESCHI di Acireale e l’I.I.S. GIUSEPPE LOMBARDO RADICE di Catania…
Grazie in particolare alle professoresse – anche loro scrittrici e amiche mie personali – Maria Rita Pennisi e Rosa Zappulla…
http://www.comune.siracusa.it/Politiche_Culturali/Biblioteca.htm
Vi segnalo anche questa mostra, tenuta presso il Palazzo del Governo in via Roma a Siracusa.
La mostra documenta il contributo che il Val di Noto, quindi la mia provincia che comunque all’epoca era amplissima, diede al Risorgimento e all’unificazione nazionale.
Un nome ricorre, quello di Salvatore Coffa, padre della poetessa.
Brava, Maria Lucia!
In bocca al lupo per tutto.
Ho conosciuto il volume di Maria Lucia Riccioli soltanto ieri sera, alla presentazione a Catania, e sono rimasto paicevolmente colpito, almeno per le parti che ho avuto modo di sentire. Mi è piaciuta la prosa corposa, possente, appassionata ed appassionante nello stesso tempo. Inoltre conosco le diffilcoltà della scrittura di un romanzo “storico”, perché sono alla prese con la stesura di un romanzo ambientato nel Settecento. Lo leggerò al più presto, anche se – come al solito – sono indietro col lavoro.
A margine di quanto ho detto, però, vorrei esprimere la mia opinione nei confronti del Risogimento, inteso come lotta di un intero popolo.
in una bella novella di Verga, intitolata Cos’é il re, un povero lettighiere si interroga non soltanto sulle mansioni del re, che lui non conosce, ma sulla parola stessa: non sa proprio cosa vuol dire la parola re. questo la dice lunga sul coinvolgiemnto delle masse rurali e contadine del profondo sud.
l’unificazione italiana è stato compiuta grazie all’interessamento della Francia e dell’Inghilterra in funzione anti borbonica, che non sono quei mostri che la storiografia risorgimentalistica vuole farci credere.
comunque, il discorso, sebbene molto interessante, è molto lungo e complesso.
complimenti ancora a Maria Lucia Riccioli per il suo romanzo
ciao a tutti
Adriano Di Gregorio
Grazie Adriano!
La presentazione catanese, svoltasi al Cafè de Flore il 6 maggio a cura di Maria Rita Pennisi e Luigi La Rosa con un bell’intervento del nostro Massimo e le musiche di Pietro Aglianò ad accompagnare le letture di Orazio Caruso, è stata per me una bellissima soddisfazione.
Amici e persone che ho conosciuto e sono venute ad ascoltarmi mi hanno riempito il cuore. Una bellissima serata.
Marinella Fiume mi ha onorata della sua presenza affettuosa e partecipe; Elvira Seminara ha assistito all’incontro con la volontà precisa di stare accanto a un’amica che esordisce… grazie ad entrambe!
Massimo, che dirti? Brother in books…
Stessa cosa a Luigi e Maria Rita, ad Orazio, Pietro e a tutti i catanesi: siete nel mio cuore.
Adriano, persegui il tuo sogno: scrivere un romanzo storico è un’avventura faticosa ma esaltante. Grazie delle tue parole: per me la forma che ho scelto per raccontare Mariannina è importante. Ho cesellato ogni parola per creare un’atmosfera, rendere psicologie, emozionare ed avvincere. La lingua è l’unico mezzo che hai per evocare un mondo.
Altre bellissime esperienze: il 18 aprile ad Acireale al Brunelleschi, poi a Catania al Lombardo Radice; l’8 maggio da Modusvivendi a Palermo… e ieri a Noto, in occasione del convegno su Mariannina Coffa all’Archivio di Stato di Noto… che belle cose mi sta facendo vivere Mariannina!
http://www.patriamia.tk/
Vi segnalo questo delizioso sito didattico… che presto ospiterà, per gentile invito della curatrice, anche la mia Mariannina…
Mariannina va avanti nella sua tournée: dopo Palermo l’8 maggio, giorno 12 ho avuto la gioia di presenziare a Noto al convegno in onore della Coffa, parlando del trattamento letterario della sua figura e dei rapporti tra Mariannina e Siracusa.
Il 19 maggio sarò ad Acireale – Salone dell’Istituto San Luigi, Via Galatea. Ore 17.30 – mentre il 23 maggio sarò a Siracusa, nell’Aula magna della mia scuola, il Liceo Quintiliano. Ore 17.
Vi aspettiamo, Mariannina ed io!
UN LIBRO
Non vi è nave come un libro
Per portarci lontani,
Né destriero come una pagina
D’imbizzarrita poesia.
Questo passaggio può portare il povero
Senza gravarlo del pedaggio;
Quanto frugale è la carrozza
Che porta un’anima!
EMILY DICKINSON
(Traduzione a cura di Fiorella Operto)
Sono felice di presentare il mio libro nella mia scuola per la Festa del Libro…
Ringrazio tutto lo staff della FIDAPA di Acireale per la splendida accoglienza di ieri pomeriggio… e Maria Rita Pennisi che mi ha presentata, oltre ad Orazio Caruso, lector ufficiale, e Pietro Aglianò, tecnico e autore delle musiche originali.
Mariannina continua a viaggiare… dopo Acireale, la mia scuola a Siracusa, Raffadali (AG) con “Riccioli e ricci”, un evento letterario e… dolciario, in cui il mio libro è stato abbinato ai ricci, specialità di mandorle e pistacchi del locale “Le Cuspidi”.
Ringrazio Stella Vella, amica e presentatrice, lei stessa autrice di racconti, tutto lo staff de “Le Cuspidi”, la lettrice Marilù Pistone e Nadia Vella, pr e fotografa…
E il viaggio continua.
Vi rendo partecipi della mia gioia: sarò ospite, il 18 giugno, del Letterando In Fest di Sciacca… insieme a Beatrice Monroy, Silvana Grasso, Elena Doni e molti altri scrittori, giornalisti, artisti… per parlare di donne del Risorgimento, scrittura e molto altro.
Vi aspetto!
http://letterandoinfest.blogspot.com/
Complimenti, cara Maria Lucia.
Bravissima!
http://www.mulino.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=14713
Ecco il volume sulle donne del Risorgimento che verrà presentato a Sciacca insieme al mio romanzo.
Si tratta di un saggio a più mani edito dal Mulino.
Le autrici fanno parte del gruppo di “Controparola”, fondato dalla Maraini.
Il libro tratta, in maniera rigorosa ma nello stesso tempo avvincente e divulgativa, figure femminili più o meno note che si sono distinte nel corso del Risorgimento…
Grazie Massi…
Sono felice che tu mi abbia dato l’opportunità di parlare di Mariannina Coffa e delle altre donne del Risorgimento qui su “Letteratitudine”…
Sono reduce dal LetterandoInFest di Sciacca… una bellissima esperienza di condivisione…
Ringrazio tutto lo staff, in particolare Stella Scirè e Sandro Bono…
E poi Elena Doni, mia compagna d’avventura in questa presentazione sulle donne del Risorgimento, tra cui la mia Mariannina Coffa…
Begli incontri, tra cui quello con Cetta Brancato e Rocco Mortelliti, con Silvana Grasso ed Emidio Greco…
Ad maiora!
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/08/28/la-poetessa-malinconica.html
Ecco il link all’articolo uscito su LA REPUBBLICA – edizione di Palermo e firmato da Loredana Faraci.
Approfitto per ricordarvi che il 30 settembre 2011 ricorre il centosettantesimo anniversario della nascita di Mariannina Coffa (1841-1878). Qui e su Facebook ricorderemo la poetessa… vi aspetto numerosi!
Su Facebook basterà digitare il nome della poetessa (il gruppo si chiama Donne celebri – Sicilia – Netine illustri – Mariannina Coffa).
Troverete inoltre la pagina dedicata all’evento e il gruppo Ferita all’ala un’allodola con le ultime novità, le date delle presentazioni, foto e altro…
Carlo Muratori, nell’ambito del concerto POVERA PATRIA che sta portando in tour in occasione dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, ha musicato un sonetto di Mariannina Coffa, “Ombra adorata”, eseguito per la prima volta durante la conferenza all’Archivio di Stato di Siracusa, sezione staccata di Noto.
Ascoltatelo: è un brano molto intenso, che rivela la sensibilità del cantautore per la figura della poetessa e patriota netina.
http://www.youtube.com/watch?v=XdYS18CoYA4
Per maggiori informazioni:
http://www.carlomuratori.it/il_concerto/index.php
Approfitto di questo spazio per ringraziare Carlo Muratori e la moglie Maria Teresa Arturia per l’attenzione nei miei riguardi… e un grazie a Enza Dell’Aquia, che ha fatto da “gancio”…
http://www.youtube.com/watch?v=ho_O4ZXyGDY&feature=related
Un prezioso documento…
Il video realizzato dall’Archivio di Stato di Siracusa – sezione di Noto in occasione della mostra documentaria su Mariannina Coffa patriota e poetessa.
Grazie alla direttrice dell’Archivio e a tutto il personale per l’ospitalità e la disponibilità nei miei confronti.
Potrete riconoscere nelle immagini Marinella Fiume, Angelo Fortuna, Biagio Iacono, Elda Nobile… e me.
Una presenza speciale quella di Carlo Muratori, che ha interpretato dal vivo un sonetto della Coffa da lui musicato, “Ombra adorata”.
In questi giorni il dibattito sulla Coffa ferve anche sul blog di Maria Di Lorenzo, che ringrazio per la sua affettuosa disponibilità…
http://flanneryblog.wordpress.com/2011/09/19/ferita-allala-unallodola/#comment-1953
Ecco il link al post della scrittrice Maria di Lorenzo, che nel suo bellissimo blog “Le amiche di Flannery” ospita la nostra Mariannina Coffa e il mio romanzo…
Ringrazio ancora Maria e vi invito a dare un’occhiata e a commentare, se vi va…
Questo blog nasce per rendere omaggio alle figure femminili della letteratura e dell’arte in genere, quindi è la destinazione ideale per la storia della poetessa e patriota netina.
Come vedete, Mariannina Coffa ha trovato vari “nidi” virtuali e di questo sono riconoscente a Massimo Maugeri, primo anfitrione della poetessa e patriota netina e della sua storia che ho tentato di raccontare e far rivivere nel mio romanzo.
Ancora un plauso a te, Mari, e al tuo importante romanzo su Mariannina Coffa. ne approfitto per salutare anche qui Maria di Lorenzo e e gli amici di Flannery.
Mi sembra giusto ricordare qui, in questo blog che ha tenuto a battesimo la mia creatura letteraria, la nascita di Mariannina Coffa Caruso.
30 settembre 1841, 170 anni fa…
Sit tibi terra levis.
http://www.letteratu.it/2012/03/05/ferita-allala-unallodola-la-storia-dellamore-e-la-sua-poesia/
Una recensione di Erlinda Guida sul blog letterario Letteratu…
Grazie a Francesca Schipa e a tutto lo staff!
http://www.art-litteram.com/index.php?option=com_content&view=article&id=509:ferita-allala-unallodola&catid=17:letteratura-e-arte&Itemid=27#commentID277
La recensione dell’amico scrittore Salvo Zappulla su ART LITTERAM… grazie a Salvo e a Cinzia Baldini…
Salve a tutti…
Mi sembra giusto segnalare in questo spazio che Massimo Maugeri ha avuto la bontà di riservarmi che in occasione del maggio dei libri, oggi a Palermo verrà distribuita l’InciZine REGALAMI UN INCIPIT con le prime pagine del mio romanzo…
potete scaricarla gratuitamente!
🙂
http://www.scripta-volant.org/forum/viewtopic.php?f=137&t=6096
Ottimo, cara Maria Lucia!!!
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/09/02/il-libraio-stefano-palumbo.html?ref=search
Una recensione inattesa che mi ha riempita di gioia… grazie a Stefano Palumbo.
I librai sono l’anima del sistema librario ed editoriale…
Questo post ha messo in luce un anno fa tante figure risorgimentali oltre a Mariannina Coffa…
Sono felice di comunicarvi che è arrivato anche un riconoscimento per il mio lavoro FERITA ALL’ALA UN’ALLODOLA, fatica e gioia di ricerca e parola letteraria.
Grazie a chi mi ha supportata e ha creduto in me…
Ecco il link alla notizia che oggi voglio comunicare a voi tutti.
http://www.siracusanews.it/node/31033
Cara Maria Lucia, è una bellissima notizia!!!
Tanti complimenti a te e al tuo romanzo!!!
Carissima Mari, è un successo da festeggiare e da godere con moltissima gioia! Sono felice per te e per Mariannina! Ho poi letto che la premiazione sarà il 13 ottobre, una data bellissima, che ricorda la madonnina di Fatima e il nostro destino impastato di cielo. Con la felicità di questa coincidenza straordinaria, abbraccio sia te che la capinera!
Mille di questi momenti!
Complimenti e auguri di cuore a Maria Lucia e al suo bel romanzo! Che abbia gioia e soddisfazioni!!!
Grazie…
🙂
La capinera di Noto, la Saffo netina.
Mariannina Coffa, cui ho dedicato i versi di William Blake:
“Ferita all’ala un’allodola, un cherubino smette di cantare”.
Perché per me letteratura è memoria, è musica, è risarcimento e lenimento, cura nel senso latino. Preoccupazione, affanno ma anche medicina.
Il 30 settembre 1841 nasceva una donna e poetessa, una patriota, una siciliana spesso vittima dei condizionamenti storici e ambientali, ma i cui versi e la cui stessa vita sono un grido di libertà, un volo ferito che tende al cielo.
Forza Mariannina!!! 🙂
Un buon compleanno alla poetessa e patriota netina Mariannina Coffa…
Noto, 30 settembre 1841 – 6 gennaio 1878.
Sit tibi terra levis…
Buon compleanno Mariannina Coffa!
Auguri a Mariannina anche da parte mia, cara Mari (sebbene con un po’ di ritardo).
Grazie, Massimo… soprattutto da parte di Mariannina!
Vi aspetto tutti giorno 13 ottobre alla cerimonia di premiazione del Premio Portopalo – Più a sud di Tunisi, presso il Cineteatro di Portopalo di Capo Passero (SR) alle ore 21…
Il romanzo FERITA ALL’ALA UN’ALLODOLA è risultato vincitore ex aequo insieme al libro di Michele Giardina della sezione “Frammenti letterari” del Premio…
Siete tutti invitati!
🙂
Grazie a tutti coloro che mi hanno supportata e sopportata!
Ma… che vuol dire il commento qua sopra? Credo che sia spam…
Approfitto per ringraziare coloro che hanno scritto del premio, si sono congratulati e hanno gioito insieme a me e alla nostra Mariannina Coffa…
http://marialuciariccioli.wordpress.com/2012/12/23/23-dicembre-1812-23-dicembre-2012-il-bicentenario-di-matteo-raeli/
http://www.comune.noto.sr.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2134%3Abicentenario-della-nascita-di-matteo-raeli&catid=33%3Aprimo-piano&lang=
http://www.istitutoraelinoto.it/
Il 21 e 22 dicembre la città di Noto ha celebrato il bicentenario della nascita di uno dei suoi figli più illustri: Matteo Raeli, protagonista del Risorgimento, Ministro di Grazia e Giustizia del Governo Lanza ed estensore della Legge sulle Guarentigie.
Anch’egli spunta tra i personaggi del mio romanzo sulla poetessa e patriota netina Mariannina Coffa… e tra i pannelli della splendida mostra realizzata a cura del Liceo “Matteo Raeli” di Noto – un grazie particolare alle docenti Corrada Fatale e Vera Parisi insieme alle professoresse Marino, Restuccia, al dirigente scolastico professor Spadaro – si fa anche cenno del mio romanzo, con la riproduzione di un brano tratto da “Ferita all’ala un’allodola”.
Nei prossimi giorni tenterò di dare dei ragguagli sui lavori del convegno, di cui comunque presto verranno pubblicati gli atti.
Grazie a tutti coloro che hanno seguito con amore la parabola della mia “allodola”… continuo ad aggiornare il post anche perché vorrei postare a breve notizie sugli atti del convegno dedicato a Matteo Raeli e informarvi di novità sul mio romanzo. Stay tuned!
🙂
Cara Mari,
aggiornaci!!!
Aspettiamo ulteriori notizie e contributi su tutto ciò che riguarda Mariannina!
http://marialuciariccioli.wordpress.com/wp-admin/post.php?post=275&action=edit&message=6&postpost=v2
13 aprile 1893-2013.
Oggi ricorrono 120 anni dalla morte di Ascenzio Mauceri, musicista, drammaturgo, primo preside del Liceo classico di Noto.
Maestro di pianoforte di Mariannina Coffa, con cui si legò in un tragico fidanzamento.
Rimarchevole il suo impegno politico dalla parte di Matteo Raeli, ministro di Grazia e Giustizia, estensore della legge sulle Guarentigie.
Lo offro al vostro ricordo in questo articolo fornendo anche qualche link sulla poetessa ma ci tornerò più avanti.
Ecco – realizzata ieri, festa mondiale del libro, quale modo migliore per festeggiare? – l’intervista di NBTV sul mio romanzo FERITA ALL’ALA UN’ALLODOLA, durante la quale annuncio un’importante novità…
http://www.nbtv.it/10.html
http://marialuciariccioli.wordpress.com/
Su YouTube:
http://www.yo
utube.com/watch?list=PL1zqe4wSTDjd2DDsSUzguww9lhdZLyD0B&v=EIAOqrUfyxI&feature=player_embedded
Attendo commenti!
🙂
Cara Maria Lucia,
complimenti per l’intervista e per la novità che annunci! 🙂
Grazie a te, Massimo… 🙂
Ufficiale: FERITA ALL’ALA UN’ALLODOLA, uscito nel 2011 per i tipi di Perrone Lab, è stato appena rieditato da L’Erudita Editrice (www.lerudita.com)!
Grazie a voi tutti, amici di Letteratitudine… per aver fatto da battistrada al mio libro. Qui vi terrò informati su tutte le nuove presentazioni del mio romanzo su Mariannina Coffa Caruso, poetessa e patriota di Noto.
http://marialuciariccioli.wordpress.com/2013/06/05/ferita-allala-unallodola-rieditato-da-lerudita-editrice/
Ottimo, cara Mari!
È una bellissima notizia: sono felice per Mariannina e per te! 🙂
Grazie Massimo…
🙂
Ecco per voi il link per vedere la copertina in anteprima…
http://marialuciariccioli.wordpress.com/2013/06/07/la-nuova-copertina/
Un grazie enorme a te e tutti gli amici che hanno supportato il mio lavoro… se clicchi sul link vedrai la copertina.
La quarta di copertina è di Lia Levi, la prefazione di Luigi La Rosa e la bandella di Paolo Di Paolo…
http://marialuciariccioli.wordpress.com/2013/06/07/la-copertina-lia-levi-e-paolo-di-paolo/
Bellissima copertina, cara Mari!!!
E ottimi i contributi di Lia Levi (ereditato dalla precedente edizione) e Paolo Di Paolo. 🙂
Bella copertina. Complimenti! 🙂
Eh sì… la cara Lia Levi e Paolo Di Paolo, insieme a Luigi La Rosa che firma la splendida prefazione del libro, sono i miei “padrini” e “madrina” letterari… insieme a tutti gli amici recensori, presentatori… che durante questi due anni hanno accompagnato il mio libro con affetto.
Grazie a tutti loro e soprattutto ai lettori.
Stay tuned perché nel mio blog e qui – in questo post che è un po’ la cronistoria della vicenda di questo libro – posterò la prefazione di Luigi e le novità. Come per esempio la mia recentissima partecipazione a UNA MARINA DI LIBRI, bellissima esperienza umana e di scrittura…
Cara Maria Lucia, ottimo!!!
Se ti fa piacere, potremmo pubblicare la prefazione di Luigi anche su http://letteratitudinenews.wordpress.com/
Ciao Massimo… te la mando via mail?
Qualche appuntamento letterario: giorno 21 giugno, solstizio d’estate, a Siracusa presso il Biblios cafè di Via del Consiglio reginale a Siracusa festeggeremo con l’iniziativa LETTI DI NOTTE: noi autori siracusani e appassionati della lettura leggeremo brani di libri nostri e/o altrui.
Dopo la presentazione delle 18.30 (Simona Lo Iacono incontra Elvira Seminara) dalle 20.30 in poi letture scatenate!
Il Centro Studi di Tradizioni Popolari “Turiddu Bella” organizza un incontro con la poetessa e scrittrice Maria Lucia Riccioli.
Relazionerà la professoressa Maria Bella – poetessa, figlia di Turiddu Bella – sulla produzione poetica in lingua italiana, mentre la giornalista e scrittrice Lucia Corsale converserà con l’autrice sulla scrittura tra poesia, musica e narrativa.
Al pianoforte, il maestro Marinella Strano.
Partecipazione straordinaria di Agostino De Angelis, attore e regista, che leggerà i brani in italiano, tratti dalle poesie, dai racconti e dal romanzo FERITA ALL’ALA UN’ALLODOLA (L’Erudita Editrice).
Le liriche in dialetto siciliano saranno lette dall’attore Marco Scuotto.
http://www.cstb.it
http://www.marialuciariccioli.wordpress.com
Cara Mari,
manda pure via mail… 😉
http://www.lerudita.com/index.php?page=shop.product_details&flypage=flypage.tpl&product_id=70&category_id=7&option=com_virtuemart&Itemid=175&lang=it
Ecco sul sito de L’Erudita il link al mio libro recentemente rieditato…
Il programma della I Festa del Libro di Siracusa, presso la Biblioteca Comunale di Via dei Santi Coronati nell’isola di Ortigia…
Ci sarò io con il mio romanzo, ma leggendo troverete dei nomi ben noti ai letteratitudiani…
I Festa del Libro – Programma definitivo
MATTINA
Dalle 10, in via dei Mergulensi: Estemporanea di pittura.
Biblioteca, via ss. Coronati
I Piano
… ORE 10 : Book Trailer
10,15
L’autore incontra i suoi lettori
I Piano : Gianfranco Damico
II Piano : Elvira Siringo
III Piano : Santi Terranova
11.00
I Piano : Sebastiano Burgaretta
II Piano : Maria Lucia Riccioli
III Piano : Luciano Modica
IV Piano : Luca Raimondi
11.45
Tavola rotonda sulle domande: esiste una scrittura siracusana? Che incidenza ha la scrittura e la letteratura nel tessuto sociale di Siracusa?
POMERIGGIO
Via dei Mergulensi : Baratto del Libro e Estemporanea di Pittura.
17.00 BIBLIOTECA
Pianerottolo I/II piano
Il Sogno, di Luciano – Progetto lettura SBR – Allievi Belvedere
A seguire Cerimonia del Tè e lettura poesie al III piano Biblioteca
17.40
I Piano
Book Trailer
Anteprima Trailer film fest
18.00
I Piano
Simona Lo Iacono Incontra i suoi lettori
18.40
Pianerottolo I/II piano
Il Sogno, di Luciano – Progetto lettura SBR – Allievi Belvedere
19.00
I Piano
Guido Gaudioso sfida Angelo Orlando Meloni
arbitra Gabriele Galanti
20.00
I Piano Biblioteca
L’antigattopardo – Documentario su Goliarda Sapienza, di A. Aiello e G. Di Maio
20.00
All’aperto, via Mergulensi
Il mito e la contemporaneità: intervista ad Attilio Scuderi.
21.15
Palestra I Circolo
Passi, di Statale 114, con Elaine Bonsangue, Giancarlo Trimarchi, regia Salvo Gennuso
22.00
I Piano Biblioteca
L’antigattopardo – replica
22.00
All’aperto, via Mergulensi
Sabina Caruso in concerto, a seguire Loo Zoo
SPAZIO BAMBINI
Pomeriggio
17.00
All’aperto, via Mergulensi
Annamaria Piccione e le sue storie con Giulia Cappuccio e Lucia Zappulla illustratrici
18,30
Giovanna Strano, Daniela Piazza e Sara Bregamo giocano con i bambini a fare un libro
Dalle 17.00
BIBLIOTECA III Piano
Giochi e laboratori su prenotazione per fasce d’età
MOSTRE E INSTALLAZIONI
BIBLIOTECA I, II, III, IV piano
Guido Gaudioso: “Danza. La scrittura del corpo”. Mostra fotografica.
Michele Battaglia: “Modica. Cammini di pietra”. Mostra fotografica.
Irene Catania : Libro d’Artista. Installazione multimediale.
Grazie a Massimo per aver dato rilievo alla riedizione del romanzo… e a tutti voi letteratitudiniani.
La I Festa del Libro è stata un’occasione per ripresentare il libro alla cittadinanza siracusana e per avviare un dibattito sui libri e gli autori siracusani.
Speriamo abbia un seguito e permetta di attivare le belle energie presenti sul territorio!
Grazie a Massimo e a tutti i letteratitudiniani per l’attenzione riservata a Mariannina Coffa, che oggi avrebbe compiuto gli anni, essendo nata il 30 settembre 1841…
Linkerò appena posso i contributi di amici come Maria Di Lorenzo e Laura Costantini…
Grazie a te, cara Maria Lucia.
E’ sempre un piacere poter dare spazio alla nostra Mariannina.
http://flanneryblog.wordpress.com/2011/09/19/ferita-allala-unallodola/#comment-5393
Ecco lo spazio che la scrittrice Maria Di Lorenzo, che ringrazio caramente, ha dedicato alla nostra Mariannina Coffa…
Una bella notizia da condividere con gli amici di Letteratitudine…
Fatemi gli in bocca al lupo!
http://marialuciariccioli.wordpress.com/2014/01/10/ferita-allala-unallodola-finalista-al-kaos-festival/
Ringrazio in primis l’amica scrittrice Rosalia Messina, che mi ha segnalato questo premio… e l’amica Eleonora Lo Iacono di ScriptaVolant per avermi fatto leggere questo articolo!
🙂
E ultimi ma non ultimi i giurati che hanno letto e apprezzato il mio libro…
Ne sono davvero felice, grazie!
Complimenti, cara Maria Lucia! Un grosso in bocca al lupo!
(E tienici aggiornati). 🙂
Grazie Massimo… certo, stay tuned!
😉
Intanto vi posto un link che mi ha riempita di gioia…
Grazie per la seconda volta a Luisella Pacco… le sfide letterarie di Porsche Italia – un caro saluto a Mauro Gentile, alla mitica Silvia Regazzo e a Rossy Solimeno – ci hanno fatto conoscere e la storia di Mariannina Coffa ha creato un legame tra Nord e Sud.
Vi offro nuovamente la recensione che ha scritto a suo tempo e pubblicato sul suo blog e sulla rivista Konrad.
Che bello, un regalo per le feste e in ricordo di Mariannina, che il 6 gennaio ha compiuto l’anniversario della morte (1878).
http://luisellapacco.wordpress.com/2012/09/01/settembre-2012-ferita-allala-unallodola-di-maria-lucia-riccioli/
http://www.scrivendovolo.com/scrivere-donna-38-intervista-a-maria-lucia-riccioli-di-laura-costantini/
Vi ri-propongo la bellissima intervista della scrittrice e giornalista Laura Costantini… il suo progetto valorizza le scritture femminili ed è veramente valido.
http://fattitaliani.eu/index.php/2013-10-02-12-07-30/intervisteeditoria/item/267-kaos-festival-di-montallegro-maria-lucia-riccioli-finalista-con-ferita-all-ala-un-allodola-l-intervista-di-fattitaliani-vi-presento-mariannina-coffa-la-saffo-di-noto
Ecco l’intervista di Fattitaliani – ad opera di Giovanni Zambito – sulla mia partecipazione a Kaos Festival!
Complimenti Maria Lucia! 🙂
Grazie Amelia… 🙂
Massimo e gli amici di Letteratitudine hanno seguito la concezione e la pubblicazione del libro, presentazioni e premi… mi sembra il minimo rendervi partecipi degli sviluppi…
Più che giusto! 🙂
Mi mancano un po’ i dibattiti di un tempo…….
Vi rimando al mio blog per saperne di più… vi terrò aggiornati per farvi sapere com’è andata a finire…
🙂
Amelia, grazie! 🙂
Anche io ho tanta nostalgia di quel periodo magico…
http://www.marialuciariccioli.wordpress.com
Ottimo, Maria Lucia!
Amelia, hai ragione. Purtroppo (o per fortuna… dipende dai punti di vista) le discussioni si sono spostate sui social network… e io non riesco più a trovare tempo e energie (dovendo anche gestire tre profili facebook, una pagina facebook e due profili twitter) per organizzare e animare dibattiti come facevo un tempo.
Di tanto in tanto, però, qualche bel dibattito (con il vostro aiuto) continuerò ad organizzarlo. 😉
Eh sì, Massi… quelli sì che erano tempi…
Per Kaos: ha vinto la Monroy ma sono soddisfattissima! L’unica della Sicilia orientale ad essere giunta in finale…
E poi un’accoglienza davvero splendida…
http://news.supermoney.eu/cultura-spettacoli/2014/01/cultura-alla-scrittrice-beatrice-monroy-il-premio-kaos-2014-0059202.html
Grazie Maria Lucia. Un abbraccio a te e complementi a Beatrice Monroy, che ho avuto modo di “incontrare” qui http://letteratitudinenews.wordpress.com/2013/12/22/intervista-a-beatrice-monroy/
E comunque continuiamo a fare il tifo per Mariannina!
Grazie Massimo…
Questo libro mi ha donato contatti, ha creato legami, ha intrecciato fili…
E a proposito: vi aspetto tutti per una conversazione sul mio romanzo presso la CASA DEL LIBRO MASCALI di Siracusa… saremo io e Annamaria Piccione.
Un pomeriggio – ore 18, giorno 8 febbraio, sabato – per parlare di Mariannina, di Risorgimento, di lettere e romanzi…
http://www.marialuciariccioli.wordpress.com
Una bella intervista… grazie ad Alessandra Bonaccorsi e Marilia Di Giovanni… e a tutto lo staff di SICILIA E DONNA.
http://www.siciliaedonna.it/c7-cultura/c26-libri/maria-lucia-riccioli-finalista-al-kaos-festival-di-ragusa/
Vi invito tutti al convegno netino MARIANNINA E LE ALTRE…
Maggiori informazioni qui:
http://marialuciariccioli.wordpress.com/2014/02/11/mariannina-e-le-altre-storie-di-malinteso-amore/
Ci saremo io, Marinella Fiume, Lucia Sardo, Simona Lo Iacono, avvocatesse, psicologhe, artisti e studiosi che confronteranno la figura di Mariannina Coffa con quelle delle donne di oggi, vittime come ieri di malinteso amore.
Si parlerà di centri antiviolenza, di violenza di genere, di Ottocento e XXI secolo all’insegna del femminile.
Il viaggio di Mariannina continua… giorno 13 maggio 2014, alle 17.30, conferenza della FILDIS Teocrito sul mio libro, allietata da letture e dal violino del maestro Danilo Pistone.
Location: l’aula magna dell’I.T.C. “Alessandro Rizza” di Siracusa, in Viale Armando Diaz 12.
Vi aspetto tutti, anche per ricordare lo sbarco di Marsala, i moti risorgimentali siciliani e netini in particolare: il 16 maggio, ricordato con l’intitolazione di una piazza e una lapide, è il giorno dell’insurrezione di Noto. E lì ci sono i busti di Matteo Raeli e Mariannina Coffa.
Salve a tutti…
Il viaggio di Mariannina Coffa non accenna a concludersi e ne sono lieta.
Continua l’interesse verso questa figura di donna e poetessa, intellettuale poliedrica e patriota.
Grazie alle scuola, grazie alle associazioni culturali che contribuiscono ad invogliare chi ancora non la conosce ad accostarsi a lei.
Grazie a Massimo per l’ospitalità nel suo blog.
Vi posto il link agli ultimi eventi, come la presentazione al Caffè Letterario SALVATORE QUASIMODO di Modica – grazie a Domenico Pisana, Franca Cavallo, Elia Scionti, Giovanni Di Giorgio…
O come il bellissimo convegno del novembre scorso, in cui ho avuto il piacere e l’onore di presentare il meraviglioso libro di Marinella Fiume e Biagio Iacono VOGLIO IL MIO CIELO.
Grazie alle istituzioni sensibili come l’Assessorato alla Cultura del Comune di Noto – specie all’infaticabile Cettina Raudino – per avermi coinvolta.
E non è finita qui!
https://marialuciariccioli.wordpress.com//?s=ferita+all%27ala+un%27allodola&search=Vai
https://marialuciariccioli.wordpress.com/2015/04/08/8-aprile-2015-8-aprile-1860/
Partecipate al concorso letterario dedicato a Mariannina Coffa! Nel post il bando… e altre informazioni.
Grazie sempre a Massimo per l’ospitalità…
BANDO
“VOCAZIONE O MALEDIZIONE?”
Il concorso indetto quest’anno viene dedicato alla memoria della poetessa MARIANNINA COFFA, nata a Noto (SR) nel 1841, la cui arte letteraria fu maledetta dalla famiglia del marito che fu costretta, dai genitori, a sposare. La sua vita fu una lotta continua contro le sofferenze scaturite dalla separazione dal suo grande amore, Ascenso Mauceri, forzata e voluta fortemente dai genitori, e da una salute cagionevole, con a seguire la morte di due dei suoi quattro figli e la perenne lotta contro l’arcigno suocero e le sue convenzioni morali, rispetto alla natura poetica della nuora. Quest’ultimo le impediva infatti di scrivere, poiché egli considerava la poesia – e la cultura in generale – uno strumento di perdizione e disonestà, qualora affidato in mani femminili. Queste continue alterazioni la portarono a comporre versi sofferti, sino ad essere definita ‘poetessa maledetta’, a condurla alla solitudine ed, infine, alla morte.
Ed è proprio a partire dalla storia di Mariannina Coffa, testimone di un’epoca importante della storia siciliana, e quindi del nostro Paese, e dalle poesie che ci ha lasciato della società dell’Ottocento, che scopriamo un’immagine della Sicilia sud orientale radicata ad un sistema culturale inevitabilmente discutibile e ad un’insensibilità verso la poesia e verso la donna, di cui la stessa poetessa divenne vittima.
Inchiostro e Anima diventa così lo strumento di rivendicazione dei poeti discriminati e/o dimenticati, che ci hanno preceduto e hanno lasciato la loro impronta artistica e poetica nel nostro Paese, tra i quali Mariannina Coffa, nota come “la Capinera di Noto” e “la Saffo netina”, poetessa dal grande spessore poetico e umano, e si impegna ad abbattere il muro dell’indifferenza, affinché questi sia riconosciuta nell’ambito culturale nazionale, affinché siano ripresi la ricerca, la crescita, il confronto e la conoscenza delle radici artistiche della nostra terra, per ripristinare la bellezza e il valore culturale e sociale della Poesia, affinché chi ci ha preceduto non venga mai dimenticato, bensì venga con onore ricordato.
In virtù di questa causa
La Carovana degli Artisti presenta il
Concorso Letterario Internazionale “INCHIOSTRO E ANIMA “
(ideato e fondato da Giusy Cancemi Di Maria)
Terza edizione 2014/15 in memoria di Mariannina Coffa
‘La Saffo Netina e Capinera di Noto’
REGOLAMENTO
Art. 1
Il concorso prevede quattro sezioni.
Sezione A: Poesia singola a tema libero. Si partecipa con tre poesie, ognuna delle quali non deve superare i 28 versi.
Sezione B: Poesia singola a tema “Vocazione o maledizione?”. Si partecipa con tre poesie, ognuna delle quali non deve superare i 28 versi.
Sezione C: Lettere d’ogni tempo, epistole d’amore. Si partecipa con un breve scritto che non deve superare le sei cartelle, formato A4, font Times New Roman, corpo 12, interruzione di riga tra un testo e l’altro (interlinea).
Possono concorrere autori e studenti di tutto il mondo, con testi esclusivamente in lingua italiana. I testi possono essere editi o inediti e si può partecipare a tutte le quattro sezioni.
Art. 2
Quota di partecipazione e invio degli elaborati
La quota di partecipazione per la sezione B “Vocazione o maledizione?”, corrisponde a 20 euro da versare sulla postepay n. 4023 6006 7367 0743, e codice fiscale CNCGPP 76L52A522A di Giusy Cancemi Di Maria, ideatrice e fondatrice del concorso, nonché socia fondatrice dell’Associazione Culturale e sociale “La Carovana degli Artisti” – causale: III Edizione Concorso Internazionale Inchiostro e Anima.
La quota di partecipazione per la sezione A e sezione C corrisponde a 10 euro, da versare sulla postepay n. 4023 6006 7367 0743, e codice fiscale CNCGPP76L52A522A di Giusy Cancemi Di Maria, ideatrice e fondatrice del concorso, nonché socia fondatrice dell’Associazione Culturale e sociale “La Carovana degli Artisti” – causale: III Edizione Concorso Internazionale Inchiostro e Anima.
Per partecipare al concorso è necessario inviare un messaggio di posta elettronica entro e non oltre il 30 Aprile 2015 all’indirizzo: inchiostroeanimaconcorso@gmail.com allegando:
• Un documento in formato testo (Word o similare) contenente gli scritti, una breve nota biografica e le proprie generalità, quali: nome, cognome, indirizzo e recapito telefonico.
• Una copia digitale della ricevuta di avvenuto versamento della quota di partecipazione.
• I concorrenti dichiarano implicitamente di accettare tutte le norme che regolano questo concorso.
• SI INFORMA CHE NON VERRANNO PRESE IN CONSIDERAZIONE LE OPERE INVIATE IN UN FORMATO DIVERSO DA QUELLO RICHIESTO E/O MANCANTI DELLA RICEVUTA DI PAGAMENTO.
Art. 3
I Premi e la Giuria
Sezione B: Il ‘Premio Mariannina Coffa’ consiste nella pubblicazione di n. 100 copie d’autore, del valore di 1000 euro per il primo classificato alla sezione con tematica “Vocazione o Maledizione?” al quale chiederemo, a lavoro della giuria concluso, una silloge di 30 poesie, che verranno pubblicate. Una targa di riconoscimento poetico andrà al secondo e al terzo classificato, unitamente alla copia dell’antologia.
Sezione A e C: Il premio delle sezioni A e C consistono nella consegna di un trofeo assoluto, al primo classificato, e di un trofeo di riconoscimento poetico per il secondo e terzo classificato, unitamente alla copia dell’antologia.
• In caso di particolare merito (a discrezione della giuria) non si escludono pergamene premio ad autori che non siano stati classificati fra i primi tre.
• In assenza dei partecipanti o di eventuali delegati alla serata conclusiva il premio potrà essere spedito a spese dell’autore.
• Il lavoro della giuria avverrà a chiusura del bando di partecipazione. I nomi dei giurati verranno comunicati su questa pagina ed in ogni spazio possibile, il 30 Aprile 2015, per garantire l’onestà e la professionalità del concorso.
Le opere verranno giudicate da una giuria selezionata e qualificata, la quale riceverà le opere numerate e anonime. Il risultato della giuria verrà verificato davanti al presidente della giuria.
Art. 4
L’antologia
• Un’edizione a tiratura limitata conterrà tutte le opere che hanno riscontrato il parere favorevole dei componenti della commissione di lettura. Saranno avvisati gli autori selezionati, le cui opere saranno antologizzate, ai quali sarà richiesta, ad avvenuti risultati finali della commissione di lettura, l’ACQUISTO DI ALMENO UNA COPIA DELL’ANTOLOGIA CHE AVRÀ COME PREZZO DI COPERTINA 12 EURO e che sarà spedita nel caso in cui l’autore non potrà presenziare alla serata di premiazione, a spese della segreteria del premio.
• Agli Autori scelti e presenti nell’Antologia saranno dedicate almeno tre pagine, contenenti la pubblicazione di tutti i lavori inviati (le tre poesie, e/o testo narrativo) e una breve nota biografica che PREGHIAMO DI INVIARE INSIEME ALLE OPERE E ALLA RICEVUTA DI PAGAMENTO.
• Gli autori resteranno titolari dei diritti sulle loro opere, fatta salva la pubblicazione delle stesse, per la quale non potranno richiedere alcun compenso.
Art.6
La finalità del concorso e la cerimonia di premiazione
• La cerimonia di premiazione si svolgerà in data e luogo ancora da definire. Verranno informati in tempo, tutti gli autori che avranno partecipato.
• Gli autori primi classificati, qualora non dovessero presentarsi alla serata di premiazione, potranno ricevere il premio a proprie spese.
• I dati personali saranno trattati secondo quanto disposto dalla legge sulla privacy 675/’96 e successive modifiche.
• Gli elaborati inviati saranno annullati dopo la pubblicazione, oppure dopo la fine del presente concorso.
• Tutta l’operazione del concorso non prevede fini di lucro. L’associazione si impegna a devolvere una parte del ricavato in eccesso rispetto a tutte le spese organizzative e a quelle della stampa dell’Antologia, alle associazioni che vorranno collaborare e che combattono ogni forma di violenza che sia infantile, psicologica, fisica, sociale e che ci sosterranno nella divulgazione del bando e nella realizzazione del concorso stesso.
Per ulteriori informazioni scrivete su Facebook, nelle pagine di Inchiostro e Anima e La Carovana degli Artisti o agli indirizzi ufficiali del gruppo:
inchiostroeanimaconcorso@gmail.com lacarovanadegliartisti@gmail.com
Si prega di diffondere il bando in ogni spazio possibile.
https://marialuciariccioli.wordpress.com/2014/12/03/mariannina-coffa-ritratta-da-gianluca-pipito/
https://marialuciariccioli.wordpress.com/2015/04/13/13-aprile-1893-13-aprile-2015/
Carissimi, il mio rapporto con Mariannina Coffa non si è certo chiuso con la pubblicazione del romanzo e con la sua promozione, con i concorsi letterari le presentazioni le conferenze.
Sono stati anni bellissimi, di contatti amicizie nuove conoscenze, tutto nel nome della poetessa e patriota netina che è entrata nella mia vita e non ne è più uscita.
Vi terrò aggiornati ma intanto leggete qui sul mio blog del concorso letterario INCHIOSTRO E ANIMA del quale ho avuto l’onore di essere una delle giurate… dedicato proprio alla poetessa e patriota netina!
https://marialuciariccioli.wordpress.com/2015/11/09/inchiostro-e-anima-per-mariannina-coffa-le-foto/
E non è finita qui… anche la prossima edizione del concorso sarà dedicata a Mariannina Coffa!
https://www.facebook.com/events/974126539327534/
Una poetessa nasce del dolore e la malidecanza in questo caso negalta la libertá dell’ amore vero scelto di una giovanne donna che tra le suoe sofferenze e umillazione solo con “la pluma” (la penna o la mattita) e la parola scritta che sfugge dal cuore, puó sprimere e difondere una ragione della ipocresia della borghesia ed ignoranza dei poderosi.
Grazie e Saluti Cordiali.
José Spadea.
Córdoba-Argentina.
6 Maggio 2016.
Grazie a José per aver pubblicato il suo commento… è uno dei finalisti del premio letterario dedicato a Mariannina Coffa…