lunedì, 1 marzo 2010
DIBATTITO SULLA LETTERATURA DEI VAMPIRI… E DI ALTRI ORRORI
Aggiorno questo post dedicato al dibattito sulla “letteratura dei vampiri” (che nel frattempo si è trasformato in dibattito sulla “letteratura dei vampiri… e di altri orrori“), inserendo il contributo alla discussione fornitomi da Sergio Altieri (in arte Alan D. Altieri): scrittore, traduttore e direttore editoriale delle collane Mondadori distribuite in edicola. Ne approfitto per ringraziarlo. Segue il post originario pubblicato il 1° marzo 2010.
Massimo Maugeri
* * *
Il (nuovo) giorno del vampiro
Alan D. Altieri
ovvero
Il fascino (indiscreto & eterno)
dell’immortalita’ malefica
* * *
What the hell! Proprio quando ricominciavamo a sperare nella validità dei vecchi metodi. Ma sì, ya all know what I mean: anzitutto santo martello & saKro piKKetto. Più crocefissi assortiti, aglio a grappoli, acqua pura (really? we still got that?) a damigiane, specchi possibilmente non incrinati, etc etc etc. Insomma, tutta l’attrezzatura obbligata e obbligatoria del piccolo vampirista perfetto, tale da sbarazzarci di quegli invadenti salassatori.
Giusto?
Tutto sbagliato.
Guess what: della lista di cui sopra – e senza, almeno per ora, ricorrere agli strabilianti trucchetti post-techno degli ultimi tempi, tipo proiettili di luce & affini – non funziona più un accidenti di niente. Di certo non funziona più un accidenti di niente nel “nuovo giorno del vampiro”.
Difatti, chi non muore – e questi mai che tirino veramente cuoia – si rivede. Per cui una nuova, radiosa alba popolata da orde si sukkiasangue è sorta su questo nostro pianetucolo dolente in attesa del catartico, liberatorio 2012. E non è affatto detto che non siano proprio loro, i vampiri, a mettere la parola fine al nostro inquinato, sovrappopolato, tormentato destino di bipedi imperfetti ormai decisamente e miseramente slittati nell’(in)umano.
Discutibili facezie a parte – pressoché in ogni forma della comunicazione scritta e iconografica – l’intera mitologia vampirica sta vivendo una inedita (ennesima) eterna giovinezza.
Francamente, e passatemi la notazione personale, allo scrivente la cosa va alla grande. Leggendo da ragazzo l’immortale – in senso di capolavoro letterario – “Dracula” di Bram Stoker, nella fenomenale traduzione dell’ugualmente immortale Francesco Saba Sardi, mi schieravo tutto dalla parte del Principe delle Tenebre. Già eretico nell’adolescenza, quindi? Peggio: eretico, blasfemo, nonché politikamente scorrettissimo. E vi argomento anche perché:
- Dracula è solo, ma proprio solo, (R.M. Renfield non è nemmeno il suo garzone di bottega) in lotta per sopravvivere contro un intero universo: sopravvissuto suo malgrado a un passato di orrori, costretto a fare i conti con un amore disperato e impossibile, condannato a coesistere con la propria mostruosità endogena. Ditemi voi se non è questo IL vero eroe romantico di tutti i tempi, letteralmente…;
- gli avversari di Dracula sono l’orgia degli scornacchiati: abbiamo il moscio rimbecillito (Jonathan Harker), il mandriano da trivio (Quincey Morris), il demente tossico (Dr. Jack Seward), e, dulcis-in-fundo, il vittoriano scassapalle sessualmente frustrato (Abraham Van Helsing). Come on, guys, get a life… No, even better: get a death!;
- le ganze di Dracula sono il meglio sulla piazza: a partire dalle tre sexy vampirelle su nella nera fortezza dei Karpazi (okay, ladies, let’s rock!), per passare alla spumeggiante Lucy Westenra (ready to jugular, old boy!), chiudendo in bellezza con la delicata (ma non troppo) Mina Harker (just suck me dry, my Prince!).
Insomma, Dracula Forever.
A tutti gli effetti, il forever di cui sopra continua a funzionare. Ormai da quasi due secoli l’oscuro eppure tormentato, truculento eppure fascinoso, Conte Dracula – e pressoché tutte le sue incarnazioni/deviazioni/ rivisitazioni/approssimazioni successive – rimangono una dominante primaria dell’immaginario individuale e collettivo.
A parere dello scrivente, è il fascino inevitabile dell’immortalità.
Esatto: transitare attraverso lo spazio e il tempo senza tutte quelle menate mistico-messianiche stile Highlander, osservando e studiando, testimoni occulti dell’umana fallacità senza peraltro farne parte. Al di sopra di tutto e al di là di tutti. In sostanza, quanto di più vicino si riesca ad arrivare alla divinità. D’accordo, c’è un prezzo da pagare: no immagini riflesse, no luce del sole, no cenette gourmet (che non siano emoglobiniche), no un po’ di altre inutili frescacce della vita diurna. Ma in definitiva, what the hell, right?
Senza nemmeno osare di ripercorrere l’intera epopea dei vampiri dalla carta stampata, al grande & piccolo schermo, tutta la strada fino ai fumetti e ai videogame, lo scrivente si limiterà a tentare di analizzare i trend più recenti di un filone narrativo (inteso nel senso più lato possibile) che si è già guadagnato l’immortalità’:
– trend #1) vampiri “classic”: non a volte ma sempre ritornano, un po’ come quel buon barolo invecchiato al punto giusto. Profetessa indiscussa di questa rivisitazione rimane la grande Ann Rice. Nei primi anni ’80, con il vampirismo erroneamente considerato materiale da biblioteca, il Lestat creato da Ann Rice – e la sua intera saga susseguente delle “Vampire Chronicles” – riporta in primo piano queste creature ambigue e minacciose, efemeriche e seducenti. In film, abbiamo la riuscita trasposizione di “Interview with the Vampire”, magistralmente diretta da Stephen Frears, seguita purtroppo della bufala – al di là della presenza della meravigliosa e compianta Aliyah – tratta da “Queen of the Damned”. In ogni caso, l’universo estetizzante e diabolico creato da Ann Rice rende tuttora in modo fenomenale. In questa direzione, il vampiro classico, non va dimenticata l’opera della valida narratrice Chelsea Quinn Yarbro con la sua saga del Conte Saint-Germain, pubblicata integralmente in Italia della eccellente casa editrice Gargoyle. Così come non va trascurata l’ultimissima incursione meta-vampirica a opera niente meno che del nipote del divino Bram. Ecco quindi “Dracula the Undead”, a firma Dacre Stoker & Jan Holt (Undead, gli Immortali, PiEmme, 2010), ottima resurrezione del “Divin Conte” quasi in salsa steampunk, con la partecipazione straordinaria di Jack the Ripper, la Contessa Batory e via smembrando.
Insomma, quei volti lividi e affilati, quelle marsine con svolazzante jabeau appena chiazzato di rosso, continuano a tirare al massimo dei giri… Oops, dei kanini;
– trend #2) vampiri “stylè”: o anche “vampiri Prada”. Difatti: alti ma non eccessivi, belli ma non sbracati, palestrati ma non ipertrofici, eleganti ma non azzimati, seducenti ma non ambigui, insomma dalla loro le hanno proprio tutte, inclusa una millenaria società parallela nemmeno troppo sotterranea rispetto alla strafottuta società umana. Avete presente? Ma sì, sono loro: la gang cromaticamente virata all’azzurrino di “Underworld”. Ipnotico okkione glauco-livido modello Ice 9 (Kurt Vonnegut for President!), magnifici spolverini di cuoio liscio e abbastanza volume di fuoco full-automatic da livellare Manhattan.
Da un punto di vista visuale, quella del vampiro “stylè” è diventata una proposta dalla quale è ormai difficile discostarsi. Sarebbe un po’ come fare vedere astronavi a forma di sigaro con le grandi ali (pure pulp anni ’50) al posto delle maestosamente lente strutture ipercomplesse inaugurate da Stanley Kubruck (2001), portate poi all’estremo da Ridley Scott (Alien).
Dalla orgiastica e sanguinaria proposta botti & spari, sesso & krudeltà della serie “Anita Blake: Vampire Hunter” a firma della dura & pura Laurell Hamilton, passando per i new gothic “Southern Vampire Mysteries” di Sherrilyn Kanyon, fino alla primariamente romantica (addirittura “vegetariana”) ninna-nanna adolescenziale di “Twilight”, con l’abile Stephanie Mayer al timone, il vampiro “stylè” domina ampiamente la scena. Sarà quindi interessante osservare quale sarà la prossima evoluzione di questo trend. Come on, boys & girls, non potremo avere kanini in salsa Dolce&Gabbana e Moccia per sempre… o no?;
– trend #3) vampiri “monstre”: qui si fa addirittura un passo evolutivo all’indietro rispetto a Dracula, eterno vate. Il vampiro mostruoso è solamente una belva infame assetata di sangue. Troppi dentoni e troppo poco cervello, brutto come una qualsiasi sessione parlamentare itaGLiana e aggressivo come l’ultimo cretino analfabeta appena espulso dalla casa/casino di “pikkolo fratello scemo”. Il vampiro “mostre” è buono per una sola cosa: essere fatto fuori, se possibile nel modo più orrido & splatter immaginabile.
Decisamente spostati sul “monstre” sono i puzzosi e fetidi vampiri di “Midnight Mass”, non indifferente ritorno letterario del sempre azzannante F. Paul (“The Keep”) Wilson, pubblicato in Italia parimenti da Gargoyle con il titolo di “Messa di mezzanotte”. Nella loro cannibalica invasione del mondo, i vampiri di Wilson sono molto più attirati dai sanguinacci trucidi che non dalle pulzelle. Beh, a opera degli umani che non mollano, mal gliene incoglierà: come get it, sucka!
Piccolo grande trionfo di come si affrontano i vampiri “mostre” rimane “30 days of night”, trasgressivo fumetto ideato da Steve Niles & Nigel Templesmith, diventato poi un inaspettato successo cinematografico da quasi ottanta milioni di dollari d’incassi diretto dall’abile David Slade. L’idea di base è tanto semplice quanto sinistra: Barrow, Alaska, l’ultimo avamposto civilizzato del Nord AmeriKa, è alle soglie di un intero mese di notte artica. Da chissà dove (citazione diretta della nave dei topi di Dracula) arriva un tetro cargo maledetto. Dal cargo maledetto sbarca l’orda dei vampiri “monstre”, a cui frega solamente di aprire carotidi. Welcome to Barrow, suckers! Mai realmente scadendo nel clichè ma dando ampio spazio al mattatoio, il lavoro di Slade è la quintessenza di tutti i claustrofobici film d’assedio, un “Precinct 13” con i sukkiasangue al posto dei gangstar (o degli sbirri marci). Eppure, c’è almeno un passaggio magistrale. Marlowe, un nome una garanzia letale – interpretato da un irriconoscibile Danny Houston, figlio del compianto maestro John Houston – sta per cibarsi dell’ennesima vittima implorante la grazia di dio. Quasi con rassegnata tristezza, Marlowe indica verso in cielo, scuote il capo: “No god”. Dopo di che, slurp! Insomma, finalmente anche all’inferno ci siamo accorti che dio è morto;
– trend #4) vampiri “epidemic”: per i quali il vampirismo è generato da un virus (in senso lato). Tante zanne, ecchissenefrega delle ali da pipistrello, potenziale capacità di affrontare la luce solare. In sostanza, il “virus vampirico” muta, distorce e inghiotte l’umano.
Fino a oggi, un unico, straordinario precursore di questa inevitabile variazione sul tema: Richard Matheson con il suo capolavoro della SF apocalittica “I am legend”. Portato in film ben tre volte – “L’ultimo uomo della terra” (1964, diretto da Sidney Salkow) “The Omega Man” (1971, diretto da Boris Sagal), “I am Legend” (2008, diretto da Francis Lawrence) – “I am Legend” affronta con incredibile maestria tutte le paure dell’uomo: solitudine, vuoto, alienazione, distruzione, autodistruzione… Non una sola sfumatura dello spettro emotivo è lasciata fuori da questo prodigioso apologo del lato oscuro. Sono davvero vampiri, le creature di “I am Legend”, o sono forse la prossima evoluzione di una razza già estinta? Nel suo libro, Matheson si limita a suggerire una risposta, lasciando al lettore le scelta interpretativa cruciale.
Meno riusciti i film: troppo datato il primo, troppo patriottico il secondo, troppo incompiuto il terzo. Pur con il valido Will Smith protagonista in un inaspettato ruolo duramente drammatico, pur con una fenomenale prima metà nella New York svuotata e spettrale, il terzo “I am Legend” si affloscia nel finale, anzi nei due finali, area dove più la narrazione discosta dal testo di Matheson.
Per contro, quello dei vampiri “epidemic” è il trend che contende ai vampiri “stylè” la supremazia del genere. In questo senso, un contributo determinante – sia visuale che scritto – viene dal fuoriclasse Guillermo Del Toro, sceneggiatore e regista iberico ormai solidamente trapiantato a Holly-weird. Imbattibile artista delle creature insettiformi – straordinari gli effetti dal crepuscolare “Cronos” (1993) fino all’estetizzante “Il labirinto del fauno” (2006) passando per il feroce “Mimic” (1997) – Del Toro inserisce nel tema vampirico una sua personalissima svolta già in “Blade II” (2002). Sta sorgendo una razza di vampiri “infetti”, meglio sterminarli o… modificarli geneticamente in vista della irresistibile ascesa del prossimo vampire empire?
Temeraria tematica biochimica che Del Toro riprende letterariamente in “The Strain” – “La Progenie”, Mondadori, 2009 – primo volume di ambizioso progetto trilogico scritto a quattro mani con Chuck Hogan. Anche qui, il vampiro è l’untore principe di New York.
Per molti versi, il vampiro “epidemic” potrebbe essere la saldatura di contaminazione – oh, come on, THAT again? – con il genere zombi. Emblematici in questa sanguinaria terra di mezzo i due non indifferenti film “28”, giorni e settimane dopo. Quelle orde assatanate e urlanti sono zombi, sono vampiri, o sono qualcosa d’altro?
Well, qualsiasi cosa siano le creature di cui sopra, qualsiasi validità vogliate dare ai trend di cui sopra, almeno su un punto possiamo concordare. Eh, già, proprio come il rock & roll:
Vampire is here to stay, vampire will never die!
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Post del 1° marzo 2010
Sono molto lieto di poter avviare questo dibattito sulla “letteratura dei vampiri”… [intendendo per letteratura dei vampiri quella che ha (e che ha avuto) come protagonisti il conte Dracula and friends...]
Per discutere di questo tema ho invitato alcuni ospiti speciali:
- Simonetta Santamaria (altresì nota con l’appellativo di Simonoir), scrittrice di romanzi horror, la quale ha di recente pubblicato un sanguigno saggio edito da Gremese e intitolato, appunto, “Vampiri. Da Dracula a Twilight”
- Laura Costantini, scrittrice e giornalista, la quale ha dichiarato pubblicamente il suo amore per le storie di Stephanie Meyer
- Flavio Santi, autore del romanzo “L’ eterna notte dei Bosconero” (Rizzoli)
- Danilo Arona (autore, tra gli altri, del romanzo “L’estate di Montebuio”, nonché di un contributo sulla nuova edizione di “Io credo nei vampiri” di Emilio de’ Rossignoli), Gianfranco Manfredi (che – tra le altre cose – ha predisposto la bella antologia “Ultimi vampiri”) e Claudio Vergnani (autore di “Il diciottesimo vampiro”)… tutti e tre della scuderia Gargoyle.
Ho poi esteso l’invito a Paolo De Crescenzo (uno dei massimi conoscitori di cultura horror in Italia, nonché editore della Gargoyle), Franco Pezzini (uno dei più preparati tra gli intellettuali specializzati in “letteratura terrifica”).
Premesso che il dibattito è aperto a tutti… altri ospiti potranno essere “invitati” nel corso della discussione.
Di seguito leggerete: la recensione di Francesco Di Domenico al saggio “Vampiri” di Simonetta Santamaria, un articolo sul caso “Twilight” firmato da Laura Costantini, le schede dei libri di Flavio Santi, Danilo Arona, Gianfranco Manfredi e Claudio Vergnani, Franco Pezzini. Nel corso della discussione avrò modo di fornire ulteriori notizie sui suddetti romanzi e sugli ospiti invitati.
Per favorire la discussione ho pensato di porre le seguenti domande:
- Perché la figura del vampiro è così prepotentemente entrata a far parte nell’immaginario collettivo mondiale?
- Il sentimento suscitato dal vampiro è più vicino alla paura o al fascino? E perché?
- Che scarto esiste tra la figura storica del vampiro e quella “trasfigurata” nella fiction letteraria, cinematografica e fumettistica? L’esistenza di questo scarto (ammesso che ci sia) è nota? È importante che lo sia? Che percezione avete, in proposito?
- Cosa è cambiato nella “letteratura vampirica” (ammesso che qualcosa sia cambiato) da Bram Stoker a oggi?
- La letteratura italiana che si “occupa” dei vampiri è all’altezza di quella espressa in altre parti del mondo (quella anglosassone, per esempio)?
- C’è un pregiudizio, da parte dei lettori italiani, a favore dei romanzi sui vampiri di matrice angloamericana (e a svantaggio di quelli scritti in Italia)?
- Avete mai letto “Le notti di Salem” di Stephen King? Che posizione occupa, questo romanzo di King, nella storia della “letteratura vampirica”?
- A cosa è dovuto il successo planetario della saga Twilight della Meyer?
- Rispetto all’età dei lettori: il successo di Twilight è generalizzato o è più generazionale? Rispetto al sesso dei lettori: è un successo “di genere” o è indistinto? Che percezione avete, in proposito?
- In generale: l’horror può esercitare una funzione “esorcizzante” delle paure legate alla quotidianità e alla vita reale?
Altre domande potrebbero essere formulate nel corso della discussione che sarà più che mai improntata sullo scambio, sull’arricchimento reciproco e sulla interattività.
Massimo Maugeri
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“Vampiri” – Simonetta Santamaria
Gremese Editore – € 19.50
recensione di Francesco Di Domenico
Quando si è eliminato tutto ciò che è impossibile, quello che rimane,
per quanto improbabile, deve essere la verità.
Sherlock Holmes, “Il vampiro del Sussex” (The Sussex Vampyre, 1927)
Un volo sulla orrifica leggenda dei vampiri – così definisce Simonetta Santamaria – il suo viaggio documentale nell’orrore, quando lo presenta nell’introduzione. Un volo a planare sul mistero che avvolge questa epopea nera degli esseri sanguinari per eccellenza. La promessa di un viaggio a “vol d’oiseau” – a volo di pipistrello, diremmo noi – dove si potranno incontrare le centinaia di sembianze che quest’essere magico assume, e la loro visione nell’immaginario collettivo.
In questa serissima ricerca storiografica – curata con scientifica precisione dalla regina delle scrittrici horror italiane – l’autrice ha percorso tutte le vicende che parlano del fenomeno, mettendole a confronto; e tutte le epoche, andando a ritroso, talmente tanto, che si è fermata solo davanti alla figura più antica di vampiro quella di Lilith, la prima compagna di Adamo, ripudiata in favore della “politically correct” Eva.
Il trattato, scritto con una lievità sorniona e un finto distacco da saggista, narra delle origini del mito attribuendolo ai Sumeri (e siamo al 3500 a.c.), passando per la Mesopotamia, fino a raggiungere la figura mediaticamente più conosciuta, quella del principe Vlad III di Valacchia: Dracula. Ma si scoprirà ben presto che “Vlad l’impalatore” gode di una fama sproporzionata rispetto al suo ruolo effettivo nella leggenda del sangue: ci sono signori della notte ben peggiori.
Girando le deliziose pagine patinate del testo – a cui hanno lavorato direttamente i due figli dell’autrice, l’uno come graphic designer, l’altro come illustratore – si scopre che le tipologie degli esseri della notte sono variabili e con specifiche peculiarità. Non tutti i Vampiri sarebbero ematofagi, alcuni si nutrirebbero di liquido seminale e altri ancora di energia psichica.
Il volo della Santamaria diventa navigazione quando percorre le strade della mitologia, della letteratura, del cinema e perfino delle citazioni dell’alta moda, ma è un viaggio polemico rispetto alla oleografia che ne fanno oggi i vari remake’s, per rivendicare il ruolo dell’orrore che i vampiri ricoprono in tutta la loro storia, che ha poco di edulcorato. La scrittrice, cerca fortemente un’operazione di restauro del mito, dà una chiave di lettura sarcastica delle new age (Twilight, etc.), confrontandole con la severità fantastica e aspra dei veri e spietati vampiri della tradizione.
Il libro è addirittura didattico quando passa all’enucleazione dei modi per sopprimere i non-morti, e persino graziosamente ironico quando fa scoprire che non sempre “il paletto di frassino”può uccidere un Vampiro, perché ci sono esseri che vanno eliminati con della terra di sepoltura nell’ombelico, o perché esistono vampiri con due cuori: e in quale dei due si ficca il paletto?
O ancora, come nel film di Roman Polanski, “Per favore, non mordermi sul collo”, dove ci sono vampiri ebrei, che non riconoscendo la croce e la paura di essa, sono praticamente invincibili.
È incredibile scoprire come, sfogliando l’opera, il mito del vampiro sia presente in tutto il globo terraqueo. L’indagine della Santamaria raggiunge luoghi inusitati e impensabili – come ad esempio le isole Banks, nella lontana Oceania, dove esiste il Talamaur, un vampiro psichico che si nutre dell’energia residuale dei moribondi – svelando che i “non-morti” non sono presenti soltanto in una tradizione letteraria occidentale, che avuto come pietra fondante il “Dracula” di Bram Stoker, ma sostanzialmente nell’immaginario di tutte le culture popolari mondiali.
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IL FENOMENO TWILIGHT
di Laura Costantini
“Zia, questo lo devi leggere!”
È iniziata così, con mia nipote di 14 anni che mi mette tra le mani un tomo rilegato in nero, con due braccia bianche che porgono una mela rossa quanto doveva esserlo quella per cui Adamo fece il casino che fece.
“È un taglio (traduzione: è bellissimo, fico, cool). Troppo bello!”
Leggo la quarta di copertina: vampiri. Mi piace il fantasy, sono un’ammiratrice di Ann Rice e del suo ciclo dedicato a Lestat. E poi a mia nipote glielo devo. Di solito sono io a consigliarle libri da leggere, quindi in base alla legge di reciprocità…
“Twilight”, “New Moon”, “Eclipse”. Mi sono sparata la trilogia nel giro di una settimana scarsa, e sono tutti tomi da 500 pagine. Mi si è aperto un mondo e io, che sono ahimè distante dall’adolescenza anagrafica, mi sono riscoperta adolescente pronta a innamorarsi perdutamente di Edward Cullen, il vampiro protagonista della fortunatissima saga dell’americana Stephenie Meyer, portata in Italia nel 2006 da Fazi Editore e approdata, sull’onda di un semplice passaparola, a superare il mezzo milione di copie. Auspici anche i due film (Twilight e Twilight-Newmoon), l’uscita a fine 2008 del quarto libro “Breaking Dawn” che sancisce la fine dell’amore impossibile tra il vampiro Edward e la mortale Bella per come lo conoscevamo, e un sapiente merchandising.
Ha scritto Giorgia Grilli di TTL-La Stampa:
“In tempi di cinismo quale il nostro, questo è un libro sull’amore, e non un banale amore, ma una metafora potente che nasconde un messaggio atavico.”
Visto il lavoro che faccio, non me ne sono rimasta nei panni della lettrice costretta dalla penna della Meyer a sognare di incontrare un uomo bello e perfetto come Edward (che è bello e perfetto soprattutto perché NON è un uomo), ma ho voluto approfondire l’argomento sviluppando una piccola inchiesta nella community di lettori di aNobii.com. Mi sono inserita in un gruppo dal titolo evocativo: Edward e Bella, amore intramontabile! E ho aperto una discussione chiedendo in soldoni: Cosa vi piace della saga di Edward e Bella?
Quelle che vi riporto sono le risposte di alcuni tra i più di 300 membri del gruppo creato dalla twilighter TuCCia. Le età spaziano dai 15 ai 35 anni (ho scoperto di essere il membro anziano del gruppo e adesso tutti mi chiamano zietta): ci sono studenti, donne sposate che hanno coinvolto i mariti, persone adulte, professionisti e impiegati. Insomma, la dimostrazione che la comunità dei lettori si muove compatta e senza pregiudizi di fronte a pagine che sanno emozionare.
Blackrystal ha 16 anni e vive a Roma:
“Immagino che il segreto del successo di T. (sta per Twilight) come pure di Harry Potter sia perché aggiungono fascino e mistero alla vita normale.
Si tratta infatti di romanzi ambientati in luoghi reali, dove gente bizzarra/speciale si mischia con le persone di tutti i giorni. Gli elementi soprannaturali aiutano a colorire un po’ le nostre monotone esistenze.”
Salleggiola di anni ne ha 30 anni e più che all’elemento soprannaturale imputa il successo all’amore:
“Da come lo imposta la Meyer sembra un amore che nella realtà non esiste, un amore assoluto, il VERO amore che oggi noi tutti sogniamo, ma che in pochi trovano. Se lo trovano.”
Dello stesso parere è Singing Angel 23 anni, romana:
“Per me Twilight è stato un ritorno al passato, a quelle emozioni adolescenziali per le quali inizio a essere grandicella.
È stato bello leggere pagine che mi toglievano il fiato e ritrovarmi a fantasticare con gli occhi a cuoricino, cose che nella vita non capitano spesso e dopo una certa età ancora meno. Il tutto condito con quel tocco di soprannaturale che in generale mi affascina sempre e che aiutava a controbilanciare l’effetto a volte zuccheroso della storia d’amore.”
Luce di anni ne ha 20 anni e non è, per sua stessa dichiarazione, una tipa da romanzetto, eppure… “Twilight ha risvegliato quella romantica dolcezza spesso sopita. Non amo i libri il cui fulcro sono le storie d’amore, provo un inspiegabile misto di imbarazzo e fastidio. Ma Twilight non è mai forzato, sdolcinato. E’ avvincente, senza creare quel sentimento di diffidenza dato dalla consapevolezza di leggere una storia fantastica: ti trascina dentro.
Molti hanno storto il naso di fronte all’immagine di me con Twilight in mano. Tu sei quella dei grandi classici. E comunque troppo grande per le storie d’amore. Smentisco. Anche io avevo gli occhi a cuoricino. E me ne vanto.”
L’analisi di Giada, anche lei ventenne, è tanto circostanziata e pensata da sembrare professionale:
“Quando ho preso in mano il libro per la prima volta non mi sembrava un granché, però la novità letteraria che rappresentava per me la figura del vampiro (anche se non quello classico) mi ha incuriosita e ho continuato a leggerlo.
Adesso sono completamente andata. Mi ha lasciato qualcosa dentro, non saprei dire cosa ma quello che c’è nel libro ha saputo trasmettermi delle forti emozioni e ancora oggi non saprei dire se è solo merito della storia o anche della semplicità di questa ragazza che ne è l’autrice. Non che scriva divinamente, ma la passione che traspira dai fogli è reale, palpabile. I profumi, i colori, le immagini si formano nitide e chiare come se io fossi una terza partecipante della storia lì presente!
Rispetto a Rowling la Saga di T. non ha portato grandi novità. Harry Potter ha veramente sconvolto il nuovo modo di pensare la magia, il mondo che ha creato la scrittrice inglese è mille volte più complesso e affascinante ma resta comunque un libro per bambini. I sentimenti privilegiati restano l’amicizia, il coraggio, la fiducia, fondamentali d’accordo ma Twilight portando come tema principale l’amore batte Harry Potter. Non sarà letto da bambini (forse) ma il pubblico a cui si rivolge è maggiore. Un altro punto a favore di Twilight è che Meyer non inventerà assurdità per far tornare umano Edward. Prende i fatti così come sono, Edward ucciderà Bella, in tal modo i fan avranno il loro Happy Ending dove non sarà la vita a trionfare ma la morte.”
V. ha 32 anni e vive a Milano:
“Ho letto Twilight per caso, mi è piaciuta la copertina. Credo poi sia stata la magia delle parole a portarmi dentro la storia. Ho sentito il bisogno di entrarci, di esserci e di provare a vivermi quelle emozioni che nella vita vera purtroppo non ci sono. Mi piace quel mischiarsi di razze diverse, mi piace la sensazione di eternità che esce prepotente a ogni frase d’amore, mi piace quel sospiro di passione continuo, le difficoltà affrontate e le scoperte vissute in due. E’ un amore maturo nonostante siano due ragazzi e forse è questa la particolarità. Un amore VERO e SICURO che va oltre il tempo e lo spazio. Oltre la vita e la morte.”
TuCCia (la fondatrice del gruppo su anobii) ha 16 anni e riporta l’attenzione sulla vera essenza di Edward Cullen:
“Mi è piaciuto molto soprattutto l’inizio che vede il vampiro sotto una luce diversa, con dei punti deboli e combattuto interiormente. Un vampiro decisamente diverso dalla figura classica o dal ritratto che ne ha dato Ann Rice nei suoi libri. La natura di Edward ha creato una grande attrattiva e posto condizioni e restrizioni a una storia d’amore con una umana che difficilmente si sarebbero create in altre circostanze. Se avessi dovuto prendere in mano il libro sapendolo la solita storia d’amore tra ragazzi… probabilmente sarebbe ancora nella mia lista di libri da comprare.”
Celiane ha 19 anni ridimensiona l’aspetto strettamente vampiresco:
“Quello che mi ha colpito è stato la forza, l’assolutezza dell’amore tra Edward e Bella. Edward all’inizio è attratto da lei, ma rifiuta l’attrazione (e qui scatta la figura del vampiro dannato che cerca di essere diverso da ciò che la sua natura gli impone). Poi, però, non resiste, e si arrende a ciò che sente. Compare la forza, l’inevitabilità, del loro amore. Non è semplice amore adolescenziale, ma qualcosa di più forte, di incontrollabile. L’elemento soprannaturale è importante, ma non fondamentale. La scelta poi di raccontare la storia in prima persona, rende tutto coinvolgente. Ti sembra di essere tu stessa Bella.”
Seleya ha 36 anni e fornisce un punto di vista più adulto, ma altrettanto coinvolto:
“Non ho mai amato le storie d’amore o quelle di vampiri. Però adoro, la storia di Edward e Bella. Stephenie Meyer ha saputo ricostruire le ansie, i timori, le speranze e i vissuti dell’adolescenza: leggere Twilight (e successivi), ha permesso a persone un poco più stagionate come me di rivivere la purezza, l’innocenza, l’assolutezza e la follia del primo, unico e incondizionato amore. Ha creato un personaggio (Bella) che, come molte ragazze della sua età, crede di non essere nulla di speciale ma che nell’incontro con l’altro, il suo primo amore, scopre di essere interessante. Bella subisce il fascino del mistero e del pericolo, si sente predestinata ad amare questo essere così diverso, bellissimo e letale, che incredibilmente per lei la corrisponde.
Le pagine del libro ci rendono partecipi di un sogno che si realizza.
Meyer inoltre, nel disegnare il personaggio di Edward, ha creato questo essere tormentato, immortale e perfetto, che si strugge per la sua anima perduta, e che alla fine cede alla debolezza umana per eccellenza: l’amore.
E qui rivela la sua umanità: pur sapendo che è la scelta sbagliata, che mette a repentaglio la sua famiglia (per non parlare della vita di Bella), alla fine si arrende e non può far altro che amarla.”
Alessia ha 26 anni ed ha coinvolto nell’epidemia di Twilight anche il marito (28 anni) e due cugine. Tutti entusiasti, soprattutto del messaggio che i libri della Meyer divulgano:
“La storia non avrebbe senso se Edward avesse solo pregi e il fatto che sia un vampiro non è così fondamentale. Quello che conta è la scelta politicamente corretta che entrambi compiono. Potevano essere lei americana e lui iracheno o afgano (o altre centinaia di casi del genere). Importanti sono le differenze iniziali tra i due, quelle che sembrano insormontabili, i pregiudizi di base da entrambe le parti.
La morale (come nelle favole per bambini) è che non importa cosa è la persona che hai di fronte ma chi. Credo sia questo il messaggio da recepire.”
Lettori. Comuni lettori che hanno saputo andare oltre la suggestiva copertina, oltre la scarsa pubblicità. Lettori che si sono lasciati guidare dal passaparola, dal consiglio di un amico, dalle recensioni su Internet, scritte da gente come loro e non certo da critici letterari con il patentino. Lettori che sanno leggere ben oltre le semplici righe sulla pagina, che sanno riflettere su quel che leggono. Saranno forse ancora pochi i lettori italiani. Ma dopo averli ascoltati, interrogati, punzecchiati (e vi assicuro che le voci erano molte, ma molte di più) non avrò scoperto il segreto di Twilight ma credo di aver capito che la rinascita, quanto mai necessaria, dell’editoria italiana passa soprattutto attraverso loro: i lettori.
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L’eterna notte dei Bosconero di Flavio Santi (Rizzoli)
È notte. Siete in un paese straniero. Non siete nel vostro tempo. Un ambiguo personaggio vi avvicina in una locanda e inizia a raccontarvi una storia di indicibili orrori, di mefitici miasmi e di presenze demoniache. E, più di tutto, voi siete J.W. Goethe: l’autore che rivoluziona la letteratura mondiale, l’alchimista, lo scienziato – uno che dovrebbe sapere tutto. In quella misteriosa e appassionante vicenda di sangue sparso e teste mozzate tutto può essere vero e tutto può essere falso. Il racconto è talmente ipnotico che non riuscite più a sottrarvi, vi trascina in un viaggio iniziatico e terribile, in una storia che non può essere detta, per il terrore che irradia, se non quando tutto è finito. E infatti quello che vi apprestate a leggere è l’ultimo libro di Goethe, il suo più tremendo, il capitolo assente dal celeberrimo “Viaggio in Italia”. La vicenda dei nobili decaduti Bosconero ruota attorno alle sospette catatonie dell’erede Federigo, al parricidio che ha condotto in manicomio suo fratello, alle sparizioni improvvise del servo Barcellona e del precettore Blasco Telamonio, agli efferati delitti e agli sconvolgenti ritrovamenti di resti umani. Sullo sfondo, una Sicilia borbonica, pestilenziale, epica e fantastica, strapiena di personaggi che vanno dal grottesco all’inquietante.
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L’estate di Montebuio di Danilo Arona (Gargoyle)
Nei primi giorni di gennaio del 2008, dalle acque gelide di un torrente sulla cima del Monte Buio, presso l’Appennino ligure, emerge il cadavere mummificato di una ragazzina scomparsa da diversi decenni seminando sgomento tra i pochi abitanti rimasti a vivere nell’omonimo piccolo borgo, sito ai piedi del monte. Le indagini vengono affidate a un carabiniere e un anatomopatologo che, in breve tempo, collegano la raccapricciante scoperta al suicidio del famoso scrittore horror Morgan Perdinka, avvenuto un mese prima nel suo loft di Milano.
L’inchiesta procede a cerchi concentrici: all’infittirsi di inquietanti coincidenze e macabri delitti, si sovrappongono, sapientemente combinati, percorsi introspettivi affidati a più voci che trovano il proprio culmine in un inquietante evento avvenuto nel lontano 1963. Il Male irrompe tumultuoso da un passato lontano trasbordando tutta la sua antica energia. Assoggettate al suo inesauribile flusso umanità appartenenti a secoli diversi della storia, tutte parimenti irretite in un dramma collettivo che sembra destinato a ripetersi all’infinito.
Ma Morgan Perdinka voleva davvero morire? O il suo gesto è stato semplicemente funzionale alla scoperta di una verità che non poteva trovarsi se non approdando in un mondo altro?
Benvenuti nello spazio quantico dove il tempo non ha più alcuna importanza e il Male è più reale che mai…
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Io credo nei vampiri di Emilio De’ Rossignoli (Gargoyle)
La trama. Emilio de’ Rossignoli - intellettuale che non perse mai di vista l’importanza della radice popolare della cultura – è il brillante cicerone di un viaggio suggestivo dove sfilano vampiri, lemuri, incubi, succubi, golem, mummie, licantropi, zombie, fantasmi, e dove storia, mito e cronaca si intrecciano in un raffinato montaggio di argomenti e interpretazioni. Una storia organica del vampirismo dalle origini ai nostri giorni, dal trascinante furore enciclopedico. La prosa limpida e lo stile sapientemente ironico conferiscono al testo una solida tenuta narrativa così che, pur trattandosi di un saggio, Io credo nei vampiri si legge come un romanzo, e proprio le pagine che sembrerebbero datate sono tra le più interessanti per i corsi e ricorsi di cui la storia del costume nostrano sembra essere popolato .
Il libro. Pubblicata dall’editore Luciano Ferriani per la prima volta nel 1961 e da allora mai più ristampata, Io credo nei vampiri è un’opera eccezionale che è stata e resta tuttora tra i primi e rari contributi non accademici sul vampirismo, dove studio e intrattenimento si accordano felicemente. Fu sulla scia dell’enorme successo mondiale della pellicola Dracula di Terence Fisher (Horror of Dracula, 1958) - qualcosa di molto simile a quanto sta accadendo ora con il romanzo Twilight di Stephanie Meyer e con l’omonimo film – che ’de Rossignoli maturò l’idea di scrivere Io credo nei vampiri.
Nel suo saggio, l’autore si mette letteralmente al servizio di un tema che, nelle sue mani, diventa straordinariamente fertile, e scandaglia tutto lo scandagliabile attorno ai vampiri, che vengono analizzati da un punto di vista cinematografico, letterario, musicale, pittorico, religioso, psicopatologico, mitologico, politico, scientifico, biologico, botanico, giurisprudenziale e di costume attraverso un avido e ricercato saccheggio di aneddoti, dicerie, leggende, credenze, folclori locali, visioni, formule e maledizioni arcane, cronache, trattati, rapporti ufficiali, testimonianze, antichi dizionari, libri e giornali. Oltre a offrire un’occasione di conoscenza unica e dai risvolti inattesi, de’ Rossignoli mette i lettori davanti alla loro disponibilità a credere, a fidarsi, sfuggendo qualunque paura nei confronti del vampiro, una figura avvolta da pregiudizi solo in quanto diversa.
Autorevolmente e piacevolmente persuasivo, Io credo nei vampiri è un libro che dà molte risposte sul senso del terrore nell’arte e nella vita.
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Ultimi vampiri di Gianfranco Manfredi (Gargoyle)
Con l’antologia Ultimi vampiri, pubblicata da Feltrinelli nel 1987, Gianfranco Manfredi si impone definitivamente all’attenzione della critica, accrescendo il suo già fitto pubblico di lettori. Sfuggendo a ogni prevedibilità e cliché, in una trascinante tensione verso l’inatteso, Manfredi si mette dalla parte dei vampiri: specie vivente con la stessa dignità degli umani, che ha attraversato la Storia parallelamente ad essi. Anche in questa extended version, arricchita di nuovi contenuti sia di carattere narrativo - tra cui spicca il racconto lungo “Summer of Love” - sia saggistico, e di una vivace e acuta prefazione dello scrittore Tullio Avoledo, pulsa il “realismo visionario”che caratterizza tutta la letteratura di Manfredi: non c’è nulla di “dato” che non debba essere anche “immaginato”. L’autore si distanzia dalla sintesi operata da Bram Stoker con il personaggio di Dracula, concentrandosi sulle diverse specie di vampiri presenti nei folclori locali. Manfredi mette a confronto i vampiri delle leggende popolari con momenti cruciali della storia, rivelatisi inevitabilmente fasi violente di trasformazione che hanno segnato l’emarginazione e la sconfitta di una specie, spesso attraverso veri e propri genocidi. Discriminati, sradicati, apolidi, ribelli, isolati, irriducibili cospiratori, eretici redivivi, militi uccisi resuscitati sono questi i vampiri che Manfredi passa in rassegna, devianti di un ordine sociale che li ha sempre tenuti ai margini a causa della cecità del pregiudizio.
La sofisticata eterogeneità delle cifre stilistiche adottate poggia su una base ricchissima di riferimenti storici, filosofici (i Discorsi a tavola di Martin Lutero, il Dizionario filosofico di Voltaire), teologici (De Daemonialitate, et Incubis et Succubis di Ludovico Maria Sinistrari e le Dissertations sur les vampires di Domi Augustin Calmet), letterari (Don Chisciotte di Cervantes e Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki) e antropologici, oltre che su un originale uso delle cronache del tempo (per esempio i resoconti criminali della West Coast americana durante l’epoca hippie). Avventure, favole simboliche, resoconti storici, frammenti onirici, istantanee di umorismo nero si amalgamo in un ordito di grande potenza evocativa a dimostrazione delle infinità possibilità del narrare
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Il diciottesimo vampiro di Claudio Vergnani (Gargoyle)
A Modena uno squinternato gruppo di individui dai vissuti più diversi – body builder, operai, profughi, presunti agronomi, attori porno, giocatori di scacchi – viene assoldato da un’enigmatica donna, denominata “l’amica”, per uccidere vampiri. Se di giorno la situazione è sotto controllo perché i succhiasangue restano immobili, nascosti in ambienti degradati designati a covi – case abbandonate, cisterne, chiuse di fiume, palazzi fatiscenti –, di notte le orrende e feroci creature escono allo scoperto attaccando soprattutto soggetti indifesi come vagabondi, immigrati e persone sole. È allora che bisogna vigilare e agire.
Tra sinistri sopralluoghi, massacranti turni di guardia, visite a un’antica e misteriosa Rocca dove si compiono sconvolgenti rituali, suggestive visioni tra le acque di Venezia, la squadra di moderni Van Helsing fa la conoscenza di Grimjank, il 18° vampiro…
Pur raccontando una storia vampirica tout court, il testo ha un impianto di forte realismo hardboiled: Vergnani parla di vampiri in una maniera tale da persuaderci che questi potrebbero davvero entrare a far parte della nostra quotidianità: l’elemento sovrannaturale, infatti, si combina senza stridere con la routine di persone sui generis sì, ma comunque normali.
Dunque, come sarebbe se i vampiri fossero intorno a noi, nel pieno dell’attuale way of life tra telefoni cellulari, SMS, Internet? E come potrebbero venire contrastati dalla gente comune, che ha bisogno di dormire, mangiare, che ha il mal di testa, che talvolta alza un po’ il gomito o si scopre depressa?
È sullo sfondo di una plausibilissima precarietà postmoderna che Vergnani fa entrare in scena i suoi repellenti revenants: in un contesto già di per sé ansiogeno, i vampiri diventano un ulteriore motivo di malessere ma non l’unico né il più importante.
Più che i vampiri in sé, infatti, la storia raccontata da Vergnani è incentrata sulla loro caccia: elemento vitalistico e vivificante a un tempo nonché vera e propria modalità esistenziale. Deputato all’ingrato compito, un gruppo di scanzonati mercenari, disillusi ma non privi di senso etico.
Tra frammenti di horror crudo e momenti di incisiva introspezione, Vergnani ha scritto un intenso romanzo corale dove il valore rigenerante del gruppo torna a essere protagonista oltre ogni tentazione individualista.
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“The dark screen. Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo” di Franco Pezzini e Angelica Tintori (Gargoyle)
Nessun personaggio, reale o di fantasia, ha conosciuto più trasposizioni sullo schermo – cinematografico o televisivo – del Conte Dracula. La creatura di Bram Stoker precede di gran lunga, in tale primato, Sherlock Holmes (insediato saldamente al secondo posto). Quali i motivi di un successo così clamoroso e longevo? Come si è evoluta la figura del Principe delle Tenebre dagli albori del cinema all’era degli effetti speciali? Qual è il filrouge che lega cineasti e interpreti tanto diversi tra loro, sconfinando nel musical, nel porno, nella pubblicità? The Dark Screen non è, attenzione, uno dei soliti libri di cinema, ricchi di foto e illustrazioni cucite insieme con un commento più o meno originale e corredate da un elenco di “schede” che oggi ogni fan può autonomamente (e gratuitamente) scaricarsi da Internet. Qui, il mito è analizzato nelle sue radici più remote e passato in rassegna in maniera completa e rigorosa, con competenza profonda e amore sviscerato, componendo un quadro di insieme probabilmente unico nell’ambito della saggistica su Dracula.
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Affettuosamente pungolato dagli amici dell’ufficio stampa della Newton Compton, inserisco questa nota sui «grandi libri» della casa editrice in questione e sulle connessioni con la figura “classica” del “vampiro”.
(Massimo Maugeri)
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I VAMPIRI SECONDO NEWTON COMPTON
Fondata a Roma nel 1969, la Newton Compton nasce con uno slogan destinato, negli anni a venire, a rappresentare, oltre che una linea editoriale, anche una filosofia aziendale: «I grandi libri dal piccolo prezzo».
I «grandi libri», questo è evidente, coincidono con quei testi – “i classici” – capaci di restare attuali con il passare del tempo; capolavori, all’interno dei quali, si fa immediatamente strada uno dei protagonisti assoluti dell’immaginario collettivo: il vampiro. Di quanto questo personaggio fantastico sia capace di catturare le angosce (ma anche i desideri) dei contemporanei, la Newton Compton se ne rende conto nel momento in cui, nel corso degli anni Settanta, dà alle stampe il capolavoro a cui, unanimamente, si riconosce il merito di aver fondato il genere: “Dracula” di Bram Stoker; creazione fortunata ma non esattamente isolata all’interno del panorama della letteratura vittoriana. Come dimenticare, infatti, che il libro di Stoker era stato preceduto dal “Vampiro” del medico italo-inglese John William Polidori, tutt’ora nel catalogo Newton all’interno della fortunata antologia “I grandi romanzi gotici”, curata da Riccardo Reim. E come dimenticarsi, restando sul terreno dei classici, del fondamentale “Carmilla” di Joseph Sheridan Le Fanu?
La celeberrima novella che lo scrittore di Dublino ha dedicato alla donna-vampiro è stata appena ripubblicata dalla Newton Compton a cura di Gianni Pilo, uno dei massimi esperti della narrativa fantastica e dell’orrore in Italia. È proprio a Gianni Pilo, d’altra parte, che si deve la traduzione di molti classici della letteratura sui vampiri. Un lavoro di ricerca che, nel 2000, ha prodotto, tra le altre cose, “Il grande libro di Dracula” (appena ripubblicato nella collana Nuova Narrativa): un’antologia che, al suo interno, spazia dall’immortale Bram Stoker fino all’importante scrittrice americana Nancy Kilpatrick. La Kilpatrick, nome di riferimento nella galassia dei romanzi sugli eredi del “conte pallido”, è presente nel catalogo Newton Compton (sempre nella collana Nuova Narrativa) con tre autentici best-seller: “La notte dei vampiri”, “La guerra dei vampiri” e “Gli amori del vampiro”; una trilogia capace di vendere oltre cinquantamila copie nel nostro paese, recuperando quell’elemento di sensualità e di erotismo che, da sempre, caratterizza le imprese dei discendenti di Dracula.
Nel segno del vampiro, la ricca produzione di antologie non può che confermare l’eccellente stato di salute dell’uomo-pipistrello. Tra le raccolte dedicate ai succhiatori di sangue, il catalogo Newton Compton comprende l’appassionante “Vampiri!”, curato dall’esperto inglese Stephen Jones che –ripensando la figura di Dracula – ha unito nelle stesse pagine la penna di un Edgard Allan Poe e l’inventiva di un Clive Baker. Nomi decisamente altisonanti, poi, sono quelli di Stephen King, Woody Allen e Anne Rice: soltanto alcuni degli autori raccolti nell’antologia “La maledizione del vampiro”, a cura dello storico inglese Peter Haining.
La lista dei vampiri, all’interno del catalogo Newton Compton, è lunga ma non si ferma qui! Nel 1997, la casa editrice romana pubblicava “Il patto con il vampiro” di Jeanne Kalogridis: la narrativa dell’autrice californiana conquistava immediatamente i lettori italiani che, nel giro di pochi mesi, fecero salire a quota ottantamila il numero di copie vendute. Un successo che decretava d’autorità il proseguimento della saga della Kalogridis portando in libreria anche “I figli del vampiro” e “Il signore dei vampiri”: due nuovi bestseller per una vendita complessiva superiore alle duecentocinquantamila copie!
Oggi la saga della Kalogridis è raccolto in un unico volume: “I diari della famiglia Dracula”; un vero e proprio punto di riferimento per tutti gli appassionati. Gli stessi lettori che, recentemente, hanno accolto con grande soddisfazione la pubblicazione di “Cacciatori di vampiri” di Colleen Gleason: una nuova serie che ha per protagonista una famiglia – i Gardella – votata al controllo degli esseri succhiasangue che infestano il pianeta. È stato pubblicato di recente – della Gleason – “Il bacio del vampiro” (2010).
Ambientati tra ragazzi adolescenti, invece, sono i libri della nuova stella del firmamento del new gotich, la statunitense Lisa J. Smith. La Smith ha firmato “Il diario del vampiro”, una serie davvero intrigante, iniziata con la pubblicazione del primo volume, “La lotta”, e, in attesa de “La messa nera”, atto conclusivo della saga, proseguito con “Il risveglio”. E poi… “La setta dei vampiri“…
Ma quali sono le ragioni del successo editoriale dei vampiri?
Le risposte date nel tempo a questa domanda sono le più svariate. C’è stato chi, osservando l’assetto geopolitico, ha creduto di scorgere delle analogie tra il sistema di produzione capitalistico e l’atto di succhiare il sangue. Ancora, rincorrendo il tema del sangue, c’è chi ha messo in rilievo l’analogia tra il liquido ematico e il sesso. Altri ancora, alla luce del polimorfismo del vampiro, si sono soffermati sull’endiadi vampiro/liberazione della donna o vampiro/identità adolescenziale. Mentre la discussione resta aperta, una cosa è sicura: dal punto di vista dei lettori, la “fame” di vampiri è davvero tanta… strano destino per creature venute al mondo per cibarsi di sangue!
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AGGIORNAMENTO DEL 24 LUGLIO 2010
Pubblicai questo post il 1° marzo del 2010. Da allora la discussione non si è mai interrotta, grazie agli interventi di tanti esperti/appassionati di letteratura vampirica (e letteratura horror, in generale).
Il merito principale è senz’altro di Gianfranco Manfredi (nella foto in basso), vera e propria colonna della letteratura dei vampiri prodotta in Italia (e non solo).
Manfredi ha davvero preso a cuore questa discussione, e grazie ai suoi interventi e ai suoi stimoli questo post veleggia oltre quota 2.050 commenti e – adesso posso dirlo – è certo che un giorno diventerà un volume cartaceo (si è fatto avanti un piccolo editore siciliano).
Per ringraziare Gianfranco Manfredi metto in risalto il suo intervento odierno che, per certi versi, rilancia la discussione.
Massimo Maugeri
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LA LETTERATURA DEI VAMPIRI E DI ALTRI ORRORI POST-2000
di Gianfranco Manfredi
Dato che in tutti i sensi siamo ormai post-2000, c’è una questione che vorrei sottoporre a tutti e di cui, mi pare, non si parla mai. Siamo tutti d’accordo sul fatto che al centro dell’horror c’è la creazione (anzitutto letteraria) del Mostro, della Creatura. Ogni grande epoca dell’horror si è caratterizzata dalla comparsa di nuove Creature. Quelle Innominabili di Lovecraft erano, all’epoca, e sono rimaste a lungo, un’innovazione assoluta. Poi abbiamo visto spuntare gli Alieni, dai marziani verdi fino ad Alien, gli androidi (dai primi robot-giocattolo ai Terminator) . Nell’horror, come si è detto, la zombie plaga è sicuramente un fenomeno nuovo (anche se permanente da quasi cinquant’anni) ed espressivo del clima della nostra epoca. I fantasmi tecnologici giapponesi avevano fatto ben sperare, ma l’iperproduzione li ha schiantati in fretta. I vermoni giganti di Tremors sono stati un cult , ma chiuso in sé, non letterario e inquadrabile nel seriale minore. Per il resto, a parte qualche affioramento piuttosto unico e difficilmente replicabile (IT di Stephen King) gli autori horror contemporanei sono rimasti, tutti, sui filoni classici e sulle classiche creature in infinite riproposizioni rimodulate : vampiri, nuovi mostri di frankenstein da biologia avanzata, dottori e/o scrittori schizzati dalla personalità multipla, maniaci seriali alla Psycho sempre più “realistici” e ispirati alla cronaca criminale o sempre più surreali come Jason, Freddy e company, uomini lupo tra il satirico e il fumettistico, e infine streghe da Carrie a Wither… Ora: cosa significa questo? Gli scrittori non sono più capaci di inventare Creature che corrispondano in modo del tutto inedito e nuovo alle paure contemporanee? Sentono il bisogno di rimeditare sulle fonti originali (è il mio caso, lo ammetto)? Oppure preferiscono appoggiarsi sulla tradizione perchè è più comodo, più facile, più abituale anche per il pubblico, e comunque la creazione di una figura di Mostro veramente mostruosa perché Inedita è qualcosa di superiore alle loro forze e alla loro capacità espressiva? Parlando di horror (che editorialmente, da anni, va alla grande) stiamo parlando di una letteratura ancora vitale e creativa, o possiamo considerarlo in qualche misura istituzionalizzato come il Rock Imperiale della nostra epoca , abissalmente lontano ormai, dalle sue origini “wild” e provocatorie? Queste sono tutte domande cui non ci piace rispondere… sia perchè la risposta è difficile, sia perchè ci interrogano sulla nostra reale capacità/volontà (di scrittori e di lettori) di affrontare temi che riescano a turbarci davvero, nel profondo. E non per semplice, quanto apprezzabile, spasso e divertimento.
Gianfranco Manfredi
24.07.2010
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AGGIORNAMENTO DEL 3 GENNAIO 2011
Ecco un nuovo tassello di questa discussione dedicata alla “letteratura dei vampiri e di altri orrori”: l’uscita del nuovo libro di Franco Pezzini e Angelica Tintori. Si intitola: “Peter & Chris – I Dioscuri della notte” (Gargoyle books, 2010). Segnalo, tra i commenti, gli ottimi interventi del solito Gianfranco Manfredi. Di seguito, la scheda del libro. La rassegna stampa la trovate cliccando qui.
Massimo Maugeri
Poche coppie dello schermo hanno influito tanto profondamente sull’immaginario collettivo quanto quella formata da Peter Cushing e Christopher Lee. Nel corso delle rispettive, lunghe carriere, i due attori si sono cimentati nei piu’ svariati tipi d’interpretazione, ma la consacrazione a icone internazionali e’ avvenuta sul terreno dell’horror. A partire dai primi e ormai leggendari film in coppia per la Hammer, The Curse of Frankenstein (1957) e Dracula (1958), e via via di pellicola in pellicola, Cushing che muore nel ‘94, e Lee ancora oggi attivissimo a quasi novant’anni hanno saputo intessere un rapporto professionale e personale di profonda amicizia. Caratterialmente dissimili ma complementari: dotato di straordinario calore umano Cushing, aristocraticamente burbero e affettuoso Lee. Diversi per vissuto e ambizioni, e tuttavia accomunati da una tenacia che affiora nei rispettivi personaggi. Capaci di esprimere una comune britannicita’ anche nei frequenti ruoli stranieri o esotici. Entrambi eclettici e ricchi di doti artistiche (Cushing modellista, pittore, ornitologo; Lee cultore di storia, golfista, viaggiatore), questi Dioscuri della notte in transito incessante sullo schermo tra castelli e sepolcri rappresentano una testimonianza dello spessore professionale e personale che puo’ star dietro a film etichettati come ‘popolari’. Mai consumate in stereotipi, le maschere offerte da Cushing & Lee hanno spalancato all’Occidente del secondo Novecento una rinnovata galleria di mostri gotici. Con loro si e’ affermato un sofisticato sistema simbolico di enorme impatto sul pubblico ancora nell’eta’ di Twilight, come del resto testimonia un diffuso e appassionato culto che corre tuttora sul web, a riconoscere nella storia di questo tandem un’appassionante epopea umana e cinematografica, ma insieme un capitolo fondamentale delle mitologie dell’uomo moderno.
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Scritto lunedì, 1 marzo 2010 alle 16:21 nella categoria A A - I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE, EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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