La nuova puntata de “Il sottosuolo” di Ferdinando Camon è dedicata alla… paura di volare (legata, nella fattispecie, a un evento letterario).
La paura di volare è molto diffusa… e quando capitano eventi tragici legati al “volo” (dagli attentati terroristici dell’11 settembre al recente noto disastro del “Germanwings“) è inevitabilmente destinata ad aumentare.
Volete sapere come l’ha superata Ferdinando Camon? Leggete il pezzo!
(Massimo Maugeri)
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Paura di volare
di Ferdinando Camon
Ogni volta che c’è un disastro aereo, ripenso al mio Tupolev in volo da Mosca a Leningrado, risento lo schiocco che porta via la corrente, rivedo i due sposini russi in viaggio di nozze seduti davanti a me che si carezzano le guance ripetendosi: “Addio caro”, “Addio cara”. No, non dimenticherò mai quel volo. E pensare che doveva essere un viaggio-premio: quel volo, da Milano a Mosca e da Mosca a Leningrado, era il mio premio Viareggio. Il premio non dava soldi, non ne ha mai avuti. Dava quadri, statuette, regali vari. Quell’anno il regalo più prezioso era un viaggio aereo a Mosca e Leningrado. Veramente, in origine doveva essere una crociera, su una nave russa. Domanderete: perché Mosca, perché Leningrado, perché una nave russa? Beh, il premio era organizzato da una regione rossa, che nell’area russa otteneva aiuti e favori, inimmaginabili altrove. Non ho mai capito se ero ospite della regione italiana o della Grande Madre Russia. La crociera saltò perché la nave, che si chiamava Ivan Franko, nel viaggio precedente al mio urtò contro gli scogli e storse le eliche. Evidentemente, c’era qualche Schettino anche allora. Rimase in porto per la riparazione. Il viaggio per mare fu commutato in volo aereo. Bell’aereo, il Tupolev. Passeggeri caotici, i sovietici. Si sedevano alla rinfusa. Piloti sbrigativi, i russi. Bruschi nel decollo, bruschi nell’atterraggio. Il volo in linea era monotono, e nessuno si aspettava sorprese. D’improvviso uno schiocco (non uno scoppio, ma uno schiocco sonoro), il buio immediato e totale, come una coperta nera sulle nostre teste. Grida dei viaggiatori, strilli delle hostess. Erano soprattutto questi a terrorizzare i passeggeri: gli strilli delle hostess. Sul bracciolo del sedile c’era anche un pulsante per chiamare una hostess in caso di bisogno, e il suo nome era, in caratteri cirillici, ”stewardessa”. Volare nel buio e col personale di servizio spaventato è un’esperienza terrificante. Non sai cos’è successo, il tuo cervello (il mio, almeno) chiede: “Siamo morti?”. Non ti viene la risposta, non sai niente di che cos’è essere morti. Non sai se passano i secondi o i minuti. È una situazione che il cervello non riesce ad accettare. Perciò la rifiuta. Io non so, non ho mai capito, cosa sia successo in quei momenti e quanto siano durati: il mio cervello s’era bloccato. Nel film “Salvate il soldato Ryan”, Tom Hanks avanza nel terrore, tutti sparano intorno a lui, è un inferno di scoppi, e lui rifiuta di sentire, si chiude nel silenzio. Poi, di colpo, tornano i suoni. Così, di colpo, intorno a me, sulle teste urlanti, tornò la luce, non so dopo quanto tempo. Le hostess passavano veloci ma in silenzio. Davanti a me, gli sposi in viaggio di nozze smettevano di carezzarsi e si abbracciavano. M’è sembrata una resurrezione. Ricordo che avevo pensato: “Ma come, finisce così?”, intendendo la vita. Non ero preparato alla fine. Non lo sarò mai, neanche fra 150 anni. Leningrado era vicina, appena sceso dalla scaletta mi son chinato a toccare la Terra con ambedue le mani. Come fanno i Papi. (continua…)
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