giovedì, 26 marzo 2009
LA POESIA: SPECIALITA’ DEI PERDENTI?
La poesia è una specialità dei perdenti?
Ripropongo con questa domanda secca uno dei miei post permanenti dedicati alla poesia. Questo post treva origine da un articolo del 2007 pubblicato da Berardinelli sul Domenicale de Il Sole24Ore. Credo che sia ancora attualissimo.
In coda potrete leggere un’intervista in tema che mi ha rilasciato Renzo Montagnoli.
Dunque… la poesia è una specialità dei perdenti?
A voi.
Massimo Maugeri
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Post dell’11 giugno 2007
La poesia annoia? La poesia è ghettizzata? La poesia è in crisi? Sono in crisi i lettori di poesia?
Qualche giorno fa, per l’esattezza il 27 maggio, Alfonso Berardinelli ha pubblicato un articolo sul Domenicale de Il Sole24Ore. Un articolo che ha fatto molto discutere. Il titolo è emblematico: “Togliamo la poesia dal ghetto”.
Ancora una volta, partendo dallo spunto offerto da Berardinelli, potremmo tornare a domandarci cosa si intende per poesia e chi è poeta. La discussione, per la verità, ha toccato altri punti. Per esempio: Chi legge poesia? E, soprattutto, chi è davvero in grado di valutare un testo di poesia?
Scrive Berardinelli: “Chi si accorge che un libro di poesia è brutto o inesistente sono sì e no cento persone. Di queste cento, quelle che lo dicono sono una ventina. Quelle che lo scrivono sono meno di cinque.”
Ma prima ancora di giungere a questa conclusione si domanda: “chi conosce a memoria un paio di testi scritti dalle ultime generazioni di poeti?”
È pessimismo o realismo, quello di Berardinelli?
Vi riporto quest’altro stralcio dell’articolo, che coincide con una ulteriore serie di domande:
“Chi potrebbe credere oggi che fino a vent’anni fa “testo poetico” era sinonimo di testo letterario e che tutta la teoria della letteratura, da Jakobson in poi, ruotava intorno alla nozione di “funzione poetica del linguaggio”? Ora i teorici, quando ci sono, si occupano di romanzi. La poesia sembra diventata la specialità dei “perdenti” e i critici che se ne occupano dimostrano un’inspiegabile vocazione al martirio. Chi li inviterà mai a un convegno? Quale giornale recensirà i loro libri?”
Spunti, domande e considerazioni che giro a voi, amici di Letteratitudine.
Cosa ne pensate?
Ha ragione Berardinelli?
C’è qualcuno, tra voi, che ritiene di rientrare nel ristretto gruppo di cento persone in grado di accorgersi che un libro di poesia è brutto o inesistente?
La parola è vostra.
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INTERVISTA A RENZO MONTAGNOLI
Renzo Montagnoli nasce a Mantova l’8 maggio 1947. Laureato in economia e commercio, dopo aver lavorato per lungo tempo presso un’azienda di credito ora è in pensione e vive con la moglie Svetlana a Virgilio (MN).
Ha vinto con la poesia Senza tempo il premio Alois Braga edizione 2006 e con il racconto I silenzi sospesi il Concorso Les Nouvelles edizione 2006.
Sue poesie e racconti sono pubblicati sulle riviste Carmina, Isola Nera, Prospektiva e Writers Magazine Italia, oltre a essere presenti in antologie collettive e in e-book.
Ha pubblicato le sillogi poetiche Canti celtici (Il Foglio, 2007) e Il cerchio infinito (Il Foglio, 2008).
E’ il dominus del sito culturale Arteinsieme e del blog Armonia delle parole.
Quando hai scritto la tua prima poesia?
Tralasciando qualche cosina da fanciullo, di cui peraltro non ho più memoria, la prima poesia è abbastanza recente e risale ai primi del 2003. Prima leggevo, oltre alla narrativa, anche poesie, soprattutto queste, in parte per una comodità legata ai tempi ristretti a causa dell’attività lavorativa.
Sei laureato in economia e commercio e per molti anni hai lavorato in banca. Come è possibile conciliare la creatività poetica con un lavoro che, di norma, è considerato “freddo” e “asettico”?
Quando lavoravo in banca non scrivevo poesie e nemmeno racconti; mi dedicavo tutto all’attività e non potevo, anche per una questione psicologica, nemmeno ipotizzare di stilare una poesia. C’è da dire che, però, potevo usufruire di una certa creatività, perché il ruolo che ricoprivo (responsabile dell’ufficio legale) non era asettico, con tutte le cause legali che avviavo o che vedevano come convenuto il mio istituto. Questo mi ha consentito di non spossessarmi di quanto avevo appreso, ovviamente a scuola, in campo letterario, anzi vi attingevo per predisporre le comparse di risposta, o per integrare le conoscenze legali nel redigere le citazioni. Penso che questo lavoro sia il meno bancario che possa esistere e infatti non nascondo che mi piaceva molto.
Conosci il romanzo “La morte in banca” di Pontiggia? Cosa ne pensi?
Ne ho sentito parlare, ma non l’ho mai letto. Penso che sia una descrizione del lavoro del bancario, impiegato spesso malvisto dagli esterni perché freddo, addirittura glaciale, e inoltre rappresenta ai più il tentacolo di un moloch pachidermico e insensibile quale è nell’opinione comune qualsiasi azienda di credito. Ci sono impiegati così, con una spanna di pelo sul cuore, e che per la carriera sono disposti a tutto, ma ci sono anche quelli che lavorano a testa bassa e che riescono perfino a risultare simpatici ai clienti.
C’è un poeta del passato che consideri come tuo “Maestro”?
Tutti. Da ognuno che ho letto ho imparato qualche cosa e dire quale è stato più prodigo di conoscenza nei miei confronti mi è difficile. Tuttavia, visto che c’è da fornire una risposta, mi permetto di fare tre nomi:
Publio Virgilio Marone, per la ricerca quasi ossessiva della purezza nello stile, ma soprattutto perché non tanto con l’Eneide, ma con Le bucoliche e Le georgiche ha saputo creare opere di straordinaria attualità.
Giovanni Pascoli, sfortunato, chiuso nell’alveo familiare, ha saputo fondere metrica classica e profondità di pensiero.
Giuseppe Ungaretti, un uomo nato troppo tardi e morto troppo presto. Mi spiego meglio: è indubbio che lui è il capostipite della corrente ermetica, che si è esaurita troppo velocemente, anzi direi che se n’è andata con lui. Ungaretti mi ha sempre colpito per quei versi così immediati che dicono tanto con poco.
Comprendo che ho citato tre maestri d’eccezione e che come allievo assomiglio un po’ a Pierino, però sono autori che ho studiato e ristudiato, che mi sono entrati dentro e dai quali forse, a volte, riesco ad attingere qualche cosa.
Che differenza c’è, a tuo avviso, tra poesia e componimento poetico?
La poesia ricorre al significato semantico delle parole, componendole in suoni e adottando un ritmo, così che ne scaturisce una musicalità. In pratica il poeta compone, ricorrendo anziché alle note, alle parole e in questo contesto esistono diverse tipologie di componimenti poetici, che hanno caratteristiche peculiari di costruzione e di ritmo, come, tanto per citarne alcuni, il poema o la ballata. Così come esiste il componimento musicale esiste anche quello poetico.
Poeti si nasce o si diventa?
Il talento è innato, ma per svilupparlo occorrono studio e applicazione. Quindi, sarebbe meglio dire che poeti si nasce, ma che scrittori di poesie si diventa.
La poesia è una specialità dei perdenti?
Occorre preliminarmente vedere che cosa si intende per perdente. In una società come la nostra, in cui il valore di un individuo si misura con i suoi profitti, è senza dubbio vero; è fuori discussione che anche il più famoso dei poeti ritrae dalla sua arte assai meno di un mediocre narratore. Del resto, quando di parla con qualcuno e quello ti chiede che cosa scrivi, se rispondi che sono poesie ti guarda con un’aria di commiserazione. Non credo che i poeti siano dei narratori falliti o comunque dei perdenti, penso invece che, come qualsiasi individuo, si sentano realizzati in ciò che riescono a esprimere. La capacità di trasmettere emozioni agli altri sondando dentro se stessi è solo una piccola parte della soddisfazione che un poeta può provare; il sapere interagire con il mondo e con il proprio “io” finisce con il far scoprire nuovi orizzonti prima del tutto impensabili e questa continua ricerca è al tempo stesso punto di arrivo della conoscenza e stimolo per nuovi traguardi. Non vedo pertanto né perdenti, né vincenti, ma solo dei realizzati.
Cosa consiglieresti a un poeta esordiente che ha velleità di pubblicazione?
Che è una tragedia! E’ strano, perché ci sono tanti che scrivono poesie e assai meno che le leggono. Ne consegue che il ritorno economico di un libro di poesia non è frequente ed ecco allora che molti editori (non tutti a onor del vero) chiedono all’aspirante poeta di contribuire alle spese di pubblicazione. E’ deprimente, ma mi ricordo che un certo Pincherle, più noto come Moravia, pubblicò il primo romanzo esclusivamente a sue spese.
Egoisticamente gli consiglierei di farsi conoscere attraverso Internet, magari ricorrendo ad Arteinsieme, che non pubblica tutto e tutti, ma fa una certa cernita in modo da avere un livello qualitativo medio più che soddisfacente.
Hai nuove pubblicazioni in cantiere?
Pubblicazione è un nome grosso. Vedi in genere scrivo sillogi tematiche e attualmente una c’è, molto lontana dal completamento, ma esiste.
Non so dirti nemmeno l’epoca presumibile in cui sarà terminata, perché l’importante è che scriva qualche cosa che mi soddisfi. Poi, se avrò la fortuna che venga pubblicata, bene, ma in caso contrario la metto su Arteinsieme.
Tags: berardinelli, domenicale, il foglio, il sole24ore, perdenti, poesia, renzo montagnoli
Scritto giovedì, 26 marzo 2009 alle 22:45 nella categoria PERPLESSITA', POLEMICHE, PETTEGOLEZZI E BURLE. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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