Dedichiamo il primo appuntamento di PELLICOLE ITALICHE da rivedere, curato da Gordiano Lupi, a due film di Alberto Bevilacqua (scomparso recentemente): il primo (La califfa, 1970) e l’ultimo (Tango blu, 1987).
A fine post potrete vedere, “La califfa” (film completo) e “Tango blu” (prima parte) disponibili su YouTube.
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LA CALIFFA (1970)
di Alberto Bevilacqua
Regia: Alberto Bevilacqua. Soggetto e Sceneggiatura: Alberto Bevilacqua. Fotografia: Roberto Gerardi. Montaggio: Sergio Montanari. Musiche: Ennio Morricone. Scenografia: Giantito Burchiellaro. Costumi: Luciana Marinucci. Produzione: Mario e Vittorio Cecchi Gori. Casa di Produzione. Fair Film. Distribuzione: Titanus. Genere: Drammatico. Durata: 99’. Interpreti: Romy Schneider (doppiata da Rita Savagnone), Ugo Tognazzi, Marina Berti, Roberto Bisacco, Gigi Ballista, Guido Alberti, massimo Serato, Franco Ressel, Massimo Farinelli, Giancarlo Prete, Stefano Satta Flores, Gigo Reder, Gianni Rizzo, Nerina Montagnani, Eva Brun, Luigi Casellato, Enzo Fiermonte.
La califfa è il primo film di Alberto Bevilacqua, tratto dal suo terzo libro, edito nel 1964, un successo di vendite importante che anticipa la vittoria del Premio Campiello del 1966 con Questa specie d’amore. Romy Schneider è la sensuale interprete, che presta volto e corpo a Irene Corsini, la Califfa, vedova di un operaio ucciso dalla polizia, presentata con un intenso piano sequenza che tornerà nel drammatico finale. Ugo Tognazzi è l’imprenditore dal volto umano, innamorato della proletaria contestatrice, che per amore va incontro agli operai e lotta con loro per risolvere i problemi della fabbrica.
La califfa è ambientato a Parma, città natale di Bevilacqua, da lui immortalata in racconti, romanzi poesie e lungometraggi. Irene Corsini è la donna fortificata dal dolore, che si pone a capo di una protesta operaia scoppiata all’interno della fabbrica di Doberdò (Tognazzi), ma finisce per innamorarsi dell’industriale. Al suo fianco il magnate scopre una nuova realtà, capisce che esiste un modo diverso e più umano di fare impresa. Non riesce a farlo capire ai colleghi, che in un drammatico finale lo uccidono e gettano il suo cadavere accanto al muro della fabbrica. Sangue che scorre tra le mani di Irene, una nuova ferita della vita.
La califfa non gode di un grande budget, motivo per cui Bevilacqua sceneggia soltanto la seconda parte del romanzo e utilizza più volte le stesse sequenze per alcune sequenze oniriche. Non solo, certi personaggi vengono del tutto omessi, incentrando l’attenzione soltanto sui protagonisti principali. Mancano molti dialoghi, importanti per capire la relazione tra Doberdò e Irene, persino il finale è diverso, più cinematografico, perché il romanzo si conclude con la morte dell’imprenditore per cause naturali. Le location della pellicola sono Parma, Spoleto, Terni, Colleferro e Cesano di Roma. Stupenda la colonna sonora di Ennio Morricone, a tratti dotata di sonorità western, che accompagna situazioni riconducibili ai duelli e le rese dei conti nel cinema di genere. Ottima la fotografia di Roberto Gerardi. Bevilacqua è alla prima regia, ma mostra di saperci fare con i piani sequenza, usa un po’ troppo lo zoom (ma era un male del periodo storico), sceneggia con tono poetico le situazioni iperrealistiche di un film metaforico e didascalico. Gli attori sono straordinari. Ugo Tognazzi è un perfetto imprenditore figlio di contadini che, grazie all’amore, passa dal pragmatismo alla sfida romantica nei confronti del potere. Tognazzi non è nuovo a interpretare parti da imprenditore e da ricco borghese, ma Bevilacqua lo pone a confronto con un testo poetico. “Oggi il potere non ha più bisogno di eroi né di leoni. Oggi ha bisogno di poeti”, dirà. E riferendosi a un passato da povero: “Me ne sono andato per non vedere più quella macchia di umidità sopra la mia testa”. Romy Schneider è di una bellezza prorompente, fotografata in stupendi primi piani, tra le cariche della polizia e il sangue che scorre. Un personaggio adatto alle sue caratteristiche femminili, una donna forte e innamorata, disposta a mettersi in gioco. Bevilacqua è molto bravo a raccontare l’animo femminile e a comporre insoliti ritratti di donne sopra le righe. Tra i caratteristi Gigi Ballista è a suo agio come imprenditore, ruolo che ripeterà all’infinito nella commedia sexy, Stefano Satta Flores è un operaio che si vede lo spazio di una sequenza, Gigi Reder (il Fillini di Fantozzi) è un servile cameriere, Giancarlo Prete (il culturista dei postatomici) è l’amante sfruttato dalla califfa, Massimo Serato è l’industriale fallito che si suicida. Bevilacqua racconta la società italiana di fine anni Sessanta con gli imprenditori d’assalto, le fabbriche che chiudono, gli operai che occupano e chiedono rispetto per il lavoro. Vediamo le cariche della polizia, gli imprenditori suicidi dopo il fallimento, le proteste di piazza. Il quadro sociale è accompagnato da un’analisi spietata dei rapporti borghesi tra moglie e marito, la passione che si stempera, il tradimento, ma pure il contrasto generazionale padre – figlio non sfugge alla critica. “Se padre e figlio scappassero insieme per raggiungere non si sa quale meta, probabilmente non accadrebbe niente”, dice Tognazzi. Intensi ma a volte troppo retorici e ridondanti i discorsi del padrone agli operai, così come le immagini della lotta di classe risultano troppo stilizzate. Notevole l’immagine della fabbrica come un dio pagano dove gli operai si recano ogni giorno per rendere omaggio all’altare della produzione. Ricordiamo alcune sequenze oniriche: il fiore che blocca gli ingranaggi dell’azienda, la califfa che rinchiude il padrone in una stanza per farlo morire tra i miliardi… Le scene erotiche sono molto soft ma ben recitate dai due interpreti, credibili e convincenti; la Schneider buca lo schermo in alcune sequenze che la vedono sfoggiare plastici nudi a figura intera. Un difetto è l’eccesso di ideologia sessantottina, ma resta un prodotto del suo tempo e va storicizzato. L’operaia ribelle e l’imprenditore hanno in comune il coraggio, le origini umili, la voglia di credere in un progetto e l’illusione di cambiare il mondo. Ma sarà la cruda realtà a vincere sui loro sogni.
Rassegna critica. Morando Morandini (tre stelle di critica e di pubblico): “La sorpresa di questa commedia a sfondo sociale è un Tognazzi che dà prova della sua inesauribile versatilità di attore straordinariamente padrone delle sue reazioni e dei suoi toni. Come operaia Romy Schneider convince meno. Il fico migliore nel bigoncio di Bevilacqua da Parma”. Una recensione non condivisibile, a partire dalla conclusione, passando per i dubbi sulla Schneider, per finire con la definizione di commedia a un film drammatico e iperrealista. Paolo Mereghetti stronca senza pietà (una stella): “L’esordio di Bevilacqua, dal suo romanzo omonimo, è un ritratto femminile che si perde tra generici (e gratuiti) riferimenti alle tensioni sociali del periodo”. Pino Frainotti torna a concedere tre stelle, senza un giudizio critico, ma fornendo una valutazione condivisibile.
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TANGO BLU (1987)
di Alberto Bevilacqua
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Alberto Bevilacqua. Produzione: Michele Janczarek e Giuseppe Giovannini per Be – Mer Film. Distribuzione: Columbia Pictures Italia. Produttore Rai: Roberta Cadringher per Rai Uno. Organizzatore Generale: Giorgio Morra. Scene: Lorenzo Baraldi. Costumi: Gianna Gissi. Fotografia: Pierluigi Santi. Operatore alla Macchina: Mario Cimini. Direttore di Produzione: Nicolò Forte. Montaggio: Nino Baragli. Musiche: Stelvio Cipriani. Aiuto Registi: Walter Italici, Inigo Lenzi. Teatri di Posa: Incir/De Paolis. Interni: Teatro dell’Opera (Roma), Discoteca Central Park (Milano). Interpreti: Franco Franchi, Maurizio Merli, Andrea Roncato, Gigi Sammarchi, Leo Gullotta, Antonella Ponziani, Armando Marra, Andrea Belfiore, Roberto De Marchi, Gloria Paul, Big Laura, Vic Poletti, Antonio Ballerio, Carlo Dapporto, Valentina Cortese, Ginella Vocca, Giuseppe Carlostella, Antonio Caffari. Partecipazione Speciale: Corpo di Ballo Cooperativa Culturale di Milano.
(continua…)
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