lunedì, 19 marzo 2012
LETTERATURA DELL’IRONIA
Questo, sulla letteratura dell’ironia, è un post a cui tengo molto e che – di fatto, nel tempo – si è trasformato in una sorta di spazio permanente.
Sarà, dunque, uno di quei post che verrà aggiornato periodicamente con l’obiettivo – nella fattispecie – di sostenere la letteratura che dà spazio all’ironia (con particolare attenzione all’area partenopea… ma non solo).
Massimo Maugeri
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Sono molto lieto di riaprire questo spazio dedicato alla “letteratura dell’ironia” ospitando nuovamente Pino Imperatore (Re dell’humour-lab partenopeo), già presente in questo forum con altri suoi libri. Stavolta l’occasione dell’incontro la fornisce la recente pubblicazione del suo nuovo libro pubblicato dalla Giunti e intitolato “Benvenuti in casa Esposito“: un romanzo che, tra le altre cose, sta riscontrando un grande successo editoriale.
Si tratta della storia che racconta “le avventure tragicomiche di una famiglia camorrista”… la famiglia Esposito, appunto.
Il rione Sanità, dove è nato il principe della risata Totò, è uno dei più affascinanti e misteriosi di Napoli. Qui vive, con la sua famiglia allargata, Tonino Esposito, orfano di un boss della camorra. Tonino riceve dal clan un sussidio mensile e potrebbe vivere di rendita. Invece si intestardisce a voler imitare le gesta paterne, senza riuscirvi. Perché è goffo, sfigato, arruffone, incapace di difendersi: un antieroe tragicomico, che tra incubi e visioni, ingenuità e imbranataggini, ne combina di tutti i colori.
Uno spaccato divertente e allo stesso tempo crudele della Napoli contemporanea, città dalle mille contraddizioni e dalle tante difficoltà, capace però di non perdere mai la speranza in un futuro migliore.
Vi propongo, di seguito, la bella recensione di Ciro Paglia (pubblicata su Il Corriere Nazionale, nell’inserto Scritture&Pensieri curato da Stefania Nardini).
Avremo modo di discutere con Pino Imperatore di questo suo nuovo libro, ma – contestualmente – ne approfitterei per “allargare” le prospettive di dibattito sulla base delle seguenti domande che pongo…
- In che modo l’ironia e la “narrazione ironica” possono aiutarci a comprendere meglio i vizi, le contraddizioni, i paradossi di certe nostre realtà?
- Quali caratteristiche dovrebbe avere la “narrazione ironica” per adempiere a tali scopi?
- Cosa, viceversa, dovrebbe evitare?
- Riuscire a ridere, o a sorridere, di una realtà “difficile” a noi vicina, può aiutare a cambiarla o solo ad accettarla con più facilità? O né l’una né l’altra?
A voi!
Massimo Maugeri
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Il realismo comico? E’ qui alla Sanità!
Un affresco ironico e vero sul mondo della camorra napoletana
recensione di Ciro Paglia (da Il Corriere Nazionale – Scritture&Pensieri del 12 marzo 2012)
“Benvenuti in casa Esposito” non è un libro che si legge tutto d’un fiato. No. Perchè pagina dopo pagina strappa la risata sonora, suggerisce mille spunti di riflessione, induce alla voglia di rileggere una descrizione, perfino di andare a scoprire, per chi non le conosce, quelle stradine del rione Sanità a Napoli dove accade tutto e nulla, dove i colori e gli odori si mescolano, le notizie si trasmettono con la velocità della luce, dove la vita è allegria, pessimismo, serenità, paura, euforia, pianto. E quando non è tutto questo è sorriso e amarezza. Dunque è un libro che cattura dalle prime righe e sequestra il lettore. Tant’è che dopo l’ultima pagina si ha voglia di conoscere meglio questo effervescente autore che ha saputo coniugare con distacco sentimenti e vizi, platealità e pudori, passione e rassegnazione di cui è punteggiata la napoletanità, anche quella becera e plebea. E lo ha saputo fare con destrezza Pino Imperatore, nato a Milano dove i suoi genitori erano emigrati ma napoletano jus sanguinis. “Benvenuti in casa Esposito” (Giunti editore) non è soltanto un viaggio nel mondo della camorra che l’autore – Pino Imperatore – ci fa rivivere con spietato realismo e con lo sberleffo di chi sa raccontarne le miserie, ma è anche un affresco di scuola napoletana, quella stessa scuola di Eduardo Bennato che con poche pennellate tratteggia i caratteri somatici della sua città: stanca, rassegnata, innocente, invasata, nuda, svergognata, tradita, condannata. E sono sfiziosi e contraddittori, plebei e sbruffoni, da ridere e da compiangere i personaggi che Pino Imperatore ci regala in casa Esposito o ci fa conoscere attraverso la ragnatela di rapporti più o meno autentici che gli Esposito hanno con le mille anime del quartiere. L’autore di questa recensione ha dovuto leggerlo due volte, da buon napoletano che vive all’estero “Benvenuti in casa Esposito”: la prima per riappropriarsi dell’essenza di una città che uno crede di conoscere a fondo per poi scoprire che tanti, troppi volti, li avevo appena intravisti senza coglierne le infinite sfumature. E una seconda lettura per seguire – quasi come nelle sequenze di un film – le altalenanti vicende di Tonino Esposito ( anni trentacinque sciupati dalla calvizie e da una imbarazzante pancetta, brillantino all’orecchio sinistro, lampadato, ufficialmente disoccupato), di sua moglie Patrizia (ritenuta, nel giudizio del maschio medio napoletano, una femmina fresca e tosta), di sua madre Manuela che aveva conosciuto don Gennaro, papà di Tonino, a Firenze durante il servizio militare, prima che diventasse capo camorrista (poi “caduto sul lavoro” cioè assassinato per mano di camorra), del boss Pietro De Luca ‘o tarramoto (un uomo prestante, con uno sguardo che faceva squagliare le femmine e agghiacciare i maschi), che quando muore il padre di Tonino ne prende il posto, Enzuccio che ad ogni fine mese accompagna Tonino a riscuotere il pizzo (anzi il “contributo per la sicurezza” come lo definisce il boss), Tina che contesta i genitori che la vorrebbero velina mentre lei sogna di diventare giornalista, nonni, suoceri (esilarante è Gateano che si atteggia a intellettuale e “tombeur de femme”), l’immancabile Olga, domestica e cuoca, tutta ucraina ma anche napoletana e gli animali di casa Esposito, Sansone l’iguana e Gigetto il coniglio. E l’avventura si snocciola e si srotola quasi come infilzata in un girarrosto: si comincia con un dato obiettivo ma che induce alla perplessità (“o pullastro nun s’è cuotto bbuono”) per concludersi con un altro dato, stavolta preoccupante (“o pullastro s’è bruciato”). E tuttavia non finisce qui. Perchè altre sorprese, esilaranti e angoscianti, Pino Imperatore ce le riserva proprio nel gran finale, un finale che riporta alla mente quei botti di Capodanno che solo a Napoli sanno fare e che costituiscono anche l’incipit di “Benvenuti in casa Esposito”. Un romanzo nell’interno della camorra. Ma non solo. “Non ho fatto altro – spiega Pino Imperatore – che registrare e illustrare, mediante il formidabile strumento dell’ironia, fatti e personaggi che a Napoli si verificano e si incontrano tutti i giorni. Chiamatelo realismo comico, se volete. Più che in qualsiasi altro posto del mondo, a Napoli la realtà supera ogni fantasia”.
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Ne approfitto per mettere in evidenza le domande del post originario (soprattutto a beneficio dei nuovi commentatori).
- Anche secondo voi, oggi, la letteratura dell’ironia beneficia di spazi minori rispetto al passato?
- A quale opera ironica (o comica) vi sentite più legati? E perché? (Potete citare testi teatrali, narrativa, poesia… va bene tutto).
- Con quale citazione celebre, tra quelle riportate sotto (alla fine dell’articolo di Asmodeo), vi sentite più d’accordo?
Per meglio capire il senso di questo spazio è consigliabile leggere (o rileggere) il testo integrale del post pubblicato il 16 febbraio 2008.
A voi…
(Massimo Maugeri)
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AGGIORNAMENTO DEL 4 febbraio 2010
Nuovo ospite di Letteratura dell’ironia è… Maurizio De Angelis.
Maurizio De Angelis (nella foto), è nato a Napoli, ha vinto nel 2006 e nel 2008 il Premio Massimo Troisi per la scrittura comica, giungendo finalista nel 2007 (testi pubblicati da Comix). Presente, con una pagina a lui dedicata, nell’Agenda Comix 2008, è autore di cabaret per Gaetano De Martino e di teatro comico-brillante per Maurizio Merolla. Per la tv ha scritto testi comici per Promossi Sposi, clerical quiz con Gaetano De Martino, e dal 2009 è autore dei testi di Don Consiglio, per il programma I tappi, su Radio Kiss-Kiss Napoli.
I nuovi libri di Maurizio De Angelis (di cui avremo modo di parlare) sono:
- Achei, il prezzo è giusto! (Boopen, 2009): La più folle e divertente riscrittura del mito greco nel primo racconto demenzial-epico della storia.
- Il padrino parte prima così non trova traffico (Centoautori, 2009):
Credo che il buon umore letterario sarà assicurato.
Massimo Maugeri
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AGGIORNAMENTO DEL 23 febbraio 2009
De Vulgari Cazzimma (I mille volti della bastardaggine)
di Francesco Di Domenico (Didò)
“Prendete una buona dose di perfidia ed amalgamatela con l’astuzia e con la furbizia. Aggiungete un pizzico di cinismo, una manciata di prepotenza e un tocchetto di egoismo. Insaporite con la malizia e aggiungete un filo di scaltrezza.
Avrete così ottenuto la cazzimma, un intruglio dal gusto amarognolo.”
Inizia così, questo saggio serissimo e scientifico, del più grande umorista napoletano contemporaneo, Pino Imperatore. Il termine napoletano “Cazzimma” e uno di quei vocaboli interni ad una lingua praticamente intraducibile, tanto per fare un esempio, un po’ come gli anglosassoni “Spleen” e “Serendipity”. Una parola che deriva con chiarezza dall’innominabile attrezzo umano dalla triplice funzione, di scarico biologico delle scorie superflue, di produttore di piacere e di strumento formidabile di riproduzione umana. Ecco, il primo a dover essere additato a possessore di questa qualità è proprio lui, il cazzimmoso pene: “che cazzimma! Tre funzioni in un solo soggetto (o oggetto?)!
Ma il lemma, di cui parla l’autore nel libro è un sostantivo che va’ oltre la sua radice etimologica, serve ad identificare negli individui che la posseggono, una capacità micidiale di abbindolare, truffare, sfruttare o semplicemente irridere i soggetti o le situazioni che si trova ad incontrare o con cui è intenzionato a confliggere. Un’indagine del genere solo un umorista poteva produrla perché la cazzimma è molto vicina alla cattiveria e la cattiveria fa ridere, mentre la bontà ci rasserena ma spesso ci angoscia.
Imperatore fa un viaggio storico e geografico nei mille modi con cui si può identificare un “cazzimmoso”, scovandoli in tutte le loro attività, dalla politica alla guerra, nei rapporti economici e nella filosofia, fino ai cartoni animati, dove per esempio c’è: “… il canarino Titti, che dietro l’apparente innocenza nasconde una cazzimma sopraffina. Direte: lo fa per salvarsi le penne. D’accordo, ma l’uccelletto spesso esagera…”. I cazzimmosi sono i colleghi di scrivania cosi ben descritti da Totò & Peppino in “Chi si ferma è perduto” dove il rag. Guardalavecchia e il rag. Colabona, ne combinano e se ne combinano di tutti i colori; gli astanti nell’autobus che, dopo averti calpestato un piede, invece di scusarsi ti invitano a spostare il piede dalla linea gialla di pericolo.
L’inchiesta, gradevole e allegra, è sorprendentemente accurata, se si pensa che nella bibliografia sono citate oltre 130 fonti letterarie autorevolissime. Risulta un corollario di soggetti e ambientazioni curiose ma esplicative del portato di questo che potremmo definire un neologismo (il termine si comincia a sentire a Napoli negli anni ‘50 del ‘900), che da tempo ha varcato i confini della repubblica culturale partenopea per veleggiare su moltissime bocche italiane.
Nel suo spettacolo Fiesta il comico napoletano Alessandro Siani ha fornito, mediante un dialogo tra un napoletano ed un milanese, un esempio di cazzimma autoreferenziale:
«Milane’, tieni ‘a cazzimma!».
«E che significa ‘a cazzimma?».
«Nun t’ ‘o vvoglio dicere. Chesta è ‘a cazzimma».
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LETTERATURA DELL’IRONIA: POST PUBBLICATO IL 16 FEBBRAIO 2008
La letteratura “dell’ironia” (da quella tendente al comico a quella che trasborda nel drammatico) può vantare una grande tradizione: da Boccaccio a Cervantes fino a Pirandello, giusto per fare alcuni nomi. Eppure ho l’impressione che oggi sia considerata come una sorta di genere minoritario.
Di seguito troverete la sintesi di questo articolo di Asmodeo, intitolato “L’ironia nella letteratura”.
Subito dopo Francesco Di Domenico (in arte Didò) ci presenta Pino Imperatore e la sua “Trilogia del buonumore”: tre volumi editi dalle edizioni CentoAutori.
Vi invito a esprimere la vostra opinione sull’argomento.
Anche secondo voi, oggi, la letteratura dell’ironia beneficia di spazi minori rispetto al passato?
A quale opera ironica (o comica) vi sentite più legati? E perché? (Potete citare testi teatrali, narrativa, poesia… va bene tutto).
Con quale citazione celebre, tra quelle riportate sotto (alla fine dell’articolo), vi sentite più d’accordo?
(Massimo Maugeri)
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“L’ironia nella letteratura” di Asmodeo
Definizioni “L’ironia è l’espressione di una persona che, animata dal senso dell’ordine e della giustizia, si irrita dell’inversione di un rapporto che stima naturale, normale, intelligente, morale, e che, provando il desiderio di ridere a tale manifestazione d’errore o d’impotenza, la stimmatizza in modo vendicativo rovesciando a sua volta il senso delle parole (antifrasi) o descrivendo una situazione diametralmente opposta alla situazione reale (anticatastasi). Il che è una maniera di rimettere le cose per il verso giusto” [Morier, Dizionario di poetica e retorica] Questa definizione di Morier è interessante in quanto mostra due aspetti fondamentali dell’ironia: il primo, che essa si lega ad uno stato d’animo (secondo lui, un’irritazione di fronte a un rapporto invertito delle cose del mondo); il secondo, che la sua espressione si manifesta attraverso l’antifrasi o l’anticatastasi, cioè attraverso l’uso di figure retoriche. Sigmund Freud sostiene che l’ironia “consiste essenzialmente nel dire il contrario di ciò che si vuole suggerire, mentre si evita che gli altri abbiano l’occasione di contraddire: l’inflessione della voce, i gesti significativi, qualche artificio stilistico nella narrazione scritta, indicano chiaramente che si pensa proprio il contrario di ciò che si dice”. Tuttavia, questa definizione sembra riduttiva, nel senso che l’ironia, e soprattutto l’ironia letteraria, non si limita a essere un’antifrasi pura e semplice. Essa può avvalersi di un’infinità di altre situazioni reali o retoriche: può “giocare sulla permutazione di spazi, sull’inversione di rapporti, sulla semplice differenza, sull’evitamento, sul mimetismo del discorso dell’altro, e senza dubbio su numerose altre figure” (P. Hamon, L’ironia letteraria). C. Kerbrat-Orecchioni, in Problemi dell’ironia, mette in luce l’esistenza di due tipi di ironia: l’ironia referenziale, che esprime una contraddizione tra due fatti contigui, e l’ironia verbale, che esprime una contraddizione tra due livelli semantici legati a una stessa sequenza di significato. La differenza fondamentale tra la prima e la seconda è che mentre l’ironia referenziale si gioca su una relazione duale, tra l’oggetto dell’ironia e l’osservatore che percepisce l’ironia, l’ironia verbale si gioca su una relazione a tre: un locutore, che tiene un discorso ironico rivolto ad un ricevente, a detrimento (o sulle spalle di) un terzo, la vittima dell’ironia. L’ironia letteraria appartiene, ovviamente, all’ironia verbale, e mette perciò in gioco il suo stesso “trio di attori”: l’autore, che attraverso il suo libro si rivolge al lettore, sulle spalle di un terzo, vittima dell’ironia. Ma la complessità di un testo letterario, tra livello dietetico e livello extradiegetico, deve spingere la nostra ricerca molto più avanti e non può limitarsi a questa osservazione. In un testo letterario, infatti, le figure in ballo sono assai più numerose di tre. Accanto all’autore, al lettore e alla vittima dell’ironia, è necessario almeno aggiungere il narratore, e spesso anche altri personaggi che possono farsi portavoce dell’autore. In questo senso, e riallacciandosi alla concezione dell’Umorismo di Pirandello, si può affermare che lo spazio privilegiato dell’ironia è il teatro. Con le parole di Philippe Hamon possiamo dire che “l’ironia è messa in scena, il che presuppone degli spazi differenziati (sala, quinte, scena), ma anche, di conseguenza, dei ruoli o degli attori specializzati. Questi attori sono proprio quelli che abbiamo menzionato sopra; riassumendo: • autore • lettore • narratore • personaggio morale (portavoce della legge) • personaggio sovversivo (portavoce dell’ironia) • vittima dell’ironia. Tra questi “attori” ci possono essere sovrapposizioni, e non è detto che ogni figura sia sempre presente; il ventaglio delle possibilità combinatorie è in realtà molto ampio. Ad esempio, il narratore può essere anche il personaggio “morale”, cioè colui che si fa portavoce dell’ordine costituito, della legge contro cui si erge l’ironia, e diventare quindi anche, automaticamente, vittima dell’ironia. La cosa si complica ulteriormente nel caso, più frequente di quanto si possa credere, di situazioni in cui l’ironia si rivolge su se stesso: è l’auto-ironia. L’auto-ironia si trova quasi sempre in testi fortemente ironici. Si evince da tutto questo quanto sia il caso di “sostituire la nozione di opposizione ironica, che rischia facilmente di essere presa in un senso troppo stretto, con quella di campo di tensione o di un’area di gioco ironica” (Beda Alleman). Quest’area di gioco, o di tensione, si carica di ulteriori significati spaziali: la nozione di distanza e di marginalità. L’ironia segna un territorio, come una vera e propria metafora del sociale, dove l’ironista è spesso un outsider, volontario o costretto ad esserlo, che mantiene delle distanze, dei confini molto netti rispetto alle cose o a sé. (…)
Alcune citazioni celebri
“È dall’ironia / che comincia la libertà” (V. Hugo)
“Di tutte le disposizioni dello spirito, l’ironia è la meno intelligente” (C. H. Sainte-Beuve)
“L’ironia è il pudore dell’umanità” (J. Renard)
“Temere l’ironia, è temere la ragione” (S. Guitry)
“L’ironia e l’intelligenza sono sorelle di sangue” (Jean-Paul)
“Dalla mia più tenera età, una freccia di dolore si è piantata nel mio cuore. Finché vi rimane, sono ironico – se la si strappa, muoio” (S. Kierkegaard)
“L’ironia è una tristezza che non può piangere e sorride” (J. Benavento)
“Il più forte dolore è il sarcasmo” (Multatuli)
“L’ironia non è piuttosto spesso una forma di sentimentalismo, un sentimentalismo che fa una giravolta?” (K. Van de Woestijne)
“Non c’è che l’ironia che non ha nulla da temere, la parodia è il solo stile invulnerabile” (M. Kharitonov)
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LA “TRILOGIA DEL BUONUMORE” di Pino Imperatore
recensione di Francesco Di Domenico
La “Trilogia del buonumore” è l’ultimo surreale colpo di scena di Pino Imperatore. Probabile unico caso al mondo di uscita in contemporanea con tre libri (quelli del Guinness, contattati, hanno risposto: “Interessante!”) di un autore.“La catena di Santo Gnomo”, “Manteniamo la salma” e “Questo pazzo pazzo mondo animale” sono legati ad un filo conduttore unico, quello dell’umorismo involontario.
La risata che si scatena alla vista di una situazione ordinaria, come quella di un epitaffio funebre o di un manifesto dove per un leggero errore di un tipografo la realtà si capovolge – come quella della povera donna di nome Rosa Fiocco deceduta e assurta ai fasti del sorriso postumo per una burocratica stampa dell’avviso: “E’ morta Fiocco Rosa”! “La catena di…” è farcita di 99 racconti super brevi, fulminanti, a detta di Imperatore “bonsai”, perché al “secolo breve” ha fatto seguito “l’era del pensiero breve”. Li avrebbe scritti Carver se fosse stato un umorista. Alcuni freddi e quasi ebraici, altri scoppiettanti come i libri di cucina di Tognazzi (“la cipolla in padella dev’essere abbronzata come una puttana e non bruciata come un’africana”). Ultimo snobismo comico: il libro è numerato al contrario. “Manteniamo…” è un’enciclopedia di epitaffi, alcuni veri, altri che potrebbero esserlo, di passati di là, che hanno attraversato il di qua ridendo, fino alla fine. Monumentale la citazione sulla tomba di Groucho: “Scusatemi, non posso alzarmi”. Epitaffi falsi e credibili, frasi vere invece che potremmo considerare improbabili. Nel libro è compresa anche la citazione che Pino ha lasciato per la sua lapide.
“Questo pazzo…” è una ricerca interessantissima e autentica sull’umorismo animale; un catalogo impressionante di situazioni che riguardano le bestie e il mondo che le circonda. Se si vuole esulare dall’umorismo tout court, è anche un volume per curiosi, un “giro del mondo in 580 bestie”. Pino Imperatore stupisce ancora per la levità delle sue storie. Che i suoi grandi maestri siano stati Achille Campanile, Marcello Marchesi e Beppe Viola, lo si intuisce chiaramente da ogni riga delle sue pagine. Non è un umorista acido, anche nelle battute più grevi si può leggere la morbida ironia di Guareschi, l’aplomb di Jerome K. Jerome; non ha paura del “vecchio che avanza”. Per concludere con una sua battuta sul coraggio: “Se vai a letto con le galline, all’alba dovrai fare i conti col gallo”.
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Pino Imperatore nasce a Milano nel 1961 ed emigra a Napoli. Giornalista, poeta, scrittore, ma soprattutto umorista, è uno dei personaggi più eclettici del panorama culturale napoletano. Nel 2001 con l’opera “In principio era il verbo, poi vennero il soggetto e il complemento” vince il Premio “Massimo Troisi”. Oggi è lui stesso il curatore del premio (sezione Scrittura Comica). Nello stesso anno fonda il Laboratorio “Achille Campanile”, prima scuola italiana per autori comici ed umoristici, che conduce con il ludolinguista Edgardo Bellini. Con lo stesso Bellini nel 2005 ha curato l’antologia “Quel sacripante del grafico si è scordato il titolo”, primo volume che raccoglie le nuove leve dell’umorismo napoletano. Nel 2004 ha pubblicato “Un anno strano a Roccapeppa” (Kairòs Editore), un esilarante diario di 365 giorni di una meta-Napoli da cartoon disneyano. Agli inizi del 2007 è tornato in libreria con “Le mirabolanti avventure del Gladiator Posillipo” (Cento Autori Editore). Sue pubblicazioni sono presenti un po’ ovunque; una su tutte, l’agenda Comix.
Tags: centoautori, de angelis, di domenico, imperatore, ironia, letteratura
Scritto lunedì, 19 marzo 2012 alle 23:15 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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