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Archivio della Categoria 'SONDAGGI, GIOCHI E SVAGHI'

giovedì, 7 ottobre 2021

ABDULRAZAK GURNAH vince il PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2020

Il forum permanente di Letteratitudine dedicato ai premi Nobel per la Letteratura.

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ABDULRAZAK GURNAH vince il PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 2021

Il premio Nobel per la letteratura per il 2021 viene assegnato al romanziere Abdulrazak Gurnah (nato a Zanzibar nel 1948) “”per la sua intransigente e compassionevole penetrazione degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti“.

Gurnah è nato nel 1948 ed è cresciuto sull’isola di Zanzibar nell’Oceano Indiano, ma è arrivato in Inghilterra come rifugiato alla fine degli anni ‘60. Ha pubblicato dieci romanzi e alcuni racconti. Il tema del disfacimento del rifugiato percorre tutto il suo lavoro.

Approfondimenti biografici
Abdulrazak Gurnah (Zanzibar, 20 dicembre 1948) è uno scrittore e romanziere tanzaniano naturalizzato britannico, vincitore nel 2021 del Premio Nobel per la letteratura.
Scrive in inglese e vive nel Regno Unito. I suoi romanzi più noti sono Paradiso (Paradise, 1994), che è stato selezionato per il Booker Prize e per il Whitbread Prize, Il disertore (Desertion, 2005), e Sulla riva del mare (By the Sea, 2001), che è stato selezionato per il Booker Prize ed è stato finalista per il Los Angeles Times Book Awards. (continua…)

Pubblicato in A A - I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE, EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SONDAGGI, GIOCHI E SVAGHI   625 commenti »

mercoledì, 6 gennaio 2021

LETTERA DALLA BEFANA

Risultati immagini per befanaSalve a tutti. Sono la Befana e ringrazio Massimo Maugeri per lo spazio ricorrente che ogni anno mi concede sul suo blog.

Vorrei parlare un po’ di me e poi “chiedervi” qualcosa.

Forse non lo sapete, ma c’è chi dice che la mia sia una figura del folklore di alcune parti dell’Italia centrale, diffusasi anche in altre regioni. Il mio nome deriva dalla parola epifania, alla quale festività religiosa sono collegata. Appartengo dunque alle figure folkloristiche, dispensatrici di doni, legate alle festività natalizie.

Come certamente saprete, faccio visita ai bambini la notte precedente l’epifania per riempire le calze, appositamente lasciate appese in quella notte. A chi è buono elargisco caramelle e cioccolatini, gli altri li riempio di carbone.

Vi racconto una storia. (continua…)

Pubblicato in A A - I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE, SONDAGGI, GIOCHI E SVAGHI   595 commenti »

giovedì, 19 maggio 2011

23 MAGGIO: REGALA UN LIBRO A CHI VUOI BENE

23-maggio2

Il Centro per il libro e la lettura e l’Associazione italiana editori (Aie) hanno promosso, per la settimana compresa tra il 16 e il 23 maggio, l’iniziativa Se mi vuoi bene, il 23 maggio regalami un libro.

“Regalare un libro è più di un gesto d’affetto perché con un libro regaliamo qualcosa di noi. Per questo vorremmo che nel tempo divenisse un gesto naturale”, ha spiegato – nei giorni della prima edizione dell’iniziativa –  il presidente del Centro per il libro e la lettura Gian Arturo Ferrari; “di qui l’idea, pertanto, di lanciare questa campagna ”.
“La nostra sfida”, ha detto il presidente dell’Aie Marco Polillo, “è rendere il libro più famigliare, più vicino al mondo e al cuore dei possibili lettori, per questo ci siamo rivolti a tre autori molto noti e amati dal pubblico invitandoli a dire in pochissime parole qual è secondo loro il senso e il gusto del leggere”.

Io sostengo, da sempre, che ogni idea che miri a promuovere il libro e la diffusione della lettura è di per sé lodevole e meritevole di essere sostenuta. Ecco perché vi invito a utilizzare anche questa data (il 23 maggio), come occasione ulteriore per avvicinarvi ai libri… e per farne dono alle persone che amate.

Contestualmente, vi propongo un gioco.

Quale libro regalereste, oggi, alle persone che amate? (Vostro/a marito/moglie, compagno/compagna, figlio/figlia, padre/madre, fratello/sorella, amico/amica, ecc. ecc.?) E perché proprio quel libro?

Ho sottolineato la parola oggi, perché non è escluso che, a distanza di tempo, potreste desiderare elargire alla persona amata un libro diverso da quello donato in precedenza (perché si cambia, perché cambia la vita, perché cambiano i gusti).

Inoltre… proviamo a estendere il gioco…
Quale libro regalereste al personaggio pubblico (del presente o del passato, vivente o scomparso) che amate particolarmente? E perché?

Coraggio gente. Partecipate. Non siate timidi.
Questo gioco potrebbe rivelarsi un esercizio proficuo per comprendere meglio noi stessi e, ovviamente, i libri e le persone che amiamo.

Massimo Maugeri

Pubblicato in SONDAGGI, GIOCHI E SVAGHI   198 commenti »

mercoledì, 16 giugno 2010

A PROPOSITO DI RACCONTI…

Nel gennaio del 2008, pubblicai questo post dedicato alle narrazioni brevi (i racconti)… sottolineando come il mercato premiasse le narrazioni lunghe (i romanzi).
A due anni di distanza, mi sento di dire che (forse) qualcosa è cambiato… che (forse), oggi, i racconti trovano più spazio rispetto a un paio di anni fa…
Cosa ne pensate? Siete d’accordo
?
Vi ripropongo il post con le domande originali. I vecchi frequentatori del blog potranno rileggersi e verificare se hanno cambiato idea, i nuovi avranno la possibilità di dire la loro.
(Massimo Maugeri)

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C’ERA UNA VOLTA IL RACCONTO
(post del 24 gennaio 2008)

Su un articolo culturale del Corriere della Sera del 23 gennaio – che raccoglie testimonianze varie (da Stephen King, ad Andrea Di Consoli, a Massimo Onofri) – si evidenziano le “difficoltà” del racconto o short story (per dirla all’anglosassone). Badate bene… non difficoltà di scrittura, o di lettura. Si tratta, purtroppo, di mere questioni di marketing.

Il racconto non piace granché… dicono.

I lettori prediligono storie-fiume… dicono.

In altre parole: il racconto non vende.

Quindi, di conseguenza, gli editori si adeguano.

Certo, raccolte di racconti continuano a essere pubblicate (forse più dalla piccola editoria che dalla media o grande), ma le “difficoltà” di cui sopra sembrano lampanti.

Vi invito a discuterne.

Perché i lettori prediligono i romanzi lunghi ai racconti?

È così per voi?

Se così fosse, perché continuare a scrivere ancora racconti?

Quali sono i pro e i contro delle short stories?

(Massimo Maugeri)

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mercoledì, 17 marzo 2010

IL PERSONAGGIO LETTERARIO PIÙ GRANDE DI TUTTI I TEMPI

personaggio-letterario-anonimoTra un dibattito serio e un altro, mi è venuto in mente di proporvi una sorta di giochino letterario (è da parecchio ce non lo faccio)… così… giusto per tirare un po’ il fiato.
Il gioco verte sui personaggi letterari… i grandi personaggi letterari che hanno popolato le più belle e importanti pagine della letteratura mondiale di tutti i tempi.
Personaggi che ci hanno fatto compagnia, che ci hanno fatto condividere esperienze che avremmo voluto vivere; che ci hanno fatto sognare, oppure – perché no – che abbiamo detestato, di cui avremmo fatto senz’altro a meno.

E allora, come al solito, pongo qualche domanda…

1. Quale personaggio letterario “incoronereste” come il più grande di tutti i tempi?

2. Qual è quello che, a vostro avviso, è più prepotentemente entrato a far parte dell’immaginario collettivo?

3. Quello che avete amato di più?

4. Di quale personaggio letterario avreste voluto vivere la vita?

5. E quello che non avete mai sopportato?

6. Quale personaggio letterario non vorreste mai incontrare nel mondo reale?

Naturalmente sarebbe opportuno rispondere alle domande fornendo anche le motivazioni delle risposte. E poi, come sempre, vi invito a interagire (magari provando a convincere gli altri intervenuti che il personaggio da voi proposto è il più grande).
Insomma, un giochino semplice… a conclusione del quale potremmo eleggere il personaggio letterario più grande di tutti i tempi.
Non solo. Questo gioco potrebbe fornirci l’occasione, lo stimolo, per andare a trovare qualcuno di questi nostri vecchi amici nati sulle pagine dei libri che abbiamo amato.

Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in SONDAGGI, GIOCHI E SVAGHI   238 commenti »

mercoledì, 16 settembre 2009

LETTERATITUDINE BOOK AWARD 2009

Il libro vincitore dell’edizione 2009 del Letteratitudine Book Award è: “2666” (Adelphi) di Roberto Bolaño.
Ultimata la fase finale del LBA, che si è svolta dal 1° al 15 settembre. Il libro “2666” (Adelphi) di Roberto Bolaño ha conseguito 92 voti, seguito da “Via Katalin” (Einaudi) di Magda Szabò, che ha raggranellato 80 voti, e da “Il fantasma esce di scena” (Einaudi) di Philip Roth (71 voti).
A questo punto, vi invito ad avviare un dibattito sulla figura di Roberto Bolaño.

Seguono la scheda del libro e una nota biografica dell’autore. Di seguito, le notizie sulle varie fasi del gioco.

La scheda del libro:
“Alla fine della terza parte di questo trascinante, enigmatico romanzo avevamo perso le tracce di Benno von Arcimboldi – il misterioso scrittore che nella prima parte i critici cercavano con febbrile e un po’ comico accanimento – nel deserto del Sonora, e precisamente a Santa Teresa, al con¬fine tra il Messico e gli Stati Uniti. Una cittadina che somiglia molto a quella Ciudad Juárez dove negli ultimi anni si sono moltiplicati i casi di omicidio di giovani donne, casi rimasti impuniti per la complicità della polizia, e su cui ha indagato (in un libro impressionante, “Ossa nel deserto”, pubblicato da Adelphi nel 2006) il giornalista Sergio González Rodríguez. Proprio dal Messico si ricomincia nella quarta parte – e, per u¬na di quelle vertiginose «coincidenze a¬strali» a cui Bolaño ci ha abituati (ma che non smettono di lasciarci senza fiato), sarà Sergio González, fra gli altri, a guidarci in questa serrata ricostruzione dei delitti che a Santa Teresa si susseguono a un ritmo sempre più ossessivo. Chi è l’autore dei “femminicidi” di Santa Teresa? È davvero il giovane americano di origine tedesca che è stato arrestato? E che cosa c’entra con tutto questo Benno von Arcimboldi? Lo scopriremo nella quinta e ultima parte – anche se Bolaño, con suprema abilità, ci lascerà intatto il senso del mistero, regalandoci il piacere di continuare a fantasticare attorno a personaggi che non dimenticheremo più, e il desiderio di rileggere da capo le pagine vorticose e ammalianti di questo libro.”

Nota biografica di Roberto Bolaño (fonte: Wikipedia Italia).
Roberto Bolaño Avalos (Santiago del Cile, 28 aprile 1953 – Barcellona, 14 luglio 2003) è stato uno scrittore e poeta cileno.
Visse la sua infanzia a Los Ángeles, Valparaíso, Quilpué, Viña del Mar e Cauquenes. A tredici anni si trasferì con la sua famiglia in Messico. Visse la sua adolescenza concentrato nella lettura, chiuso per ore in una biblioteca pubblica di Città del Messico.
Nel 1973 decise di tornare in Cile, deciso ad appoggiare il processo di riforme socialiste di Salvador Allende. Alla fine di un lungo viaggio in pullman, autostop e barca (attraversando quasi tutta l’America Latina) arrivò in Cile pochi giorni dopo il colpo di stato effettuato da Augusto Pinochet.
In seguito a questo fatto decise di unirsi alla resistenza contro il nuovo ordine dittatoriale. Poco tempo dopo venne incarcerato a Concepción, ma fu liberato dopo otto giorni, grazie all’aiuto di un compagno di studi dei tempi di Cauquenes, che era tra i poliziotti incaricati di vigilarlo. Questo episodio fu lo spunto per il racconto “Detectives” (Llamadas telefónicas, Narrativas Hispánicas, 1997 -Chiamate telefoniche-).
Tornò in Messico alcuni mesi dopo, e insieme al poeta Mario Santiago Papasquiaro (che sarà il modello per Ulises Lima nel romanzo Detective Selvaggi) fondò il movimento poetico d’avanguardia infrarealista, che si formò dopo alcune riunioni nel Café de la Habana di Calle Bucarelli. Tale movimento, definito come Dada alla messicana, si opponeva radicalmente ai poteri dominanti nella poesia messicana ed all’establishment letterario messicano, che aveva allora come figura preponderante Octavio Paz. L’infrarealismo aveva come linee guida la rottura con la letteratura ufficiale e la volontà di stabilirsi come avanguardia. Anche se intorno a questo movimento ruotavano all’incirca una quindicina di poeti, Roberto Bolaño e Mario Santiago Papasquiaro furono gli esponenti stilisticamente più solidi, autori di una poesia quotidiana, dissonante e con vari elementi dadaisti.
A causa delle sue caratteristiche e dello spirito contestatore, il movimento infrarealista trovò numerosi nemici e detrattori che lo emarginarono e gli negarono qualsiasi tipo di riconoscimento. La popolarità di Bolaño, però, ha fatto sì che questa emarginazione venisse lentamente superata.
Più tardi emigrò in Spagna, precisamente in Catalogna, dove viveva la madre. Lì praticò diversi lavori – vendemmiatore in estate, vigilante notturno in un campeggio a Castelldefels, commesso in un negozio del quartiere – prima di potersi dedicare completamente alla letteratura. Bolaño morì il 15 luglio 2003 all’ospedale Valle de Hebrón di Barcellona, lasciando incompiuto il romanzo “2666” con il quale aveva portato all’estremo la sua inventiva, questa volta attorno a un personaggio che riprende la figura di uno scrittore svanito.
Maggiori dettagli, qui.

Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in SONDAGGI, GIOCHI E SVAGHI   1.080 commenti »

sabato, 16 agosto 2008

ELEGGIAMO LA MIGLIOR CANZONE E IL MIGLIOR ALBUM DI TUTTI I TEMPI

Parto per qualche giorno di vacanza, lontano da web e pc.
Prima di andare, però, vi lascio questo post e la possibilità di partecipare a un giochino d’agosto “extraletterario”.
Vi propongo di eleggere la canzone e il long playing più belli di tutti i tempi (“belli” nel senso di migliori).
L’idea mi è venuta pensando alle note classifiche stilate pochi anni fa dalla prestigiosa rivista americana “Rolling Stone” (i 500 migliori singoli e i 500 migliori album di tutti i tempi).
bob-dylan.jpgOvviamente le suddette classifiche sono nettamente sbilanciate a favore della musica anglosassone.

Ecco, vi invito a giocare eleggendo la “vostra” miglior canzone e il “vostro” miglior album.
Ciascuno di voi dovrà tentare di convincere gli altri della bontà della vostra scelta a suon (questa parola ci sta benissimo) di link su YouTube, riportando testi in originale e tradotti, ecc.
Insomma, dovrete cercare di far proseliti.
Poi ognuno voterà secondo un sistema che verrà stabilito nelle fasi iniziali del gioco.

Vi anticipo che per Rolling Stone il miglior album di tutti i tempi è Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (dei Beatles); mentre la miglior canzone è Like a Rolling Stone (di Bob Dylan).

thebeatles.jpg

Affido la conduzione del gioco a Enrico Gregori (in qualità di ex critico musicale) e a Gea Polonio (in qualità di ex DJ).

Di seguito, invece, potrete leggere le classifiche di Rolling Stone limitatamente alle prime cinquanta posizioni.
Il gioco durerà fino al 31 agosto (giorno della “proclamazione”).
Siete tutti invitati a partecipare.
Gli unici requisiti richiesti sono: allegria, leggerezza e cordialità.

Se l’iniziativa vi piace, promuovetela sui vostri blog.
A voi!

Massimo Maugeri

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Lista delle 50 miglior canzoni secondo “Rolling Stone”

  1. Like a Rolling StoneBob Dylan (1965)
  2. (I Can’t Get No) SatisfactionThe Rolling Stones (1965)
  3. ImagineJohn Lennon (1971)
  4. What’s Going OnMarvin Gaye (1971)
  5. RespectAretha Franklin (1967)
  6. Good VibrationsThe Beach Boys (1966)
  7. Johnny B. GoodeChuck Berry (1958)
  8. Hey JudeThe Beatles (1968)
  9. Smells Like Teen SpiritNirvana (1991)
  10. What’d I SayRay Charles (1959)
  11. My GenerationThe Who (1965)
  12. A Change Is Gonna ComeSam Cooke (1964)
  13. YesterdayThe Beatles (1965)
  14. Blowin’ in the WindBob Dylan (1963)
  15. London CallingThe Clash (1980)
  16. I Want to Hold Your HandThe Beatles (1963)
  17. Purple HazeJimi Hendrix (1967)
  18. MaybelleneChuck Berry (1955)
  19. Hound dogElvis Presley (1956)
  20. Let It BeThe Beatles (1970)
  21. Born to RunBruce Springsteen (1975)
  22. Be My BabyThe Ronettes (1963)
  23. In My LifeThe Beatles (1965)
  24. People Get ReadyThe Impressions (1965)
  25. God Only KnowsThe Beach Boys (1966)
  26. A Day in the LifeThe Beatles (1967)
  27. LaylaDerek and the Dominos (1970)
  28. (Sittin’ on) the Dock of the BayOtis Redding (1968)
  29. Help!The Beatles (1965)
  30. I Walk the LineJohnny Cash (1956)
  31. Stairway to HeavenLed Zeppelin (1971)
  32. Sympathy for the DevilThe Rolling Stones (1968)
  33. River Deep – Mountain HighIke & Tina Turner (1966)
  34. You’ve Lost That Lovin’ Feelin’The Righteous Brothers (1964)
  35. Light My FireThe Doors (1967)
  36. OneU2 (1991)
  37. No Woman, No CryBob Marley (1975)
  38. Gimme ShelterThe Rolling Stones (1969)
  39. That’ll Be the DayBuddy Holly and the Crickets (1957)
  40. Dancing in the StreetMartha and the Vandellas (1964)
  41. The WeightThe Band (1968)
  42. Waterloo SunsetThe Kinks (1968)
  43. Tutti FruttiLittle Richard (1956)
  44. Georgia on My MindRay Charles (1960)
  45. Heartbreak HotelElvis Presley (1956)
  46. HeroesDavid Bowie (1977)
  47. Bridge over Troubled WaterSimon & Garfunkel (1970)
  48. All Along the WatchtowerJimi Hendrix (1968)
  49. Hotel CaliforniaEagles (1976)
  50. The Tracks of My TearsSmokey Robinson (1965)

_________________

Lista dei 50 miglior album secondo “Rolling Stone”

  • 1) Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (The Beatles)
  • 2) Pet Sounds (The Beach Boys)
  • 3) Revolver (The Beatles)
  • 4) Highway 61 Revisited (Bob Dylan)
  • 5) Rubber Soul (The Beatles)
  • 6) What’s Going on (Marvin Gaye)
  • 7) Exile on Main Street (The Rolling Stones)
  • 8 ) London Calling (The Clash)
  • 9) Blonde on Blonde (Bob Dylan)
  • 10) The Beatles (The Beatles)
  • 11) The Sun Sessions (Elvis Presley)
  • 12) Kind of Blue (Miles Davis)
  • 13) The Velvet Underground & Nico (The Velvet Underground)
  • 14) Abbey Road (The Beatles)
  • 15) Are You Experienced (The Jimi Hendrix Experience)
  • 16) Blood on the Tracks (Bob Dylan)
  • 17) Nevermind (Nirvana)
  • 18) Born to Run (Bruce Springsteen)
  • 19) Astral Weeks (Van Morrison)
  • 20) Thriller (Michael Jackson)
  • 21) The Great Twenty-Eight (Chuck Berry)
  • 22) John Lennon/Plastic Ono Band (John Lennon)
  • 23) Innervisions (Stevie Wonder)
  • 24) Live at the Apollo (James Brown)
  • 25) Rumours (Fleetwood Mac)
  • 26) The Joshua Tree (U2)
  • 27) King of the Delta Blues Singers (Robert Johnson)
  • 28) Who’s Next (The Who)
  • 29) Led Zeppelin (Led Zeppelin)
  • 30) Blue (Joni Mitchell)
  • 31) Bringing It All Back Home (Bob Dylan)
  • 32) Let It Bleed (The Rolling Stones)
  • 33) The Ramones (Ramones)
  • 34) Music From Big Pink (The Band)
  • 35) The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars (David Bowie)
  • 36) Tapestry (Carole King)
  • 37) Hotel California (Eagles)
  • 38) The Anthology, 1947 – 1972 (Muddy Waters)
  • 39) Please Please Me (The Beatles)
  • 40) Forever Changes (Love)
  • 41) Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols (Sex Pistols)
  • 42) The Doors (The Doors)
  • 43) Dark Side of the Moon (Pink Floyd)
  • 44) Horses (Patti Smith)
  • 45) The Band (The Band)
  • 46) Legend (Bob Marley and The Wailers)
  • 47) A Love Supreme (John Coltrane)
  • 48) It Takes a Nation of Millions to Hold Us Back (Public Enemy)
  • 49) At Fillmore East (The Allman Brothers Band)
  • 50) Here’s Little Richard (Little Richard)
  • _________________________

    AGGIORNAMENTO DEL 29 AGOSTO 2008

    Dopo ampio e significativo dibattito, magistralmente condotto da Gea Polonio e Enrico Gregori, indico di seguito i titoli della miglior canzone e del miglior album di tutti i tempi secondo i frequentatori di Letteratitudine.

    Massimo Maugeri

    MIGLIOR CANZONE: Stairway to HeavenLed Zeppelin (1971) (in ex aequo con “O CAROLINE  – Matching Mole” e “HEROES – David Bowie”)

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    MIGLIOR ALBUM: The Velvet Underground & Nico (The Velvet Underground)

    Pubblicato in SONDAGGI, GIOCHI E SVAGHI   928 commenti »

    lunedì, 14 luglio 2008

    L’ARTE CHE SI SCRIVE: IMMAGINI E RACCONTI

    Accolgo con piacere questa iniziativa lanciata da Miriam Ravasio.
    L’idea è quella di stimolare la scrittura di brevi racconti attraverso la “percezione” di immagini: opere, performance, installazioni, dell’Arte contemporanea, realizzate dal 1950 ad oggi nel contesto internazionale.
    Per quanto mi riguarda considero la suddetta iniziativa (“L’arte che si scrive: immagini e racconti”) come una sorta di gioco “visual-narrativo” che potrebbe dare esiti molto interessanti.
    Naturalmente il successo dipenderà da voi. Dalla vostra partecipazione.
    Cominciamo con la proposta delle immagini di due artisti: Yves Klein e Ashley Bickerton.
    Troverete dettagli qui in basso.
    Vi invito a scrivere racconti non troppo lunghi (meglio se si manterrano entro la soglia delle 5000 battute).
    Miriam Ravasio e Carlo S. si occuperanno della cura dell’aspetto organizzativo del gioco (aspetto regolamentare, ecc.).
    Vi ringrazio in anticipo per la partecipazione.
    Massimo Maugeri

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    yves_-klein.JPGYves Klein, Particolare da Dimanche, le Journal d’un seul jour. 27 novembre 1960.
    Un uomo nello spazio, è il titolo della famosa foto che ritrae l’artista mentre salta nel vuoto in una strada di periferia. La foto apparve su un giornale prodotto sempre da Klein, e il cui articolo d’apertura titolava “Il teatro del vuoto”.

    Yves Klein (Nizza, 1928 – Parigi, 1962) fu artista neo-dadaista e Nouveaux Réaliste, molto amico di Arman. Lavorò a lungo intorno al concetto di “Vuoto”, inteso in un senso ispirato dalla filosofia Zen, una realtà esistente al di là della sua rappresentazione.
    In questo senso vanno lette le sue “pitture monocrome” , principalmente di colore blu, la sua “Sinfonia Monotona” fatta della ripetizione di una sola nota, le sue “performance” di eventi (la più famosa fu la vendita di spazio vuoto in cambio di oro, che poi finì tutto nella Senna). Due anni prima di questa foto aveva realizzato una mostra VUOTA, nella Galleria parigina di Iris Clert.
    La fotografia, in questione “Saut dans le vide” (Salto nel vuoto) o anche “volo lunare” aveva anche un forte intento ironico verso la NASA, cercando di mostrare che le spedizioni spaziali erano “hybris” e pura follia.

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    hashley_bickerton.JPGAshley Bickerton, Them, 1998, New York, Ileana Sonnabend. La paura del vuoto si “vince” con l’ossessione dei dettagli. Due tipi deformi e dall’aria demente irridono allo spettatore, mentre sullo sfondo c’è tutto l’apparato di insegne al neon, comune all’Occidente e all’Oriente.

    Ashley Bickerton (Barbados, 1959- viv. a Bali), star della scena americana anni ‘80 insieme ad altri artisti della corrente “Neo Geo” (Peter Halley, Jeff Koons, ecc). Il gruppo si rifà alla Pop Art ed alle “geometrie minimali, riflesso fedele del paesaggio visivo delle grandi metropoli, interamente determinato da industria, tecnologia e pubblicità” (Sebastiano Grasso sul “Corriere della Sera”).
    “Bickerton assembla nelle sue opere collages di foto, acrilico, noci di cocco, ossa, semi… con forti richiami alla terra, all’origine biologica della vita, a tutto ciò che si cela sotto la scorza della nostra esistenza…” (Elena Uderzo).
    In qualche modo anche in questa immagine si insinua il tema del vuoto. Il vuoto mentale dei personaggi che indicano l’osservatore, il vuoto di senso suggerito dalle insegne e dai marchi pubblicitari, il vuoto di pensiero che dobbiamo affrontare quotidianamente, in una società dei consumi sempre più priva di valori e di significato. C’è un forte senso di “rimbalzo” in questa immagine, come in uno specchio: sono loro o siamo noi i veri dementi?

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    AGGIORNAMENTO DEL 28 LUGLIO 2008

    Dopo i numerosi racconti pervenuti (ispirati dalle suddette immagini) e dopo la votazione effettuata dagli stessi partecipanti, si è giunti alla determinazione dei tre finalisti (di seguito in ordine alfabetico): Laura Costantini, Enrico Gregori, Simona Lo Iacono.

    Il vincitore è: Enrico Gregori con il racconto L’ILLUSIONE DI ABRAXAS

    Di seguito il testo del racconto vincitore e quelli delle altre due finaliste

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    L’ILLUSIONE DI ABRAXAS di ENRICO GREGORI

    Signore e signori. Ragazzi e militari metà prezzo.
    Eccomi qui, su questa pubblica piazza. Tra nani del circo, saltimbanchi, giocolieri e artigiani del monile.
    Ma io, il grande Abraxas, mi concedo a voi con la mia nuova illusione. L’incantesimo per i vostri occhi e il vostro cuore…bambino lasciami lavorare…E non vi chiedo danaro e non vi chiedo cibo. Ma cinque minuti del vostro tempo e del vostro silenzio. Perché qualunque rumore e l’incantesimo svanisce…bambino vai a prenderti lo zucchero filato ché questo non è posto per te…cinque minuti per sognare e per stupirvi.
    Come si stupirono nel mercato di Zanzibar, nella casbà di Tunisi e nel parco comunale di Novi Ligure. Lì, col cuore in gola, tutti ad ammirare il grande Abraxas che oggi regala a voi la magia, il sogno e la follia…bambino hai finito lo zucchero? E vai alle frittelle, ché qui Abraxas ha da fare…e tornerete nelle vostre case con il grande Abraxas nelle pupille e nella testa. Un sogno che continuerà a farvi visita ogni notte. Perché solo ciò che sembra ma non è sa stupire più di ogni miracolo.E scalò lentamente il palazzo antico in muratura mattonata.
    Raggiunta la ringhiera vi salì, allargò le braccia come per spiccare un volo d’angelo.
    Io, il grande Abraxas! disse. E si lasciò andare rimanendo sospeso al nulla. Lui, parallelo al suolo, mentre chiunque si portava le mani sulle labbra e sugli occhi.
    Ammirate, disse, il grande Abraxas. Cosa mi tiene così levitato? Non è la forza, non è il trucco, non è il padreterno. E’ l’arte del grande Abraxas e il vostro silenzio.Due acrobati volteggiarono tra il pubblico con capriole e salti mortali. Applausi per loro. Uno scroscio frastornante……NO!, provò a supplicare Abraxas….NO!…bambino aiutami tu….NO!

    Tra la folla festante e sorridente, piombò giù.
    La testa esplosa sul porfido della piazza e un torrente di sangue fin sotto i piedi degli acrobati.
    Il suo corpo scavalcato e oltrepassato da una fanfara in ghingheri. Meraviglioso Abraxas, dicevano tutti, stupefacente Abraxas. Dopo l’illusione dell’angelo sospeso anche l’incantesimo della morte.
    Frittelle per tutti, grande Abraxas. Quando ti sarai rialzato ti aspettiamo al chiosco.

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    LAGGIU’ di SIMONA LO IACONO

    Mi dicevi laggiù dove muoiono i dannati, laggiù, amico, mi troverai. Mi dicevi guarda, mi dicevi resta, mi dicevi laggiù, dove vivono i dannati, laggiù, amico, mi troverai.
    E sorridevi. Nudo l’inguine, vecchia la barba, perso lo sguardo su un punto inafferrabile che ti ostinavi a indicare.
    Chi sono i dannati? Ti chiedevo mentre ti lasciavi prendere dall’infermiere di turno. Lavare. Vestire. Portare in bagno senza resistenza, scivolandomi addosso quella risata vuota – gengive e saliva – che si ostinava a imitare la felicità.
    Proprio lì, in manicomio, dove la felicità non esiste.
    Ma dicevi esiste, esiste, e te ne venivi con quell’ombrello a scaglie gialle e nere, me lo issavi in groppa roteandolo a tempo, esiste , esiste, e mi prendevi la mano. Continuavi a ridere. A lasciarti afferrare.
    A dire laggiù dove muoiono i dannati, laggiù, amico, mi troverai.
    Ma il giorno dopo non ti trovai.
    Il giorno dopo in manicomio è una finzione, un letto chiuso con un nome che vacilla.
    Volto le spalle all’infermiere di turno. Afferro un lembo del tuo lenzuolo. Un resto di te.
    Poi ripenso, laggiù dove muoiono i dannati. Laggiù dove vivono i dannati…
    Tra le lenzuola. Nel letto.
    Abbasso lo sguardo, sollevo le coperte. Ne aspiro l’odore di disinfettante. Di piscio.
    Le trovo incise di parole. Di versi. Di inchiostro che balla sotto i miei occhi e si intrama sulla lanugine.
    La prima frase che leggo è laggiù, dove muoiono i POETI, laggiù, amico, mi troverai.

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    TRE ANNI PER NON CAPIRE di LAURA COSTANTINI

    Gianni guardò la foto incorniciata e pensò che Simona era una donna intelligente. Non che questa fosse una scoperta dell’ultima ora. Aldilà delle innegabili doti fisiche, Simona lo aveva conquistato proprio con la sua intelligenza, così poco comune tra le donne.
    Sorrise, Gianni, a quel pensiero. Lo avesse detto ad alta voce avrebbe per sempre rovinato la propria reputazione di persona aperta e moderna e avrebbe dovuto spiegare a quale tipo di intelligenza si riferisse.
    La foto di Yves Klein (una copia ma ben incorniciata) avrebbe potuto essere d’aiuto. Di solito le donne, anche le più dotate intellettualmente, pretendono conferme dagli uomini. Conferme prima, scelte irrevocabili poi. Pur essendo creature così leggere e fragili, nei rapporti interpersonali hanno bisogno di grossolani pilastri cui agganciare la loro esistenza. Simona no, Simona non era così. Simona era intelligente e quella foto era lì a dimostrarlo.
    Gianni la guardò ancora una volta e il sorriso si fece più dolce. Si frequentavano da tre anni con Simona. Tre anni pieni di emozione fisica e mentale. Lei era stata il suo rifugio contro la noia delle apparenze, contro la monotonia del rapporto a due istituzionalizzato. Simona era la fuga, il distacco dalla realtà, il volo oltre le convenzioni.
    Il volo, proprio come nella foto.
    Non aveva mai chiesto niente, Simona. Si era creata il suo spazio in quella relazione adulterina che si nutriva di magia e leggerezza. Uno spazio piccolo, ma grazioso e comodo, proprio come la mansardina dove si incontravano una volta la settimana: il giovedì.
    Un’abitudine, certo. Ma quanto diversa da tutte le abitudini che intessevano la sua vita come maglie di una rete. Di giovedì in giovedì il loro rapporto era cresciuto, si era consolidato.
    Gianni non avrebbe mai creduto possibile che quell’appuntamento settimanale potesse diventare il centro stesso della sua esistenza. La meta cui giungere nel trascorrere dei giorni. Il ricordo da portare con sé per rendere più sopportabili tutti i venerdì, i sabati, le domeniche che seguivano inesorabili.
    Il tempo, quando era con Simona, assumeva un sapore e una consistenza diversi. Era morbido, dolce, soavemente vischioso come una crema montata col burro.
    E poi Simona, per tre anni, non aveva mai chiesto niente. Era stata questa la sua forza, la sua intelligenza, la sua marcia in più. Per Gianni lei era stata sempre e solo un valore aggiunto nella partita doppia della vita. Mai gli aveva creato un problema, mai gli aveva messo il broncio. Mai si era lamentata di essere sempre e solo l’altra, quella che doveva mettersi da parte quando arrivavano le feste comandate, le occasioni ufficiali o semplicemente la febbre del bambino piccolo, l’esame importante della grande o le paturnie di sua moglie.
    Poi era arrivata quella foto. Gianni l’aveva trovata lì, sul tavolino della mansardina, incartata come un regalo. Un regalo per lui. Gianni ripensò che Simona era stata intelligente anche in questo: mai preteso regali, mai preteso uno stupido mazzo di rose, un gioiello pacchiano, niente. Il loro reciproco dono era incontrarsi lì, aprire la finestra sui tetti della città e rotolarsi tra le lenzuola fino allo sfinimento.
    Un donarsi che alla fine era diventato importante. Tanto importante che Gianni scopriva ora, attraverso quella foto di Yves Klein, ciò che Simona desiderava.
    Lei non lo avrebbe mai detto, intelligente ancora e sempre.
    Nella foto c’era un uomo che saltava nel vuoto, con un’espressione di grande beatitudine. Esattamente l’espressione che aveva Gianni adesso mentre guardava la città dall’alto del minuscolo balcone. Un salto nel vuoto, una scelta. Voltare le spalle alla noia di una vita di regole e convenzioni e saltare nel caos gioioso di una storia d’amore vera.
    Ecco, pensò, l’ho detto: amore. Di questo si tratta.
    Gianni sentì la porta aprirsi. I passi leggeri di colei che aveva saputo guidarlo fin lì, in silenzio. Avvertì la presenza di Simona ma non si voltò. Le mani di lei sulla schiena, improvvisamente forti e pesanti.
    Nel volo dal balcone della mansarda fino al marciapiede, sei piani più giù, Gianni non ebbe il tempo di capire. D’altronde, non gli erano bastati tre anni.

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    venerdì, 20 giugno 2008

    ORACOLO STREGHESCO 2008

    Come sapete la nuova edizione del premio Strega è gia partita. Nei giorni scorsi sono stati diramati i nomi dei dodici candidati alla vittoria. Cosa è cambiato rispetto agli scorsi anni? Intanto la direzione… affidata a Tullio De Mauro (che sostituisce Anna Maria Rimoaldi). E qualcosa nella formula del premio stesso.

    Ecco i componenti dell’ambita dozzina:

    Ruggero Cappuccio con “La notte dei due silenzi” (Sellerio), Cristina Comencini con “L’illusione del bene” (Feltrinelli), Carlo D’Amicis con “La guerra dei cafoni” (minimum fax), Giuseppina De Rienzo con “Vico del fico al Purgatorio” (Manni), Diego De Silva con “Non avevo capito niente” (Einaudi), Paolo Giordano con “La solitudine dei numeri primi” (Mondadori), Ron Kubati con “Il buio del mare” (Giunti), Giuseppe Manfridi con “La cuspide di ghiaccio” (Gremese), Cristina Masciola con “Razza bastarda” (Fanucci), Emiliano Poddi con “Tre volte invano” (Instar Libri), Lidia Ravera con “Le seduzioni dell’inverno” (nottetempo) ed Ermanno Rea con “Napoli Ferrovia” (Rizzoli).

    Alcune domande.

    Avete avuto modo di leggere uno o più dei suddetti libri?

    Cosa ne pensate?

    Tra quelli citati, chi è l’autore che preferirete?

    Chi è che merita di vincere?

    E chi è che invece vincerà? 

    Mentre ci sono vi propongo un gioco. Il vincitore si aggiudicherà il titolo di oracolo streghesco 2008.

    Dovete individuare i cinque titoli che andranno in finale e disporli in ordine: dal primo (il vincitore) al quinto.

    Per ogni posizione indovinata corrisponderà un punteggio, sulla base di quanto segue.

    Prima posizione = punti 5

    Seconda posizione = punti 4

    Terza posizione = punti 3

    Quarta posizione = punti 2

    Quinta posizione = punti 1

    Facciamo qualche esempio. Se Tizio indovina la prima e la quinta posizione otterrà 6 punti (5+1), se Caio azzecca il secondo e il terzo classificato si aggiudicherà 7 punti (4+3), se Sempronio riesce a “spiattellare” la cinquina con ordine esatto otterrà 15 punti (il massimo) e si aggiudicherà il titolo. Ovviamente i vincitori potranno essere più d’uno.

    Per darvi una mano nella scelta vi propongo l’articolo che mi ha cortesemente inviato l’amico Stefano Salis  della redazione del Domenicale del Sole24Ore.

    Possono partecipare al gioco anche gli scrittori facenti parte dell’ambita dozzina. Si potrà giocare fino al giorno prima della proclamazione del vincitore.

    Partecipate?

    Massimo Maugeri 

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    Selezionati, stregati, premiati

    (articolo pubblicato su l’inserto “Domenica” de Il Sole24Ore del 18 maggio 2008, pag. 36)

    di Stefano Salis 

    Ci siamo: con l’arrivo della bella stagione non ci sarà borgo d’Italia senza il suo bel premio letterario. Un catalogo, qualche anno fa, ne aveva contati centinaia: da quelli in cui si vince la scultura dell’artista locale a quelli dove i soldi e i riscontri di vendita successivi non mancano. I premi che contano davvero, però, sono pochissimi: meno di dieci. Lo sanno tutti.

    Partirà il Mondello, che, per non essere ultimo (veniva assegnato a novembre) ha sparigliato le carte, cambiando statuto e decidendo di diventare il primo della stagione. Appuntamento a Palermo il 23 e 24 maggio. Con convegno su «Il senso in-civile della scrittura» e contesa per il super-vincitore. Gli italiani in gara sono Andrea Bajani (Einaudi), Antonio Scurati (Bompiani) e Flavio Soriga (Bompiani); tra gli stranieri ha vinto Bernardo Atxaga (Einaudi).Poi ci saranno le selezioni del Campiello (finalissima a settembre e un’estate per leggere…), le premiazioni del Grinzane, mentre in settimana è stata scelta la dozzina del premio più noto, lo Strega, giunto alla 62a edizione. La prima senza Anna Maria Rimoaldi e la prima diretta da Tullio De Mauro che, per succedere a cotanta eredità, ha già cambiato il regolamento. I 12 libri scelti diventeranno 5: a luglio, al Ninfeo di Villa Giulia, il vincitore. La compagine iniziale, al solito, è variegata: oltre a 4 big come la più gettonata di “radio-premio”, Cristina Comencini (Feltrinelli), Diego De Silva (Einaudi), Paolo Giordano (Mondadori) ed Ermanno Rea (Rizzoli), c’è un outsider come Lidia Ravera (nottetempo). Poi ci sono editori più piccoli o meno noti come Sellerio, Giunti, minimumfax, Fanucci, fino alle sorprese Instar, Manni e Gremese. E se c’è già la prima polemica (la Newton Compton, che concorreva con il romanzo di Mario Lunetta, si è vista esclusa, in nome del turn over tra gli editori, a due giorni dalla selezione e non ha gradito…), lo Strega sarà ancora una volta una contesa tra i «big fish» editoriali, che ne hanno fatto un solido feudo, contando su molti amici, della domenica e non. Non è una previsione, la nostra, ma una semplice constatazione. Dati alla mano: dal 1980 al 2007 hanno vinto 10 volte Mondadori, 4 Bompiani, 3 Einaudi, Feltrinelli e Rizzoli. Intrusi, una volta Rusconi (nel 1983), Longanesi (1984), Leonardo (1993 con Domenico Rea) e Garzanti (con Magris nel 1997). Negli ultimi anni, poi, c’è stato una sorta di tacito “patto di spartizione”: l’ultima doppietta consecutiva di un editore risale al 1990-91 e fu di Einaudi. Mondadori punta oggi molto sul suo Giordano e il fatto di aver candidato un esordiente premiato già dalla classifica la dice lunga. Dopo la vittoria, l’anno scorso, di Ammaniti, magari, pensano a Segrate, è tempo di ripetersi subito e… al diavolo la spartizione. Poi magari ci sbagliamo e vince un piccolissimo editore e uno degli autori semisconosciuti giunti in finale e allora tanto di cappello. Ma se dovessimo scommettere…

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    AGGIORNAMENTO DEL 20 GIUGNO 2008

    Aggiorno questo post con l’elenco dei cinque finalisti del Premio Strega 2008. Il vincitore verrà scelto la sera del 3 luglio a Villa Giulia.
    1. Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi (Mondadori), 71 voti
    2. Ermanno Rea, Napoli ferrovia (Rizzoli), 68 voti
    3. Diego De Silva, Non avevo capito niente (Einaudi), 58 voti
    4. Cristina Comencini, L’illusione del bene (Feltrinelli), 51 voti
    5. Livia Ravera, La seduzione dell’inverno (Nottetempo), 35 voti.

    Primi esclusi a pari merito Ruggero Cappuccio con ‘La notte dei due silenzì (Sellerio) e Ron Kubati con ‘Il buio del marè (Giunti), con 16 voti.

    Massimo Maugeri

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    martedì, 3 giugno 2008

    LA LETTERATURA È PIU’ ARTE O ARTIGIANATO? ALTRI TRUCCHI D’AUTORE di Mariano Sabatini

    La letteratura è più arte o artigianato?
    Si basa più sul guizzo creativo o sull’affinamento dei ferri del mestiere?
    È più ispirazione o… “trucco”?

    Queste domande mi sono venute in mente dopo aver visionato l’ottimo libro di Mariano Sabatini Altri trucchi d’autore”, edito da Nutrimenti.
    Si tratta della seconda puntata di un viaggio alla scoperta dei segreti dei grandi scrittori. Dopo il primo, fortunato Trucchi d’autore, Sabatini ci presenta qui cinquantadue nuove interviste che svelano costumi, riti, ossessioni di molti nomi di punta della narrativa italiana e internazionale. L’indagine entra questa volta anche nelle scelte più proprie della scrittura: come si costruisce un personaggio o una storia. E ancora il rapporto con gli editori, il racconto degli esordi, i consigli agli aspiranti scrittori. Un avvincente percorso esplorativo che va da Brizzi a Moccia, passando per Cunningham, Mazzucco, Orengo, Parrella, Buttafuoco, Camon, Ferrante, Deaver, Santacroce, Lansdale, Veronesi e molti altri.
    Vi invito a rispondere alle domande poste all’inizio del post e a interagire con l’autore del volume, che parteciperà al dibattito.
    La “nostra” Maria Lucia Riccioli, che conosce Sabatini e ha letto il libro, mi aiuterà a condurre e a moderare il post.
    Di seguito potrete leggere l’introduzione e due interviste ad autori doc: il premio Pulitzer Michael Cunningham e il premio Strega Sandro Veronesi.

    Massimo Maugeri

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    Mariano Sabatini, 36 anni, giornalista, in passato ha firmato programmi di successo (Tappeto volante, Parola mia, Unomattina) e lavorato per quotidiani e periodici. È critico televisivo del quotidiano Metro e rubrichista per Eva Tremila e Affari Italiani. Scrive su Italia Oggi. Partecipa come opinionista in tivù e collabora con varie radio. Nel 2001 ha pubblicato La sostenibile leggerezza del cinema (Esi) e nel 2005 Trucchi d’autore (Nutrimenti).

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    LA CARICA DEGLI SCRITTORI
    di Mariano Sabatini

    Se anche lontanamente avete a che fare con il mestiere di scrivere, foste pure scrivani di strada, statene pur certi: ci sarà sempre qualcuno che, pur di lusingarvi, vi definirà scrittore.
    Mi è capitato sovente, partecipando a numerose trasmissioni radiofoniche e televisive per parlare dei precedenti Trucchi d’autore, che presentandomi al pubblico, mi definissero scrittore; oppure che tale dicitura apparisse nel cosiddetto sottopancia, testo che si materializza in sovrimpressione sul piccolo schermo quando le telecamere inquadrano un qualunque professionista. Non è vero: non mi ritengo uno scrittore, almeno per il momento mi basta considerarmi un giornalista, un cronista, uno che scrive insomma. E che, per somma ammirazione nei confronti degli scrittori puri, si mette al loro servizio per raccontarli nei loro aspetti più intimi legati al mestiere.
    Mi sono convinto a collazionare Altri Trucchi d’autore, confortato dal piccolo successo del primo volumetto sui metodi di lavoro dei più grandi, apprezzati, letti, amati romanzieri italiani e non solo. “Un libro sul mestiere di vivere da scrittori”, come ha scritto a proposito di Trucchi d’autore Antonio D’Orrico sul Magazine del Corriere della Sera. L’attenzione che la precedente pubblicazione ha suscitato, tanto presso i lettori quanto presso la stampa, testimonia la larga diffusione del sogno della scrittura. Chi, oggi, non ha un romanzo o un racconto nel cassetto!? Cassetto inteso come reale o anche solo immaginario. Tutti scrivono e tutti credono di aver diritto al titolo. Se è vero che “L’arte è un appello al quale troppi rispondono senza essere stati chiamati”, come sosteneva Leo Longanesi, chi ha il famoso romanzo sul desktop del pc è il primo a gridare: “Presenteeee!”.
    Il nostro, per parafrasare un antico modo di dire, è un Paese di santi, poeti navigatori e… scrittori, romanzieri, novellieri della domenica. Ma essere scrittori, oltre alle interviste e alle presentazioni mondane (quando, però, si tratti di creatori di best seller, beninteso), comporta anche grandi sacrifici, una vita ai limiti del monastico, solitudini dolorose, la sottomissione a una rigida regola, a una disciplina e a un rituale a cui non tutti sono in grado di sopravvivere.
    Che cos’è un rituale, lo spiega meravigliosamente la volpe al piccolo principe, nel celebre passo sull’addomesticamento nel libricino di Saint Exupery che ha fatto sognare generazioni di lettori: “Se ogni giorno arriverai alle quattro, io dalle tre comincerò ad aspettarti…”. E allora, a cosa giovano e a cosa servono i rituali per chi scrive? Il rito è, dal punto di vista etimologico, un ordine che si fa, un ordine in divenire: non un ordine dato, immutabile, finito, ma un ordine che si autoproduce. Immaginiamoceli, dunque, i nostri scrittori preferiti, mentre ogni giorno, nel momento a ciascuno più congeniale, si apprestano ad iniziare il lavoro: scelgono la musica o spengono il cellulare, aprono una finestra o guardano una scultura… Alcuni sono superstiziosi, come Giorgio Faletti, un romanziere che con Io uccido ha venduto oltre un milione e mezzo di copie e che, rivelando di lavorare a un romanzo ambientato in Arizona, una storia sugli indiani Navajo, ha dichiarato: “Il titolo lo rivelo solo quando l’ho finito, per scaramanzia”. Il titolo sarà poi, come ben sanno gli appassionati, Fuori da un evidente destino.
    Dovendo credere al grande Georges Simenon: “Scrivere non è una professione ma una vocazione all’infelicità”. Allora pubblicare e avere visibilità significa inghiottire rospi grossi come lattonzoli. Il quotidiano La Stampa, commemorandone la scomparsa, ricordava il rapporto problematico di Oriana Fallaci con il suo lavoro: “Ogni mio libro è un urlo di odio per la morte e un grido di gioia per la vita. (…) Non chiedetemi il perché di tutte le cattiverie che hanno scritto sui miei libri. Ogni volta che succede io mi chiedo, smarrita, sgomenta, incredula: ma perché? Non appartengo a nessun partito, non appartengo a nessun gruppo o meglio a nessuna mafia letteraria. Non parlo mai di nessuno, non insulto mai i libri degli altri. Se sono brutti, non dico mai che sono brutti. Non dico nemmeno: non mi piace. Non lo dico perché conosco la fatica tremenda che ogni libro, bello o brutto che sia, costa. E mi riconosco in quella fatica, rispetto quella fatica. (…) Scrivere è il mestiere più faticoso del mondo. Io a scrivere mi stanco, anche fisicamente. Mi stanco come un facchino, come un minatore, come quelli che fanno un mestiere pesante. Eppure non posso fare a meno di scrivere”.
    E già, chi scrive e ne trae soddisfazione (notorietà o addirittura fama, soldi, autorevolezza, inviti nei salotti, sconti nei ristoranti o chissà cos’altro…) deve fare i conti con gli aspetti meno noti, o più onerosi, del mestiere. In molti ricordano Thomas Harris, quando durante le udienze contro il presunto mostro di Firenze, Pietro Pacciani, prendeva diligentemente appunti, come l’ultimo dei praticanti giornalisti locali. L’ autore del celeberrimo Silenzio degli innocenti è infatti uno che usa approfondire la materia trattata nei suoi romanzi. Per scrivere Black sunday, storia di un attentato terroristico contro gli States organizzato durante la fine del campionato di football, studiò il terrorismo islamico ben prima dell’attacco alle torri gemelle.
    Non temete, cari aspiranti scrittori, di dover svolgere altri mestieri per assemblare il pranzo con la cena. Oggi vanno più che mai di moda i romanzieri pescati dalle professioni più disparate: magistrati (Carofiglio, De Cataldo…) o avvocati (Filastò, Agnello Hornby…), insegnanti (Oggero, Scurati, Perissinotto…), registi (Camilleri, Comencini…), giornalisti (Augias, Colaprico, Varesi, Soria…), e via dicendo. La letteratura non dà il pane, sostenevano i latini, e più che mai nel Novecento, secolo poveri di mecenati. Alla ricerca dell’agiatezza, o magari solo per campare, gli scrittori del Novecento si sono indaffarati nei mestieri più vari. Il mestiere più prestigioso lo ha praticato Malraux, che è stato ministro, dopo aver rubato statue kmer in Cambogia. Jack London ha collezionato infiniti mestieri e fu, per esempio, fiociniere su baleniere dell’Artico. Colette aprì nel 1932 un istituto di bellezza. Lawrence d’Arabia fu, oltre al resto, scaricatore di carbone a Porto Said e trasportatore di cammelli sull’Eufrate. Céline fu a Ginevra e nel mondo Technical Officer della società delle Nazioni. George Orwell dalla Polizia Imperiale in Birmania passò a miserrime condizioni, come lavapiatti e barbone. Saint-Exupéry riteneva che il suo vero mestiere fosse l’aviatore e questo lo portò, tra l’altro, alla morte. Italo Svevo, per fare il grande industriale, smise di scrivere: gli bastava una riga per renderlo inetto al lavoro pratico per una settimana. E l’ingegner Gadda, per la revisione del Pasticciaccio, fu mantenuto da “mamma Rai”. Il reporter Frederick Forsyth, ex collaboratore di Reuters e Bbc, ha scritto Il giorno dello sciacallo mettendo a frutto il lavoro di corrispondente da Parigi, e Dossier Odessa servendosi delle informazioni raccolte in Cecoslovacchia su alcuni gerarchi nazisti. Scott Turow ha inventato il legal thriller ma non ha mai smesso di indossare la toga. E a Chicago, al 77esimo piano della Sears Tower, il grattacielo più alto del pianeta, manda avanti un importante studio legale: “I codici, i processi, le aule di giustizia sono le cose in cui credo. Non potrò mai abbandonarli”, dice. Tra un’arringa e l’altra, Turow sta preparando il sequel del suo primo thriller di successo, Presunto innocente. Ma la sua vera anima qual è: quella di scrittore o di avvocato? Gli chiede Francesco Fantasia del Messaggero: “Il cuore mi spinge verso la letteratura, la mente verso i codici”. Il nostro Alberto Bevilacqua arrivato a Roma da Parma, avendo oltretutto già cominciato a scrivere narrativa, lavorò alla cronaca nera del Messaggero e, prima di passare alla redazione cultura, dovette indossare per sei mesi gli scomodi panni dell’inviato nella guerra del Congo.
    Le vie della narrativa, si può dire, siano infinite. Tanto che sempre Forsyth per esorcizzare la sua claustrofobia ha scritto Il vendicatore in cui agisce un veterano del Vietnam, abile tunnel-rat, uno di quei militari che percorrevano i cubicoli sotterranei scavati dai vietcong.
    E’ nato a Parigi, il seguitissimo Christian Jacq, ma la sua patria d’elezione è l’Egitto. Fin da adolescente ha amato questo Paese sopra ogni altro, tanto che decise di laurearsi in archeologia ed egittologia alla Sorbona. Più tardi, nel 1995, la sua passione per le piramidi e i faraoni lo ha spinto a scrivere Ramses, romanzo incentrato sulla figura di Ramsete, best seller in tutto il mondo. Da adolescente comprò La storia dell’Egitto antico, un’opera in tre volumi che comprendeva anche traduzioni di poesie, leggende e molte fotografie. Per lui fu una rivelazione: “Sarei assolutamente incapace -racconta – di scrivere storie fantascientifiche sul tipo del film La mummia, completamente avulsi dal contesto realistico. Anch’io attingo all’immaginazione, ma se descrivo un dialogo tra Ramses e un dignitario so che si sono parlati in quel modo perché mi rifaccio ai documenti in cui questo è descritto. Lo stesso vale per le cene, i riti e le scene di vita quotidiana”. Questo il suo metodo, ognuno ha il suo.
    Per creare la protagonista di Pura vita , Andrea De Carlo ha osservato molto sua figlia, oggi ventenne, ha ascoltato i suoi discorsi. Lui finisce per lavorare nelle ore in cui gli altri sono in ufficio. A parte il lavoro di preparazione, scrive due ore di mattina, due di pomeriggio. Nella casa in campagna vicino Urbino ha una stanza con una bellissima finestra ad arco che gli consente di allontanare lo sguardo dalla pagina. Si veste comodo e, se non fa freddo, ama stare a piedi nudi. “Mi dà un senso di libertà”, dice. Esce, cammina per mezz’ora, un’ora nella natura oppure taglia legna. Torna con energia rinnovata. Ogni tanto mangia cioccolato amaro. Persino la tivù “a volte è fonte di ispirazione su certi ambienti o personaggi”. Non tiene musica in sottofondo perché nelle interruzioni suona la chitarra. Scrive al pc portatile (“La penna permette la riflessione, la macchina da scrivere obbliga a dei passaggi che non corrispondono al modo di pensare, il pc è plastico, garantisce un’infinità di elaborazioni”) e a fine giornata ha pronte tre pagine in media. A volte una, a volte cinque. Per gli appunti: ”Scrivo sul retro dei fogli usati. Sono contento che la Einaudi e poi la Bompiani abbiano aderito ad un’iniziativa in cui sono coinvolto con Greenpeace e hanno pubblicato i miei romanzi su carta riclicata”. All’inizio si accaniva, era assalito dall’ansia, ora rispetta l’istinto, “Due di due l’ho iniziato e, dopo due capitoli, lasciato per due anni”. E non riuscirebbe a finire un libro lasciandolo tutto nel computer. Deve avere la pagina su cui lavorare a penna: ”E’ un lavoro di stratificazioni, in media riscrivo tutto quattro volte, a ogni passaggio dialoghi e personaggi acquistano nitidezza. Di solito la prima stesura è come un legno sbozzato. Lavoro sulle parole, sottraggo aggettivi”, racconta.
    Sottrarre sembra essere la parola magica di chi vuole scrivere per mestiere. Potremmo, per convenzione, ribattezzarla la legge del taglione. Talvolta gli scrittori o, meglio ancora, gli aspiranti tali si affezionano più a una frase o a un intero paragrafo dei propri elaborati che al loro fedele cane scodinzolante. E mi riferisco al “migliore amico dell’uomo” per non spingermi fino a mettere in dubbio l’attaccamento al fidanzato o alla compagna di vita. Sta di fatto che la sintesi, oggi, appare indispensabile a chiunque voglia avere un futuro editoriale degno del nome. Marilù S. Manzini (già autrice di Io non chiedo permesso, protagonisti ricchi mostruosi, tra stupri, sesso e droga) per Il quaderno nero dell’amore ha dovuto sforbiciare molto le iniziali seicento pagine del dattiloscritto, tagliando molte scene di sesso, poi riproposte sul sito della Rcs.
    Nessuno, neppure i trapassati, potrà sottrarsi a un severo editing e alla già citata legge del taglione. Pensate infatti all’inarrivabile Lev Tolstoj: la potente casa editrice Harper&Collins ha pensato bene di togliere seicento pagine delle originarie millequattrocento circa di Guerra e pace, per alleggerire la nuova edizione proposta al pubblico. Il lavoro di riduzione, come racconta Enrico Franceschini su Repubblica, “elimina tutte le pagine in cui l’autore fa parlare i suoi personaggi in francesce, la lingua dell’aristocrazia russa del tempo, ed elimina pure i capitoli, spesso intervallati a quelli di azione sulla campagna di Napoleone per conquistare Mosca, in cui Tolstoj filosofeggia sulla guerra, sul destino dell’uomo, sulla fede e sull’amore. Risvolti secondari e trascurabili, per quelli della casa editrice londinese. E pensare che oltre centoventi scrittori americani, inglesi e australiani avevano inserito il capolavoro russo del 1865 tra “i dieci migliori libri di tutti i tempi”. Certo quelli di Harper&Collins avranno pensato però che dovendo scegliere un romanzo da portare su un’isola deserta (magari frequentata dai famosi…), meglio che sia leggero. Avvisati, dunque. Siate severi con voi stessi, cari scrittori, tagliatevi senza pietà o, purtroppo, ci penseranno altri. Anche dopo centoquarant’anni.
    Siate severi, ma giusti. Non trastullatevi nel vagheggiamento di un futuro da narratore. Solo scrivere può insegnarvi a scrivere. In Altri Trucchi d’autore, troverete, a tal proposito, tante testimonianze di romanzieri in piena attività che dimostrano verso se stessi un’obiettività ai limiti dell’intolleranza, grazie alla quale possono consegnare alle stampe storie apprezzate da schiere di lettori.
    Individuare il proprio metodo di lavoro è fondamentale, e magari si può cominciare proprio imitando gli scrittori che ce l’hanno fatta. Come l’ormai mitica J. K. Rowling, ideatrice del maghetto Harry Potter, che ha incassato ben ottocento milioni di euro in diritti d’autore, tra editoria, cinema e merchandising.

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    LE RISCRITTURE INFINITE DI MICHAEL CUNNINGHAM

    Vive a New York, lavora in uno studio che è a quindici minuti circa dal suo appartamento, Michael Cunningham. “Quando sono a New York, ci vado ogni giorno, faccio le scale fino al sesto piano, cosa che aiuta a mantenere la flessibilità dellle ginocchia”, racconta. “Nel palazzo abitano solo vecchie signore, nel cortile si vedono stesi dei panni di biancheria piuttosto impressionante!”.
    Lo scrittore è volato a Roma per promuovere Giorni memorabili (Bompiani), la storia di un dodicenne costretto a prendere il posto del fratello Simon nella fonderia in cui ha perso la vita. È un ragazzino dotato della capacità di sentire la voce delle macchine e decifrarne i messaggi.

    Il suo studio?
    La mia stanza è molto comoda, senza vista, piena di cose, oggetti, ci sono libri ovunque. Le persone mi regalano cose di tutti i tipi, compresi i souvenir a forma di palla con la neve.
    Scrivo su un enorme tavolo di legno, molto rovinato.

    Computer o macchina per scrivere?
    Uso il computer. Amo il mio pc, non sono in generale molto tecnologico, ma lo schermo del pc mi sembra fantastico, un punto di mezzo quasi magico tra la pagina e la mia consapevolezza. Lì, di fronte a me, piccole parole liquide e blu, che esistono e non esistono, malleabili. Per me sono molto meglio di una penna che gratta il foglio, o delle dita che martellano i tasti di una macchina da scrivere.

    Fa delle pause?
    Quando lavoro, lavoro, quando non lavoro, non lavoro. Non faccio pause, non c’è tv, tolgo la suoneria al telefono e lascio la segreteria: mi possono lasciare un messaggio. Non guardo le e-mail se non dopo tre o quattro ore, quando ascolto anche i messaggi.

    Metodo di scrittura?
    Riscrivo all’infinito, scrivo una frase e la riscrivo, e la riscrivo. Alla fine del giorno, ho bisogno di stampare, qualunque cosa abbia combinato durante la giornata. Altrimenti, non mi sembra vero. Uso carta molto economica.

    Musica di sottofondo?
    Ascolto musica nel mio studio. Ogni giorno, quando arrivo, metto su qualcosa. Spesso ascolto, quando scrivo, cose diverse a seconda di quello a cui sto lavorando. Può essere il Requiem di Mozart, può essere Laurie Andreson, i White Stripes, Anthony and the Johnsons… Il ritmo, la musica delle parole è importante, per me, quanto il loro significato.

    Le idee migliori dove nascono?
    Ho bisogno di preservare un minimo di stato di isolamento. E quando ho finito, ho finito, esco, penso ad altro, non prendo appunti, se sono in un caffè, non mi metto alla ricerca di un tovagliolo sul quale scrivere idee che ho paura di dimenticare.

    I suoi personaggi sono presi dalla vita reale?
    Ma certo, sì! E le dirò di più… un po’ tutti i miei personaggi c’est moi. Se un personaggio non fosse almeno in parte autobiografico, non so se riuscirei a scriverne.

    Cosa ruba dalla realtà?
    Io sono gay e sono uno scrittore. Voglio usare la mia esperienza per scrivere i libri migliori, per quanto mi è possibile. E credo di avere una prospettiva più ampia, perché, stando un pochino al di fuori del mondo, riesco forse a vederlo meglio. E quindi proprio la mia esperienza come gay forse mi permette di scrivere di persone molto diverse tra di loro.

    Libri per ispirarsi?
    Leggo continuamente. A volte gli scrittori dicono che devono stare attenti, per non farsi influenzare. Io penso invece che se leggo Garcia Marquez e ne vengo influenzato… va bene. Ascolto e leggo più che posso.

    Come usa i libri?
    Non ho mai collezionato libri, non sono un bibliofilo, non mi importa dell’aspetto esteriore di un libro. Se i libri vengono usati, macchiati, annotati, per me va bene.

    Scrive come agli esordi o il suo approccio al lavoro è cambiato?
    È cambiata la mia vita, non ho più ansie legate alla sopravvivenza. Il rapporto con la scrittura non credo possa cambiare davvero. Del resto, non esiste un modo di scrivere definitivo e statico, per un artista. Si impara sino all’ultimo giorno, e la nostra scrittura non è che un continuo perfezionarsi, pagina dopo pagina.

    Anche lei confida nella disciplina?
    Non esistono segreti fondamentali per diventare grandi autori, tutto si scopre lavorando con costanza, con sofferenza, con passione. Il pittore Monet, quando morì, stava lavorando a cercare di riprodurre il suono delle canne spinte dal vento. È una cosa che mi commuove. Quando penso a me come scrittore, vorrei poter dire lo stesso e poter vivere come visse Monet: affamato di imparare ogni giorno di più il mio mestiere.

    Con quale stato d’animo legge le recensioni?
    Non le leggo. L’ho fatto per lungo tempo, e ho smesso. Non saprò mai raccomandare abbastanza questa scelta. Le recensioni buone sono utili, gratificanti. Quelle negative scoraggianti. Per me tutto ciò è fuorviante. Non bisogna badarci.

    I suoi lettori?
    Il tuo libro, buono o cattivo che sia, vive soprattutto grazie ai lettori, e grazie a loro durerà molto più a lungo dei suoi critici.

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    L’ALAMBICCO DI SANDRO VERONESI

    Il grosso del lavoro è avvenuto, come sempre, nell’inconscio di Sandro Veronesi: “Io posso solo dire che il romanzo ha cominciato a esistere nella mia testa quando si sono incontrate un’idea e una reminiscenza”. L’idea, che rappresenta il nucleo di Caos calmo (Bompiani), di un uomo che passa tutto il giorno davanti a una scuola e la reminiscenza di un remoto salvataggio in mare compiuto veramente dallo scrittore e dal fratello. Veronesi, che sostiene di non avere il privilegio di poter scegliere, scrive la mattina, perché può solo la mattina. In camera da pranzo, poiché non ha uno studio ma solo tavolino inglese molto bello “che mi ha regalato tanti anni fa Vincenzo Cerami e rimane il pezzo d’arredo più prezioso della mia casa”.

    Macchina per scrivere o computer?
    Computer. Navigare su Internet mi aiuta in vari modi. Mi permette di perdermi, e da persi si scrive meglio.

    Fa delle pause quando lavora?
    Ne faccio tantissime, con tutte le scuse possibili. Soprattutto quando sta filando tutto liscio.

    Sfizi, generi di conforto?
    Quando fumo, sigarette.

    Musica di sottofondo?
    Di continuo. Ascolto la roba scaricata da Internet. A volte scarico mentre scrivo.

    Le idee migliori come nascono?
    Per me nascono scrivendo, evocate dall’atto stesso di scrivere.

    Disciplina o ispirazione?
    La disciplina è ispirazione.

    La creatività si esaurisce?
    Non ne ho idea.

    Blocchi, incubo della pagina bianca?
    Non mi fa più paura. Le pause sono forse meno dolorose dello scrivere.

    Libri per ispirarsi?
    Evito accuratamente di leggere i libri che m’influenzerebbero negativamente, per una questione di stile. Per esempio, scrivendo Caos calmo ho evitato di leggere Carver.

    Per quale scrittore prova invidia?
    David Foster Wallace.

    A cosa sta lavorando?
    A un romanzo.

    Metodo di scrittura?
    Lavoro molto per decidere tempo e persona di narrazione,nel senso che faccio prove e prove. Poi, quando ho deciso, vado avanti il più regolarmente possibile, senza struttura, senza sapere bene cosa scriverò. Però di solito so più o meno dove voglio andare a parare.

    Quando un personaggio può dirsi ben delineato?
    Quando comincia a venirmi a noia.

    Ha mai ‘rubato’ ad altri?
    Sì. In genere si tratta di ritmo compositivo, stacchi dialogo/didascalie, eccetera. Ci sono dei maestri, nel mondo.

    Hanno mai ‘rubato’ a lei?
    Non ne ho idea.

    Le capita di rileggersi?
    No.

    In quanto tempo è pronto un suo romanzo?
    Parecchi anni, in genere.

    Hai mai buttato un intero dattiloscritto che non la soddisfaceva?
    Intero no. Metà sì.

    La semplicità nello scrivere: meta o punto di partenza?
    Le cose difficili, semplificale. Quelle semplici, complicale.

    Meglio tagliare una frase inefficace o tagliarsi un dito?
    Le frasi inefficaci non dovrebbero nemmeno esser scritte. Se sono davvero inefficaci e non si riesce a non scriverle, tagliarle è facile. Il problema è che le frasi non sono quasi mai inefficaci.

    Quante pagine produce in un giorno?
    0,75 circa, di media.

    Scrivere è faticoso?
    Doloroso, più che altro. Per me.

    A chi fa leggere in anteprima?
    Prima avevo una persona, ma non l’ho più. Ne devo trovare un’altra.

    Lo stile?
    Intervengo su tutto. Ci vogliono parecchi passaggi all’alambicco della correzione, perché una mia pagina diventi buona.

    La correzione delle bozze che momento è?
    A quel punto il mio lavoro è già fatto.

    Accetta i consigli dell’editore?
    Sì, li accetto. Nel primo romanzo l’editore mi disse che il romanzo cominciava a pagina cinque, e io tagliai le prime quattro pagine.

    I critici?
    Credo di avere avuto abbastanza fortuna, con la critica. Ma dinanzi a una recensione non mi stupisco, né lusingo, né tanto meno offendo più da molto tempo. Mi piace quando qualcuno trova qualcosa che stava nascosto nel mio libro e che nemmeno io avevo trovato.

    Sa chi sono i suoi lettori?
    Quelli a cui non piace quello che scrivo sono lo stesso miei lettori? Perché ovviamente non vengono a dirmelo, e io non ho mai modo di conoscerli. Conosco solo i lettori che si fanno avanti per farmi i complimenti, ma non è che posso considerare miei solo quelli. No, non so chi sono.
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    AGGIORNAMENTO DEL 6 GIUGNO 2008


    INTERVISTA A MELANIA MAZZUCCO, vincitrice del premio Strega 2003 (per gentile concessione di Mariano Sabatini e della casa editrice “Nutrimenti”)

    LA STANZA CHIUSA DI MELANIA MAZZUCCO

    Il suono di una sirena che squarciava il silenzio di una notte, a Roma, parecchi anni fa: Melania Mazzucco si è chiesta che cosa gridasse. Se chiedeva aiuto, se qualcuno stava morendo e si poteva salvare, se qualcuno aveva solo fretta di tornare a casa. Stava passando un’ambulanza o era la volante della polizia? E cosa era successo? “Tutto era accaduto in una stanza chiusa, sigillata contro di me come sempre le vite degli altri – spiega l’autrice di Un giorno perfetto (Rizzoli). – E io volevo entrare in quella stanza. Gli scrittori non fanno altro. Sono io l’intruso, il poliziotto scelto che sfonda la porta dell’appartamento di via Carlo Alberto”.
    Per lei la scrittura ha qualcosa a che fare con la notte, col buio che libera i demoni e restituisce la libertà ai sogni. Perciò di solito comincia a scrivere nella seconda metà del giorno. Nel riquadro della finestra, alla sinistra della scrivania, vede appassire il sole e scendere l’oscurità. “A poco a poco è come guardare un quadro interamente nero. Questa essenzialità mi riconcilia con le parole, e con il loro significato più vero. Scrivo finché vado a letto, molto tardi”.
    Il suo studio è di una semplicità totale. C’è un tavolo col ripiano di vetro, la scrivania dove si affastellano quaderni, agende, fogli volanti e microscopici brandelli di carta su cui appunto liste di parole, aggettivi e nomi. Ci sono due librerie rigurgitanti libri e carte, una piattaia da cucina che ha riconvertito in archivio e un vecchio mobile-grammofono degli anni Quaranta, l’unico oggetto che ho ereditato dalla nonna. Per terra, c’è una colonna friabile, sempre sul punto di franare. Sono lettere, alcune vecchie anche di un anno o due o perfino di più: “Il ritardo con cui rispondo è sempre scandaloso. Sono una pessima corrispondente”.

    Il tavolo che storia ha?
    Quadrato, col ripiano di vetro. Nero. Anni fa, era il mio tavolo da pranzo. Quando sono andata a vivere da sola, mi sono concessa il lusso di comprarmi solo due cose: il letto, un tremendo letto di legno, di quelli che si montano con la sparachiodi, e quel tavolo con sei sedie, dallo schienale altissimo. Ancora oggi, non ne ho altre.

    Usa il computer?
    Fin dal 1986. Il computer, peraltro, non l’ho mai cambiato ed è ancora quello – col sistema operativo dos. La mia prima macchina da scrivere, una vecchissima Olivetti M40 che mi regalò mio padre e su cui scrissi la mia prima sceneggiatura nel 1975, è diventata un soprammobile.

    A mano non scrive niente?
    Ho scritto il mio primo racconto a mano, e tutti i miei appunti li prendo a mano, come una copista medievale. Però ho scelto presto il computer. Ci siamo piaciuti al primo istante. Solo lui aveva la velocità dei miei pensieri. E in effetti lo considero un’estensione della mia mente. Ma questo non ha niente a che vedere con la creatività. Se non lo avessero inventato, avrei continuato a ticchettare sulla Olivetti, o a scrivere a mano, con la matita. L’unica differenza, forse, riguarda i filologi: per loro sarà difficile lavorare sulle varianti dei romanzi scritti al computer. I computer hanno la memoria corta.

    Le pause dalle sessioni di scrittura?
    Mai. Mi incollo alla sedia come una conchiglia allo scoglio. L’immobilità mi libera la mente, mi consente una specie di beatitudine zen. Un giorno, però, mi metterò a contare quante sigarette si è aspirato Un giorno perfetto. Grosso modo, per quattrocento pagine, direi uno scaffale del duty-free. È una considerazione allarmante.

    Musica di sottofondo mentre scrive?
    Sempre. Di solito la radio, per la precisione Radio Globo o RDS, le uniche che, nella zona della città oscurata dai ripetitori di radio più potenti, riesco a captare. La musica techno mi è congeniale. Però metto anche i miei cd preferiti – Moby, Portishead, Radiohead, Primal Scream, Fat slim boy, Amalia Rodriguez, Cecilia Bartoli, qualche volta anche musica da camera di Fauré e Franck. I musicisti italiani, che pure amo, non posso ascoltarli per via delle interferenze che la comune lingua provocherebbe. Nei giorni di mood malinconico, metto anche Le nozze di Figaro e la Norma.

    Il telefono e il cellulare?
    Accesi, ma non rispondo mai. Una vecchia storia dice che uno scrittore romano… chi era, Orazio? Ovidio? Petronio?… faceva dire alla sua schiava: non sono in casa. E se la schiava non c’era, lo diceva lui stesso: “Non sono in casa”. Beh, faccio qualcosa del genere.

    Le idee migliori dove nascono? C’è un modo per evocarle e favorirle?
    Non saprei rispondere. A volte in sogno. A volte nel dormiveglia, a volte parlando con qualcuno, ma anche nei momenti morti della giornata, su un autobus, aspettando davanti a un cinema, guardando fuori dalla finestra, camminando su un sentiero di montagna. Forse le idee nascono dal vuoto, per una sorta di effetto di osmosi. Io mi concentro molto anche quando corro sul tapis-roulant: mi guardo nello specchio davanti alla macchina e non vedo me stessa, ma i miei pensieri.

    Rituali di inizio e fine lavoro?
    Non ne ho nessuno. L’unico gesto che compio sempre è accendere il computer, all’inizio. Mi piace il suono di quel click. È come accendere la mente.

    Disciplina o ispirazione, cosa serve di più?
    L’ispirazione è disciplina e viceversa. L’una favorisce l’altra, l’una sabota l’altra. Bisogna essere abbastanza sconsiderati per ignorare le trappole della disciplina, e abbastanza umili per accettare i limiti dell’ispirazione.

    La creatività si esaurisce?
    Fatemi di nuovo questa domanda fra dieci anni.

    Blocchi, incubo della pagina bianca?
    Siccome non sono una che si mette a scrivere perché deve timbrare il cartellino, non mi metto mai davanti allo schermo se non ho una storia da raccontare, una frase da correggere o un personaggio cui trovare un corpo e un nome. Eludo i periodi vuoti semplicemente non scrivendo. A volte questi periodi di astinenza durano mesi, perfino un anno.

    Libri per ispirarsi?
    No, è impossibile. Il ritmo e lo stile delle frasi degli altri può restare in mente, e influenzare il proprio. Nei periodi in cui scrivo leggo pochissimo, e spesso solo di argomenti attinenti a quello sul quale sto scrivendo, per studio diciamo. Mi rifaccio nei lunghi mesi di astinenza dalla scrittura. Allora sono una belva onnivora, divoro mattoni in pochi giorni, affamata.

    Prova invidia per qualche collega?
    L’invidia è l’unico peccato capitale che non ho praticato mai. Invidiare qualcuno significa ammettere una propria mancanza e sono troppo orgogliosa per stimarmi tanto poco. L’ammirazione invece è un sentimento che mi assale spesso. Perciò potrei nominarne tantissimi. Tutti gli scrittori che ho amato da quando ho cominciato a leggere, perciò da sempre. Alla fine, per non farla tanto lunga, posso dire che ammiro la creatività anagrafica di Dumas e Balzac, la concisione di Jane Austen, la leggerezza di Stendhal, il genio di Bulgakov, lo sterminato periodare di Proust, i personaggi bambini di Elsa Morante, i malvagi di Dostoevskij e, per nominare qualche vivente, la cultura di Ghosh, l’ironia di Esterhazy, la stralunata visionarietà di Ransmayr.

    A cosa sta lavorando?
    È uno di quei periodi in cui non scrivo. Sono in archivio da quasi due anni, sto inseguendo, a volte rintracciando e a volte perdendo, una bellissima storia dimenticata, che sarà il mio prossimo romanzo.

    Vuole provare a descrivere il suo metodo di scrittura?
    Riempio dozzine di quaderni, taccuini, foglietti, anche se non sempre utilizzo ciò che annoto. Del resto spesso semplicemente non lo trovo, perché gli appunti non hanno un indice. C’è un aggettivo che mi piace tanto – coriaceo – che volevo inserire in Un giorno perfetto.

    E non l’ha fatto?
    Credo di averlo dimenticato, perché è ancora lì, appuntato su un foglietto che ancora mi guarda da sotto il portacenere.

    Fa delle scalette?
    Scrivo la prima versione di un romanzo senza scaletta, senza conoscere il destino dei personaggi, e mai in ordine cronologico, dall’inizio alla fine. Ma sequenza per sequenza, a seconda della tensione del momento, di solito molto rapidamente. Per evitare equivoci, chiarisco che rapidamente per me significa cinque, sei mesi.

    Quante pagine produce in un giorno?
    Non produco niente, è una parola che non mi piace. Comunque non vorrei mai produrre pagine. Non sono una macchina né un’industria, semmai un artigiano geloso che cura con amore gli oggetti che escono dal suo laboratorio. Non sono regolare, non mi impongo obiettivi.
    Allora, diciamo quanto riesce a scrivere.
    Nei momenti “dionisiaci” posso scrivere anche quaranta pagine tutte di seguito, come in una sorta di scrittura automatica. Nei momenti “apollinei”, quando correggo, rivedo e sono per così dire in fase di montaggio alla moviola, in un giorno è già tanto se ne limo una.

    Per lei, scrivere è faticoso?
    Per me è un’attività fisica e naturale come respirare. Coinvolge tutti i cinque sensi… per non parlar del sesto. Scrivere è il tatto delle dita sulla tastiera, l’olfatto teso alla ricerca mentale degli odori di cui stai parlando, la vista delle parole che galleggiano sullo schermo e delle cose che vedi davanti a te e in realtà non ci sono, e così via. Perciò è faticoso, sì, ma anche meraviglioso, come vivere.

    Scrittori si nasce o si diventa?
    Chi era che disse “diventa ciò che sei”? Forse era Socrate, o Epicuro o sant’Agostino, e se non era nessuno di loro, chiedo loro perdono di averli scomodati per tanto poco. Credo non si possa comunque spiegare meglio il percorso che ognuno di noi deve seguire per conoscersi. Bisogna trovare dentro di noi la cosa che ci appartiene, ed è solo nostra. Se è la scrittura, prima o poi, emergerà, e diventeremo ciò che siamo sempre stati, senza saperlo.

    A chi fa leggere in anteprima?
    Alla persona che ho scelto e che è la parte migliore di me.

    Per raggiungere lo stile desiderato?
    Intervengo su tutto. Il ritmo di una frase, l’aggettivo attaccato a una parola come un parassita, un verbo inappropriato, una descrizione generica, un dialogo che non suona, una digressione che bisogna proprio sopprimere.

    Rilegge molto?
    Mi rileggo ossessivamente per mesi, anni a volte, ma poi, quando ho pubblicato un libro, non mi rileggo mai senza vero disagio. Il testo diventa quello di un altro. Ovviamente, se mi rileggessi, continuerei a trovare qualcosa che mi è sfuggito, sbavature ed errori: la scrittura è un processo potenzialmente infinito.

    Nel senso che potrebbe lavorare su un testo anche a distanza di anni?
    Nel senso che anche lo stile cambia: ciò che a vent’anni mi sembrava stupendo, non mi pare più così oggi. Io vivo e cambio, e i miei libri vivono e cambiano con me. Però l’imperfezione rende vivo un libro. Le sue asperità, i suoi stridori, lo restituiscono al mondo.

    Rilegge ad alta voce?
    Sempre. Ho imparato a farlo fin da ragazzina, essendo cresciuta nella casa di un uomo di teatro. Guardavo gli attori leggere il copione, e le parole cadono subito nel vuoto quando la battuta è sbagliata. Così oggi se una pagina non suona, non funziona e la elimino.

    Idiosincrasie linguistiche?
    Sono ossessionata dai luoghi comuni. Non mi perdono quando ne scrivo uno non intenzionalmente, per farne parodia.

    Come sceglie le parole?
    Ah, sono avida di parole, le colleziono, le riesumo e a volte le invento. Mi piacciono gli strafalcioni e gli slittamenti di senso, i dialetti, i gerghi specialistici. Con una passione per quello medico. Scandaglio le lingue straniere, le parole in agonia che nessuno usa più e quelle celibi, che sono state usate una volta sola. Nessuna parola mi pare inutile, brutta o indegna. Aspiro all’orecchio assoluto per le parole.

    Alla correzione delle bozze interviene molto?
    Sono il terrore dei redattori. Sono stata una redattrice anch’io, perciò sono rimasta una cacciatrice di sviste e refusi. Ma continuo a correggere il testo anche stilisticamente, e strutturalmente, fino all’ultimo momento, quando sta per andare in stampa.

    Accetta i consigli dell’editore?
    Ho tagliato di seicento pagine il mio primo romanzo, Il Bacio della Medusa, che nella versione originale ne contava millecento e giustamente nessuno lo avrebbe mai pubblicato. Ho soppresso alcuni capitoli di Lei così amata, perché troppo digressivi rispetto alla vicenda. Mi confronto volentieri con l’editore, non ho la pretesa di avergli consegnato un testo sacro.

    Legge gli articoli e le recensioni su di lei?
    Le leggo sempre con molto ritardo, le lascio decantare in modo che il loro potere di offesa o lusinga sia attutito dal tempo. Così, a memoria, posso ricordare che mi piacque quando mi definirono “eccentrica” rispetto al panorama della narrativa contemporanea, quando scrissero che ero nata per narrare e che avevo uno stile fluviale. Una critica tedesca disse che ero come un uragano e mi divertì questa definizione perché sono nata l’anno dell’alluvione di Firenze e sento di avere qualcosa a che fare con l’acqua.

    Offese?
    Mi sentii ferita quando scrissero che avevo uno stile cinematografico, che mettevo troppi dettagli, consolandomi perché a Mozart dicevano che metteva troppe note, che ero troppo brava e questo mi avrebbe impedito di scrivere un bel romanzo. Mi ha piacevolmente sorpresa leggere delle belle recensioni uscite in paesi stranieri – Canada, Spagna o Olanda – e scoprirmi capita da qualcuno che vive realtà molto diverse dalla mia, che non mi conosce né mi conoscerà mai, che mi valuta solo attraverso le mie parole, alla fine la parte più vera di me.

    Chi sono i suoi lettori affezionati?
    Le persone più disparate, e questa mi pare la meraviglia della letteratura. Ragazze e pensionati, insegnanti e detenuti, professionisti e operai. C’è stato anche qualche lettore eccellente, il cui apprezzamento mi ha profondamente emozionato, ma non ho la volgarità per fare il suo nome. Finora, la mia lettrice più giovane ha dieci anni, è una ragazzina sensibile e speciale a cui auguro ogni bene. La più anziana ha compiuto ieri cento anni, è una vispa signora di favolosa arguzia, che sa tutto della vita. Non dimentico mai le parole che mi dicono i lettori, e alcune le tengo per me, come i miei ricordi più belli.

    Com’è arrivata a farsi pubblicare?
    Quando ho cominciato a far leggere il manoscritto del mio primo romanzo, tutti mi dicevano che avrei dovuto pubblicarlo. Io ho esitato, perché avevo paura di espormi, e sapevo quanta gioia e quante ferite mi sarebbe costato diventare per il mondo una scrittrice.

    E quando si è decisa?
    Poi hanno esitato anche gli editori. Mi hanno respinta con convinzione per tre anni. Alla fine, qualcuno mi ha apprezzato e mi ha fatto un’offerta. Siccome non sono vile, dopotutto, ho trattenuto il fiato e mi sono lanciata. È cominciato così.

    Consigli a un giovane o vecchio aspirante scrittore?
    Essere se stessi e non credere che conformarsi alle attese degli altri serva a qualcosa. Non demoralizzarsi per i rifiuti che inevitabilmente verranno, e saranno dolorosi, come se qualcuno ti accoltellasse un figlio. Né soffrire per i tempi lunghissimi, epocali, perché può essere interminabile l’attesa prima che un libro trovi la sua strada.

    L’umiltà è utile?
    Certo, bisogna accettare, a volte, il rifiuto, e comprenderlo. Imparare dall’errore e non avere paura di riscriversi, di cambiarsi, anche di rinunciare a una storia che ci sta a cuore per scriverne un’altra, completamente diversa. I manoscritti a volte si perdono, ma non muoiono: il parere sferzante di un lettore può diventare l’entusiasmo di un altro, e dalle ceneri di un romanzo che morirà inedito può nascere un romanzo che troverà migliaia di lettori.

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    mercoledì, 12 marzo 2008

    ELEGGIAMO IL LIBRO DELL’ANNO 2007

    libri-2007.JPG

    LETTERATITUDINE BOOK AWARD  2008

    la parodia di un premio letterario

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    Vi propongo un gioco di gruppo finalizzato a eleggere il libro dell’anno 2007.

    Ci state?

    Pensate alle vostre letture riguardanti libri editi l’anno scorso. Qual è stato il migliore, a vostro avviso?

    Mi riferisco a libri di qualunque genere: narrativa, saggistica, poesia. Non importa se di autori italiani o stranieri.

    Potremmo organizzarci in questo modo.

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    I FASE

    Chiunque vorrà giocare dovrà indicare il titolo del libro e spiegare la motivazione della scelta. E su queste scelte potremmo discutere cercando di convincerci reciprocamente. La prima fase del gioco si concluderà mercoledì 5 marzo.

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    II FASE

    Da giovedì 6 marzo si procede alla votazione. I due libri più votati andranno al ballottaggio. Questa fase del gioco si concluderà mercoledì 12 marzo.

    -

    III FASE

    A partire da giovedì 13 marzo i partecipanti al gioco voteranno i due libri prescelti. Il libro più votato sarà il libro dell’anno 2007 per Letteratitudine. Questa terza fase si concluderà mercoledì 19 marzo, giorno in cui si proclamerà il libro vincitore.

    -

    Ripeto, è solo un gioco… il cui successo, ovviamente, dipenderà dalla vostra partecipazione.

    A proposito c’è un volontario o volontaria disposto(a) a tenere la contabilità della votazione?

    Il post sarà aggiornato alla fine di ogni fase.

    Mi raccomando, partecipate in massa.

    E fate partecipare i vostri amici. I miei blogger friends potrebbero diffondere il comunicato nei loro blog.

    Massimo Maugeri

    P.s. Non è consentito votare per libri propri o pubblicati da amici

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    6 marzo 2008 – FASE DUE – REGOLAMENTO
    -
    Dalle ore 00.00 di giovedì 6 marzo alle ore 24.00 di mercoledì 12 marzo si vota per eleggere il libro dell’anno 2007, con le seguenti modalità:

    la votazione ha luogo su base giornaliera; ogni partecipante può votare UNA SOLA VOLTA AL GIORNO per un qualunque libro ritenga meritevole in assoluto.

    Si possono nominare libri usciti per la prima volta in Italia nel corso del 2007. Sono dunque escluse ristampe, riedizioni ecc. Sono invece compresi libri in precedenza usciti all’estero ma inediti in Italia.

    Si può cambiare idea anche ogni giorno, volendo. Ovviamente non nell’ambito della medesima giornata. Non verranno presi in considerazione i voti anonimi.Vi chiediamo come cortesia di esprimere il voto (ed esclusivamente quello) IN MAIUSCOLO, in quanto ciò ci facilita notevolmente il compito.

    Per votare si consiglia di procedere scrivendo nel modo seguente:

    IN DATA X/3/08 TIZIO (indicare nome, cognome, o nickname) VOTA PER IL ROMANZO “XXX” DI CAIO EDITO DA (indicare la casa editrice).

    Alla fine di ogni giornata verranno fatti i conteggi, parziali e totali, che verranno resi pubblici non appena possibile.

    I voti delle differenti giornate si sommeranno alla fine della settimana per ricavarne i due titoli più gettonati, che andranno al ballottaggio nei tre giorni seguenti.

    Restiamo a disposizione per chiarimenti.

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    I DIARCHI-NOTAI GEA & CARLO

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    III FASE

    Per una serie di circostanze, che capirà chi avrà la pazienza di leggersi tutti i commenti del post, si è deciso di anticipare la chiusura del gioco alla mezzanotte di mercoledì 12 marzo 2008 procedendo alla votazione dei due libri ammessi al ballottaggio.

    Intanto si attribuisce una menzione speciale ai libri di autori italiani che nel corso del gioco hanno ricevuto più voti: “Il senso del dolore” di Maurizio De Giovanni (Fandango), che ha potuto beneficiare di un vero e proprio plebiscito, e “L’ultimo parallelo” di Filippo Tuena (Rizzoli).

    I due libri saranno oggetto di dibattito nell’ambito di un apposito post a loro dedicato. I due autori saranno invitati a partecipare.

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    Vengono ammessi al ballottaggio i due libri di letteratura straniera pubblicati in Italia che nel corso del gioco hanno ricevuto più voti: “Everyman” di Philip Roth (Einaudi) e “La strada” di Cormac McCarthy (Einaudi).

    I due libri potranno essere votati seguendo le regole della II FASE fino alla mezzanotte di mercoledì 12 marzo 2008. Terminata la fase di conteggio dei voti si procederà alla proclamazione del libro vincitore del gioco.

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    La strada - Cormac McCarthy - copertinaAGGIORNAMENTO di giovedì 13 marzo 2008

    Dopo una gara intensa e senza esclusione di colpi, in considerazione della relazione e del conteggio finale dei voti, opera dei diarchi/notai Gea e Carlo, io sottoscritto, Massimo Maugeri, comunico che il libro che si aggiudica la prima edizione di questo premio virtuale è il seguente…

    VINCE IL LETTERATITUDINE BOOK AWARD 2008 (la parodia di un premio letterario)… lo scrittore americano CORMAC MCCARTHY con il romanzo LA STRADA” (EINAUDI)

    (Massimo Maugeri)

    Seguono i versi festosi, allegri e ironici della sostenitrice del vincitore, la scrittrice Simona Lo Iacono

    Ma davvero pensavate
    con fiducia tutta pia
    che vi liberavate
    dell’ostinata mia poesia?
    Illusi! E proprio ora
    che coronammo di vittoria
    il capo, il piè, e il core cinto
    d’un alloro mai così avvinto?
    Abbiam detto senza posa:
    “la strada è vittoriosa”,
    e se alfin talun discorda
    con umana voluntate
    ratto è tratto in una corda
    di umilissima pietate.
    Ora null’altro – direi- resta
    che ‘l sigillo in su la testa
    e menar festeggiamenti
    di gente sicula affollati
    che da quei lidi altrimenti
    saremmo invano approdati.
    Ci vediamo con bandiere
    o pennoni o con lumère
    nell’augusta capitale
    per potere festeggiare?
    Tanto è d’uso ed è costume
    - e di certo non perdona -
    che chi perde sempre paga
    e la cena si fa a Roma.
    Orsù dunque con acume
    non mancate alfin l’evento
    me l’han detto in un orecchio:
    pure Roth ne è contento.

    Simona Lo Iacono

    (vincitrice della competizione in versi parallela al gioco)

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    giovedì, 10 gennaio 2008

    THINKING BLOGGER: SONO STATO NOMINATO

    thinkingbloggerpf8.jpg

    Sono stato nominato.

    È un bene o un male? In questo caso… un bene.

    Sono stato nominato nell’ambito dell’iniziativa “thinking blogger” da Eventounico , ottimo blogger e frequentatore (supercompetente) di Letteratitudine. Ciò significa che Eventounico pensa che io sia un thinking blogger (un blogger che pensa) e che di conseguenza il mio blog faccia pensare. E a ben pensarci, il pensiero di Eventounico mi induce a pensare che un blog che fa pensare è meglio di un blog che non fa pensare (Catalano docet). Pensa un po’…

    A questo punto, per stare al gioco, devo nominare altri cinque blog che secondo me fanno pensare. Premesso che voterei lo stesso Eventounico (non lo faccio, sia perché è vietato, sia per evitare che qualcuno ci possa accusare di esserci piegati a logiche da “voto di scambio”), e che mi farebbe piacere nominarne cinquanta, anziché cinque, le mie scelte “ricadono” su (in ordine alfabetico):

    1. Books and other sorrows

    2. Lipperatura

    3. Luca De Biase

    4. Remo Bassini

    5. Satisfiction

    —————————————

    Seguono le regole per partecipare all’iniziativa:

    a) Partecipare se si è stati nominati.

    b) Lasciare un link al post originario inglese

    c) Quindi inserire nel post il logo del Thinking blog award.

    d) Indicare i blog che hanno la “capacità di farti pensare”.

    —————————————

    Siccome, come sapete, mi è quasi impossibile resistere alla tentazione di avviare dibattiti… per restare più o meno in tema vi chiedo di indicarmi il vostro thinking writer.

    Qual è lo scrittore, italiano o straniero, capace di farvi riflettere di più?

    Non necessariamente deve coincidere con il vostro preferito.

    Per semplificare limitiamo la scelta ai romanzieri.

    Il titolo del gioco è: Il romanziere che fa riflettere di più

    A voi!

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    domenica, 30 dicembre 2007

    BUON 2008 IN… MUSICA E GIOCHI

    Ed ecco l’ultimo post del 2007. Un post di fine anno e – in quanto tale – improntato su un’allegria goliardica e festosa.

    Un post dove potremo scambiarci gli auguri per l’anno che verrà.

    A proposito, come sarà secondo voi il 2008? Meglio o peggio dell’anno che ci lasciamo alle spalle?

    Vi invito a scrivere citazioni, stralci di brani, poesie, racconti (di autori celebri o di vostra produzione), titoli di libri e di canzoni o quant’altro abbia a che vedere con l’ultimo giorno dell’anno e/o con l’anno che verrà.

    Ciò premesso, questo sarà un post… molto musicale.

    Del resto non è possibile pensare alla notte di san Silvestro senza musica, giusto?

    E allora vi auguro di trascorrere un fine d’anno danzante sulle note delle musiche che più vi piacciono e vi si confanno (ciascuno col proprio gusto).

    Se vogliamo restare in tema potrei proporvi un classico della musica leggera italiana: L’anno che verrà di Lucio Dalla; ma non mancano i successi internazionali come New year’s day degli U2.

    Che altre canzoni in tema vi vengono in mente?

    Comunque vada vi auguro di sopravvivere ai bagordi, soprattutto quelli mangerecci.

    Non ingozzatevi, eh?

    E mentre che ci sono, dato che parliamo di musica e sopravvivenza, ne approfitto per presentarvi la cover di un noto successo di Gloria Gaynor (I will survive). Quella che potrete ascoltare e sentire cliccando qui sotto è un’esecuzione live e acustica di un quartetto femminile: le Charlies Angels acoustic band (mi dicono di scrivere Charlies, anziché Charlie’s). Valentina (chitarra), Florinda (voce), Giorgia (basso) ed Erica (violino): band acustica che rinnova, nel nome e nel look, la celebre serie televisiva americana degli anni Settanta (con strumenti musicali al posto delle armi). La band, nata a Catania nel 2004, si esibisce con successo nei locali della città e della provincia, interpretando – con arrangiamenti propri – le cover più note del panorama musicale nazionale e internazionale degli anni Settanta e Ottanta.

    E ora vi propongo un gioco. Siete tutti invitati a partecipare.

    Si tratta di un giochino leggero e molto goliardico (va bene, lo ammetto: è un gioco stupido… ma siamo qui per divertirci e per chiudere l’anno in allegria, giusto?).

    In sostanza è un gioco gemello di quello “carnascialesco” che vi proposi a febbraio: attrici e attori del vostro cuore. Vi ricordate?

    Questa volta ve lo ripropongo con una variante musicale. Immaginate di dover dedicare una canzone (italiana o straniera… non importa) alla star del cinema da voi prediletta (del presente o del passato, vivente o scomparsa).

    Dovete scegliere una canzone e spiegare i motivi della scelta. La combinazione canzone/star dev’essere inedita. Esempio: come molti di voi sapranno la celebre Candle in the wind di Elton John è dedicata a Marilyn Monroe (la canzone fu poi riciclata in memoria della principessa Diana). Ecco, questa combinazione non vale, poiché è già edita e dichiarata.

    Dunque, presentate le vostre combinazioni inedite canzone/star precisando le motivazioni della scelta (è consentito modificare e/o adattare il testo della canzone prescelta). Poi la comunità sceglierà la combinazione “migliore”.

    Comincio io.

    Come scrissi nell’altro post ho una predilezione per l’attrice Jennifer Aniston. Alla Aniston dedico la mia canzone preferita che è Hey Jude! dei Beatles (scritta dall’immenso Paul McCartney), che all’occorrenza diventa Hey Jen!.

    Motivazione della scelta.

    La povera Jennifer (Jen) ha vissuto momenti di grande difficoltà dal punto di vista personale a causa della separazione dal marito Brad Pitt (poi accoppiatosi con Angelina Jolie).

    La dedica di Hey Jude! (Hey Jen!) è una specie di esortazione… una sorta di invito alla riscossa (ma è anche un piccolo – piccolissimo – tributo alla canzone, al suo autore e all’attrice).

    “Hey Jen, don’t make it bad / take a sad song and make it better (…) and any time you feel the pain, hey Jen, refrain / don’t carry the world upon your shoulders…”

    Ovvero: “Ehi Jen, non farla difficile / prendi una canzone triste e rendila migliore (…) e ogni volta che senti il dolore, ehi Jen, trattieniti / non portare il mondo sulle spalle”.

    Ora, siccome anche le Charlies Angels sono delle accanite beatlesiane, e anche loro apprezzano molto la Aniston,… be’, abbiamo deciso di conferire un carattere – come dire – realistico alla nostra dedica.

    Cliccate sul video sotto e vedrete.

    Ehi.. è un gioco, eh?

    Partecipate anche voi!

    E il 1° gennaio 2008 non dimenticate di gustarvi il concerto di capodanno, dove non mancherà di certo un’ottima versione di Sul bel Danubio blu dell’immortale Johann Strauss.

    BUON 2008 A TUTTI!

    Massimo Maugeri

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    giovedì, 20 dicembre 2007

    LIBRI NATALIZI

    Lo sapete meglio di me. Quando si avvicina Natale quotidiani, riviste, allegati letterari fanno a gara per consigliare i titoli dei libri da riporre sotto l’albero.

    Facciamolo anche noi.

    Vi chiedo di indicarmi:

    1. Il titolo di un libro che vi piacerebbe ricevere in regalo.

    2. Il titolo di un libro che regalerete (o che vi piacerebbe regalare).

    Magari potremmo specificare anche i motivi delle scelte.

    Che ne dite?

    Infine vi pongo una terza domanda. Quali libri pensate, o vi proponete, di leggere durante le vacanze?

    Gli autori dei miei quattro “libri natalizi” sono i seguenti:

    Ian McEwan (Chesil Beach), Philip Roth (Patrimonio), Ivan Cotroneo (La kryptonite nella borsa), Remo Bassini (La donna che parlava con i morti). Difficilmente riuscirò a leggerli tutti e quattro entro la fine delle feste (non è che per caso qualcuno di voi li ha già letti?).

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    Un libro che ho letto e che vi consiglio è 1982. Memorie di un giovane vecchio del “nostro” Roberto Alajmo. Avremo modo di discuterne in dettaglio dopo le feste.

    Un importante consiglio per l’acquisto ce lo fornisce qui di seguito Sabrina Campolongo e riguarda un’iniziativa meritevole di sostegno.

    (Massimo Maugeri)

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    Quelli che… invece di comprarti il solito regalo di Natale, ho comprato uno yak a nome tuo!

    di Sabrina Campolongo

    Dite la verità: avete letto il titolo di questo pezzo e vi siete sentiti un po’ infastiditi, un po’ incastrati?

    Sì, perché se qualcuno, invece di pensare a un regalo per noi, ha deciso di fare beneficienza a nome nostro… sì, ecco, un po’ può anche roderci.

    Uno si può anche dire: ma, scusa, non potevi evitare di comprarti il televisore nuovo, invece? Perché hai deciso che io potevo fare a meno del mio regalo di Natale, affinché tu potessi fare beneficienza?

    Ma di certo questo non si può dire. E non si può nemmeno darlo a vedere: tocca sorridere a 32 denti, esclamare: “M-ma che splendida idea! Pensa, ne stavo proprio per comprare uno! Gli hai dato il mio nome, (allo yak ovviamente)? Ma guardalo (nella busta c’è anche la foto del ruminante che ora porta il vostro nome, giusto per non farvi mancare l’ emozione) ma quant’è cariino!”

    Però.

    Se invece siete voi quelli che stavano pensando di comprare yak a nome di tutti i vostri amici e ora siete inorriditi scoprendo quanto può essere piccola e meschina la mente umana

    Oppure

    Se invece il televisore nuovo non ve lo siete potuti permettere, e non potreste nemmeno permettervi di fare regali inutili e costosi ai vostri amici e contemporaneamente di donare a chi ne ha veramente bisogno,

    se, insomma, vorreste fare un regalo di Natale che venga gradito, e allo stesso tempo aiutare il prossimo… credo proprio di avere pronta la soluzione al vostro dilemma.

    Lo yak lo comprate a nome vostro (l’iniziativa, fuori di ironia, mi sembra lodevole) e ai vostri amici regalate un libro.

    Non uno qualsiasi.

    Innanzitutto un bel libro. Un libro che racchiude ventitrè belle storie per grandi e piccini, un libro che non vi farà fare brutta figura, piacevole da leggere e da guardare, un libro che fa bene all’anima, da leggere a voce alta, da recitare per appagarsi del suono delle parole, per tornare un po’ tutti bambini.

    E poi un buon libro, un libro buono in ogni senso, perché il ricavato della vendita andrà a un bambino che ha un disperato bisogno di aiuto.

    Un bambino ostaggio di una malattia feroce, di un mostro di quelli veri, che bisogna tenere a bada, nutrendolo con un cibo speciale e un farmaco più raro e prezioso della polvere magica di Campanellino.

    State certi che i vostri amici vi ringrazieranno. E non solo loro.

    Sabrina Campolongo

    GLI AUTORI DI QUESTO LIBRO DEVOLVONO INTERAMENTE I LORO COMPENSI
    ALL’ASSOCIAZIONE CITY ANGELS DI ROMA ONLUS (
    www.cityangelsroma.it) , IN FAVORE DI GRAMOS GASHI, 11 ANNI, AFFETTO DA UNA GRAVE MALATTIA RARA.

    LE FIABE DI GRAMOS” É ORDINABILE UNICAMENTE A QUESTO INDIRIZZO: https://www.lulu.com/content/1423738

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    venerdì, 9 novembre 2007

    DUE LIBRI DA SALVARE

    Vi propongo un gioco molto particolare. Un gioco di gruppo.

    Chiamiamolo così: “Due libri da salvare”. È un gioco che a prima vista può sembrare stupido e banale, ma ho l’impressione che sia tutt’altro che stupido.

    Immaginate una catastrofe immane destinata a colpire ineluttabilmente i libri. Qualcosa di peggio (molto peggio) di Fahrenheit 451. Immaginate che tutti i testi di narrativa pubblicati nel mondo tra l’Ottocento e il Novecento (due tra i secoli più prolifici) scompaiano nel nulla. Non è dato sapere il perché. Ma poco importa. Ciò che conta è che non si sarà più traccia dei suddetti libri. Nemmeno sui manuali e sulle enciclopedie di storia della letteratura. Addirittura ne verrà cancellato il ricordo… individuale e collettivo.

    Un intero patrimonio dell’umanità destinato a perdersi per sempre.

    Che disastro, vero?

    Solo due libri di narrativa potranno essere salvati dall’oblio.

    E qui entrate in gioco voi.

    Avete un’enorme responsabilità: scegliere i due libri da salvare.

    Non è facile scegliere. Ve ne rendete conto, no? Perché… capite bene che non si tratta semplicemente di nominare il vostro libro preferito. Anzi, il proprio gusto personale andrebbe messo da parte.

    Qui si tratta di fare una scelta a beneficio dell’umanità tutta.

    Pensate a due libri di narrativa (uno per l’Ottocento, uno per il Novecento) che possano ergersi a testamento degli uomini e delle donne che hanno vissuto in quei secoli. Pensate a coloro che verranno dopo di noi. Che eredità libresca potremo lasciare?

    Pensate a tutto ciò che riterrete opportuno. Poi procedete.

    Il gioco si svolge nelle seguenti fasi:

    1. Fate la vostra scelta. Scegliete i due libri di narrativa sulla base di quanto ho scritto prima.
    2. Motivate la scelta.
    3. Cercate di convincere gli altri ad appoggiare la vostra scelta. Naturalmente anche voi potrete essere, a vostra volta, convinti a cambiare idea.
    4. Dividetevi in gruppi, in fazioni. La posta in gioco è altissima. Nominate dei rappresentanti, dei leader… se volete.
    5. La fase finale consiste nel seguente passo: la comunità di Letteratitudine, superati i quattro punti indicati sopra, dovrà stabilire in via definitiva quali sono i due libri da salvare.

    Ecco perché parlavo di gioco di gruppo.

    Il gioco si chiuderà domenica 18 novembre, data in cui mi sarà possibile pubblicare un nuovo post.

    Buon divertimento!

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    AGGIORNAMENTO del 18 novembre 2007

    Dopo estenuanti confronti e un acceso dibattito che ha lasciato sul campo qualcosa come 640 commenti all’incirca, e soprattutto grazie all’impegno dell’intera comunità di Letteratitudine, e in particolare di qualche benemerito, tra cui l’esimio letterato umbro/sloveno Sergio Sozi, il sottoscritto, in qualità di gestore e curatore del blog, comunica i titoli dei due libri di narrativa – uno per l’Ottocento, l’altro per il Novecento – che sopravvivranno alla non meglio precisata apocalisse letteraria. Possano i posteri rendere merito all’impegno, dei singoli e della collettività, profuso senza lesinare rinunzie e immani sacrifici di natura personale.

    I “due libri da salvare”, secondo la comunità di Letteratitudine sono:

    - Per l’Ottocento:

    I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij

    ————————————————–

    - Per il Novecento:

    I nostri antenati di Italo Calvino

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    Cliccando sui due titoli avrete la possibilità di accedere ad approfondimenti disponibili in rete.

    Ancora una volta vi ringrazio di cuore per la partecipazione.

    vostro Massimo Maugeri

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    giovedì, 25 ottobre 2007

    PUZZLE… UN GIOCO (“FURORE” DI JOHN STEINBECK)

    Vi propongo un giochino. È da tanto che non lo facevo, quindi non lamentatevi!

    Di seguito riporterò due brevissimi brani estrapolati da un noto libro. Come avrete modo di constatare mi sono divertito a “mischiare” le parole.

    Le parole ci sono tutte, ma disposte in ordine casuale. Troverete la punteggiatura tra parentesi. Insomma, vi fornisco tutti gli elementi. Non manca nulla.

    Voi dovete:

    1- Ricomporre i brani.

    2- Individuare il libro da cui sono stati estrapolati.

    3- Discutere del libro.

    Ci state? È un modo divertente per “stare insieme”. Insieme tra noi e con i nostri amati libri.

    Non dite di no!

    Partecipate tutti, eh?

    Ecco i due brani dopo la “centrifuga”.

    A) bruciarlo non come sono bisogna vivere fa cose senza nostro passato vita del niente è possibile che la nostra non le spogli ci riconosciamo c’è posto lasciarlo

    (punteggiatura: n. 1 punto interrogativo – n. 3 virgole – n. 2 punti “finali”).

    -

    B) occhi superstiti e nella loro memoria sugli sgabelli lo guardavano il loro passato con donne sognanti e le bruciavano

    (punteggiatura: n. 1 punto “finale”).

    Su… provate! È un esperimento.

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    AGGIORNAMENTO del 27 ottobre 2007

    Il gioco è durato poco. Un po’ meno del previsto.

    A questo punto non mi rimane che dedicare qualche riga al romanzo protagonista del gioco medesimo. Si tratta di Furore di John Steinbeck, scritto nel 1939; romanzo che valse all’autore americano l’attribuzione del premio Nobel per la letteratura nel 1962.

    A mio avviso “Furore” è uno dei più grandi romanzi sociali della storia della letteratura del Novecento. Un grande affresco realista pubblicato quando il New Deal di Roosevelt ha quasi del tutto corretto le angosce e le distorsioni della Grande Depressione. Un libro forte, drammatico, che dipinge senza veli la penosa odissea di numerose famiglie di contadini e mezzadri costrette a migrare a Est (dall’Oklahoma alla California) per sopravvivere. La descrizione attenta e minuziosa di un vero e proprio inferno visto dal di dentro, dove la disumanità di un sistema volto a privilegiare gli interessi di pochi a discapito delle masse è solo in parte compensato dalla nascita di forme di toccante solidarietà tra diseredati.

    Steinbeck ci presenta la famiglia Joad, una famiglia di contadini che diventa simbolo dello sfruttamento e dell’impossibilità di riscatto di un’intera categoria.

    Massimo Maugeri

    Leggete questo libro, se potete. In edizione economica ha un prezzo più che accessibile.

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    AGGIORNAMENTO del 28 ottobre 2007

    Mi è stato chiesto di mettere in primo piano sul post l’articolo di Irene Bignardi (“perché è più fruibile”). Obbedisco!

    (Massimo Maugeri)

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    Sognando la California: terra del latte e del miele
    di IRENE BIGNARDI

    Di solito dei grandi romanzi si ricorda l´incipit – a partire da quello più celebre (forse) di tutti, “Chiamatemi Ismaele”, indimenticabile inizio di Moby Dick. Di “Furore” (Grapes of Wrath, letteralmente l´uva dell´ira), il capolavoro di John Steinbeck, è leggendario soprattutto il finale. Quando, al termine della terribile, dolorosa, epica traversata dell´America verso il mito di una sognata California dove tutto dovrebbe essere facile e dove tutto è miserando e difficile, Rose of Sharon, la giovane donna del clan degli Joad, che ha appena perso il suo bambino neonato, offre il latte del suo seno a uno sconosciuto, un poveraccio che sta – letteralmente, come tanti, come gli infiniti poveri di questo libro e di queste storie vere – morendo di fame.
    Tra il ritorno di Tom Joad a casa con un permesso speciale della prigione dove ha scontato quattro anni dei sette che deve fare per aver ucciso un uomo che lo ha accoltellato e, molto tempo e molte sofferenze dopo, l´arrivo nella tragica California della Depressione e il gesto da moderna pietà di Rose of Sharon, si snoda quello che a molti e per molto tempo, salvo gli inevitabili revisionismi, è sembrato il Grande Romanzo Americano – e che invece una critica eternamente insoddisfatta continua ancora a cercare.
    Furore fu pubblicato il 14 aprile del 1939, e divenne subito un caso, un successo e un simbolo. Vinse il premio Pulitzer, e fu probabilmente il testo sacro che contribuì a fare del suo autore un eroe letterario e a fargli vincere nel 1962 il Premio Nobel. Bisogna aggiungere che, in quel lontano 1939 e nell´anno successivo fu il libro più venduto (chissà se si usava già la parola bestseller, e se il senso della medesima si portava dietro la stessa volgarità intellettuale). Che ne sono stati venduti quattro milioni e mezzo di copie in edizione hardcover. Che se ne vendono centomila ogni anno in tutto il mondo. Che è stato tradotto praticamente in tutte le lingue esistenti, fino ad arrivare alla cifra record di quattordici milioni di copie. E che nel 1940, sceneggiato da Nunnally Johnson e interpretato in maniera indimenticabile da Henry Fonda, è diventato uno dei grandi film di John Ford, politicamente molto forte e impegnato – e vincitore di ben due Oscar. Il tutto, a cementare il successo di Steinbeck su ogni fronte, mentre Lewis Milestone si preparava a girare un film dal suo play-novelette, Uomini e topi.
    La storia di Furore, per chi non l´abbia mai letta o l´abbia dimenticata, è l´epopea della biblica trasmigrazione della famiglia Joad, assieme ad altre centinaia di poveracci, dall´Oklahoma attraverso il Texas Pandhanle, il New Mexico e l´Arizona, lungo le famosa Route 66 che conoscerà altre storie letterarie (Kerouac, fra gli altri), fino alla California, «il paese del latte e del miele», in cerca di un modo di vivere. Ci troveranno solo il modo di sopravvivere: paghe da fame, padroni terribili, lavori da schiavi. Sono gli anni della Grande Depressione, e, se non vogliamo ricorrere a John Ford, possiamo immaginarci i Joad con gli stessi volti dei disperati ritratti da Dorothea Lange e da Walker Evans, cotti dal sole e dal vento della Dust Bowl – come vennero soprannominate una volta per tutte, anche quando tornarono alla quasi normalità, quelle zone, dopo le spaventose siccità di quegli anni, che le aveva rese un deserto di polvere e di tempeste di sabbia – , smagriti da un regime di lavoro che non bastava neanche lontanamente a nutrirli, e non si dica a farli vivere.
    Forse Furore adesso può a qualcuno sembrare un (grande) romanzo di propaganda politica, un affresco di realismo americano improntato a una visione manichea e sinistrorsa della realtà sociale. Allora fu certamente uno choc. Osannato da una parte della critica (mentre Malcolm Cowley su The New Republic scriveva prudentemente che il romanzo apparteneva alla categoria «dei grandi libri arrabbiati» come La capanna dello zio Tom che «sollevano la gente a combattere contro ingiustizie intollerabili»), visto da taluni come un «trionfo della narrativa proletaria», esaltato come un racconto biblico ispirato al reale, Furore fu attaccato dall´altra parte con altrettanta passione. La sua denuncia era troppo forte e fu guardato come un documento di propaganda politica, non come il grande libro che era: scuole e biblioteche lo misero al bando, uomini politici lo denunciarono pubblicamente, le grandi corporations dell´agricoltura lo definirono “immorale, degradante e falso”, le istituzioni della chiesa protestante lo attaccarono.
    Attacchi che contribuirono a consolidare le insicurezze di Steinbeck. Perché dietro questo grande, roccioso romanzo, c´è la lunga e difficile storia del suo concepimento come la racconta Steinbeck nel suo diario Working Days – che venne pubblicato in concomitanza con il mezzo secolo del libro, nel 1989 – e come la riassume il suo non tanto clemente biografo Jay Parini nella sua biografia pubblicata nel 1994. E dietro l´uomo grande e bello e severo e con l´aria patriarcalmente sicura c´è un personaggio pieno di insicurezze, che non si immaginerebbero dal suo successo, dalle sue certezze morali, dalla sua storia.
    Working Days fa la storia di una gestazione difficile, di un genio che non sapeva di esserlo e che troppo spesso era tentato, addirittura, di distruggere il libro che sarebbe diventato il suo capolavoro, e che non lo amava, e che si diceva, in tono negativo, che Furore era “assolutamente il meglio che so fare”. Se la stesura del suo grande romanzo richiese a Steinbeck solo cinque mesi (anzi, cento giorni di lavoro pieno, gli altri essendo “giorni dispersivi”: amici, distrazioni e pigrizia) il processo per cui si arrivò al libro è stato molto più complesso. All´inizio ci fu una serie di articoli scritti da Steinbeck per il San Francisco News nel 1936. Poi nacque l´idea di un romanzo di grandi dimensioni, il cui titolo sarebbe dovuto essere The Oklahomans. Il terzo passo fu il progetto di una satira socio-politica, L´Affaire Lettuceberg, che fu però abbandonato. Poi si arrivò a Furore. I modelli a cui Steinbeck si ispirava erano i grandi della letteratura civile, Hemingway, Faulkner, Thomas Wolfe, Dos Passos, Caldwell, e Melville per quanto riguardava i capitoli introduttivi. L´atmosfera e i tempi erano quelli della battaglia condotta dalla amministrazione di Roosevelt per controllare e smorzare la situazione esplosiva e prerivoluzionaria dei contadini impoveriti dalla crisi, dai ricatti delle banche, dai disastri atmosferici. Ma nella composizione del libro entra anche la presenza e l´amicizia di Tom Collins, la “coscienza” di Furore, la persona che aveva aperto e rivelato a Steinbeck il mondo del lavoro dei braccianti lavoratori a giornata organizzati dalla Resettlement Administration (e Collins fu anche colui che collaborò con Ford sul set del film come “consulente tecnico”).
    “Senza Tom”, scrisse Steinbeck, “non avrei potuto cogliere tutti i particolari, e i particolari sono tutto”, come sa chi ha letto l´altro grande libro sui contadini poveri di quegli anni, Sia lode ora a uomini di fama, di James Agee e Walker Evans, la versione testimoniale e sociologica di Furore, che, come Furore ma in forma di inchiesta, indaga la tragica condizione dei contadini bianchi senza terra. Ma è vero anche che Steinbeck Furore non l´avrebbe potuto scrivere senza Carol, sua moglie (per tredici anni), che del romanzo seguì ogni riga, lo batté a macchina, lo difese, lo sostenne. E a cui Furore è dedicato. “A Carol, che ha voluto questo libro”, con la sua passione, la sua epica potenza, la sua sonorità biblica, la sua dolente umanità.
    Furore e il suo successo e le polemiche che seguirono rappresentarono per Steinbeck una prova che lo lasciò stremato e diverso. Non si accontentò più della piccola stanza in cui gli piaceva e in cui era abituato a lavorare. Cambiò casa, scelse residenze sempre più grandiose, ebbe una seconda moglie, e poi una terza. I libri che scrisse erano, inutile dirlo, belli – La valle dell´Eden, La luna è tramontata – ma meno sanguigni e importanti (e anch´essi ebbero un destino cinematografico: prima La luna è tramontata, del 1943, con la sua nobile storia sulla resistenza norvegese contro il nazismo, nel 1955 La valle dell´Eden con l´esordio di James Dean). C´era stata Pearl Harbour, l´entrata in guerra degli Usa, una crisi della sinistra che convertì molti al patriottismo e coinvolse anche personalità come Welles e Chaplin. Fatto sta che, con gli anni, la visione politica di John Steinbeck cominciò ad appannarsi – tanto che l´ex uomo di sinistra, visto ormai da qualcuno come un “falco”, finì nel 1967 per sostenere la guerra del Vietnam, dove si era recato in veste di grande inviato giornalistico (le sue corrispondenze da Saigon sono state raccolte in un libro edito da Leonardo, C´era una volta la guerra): e per le sue posizioni, sorprendenti almeno per i suoi più fedeli lettori, si giocò una parte della sua popolarità. Lo scrittore laureato dal Nobel era sempre un grande, ma molto diverso dal generoso, appassionato, estremo cantore dei diseredati Okies di Furore.

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    lunedì, 24 settembre 2007

    IL “VOSTRO” NOBEL PER LA LETTERATURA 2007

    Tra poco più di un paio di settimane conosceremo il nome del nuovo Premio Nobel per la letteratura. Un appuntamento atteso da molti.

    Chi sarà immortalato nell’albo d’oro del Premio letterario più famoso, ambito e ricco del mondo? Badate bene. L’aggettivo ricco non è usato a caso dato che “il prescelto”, oltre a titolo e gloria, si intascherà l’equivalente di 1,06 milioni di euro (poco meno di due miliardi delle nostre vecchie lire). Non male, vero?

    Fioccano i nomi. A quelli dei pluricandidati – Roth, Llosa, ecc – si affiancano quelli un po’, come dire, meno ortodossi: dal “nostro” Roberto Benigni alla leggenda vivente della musica pop-rock Bob Dylan.

    Vi propongo l’articolo apparso giorni fa su Repubblica.

    Poi vi domando: ritenete giusto che nella “rosa dei nomi” siano inclusi pure quelli di Benigni e Dylan ?

    E poi – richiesta inevitabile -, chi è il “vostro” Nobel per la letteratura 2007 ?

    Potete fare fino a tre nomi (e non venitemi a dire che non sono di manica larga, eh?). Vanno bene pure indicazioni “fuori lista”.
    (Massimo Maugeri)

    P.S. Nella foto la medaglia d’oro del Premio Nobel per la letteratura

    __________________________________________________

    da Repubblica.it

    STOCCOLMA – A chi andrà quest’anno il Nobel per la letteratura? I premi 2007 saranno annunciati tra l’8 e il 15 ottobre, lo ha reso noto la Fondazione Nobel di Stoccolma, ma sulla stampa svedese impazza già il toto-Nobel.

    Ancora una volta, come è consuetudine, resta segreta la data dell’annuncio del premio per la letteratura, anche se tradizionalmente avviene durante il giovedì della settimana dei Nobel: quindi, in questo caso, il giorno più probabile è l’11 ottobre. Quanto ai candidati al riconoscimento letterario, i giochi sembrano quantomai aperti.

    Per il 2007 si danno per favoriti gli autori americani, dal momento che il continente è ormai assente dalla lista dei premiati da oltre un decennio. Tra i nordamericani spiccano le candidature degli scrittori statunitensi Philip Roth, Norman Mailer e Joyce Carol Oates e della scrittrice canadese Margaret Atwood, mentre tra i sudamericani il superfavorito continua ad essere lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa. Sono ritenute alte anche le quotazioni di due scrittori israeliani, Amos Oz e David Grossman. Sembrano calate invece le possibilità del poeta sirio-libanese Adonis, dopo che il premio Nobel è stato consegnato nel 2006 allo scrittore turco Orhan Pamuk, ovvero ad un autore proveniente da un paese a maggioranza musulmana.


    Roberto Benigni Ma l’Accademia Reale di Svezia è abituata a far sorprese e allora l’elenco dei candidati al Nobel letterario potrebbe includere dei veri e propri outsider: in questo caso si fanno i nomi dell’attore e regista Roberto Benigni per il suo impegno in favore della divulgazione della “Commedia” di Dante Alighieri (tuttavia potrebbe nuocergli il precedente premio consegnato ad un italiano, Dario Fo, solo dieci anni fa) e il cantautore statunitense Bob Dylan, da almeno sei anni in gara per la conquista dell’ambito alloro internazionale su proposta di illustri letterati di prestigiose università nordamericane.

    Bob Dylan

    La stagione dei Nobel 2007 si aprirà con l’annuncio a Stoccolma dei premi per la medicina l’8 ottobre, seguito da quello del premio per la fisica il 9 e da quello per la chimica il 10 e dell’economia il 15. Il premio per la pace sarà annunciato a Oslo il 12 ottobre. In questo caso si sa ufficialmente che sono 181 i candidati, tra i quali figurano Al Gore, Sheila Watt-Cloutier, una Inuit del Canada impegnata nella denuncia dei danni che stanno provocando i cambiamenti climatici sull’Artico, Mahathir Mohamad, ex premier della Malaysia, e il presidente boliviano Evo Morales. Ciascun premio Nobel è dotato di un assegno di 10 milioni di corone svedesi, pari a 1,06 milioni di euro.

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    venerdì, 6 luglio 2007

    TORNIAMO A DANTE

    Dicono che Dante sia tornato di moda e che a questo ritorno abbia contribuito il bravissimo Roberto Benigni. Ottimo, penso tra me e me. Solo che poi sopraggiunge una considerazione: ma questo ritorno a Dante è un ritorno attivo o passivo? Voglio dire, ascoltare i versi della Divina Commedia dalla voce del protagonista de “La vita è bella” è senz’altro una gran cosa, ma quanti di noi ultimamente hanno compulsato l’Inferno, il Purgatorio o il Paradiso?

    Nel dubbio vi propongo un giochino dei miei: torniamo a Dante, ma in maniera… attiva.

    Vi invito a riprendere in mano i volumi della Commedia, a scegliere dei versi e a proporli qui come commento. Il criterio di scelta è assolutamente libero: un verso a cui siamo particolarmente legati, lo stralcio di un canto che avevamo sottovalutato, oppure – perché no? – un passaggio che non siamo mai riusciti a digerire. Insomma, non importa. Va bene tutto purché si ritorni a Dante.

    Intervenite. Intervenite più volte con i vostri versi danteschi. A costo di riportare qui l’intera Commedia.

    Chi ha voglia, magari, potrebbe offrire proprie considerazioni sul poema. Cimentatevi con veri e propri articoli, dàì. Ve la pongo come una sorta di sfida.

    Inoltre, per vostro e mio diletto, inserisco nel post un video pescato dalla rete (da google video, per l’esattezza) dove avrete modo di gustare la performance recitativa di un grande Benigni alle prese con i canti del sommo poeta (il video dura un’ora e dodici minuti e la sua visione è consigliata a chi è dotato di connessione adsl e contratto flat).

    Guardate – e ascoltate – il video, se vi va; però, mi raccomando… partecipazione attiva.

    Torniamo a Dante, dunque. Pronti? Via.

    P.S.  I versi che seguono sono vietati! Troppo noto, l’incipit (lo recita anche Mike Bongiorno in un noto spot Tv)

    « Nel mezzo del cammin di nostra vita
    mi ritrovai per una selva oscura,
    ché la diritta via era smarrita. »

    P.P.S. Nei prossimi giorni, per una settimana circa, sarò fuori sede. Dunque non potrò aggiornare il blog con nuovi post. Fatevi bastare questo… secondo me è tosto!

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    lunedì, 28 maggio 2007

    IL LIBRO DEL DECENNIO

    Luigi Malerba, giornalista, sceneggiatore cinematografico e televisivo – nato a Berceto (Parma) nel 1927 – è considerato uno dei maggiori e più tradotti scrittori italiani del Secondo Novecento.

    Luigi Malerba

    Su Tuttolibri di sabato 26 maggio, in un’intervista rilasciata a Mirella Serri, ha fornito il suo personale elenco dei nuovi veri talenti della letteratura italiana: «Eccoli, sono tutti qui: Simona Vinci, Niccolò Ammaniti, Silvia Ballestra, Rossana Campo, Tiziano Scarpa, Aldo Nove». (…) «Da uno di loro dunque mi aspettavo il libro non dico del duemila ma del decennio. Sono ancora in attesa. Nessuno lo ha ancora scritto. Ma non ho perso le speranze».

    E allora (con la speranza che le speranze di Malerba non si perdano del tutto) il gestore di questo blog vi propone uno dei suoi soliti vacui – ma si spera divertenti – giochini.

    Intanto… siete d’accordo con Malerba?

    E poi… chi sono, a vostro avviso, i nuovi veri talenti della letteratura italiana? Chi scriverà il libro del decennio che verrà? E ancora… chi ha scritto il libro del decennio trascorso?

    Mica facile rispondere! O no?

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    domenica, 20 maggio 2007

    UN SOGNO DA STREGA

    Ne aveva già parlato venerdì Lipperatura.

    L’inserto domenicale de Il Sole24Ore del 20 maggio lancia anche una sorta di gioco.

    Di cosa stiamo parlando? Ma del Premio Strega, amici.

    Vi riporto alcune parti dell’articolo di Giovanni Pacchiano dal titolo: “Cari lettori, il premio datelo voi!”, pubblicato in prima pagina del Domenicale.

    “È alle porte uno dei premi più prestigiosi e chiacchierati della cultura italiana, lo Strega, giunto all’edizione numero 61 (cinquina nota il 14 giugno, premiazione a Roma il 5 luglio).

    Prestigioso anche perché promotore di ricche vendite per il libro premiato. Chiacchierato, perché attorno al ghiotto boccone del business vendite si scatenano, ogni anno, gli appetiti e le grandi manovre degli editori, le migrazioni dei voti – dopo la pubblicazione della cinquina dei finalisti – dati in precedenza agli esclusi, le pressioni amichevoli sui singoli votanti (…), i contatti fra le case editrici, le promesse per il futuro… (…)

    Date anche voi, cari lettori, il vostro voto “stregato” (…) inviando il titolo del vostro libro preferito e il nome del relativo autore”.

    Ed ecco l’elenco dei libri candidati:

    -          Mal di pietre (Nottetempo) di Milena Agus, presentato da Jacqueline Risset e Marino Sinibaldi;

    -         Come Dio comanda (Mondadori) di Niccolò Ammaniti, presentato da Ernesto Ferrero e Margaret Mazzantini;

    -          Gli ultimi figli (Avagliano) di Silvia Bonucci, presentato da Lidia Ravera e Clara Sereni;

    -         Le stagioni dell’acqua (Longanesi) di Laura Bosio, presentato da Tullio De Mauro e Giorgio Ficara;

    -          La casa dei gusci di granchio (Baldini Castoldi Dalai) di Maria Stella Conte, presentato da Nadia Fusini e Walter Pedullà;

    -          Un certo senso (Marsilio) di Francesco Fagioli, presentato da Sandra Artom e Enzo Bettiza;

    -          Passaggi di tempo (Fazi) di Andrea Ferrari, presentato da Stefano Giovanardi e Paolo Ruffilli;

    -         I giorni innocenti della guerra (Bompiani) di Mario Fortunato, patrocinato da Dacia Maraini e Elisabetta Rasy;

    -          Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani (Instar) di Fabio Geda, presentato da Diego De Silva e Valeria Parrella;

    -          Il profumo della neve (Newton Compton) di Franco Matteucci, presentato da Giuseppe Leonelli e Giorgio Montefoschi;

    -          La stanza di sopra (Neri Pozza Bloom) di Rosella Postorino, presentato da Filippo La Porta e Silvio Perrella;

    -          Pecore vive (Minimum fax) di Carola Susani, presentato da Francesco Piccolo e Domenico Starnone;

    -          L’economia delle cose (Fandango) di Elena Varvello, presentato da Melania G. Mazzucco e Rossella Vodret.

    Vi anticipo che – secondo indiscrezioni – il favorito è Niccolò Ammaniti… ma non si può mai sapere (Niccolò fai i debiti scongiuri e tocca pure dove ti pare).

    Se volete partecipare al “gioco” del Sole 24Ore potete scrivere le vostre preferenze e inviare una mail a: premiodeilettori@ilsole24ore.com

    Io vi invito a fare altrettanto qui a Letteratitudine. Anzi, come al solito vi pongo qualche domanda.

    Siete d’accordo con la lista? C’è qualche titolo che secondo voi andava incluso (e che invece non è stato preso in considerazione)? Chi rientrerà nella cinquina? E chi vincerà?

    E soprattutto… chi merita di vincere il Premio Strega 2007 tra gli autori della quindicina?

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    lunedì, 14 maggio 2007

    PERCHÉ LE DONNE LEGGONO PIÙ DEGLI UOMINI?

    Tempo fa un frequentatore di Letteratitudine (non ricordo chi e chiedo venia all’interessato) dichiarò in un commento di essere un grosso acquirente di libri. Aggiunse, però, che era la moglie a leggere la maggior parte dei libri acquistati. Quel frequentatore scrisse anche di avere la netta sensazione che, in generale, il numero delle lettrici fosse superiore a quello dei lettori e mi propose di pubblicare un post/sondaggio per verificare se la sua fosse una percezione condivisa e dunque veritiera.

    Pochi giorni fa ho appreso da Repubblica.it che non solo la percezione del nostro amico era – ed è – condivisibile, ma coincide addirittura con una realtà basata su dati statistici.

    Ebbene sì! Secondo i dati forniti dal rapporto "I cittadini e il tempo libero", svolta dall’Istat a maggio 2006 sulla lettura di libri e il ricorso alla biblioteca, le donne leggono più degli uomini.

    Quest’indagine Istat, peraltro, ci fornisce informazioni ulteriori non del tutto entusiasmanti (nulla di particolarmente nuovo, per la verità). Ve ne elenco alcune:

    -         sono più di 20 milioni coloro che non hanno letto nemmeno un libro in un anno

    -         leggono di più laureati, dirigenti, imprenditori, liberi professionisti e impiegati

    -         si legge di più nel Nord-ovest e nel Nord-est

    -       tra le cause principali della non-lettura figura in testa la noia; seguono la mancanza di tempo libero, il preferire altri svaghi, i problemi di vista, i motivi di salute, l’età anziana, il preferire altre forme di comunicazione, la troppa stanchezza dopo aver lavorato, studiato o svolto le faccende di casa.

    Tornando al post, però, la domanda è: perché le donne leggono più degli uomini?

    Hanno forse più tempo libero? Più voglia di apprendimento? Più interesse all’analisi? Hanno meno problemi di vista? Sono meno allergiche alla carta? Gli uomini sono troppo intenti a scrivere per poter anche leggere?

    O forse le donne riescono ad apprezzare di più la lettura perché sono più in grado, rispetto agli uomini, di leggere con leggerezza?

    E ancora: se è vero che più lettura equivale a più conoscenza, e se ha un fondamento il motto che dice “chi sa cavalca chi non sa”, potrebbe – il dato di cui trattiamo – essere l’indizio di una silenziosa rivoluzione in atto?

    E le donne che leggono sono davvero pericolose, come recita il titolo provocatorio di questo libro edito da Rizzoli?

    Mi viene in mente una frase di Daria Bignardi, che ha scritto la prefazione del suddetto libro: “Le donne che leggono sono pericolose soprattutto per se stesse. Ci sarà un motivo se la storia dell’umanità ha ritardato la lettura alle donne”.

    Che abbia ragione la Bignardi? Non è che le donne, oggi, leggono più degli uomini per compensare i ritardi imposti dalla storia?

    Voi che ne dite?

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    martedì, 17 aprile 2007

    ANEDDOTI LIBRESCHI

    Vi propongo un giochino. Un giochino poco impegnativo finalizzato a farci divertire e magari a farci conoscere un po’ meglio.

    Vi chiedo di raccontare un aneddoto libresco. Qualcosa di particolare che vi è capitato, di recente o molto tempo fa, e che ha a che fare con l’oggetto-libro.

    Un aneddoto divertente, o imbarazzante, o doloroso. Non importa. Ciò che conta e che sia di natura libresca.

    Per esempio, vi è mai capitato di regalare il libro sbagliato alla persona sbagliata? Sì? Magari vi siete sentiti pure in imbarazzo perché quella persona è rimasta a bocca aperta. O forse l’avete fatto di proposito. Vi è mai capitato?

    Oppure c’è stato quel libro che vi ha fatto impazzire: l’avevate riposto su un ripiano della vostra libreria, non c’è dubbio; solo che quando l’avete cercato non c’era più. Letteralmente scomparso. Nel nulla. E non l’avete più ritrovato.

    Certo, ci sarà stato quel volume che avevate prestato a un amico – accidenti, lo amavate proprio quel libro – e che non è mai tornato indietro.

    O forse vi è successo di parlare di un romanzo convinti che fosse dell’autore X. Solo dopo vi siete accorti che, invece, l’autore si chiamava Y. Magra figura, eh?

    E quel libro che avete odiato perché vi ha fatto stare tanto male? Ogni tanto lo osservate e vi viene voglia di gettarlo dal balcone.

    Insomma, raccontiamo (e condividiamo) i nostri aneddoti libreschi.

    Ci state?

    Comincio io.

    Il mio primo Dostoevskij lo lessi a sedici anni. Fu per caso. Nessuno mi aveva mai parlato del grande e celebre scrittore russo. Dovete sapere che in quel periodo ero particolarmente preso dalla letteratura gotica e da quella horror. Divoravo, uno dopo l’altro, i libri di autori come Edgar Allan Poe, Lovecraft e – naturalmente – Stephen King.

    Ogni volta che mi capitava di trovare un libro che avesse a che fare con l’horror o  il mistero o il fantastico non riuscivo a resistere alla tentazione di leggerlo. Una vera e propria passione.

    Quel libro di Dostoevskij lo trovai in una bancarella. Un bel volume. Corposo. Elegante. Rilegato. Copertina rigida.

    Lo sfiorai con i polpastrelli di una mano.

    Era cellophanato, dunque non avevo la possibilità di sfogliarlo. Ma quel titolo… oh, quel titolo. Impossibile sbagliarsi.

    Lo acquistai senza indugi.

    S’intitolava “I demoni”.

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    martedì, 10 aprile 2007

    ALTERNATIVE A “I PROMESSI SPOSI”

    Alessandro Manzoni

    Qualche giorno fa ho incontrato un vecchio compagno di scuola. Come sempre accade in siffatte circostanze abbiamo rievocato i bei tempi andati, quando la spensieratezza la faceva da padrona e il mondo sembrava essere tutto per noi. Ci siamo ricordati di varie cose, tra cui di come spesso – per dedicarsi all’apprendimento di certe materie – si sacrificava tempo che poteva essere devoluto a studi più interessanti. Ne è sorto una specie di dialogo molto simile a quello che vi propongo di seguito.

    “Ti ricordi le mitiche edizioni Bignani?”, mi ha domandato il mio amico.

    “Ti riferisci ai riassuntini de I promessi sposi?”

    “Sì. E non solo.”

    “Bignani o Bignami?”

    “Che importanza ha!? Ciò che conta è che ci hanno fatto risparmiare un sacco di tempo inutile.”

    “Dici? Ritieni ancora che il tempo impiegato per leggere I promessi sposi sia stato inutile?”

    “Mah. Forse proprio inutile no! Però ci sono letture molto più interessanti e formative.”

    “Tu dici?”

    “Io dico. Ehi, non fare il bacchettone, eh? Non riterrai che I promessi sposi è da considerarsi ancora oggi il più grande romanzo della letteratura italiana?”

    Ho inarcato le sopracciglia. Senza rispondere.

    .

    Però mi viene voglia di lanciarla a voi, la domanda blasfema.

    *

    I promessi sposi è da considerarsi ancora oggi il più grande romanzo della letteratura italiana? Se no… che alternative proponete?

    Rispondete con sincerità, su!

    .

    P.S. Nei prossimi giorni, e almeno fino a venerdì, difficilmente avrò la possibilità di aggiornare il blog con nuovi post. L’ideale, dunque, sarebbe che riusciate a farvi bastare questo. L’argomento è un po’ blasfemo (letterariamente parlando), però si presta a una partecipazione di massa. Magari potrebbe nascere un dibattito interessante…

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    martedì, 13 marzo 2007

    I ROMANZI… “MENO TERMINATI”

    Come si dice… “tutto il mondo è paese”. I risultati di una ricerca realizzata in Inghilterra (Paese dove, dicono, si legge più che da noi) hanno portato alla luce una novità già nota: più della metà degli acquirenti di libri compra non per leggere ma per fare bello sfoggio dei volumi acquisiti sugli scaffali della propria libreria.

    E comunque, meglio abbandonare i libri acquistati negli scaffali… che buttarli!

    *

    *

    La notizia è stata ripresa dalle pagine culturali di diversi quotidiani. Il Corriere della sera (del 12 marzo 2007) evidenzia la notizia con un articolo di Francesco Tortora che vi propongo in parte:

    *

    “La classifica che mette in fila i «romanzi meno terminati» è piena di sorprese e non mancano opere celebri della letteratura del passato. Secondo gli inglesi il romanzo che li ha più annoiati tanto da non riuscire a terminarlo è quello dello scrittore australiano Peter Warren Finlay alias Dbc Pierre, intitolato «Vernon God Little». L’opera, vincitrice del «Booker Prize» non è stata finita da più di un terzo delle persone che dichiarano di averlo comprato. Al secondo posto si piazza il quarto capitolo della saga scritta da J. K. Rowling: «Harry Potter e il calice di fuoco» (il 32% di chi l’ha comprato non l’ha letto), mentre al terzo posto si posiziona uno dei romanzi centrali del secolo scorso, «L’Ulisse» di James Joyce ( il 28% di chi l’ha comprato, non l’ha letto). Tra i nomi famosi in questa speciale classifica troviamo al sesto posto Salman Rushdie con i suoi «Versetti satanici», al settimo Paulo Coelho con «L’alchimista», all’ottavo Leo Tolstoj con il monumentale «Guerra e pace» e al decimo Dostoevsky con «Delitto e castigo».”

    *

    A questo punto mi viene voglia di lanciare il solito (vacuo?) giochino… invitandovi a segnalare i vostri “romanzi meno terminati”.

    Ci state? Siate sinceri, però (sinceri… ma non cattivi, eh?).

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    domenica, 4 marzo 2007

    I DIECI LIBRI PIU’ BELLI DI TUTTI I TEMPI

    Esiste una classifica dei dieci libri più belli di tutti i tempi?

    Esiste, esiste.

    Ed è stata resa nota da poco.

    Dovete sapere, infatti, che nei giorni scorsi ben 125 scrittori americani, inglesi e australiani (tra i quali Amis, McEwan, Rushdie, Norman Mailer, Stephen King, Tom Wolfe) hanno stilato la loro personalissima classifica dando così origine a una classifica generale che vi propongo qui di seguito:

    *

    1.      Anna Karenina di Lev Tolstoj

    2.      Madame Bovary di Flaubert

    3.      Guerra e pace di Lev Tolstoj

    4.      Lolita di Vladimir Nabokov

    5.      Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain

    6.      Amleto di Shakespeare

    7.      Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald

    8.      Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust

    9.      I racconti di Anton Checov

    10.  Middlemarch di George Eliot

    *

    Lev Tolstoj

    *

    Da questa classifica si desume che:

    a) i classici “sur-classano” i contemporanei. Tra i primi dieci non compare nemmeno un vivente (tra i primi venti figura però il Nobel Gabriel Garcia Marquez con "Cent’anni di solitudine").

    b) Tolstoj è lo scrittore degli scrittori. Avete mai sentito parlare della sindrome di Tolstoj? È una specie di blocco dello scrittore, frutto di un severo autogiudizio, che si “innesca” allorquando si ritiene la propria scrittura inadeguata se confrontata con quella dei grandi… Tolstoj in primis.

    c)  di italiani manco a parlarne.

    d)  sopravvaluto Dostoevskij e Kafka? (Io un posto per uno in top ten l’avrei assicurato)

    *

    Vi invito a leggere l’articolo di Enrico Franceschini che fa il punto della situazione su Repubblica del 2 marzo 2007.

    *

    Mi pare giusto proporre un sondaggio anche qui a Letteratitudine.

    Siete d’accordo con la suddetta lista?

    Chi non è d’accordo è invitato a predisporre (e a comunicare) la propria.

    Non necessariamente una lista completa di dieci titoli e nomi. Elencate pure i vostri primi cinque. O i primi tre.

    Ma partecipate…

    Non fatevi pregare, eh?*

    *

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    mercoledì, 14 febbraio 2007

    ATTRICI E ATTORI DEL VOSTRO CUORE (post carnascialesco)

    Cari amici, leggerezza è una parola magica. Ed è appellandomi a essa, visto che siamo in periodo carnascialesco, che vi propongo un giochino che ha poche connessioni dirette con la letteratura (ma fino a un certo punto). E poi non si può essere sempre seri, no?

    Tiro in ballo, ancora una volta, Roberto Alajmo. Stavolta lo spunto lo traggo dall’ottima rivista Giudizio Universale (ne approfitto per salutare il direttore Remo Bassetti). Nel mese di luglio del 2006 Bassetti propose ad alcuni collaboratori della rivista di scrivere recensioni su attrici. Alajmo scelse Nicole Kidman. Vi propongo uno stralcio del suo brano (potete leggerlo per intero on-line, cliccando qui).

    "Da Arthur Miller (e Marilyn Monroe) a Salman Rushdie (e Padma Lakshmi), giù fino ad Andrea De Carlo (ed Eleonora Giorgi). Succede agli scrittori di innamorarsi delle attrici. E, più raramente, viceversa. Quando succede, il risultato è una coppia succulenta, dai mille risvolti di pubblica maldicenza. Che ci vede lei in uno come lui? Che ci vede lui in una come lei? Sarà lui che s’è rimbecillito, o lei che forse è meno scema di quanto sembri? Il terreno è insidioso. Per questo chiedere a una serie di scrittori di recensire altrettante attrici è un invito a trasgredire una delle regole fondanti di questa rivista. Quella secondo cui il recensore non deve nascondere conflitti di interesse o coinvolgimenti che riguardino l’oggetto della recensione.

    Gli innamorati tendono ad assolvere l’oggetto della propria passione. Allora non c’è da meravigliarsi se le recensioni somiglieranno ad altrettante lettere d’amore, se i panegirici risulteranno più numerosi delle stroncature. Forse un’attenuante può consistere nel mettere le mani avanti e ammettere i propri sentimenti, di modo che il lettore possa fare la tara agli eccessi d’entusiasmo. La carne di chi scrive è debole.
    Per dire: quando Nicole Kidman s’è messa con Tom Cruise, e poi l’ha sposato, io l’ho perdonata. Anche adesso che, alle vigilia di nuove nozze, dichiara di essere ancora un po’ innamorata di lui, io tendo a liquidare l’incongruenza con un sorriso condiscendente."

    Nicole Kidman

    E ora il gioco. Semplice, un po’ banale, forse da rivistucola di serie B, ma assolutamente leggero.

    Come avete letto, Roberto Alajmo propende per Nicole Kidman.

    E voi? Per chi propendete? … Chi è l’attrice o l’attore del vostro cuore?

    Sarebbe bello che scriveste nome e motivazione della scelta (va bene pure l’indicazione di attrici e attori scomparsi purché, ripeto, specifichiate la motivazione della scelta).

    Comincio io (mi sembra giusto).

    Io dico: Jennifer Aniston.

    Jennifer Aniston

    Motivazione: mi piace il suo stile da ragazza della porta accanto (negli Stati Uniti la chiamano fidanzatina d’AmericaAmerica’s Sweetheart), mi piace la sua leggerezza, la sua spontaneità sulla scena che ritorna limpida sullo schermo. E poi mi sento un po’ debitore nei confronti di lei e di tutto lo staff delle serie televisiva Friends (secondo me una delle migliori situation comedy degli ultimi vent’anni). La Aniston e i suoi Friends mi hanno fatto molto ridere con i loro schatch da commedia comica di alto livello e mi hanno dato sostegno in alcuni momenti di difficoltà.

    Ora tocca a voi.

    Coraggio, confessate le vostre preferenze qui a Letteratitudine.

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    domenica, 24 dicembre 2006

    AUGURI DI BUON NATALE E DI FELICE ANNO NUOVO

    Cari amici,

    Letteratitudine vi augura un sereno Natale e un 2007 ricco di belle soddisfazioni.

    E che sia soprattutto un anno di pace e di crescita per tutti!

    Vi propongo un gioco che durerà per tutto il corso del periodo natalizio… così il sottoscritto si riposa pure un po’.

    Inseriamo frasi celebri o stralci di brani sul Natale e sull’Anno Nuovo. Ci state?

    Sono consentiti anche brevissimi componimenti personali.

    Comincio io, allora. Siccome sono il primo mi prendo tutti i vantaggi di chi parte in testa proponendovi un brano tratto da un classico dei classici sul Natale.

    - – - –

    “Buon Natale, zio! Dio vi protegga!”, gridò una voce allegra, quella del nipote di Scrooge, che gli era piombato addosso così rapidamente che quel saluto era stata la prima notifica che avesse ricevuto dal suo arrivo.

    “Bah”, disse Scrooge, “fesserie!”

    A forza di camminare in fretta nella nebbia e nel gelo, questo nipote di Scrooge si era talmente scaldato da essere tutto un fuoco. Aveva un viso rosso e simpatico; gli occhi scintillavano e l’alito fumava.

    “Natale una fesseria, zio?”, disse il nipote di Scrooge; “sono sicuro che non pensi una cosa simile.”

    “Certo che la penso”, disse Scrooge. “Buon Natale! Che diritto hai tu di essere allegro? Che ragione hai tu di essere allegro? Sei povero abbastanza.”

    da “Un canto di Natale” di Charles Dickens

    - – -

    E ora… tocca a voi!

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    mercoledì, 11 ottobre 2006

    ROMANZI O RACCONTI?

    Cari amici di Letteratitudine,

    vi preannuncio che nei prossimi giorni non potrò aggiornare il blog (credo fino a domenica).

    Tra le altre cose parteciperò a uno dei convegni organizzati nell’ambito della Mostra Mercato Editori Indipendenti 2006 organizzata a Brescia. Se tra voi dovesse esserci qualcuno di quelle parti e volesse venirmi a trovare può farlo il 13 pomeriggio in Piazzale Arnaldo dove presenterò il mio romanzo “Identità distorte” e parteciperò – di seguito – a un dibattito.

    ———————————–

    Vi propongo, nel frattempo, una nuova occasione di confronto.

    Romanzi o racconti?

    Alcuni degli addetti ai lavori dicono che in Italia i lettori sono poco avvezzi alle short stories. Voi cosa ne pensate?

    Tra romanzi e racconti, cosa preferite leggere? Cosa vi aspettate dagli uni e dagli altri?

    Irène Némirovsky

    Vi fornisco un piccolo spunto che ho colto da un articolo di Idolina Landolfi pubblicato su Il Giornale del 4 ottobre. Riguarda una dichiarazione di Irène Némirovsky.

    «Un romanzo – dichiara Irène Némirovsky in un’intervista del 1930 – ci consente di penetrare in un determinato ambiente: ce ne impregniamo, lo amiamo o lo detestiamo. Ma una novella è una porta che per un istante ci fa intravedere una casa sconosciuta e che subito si richiude».

    A voi la parola.

    Pubblicato in SONDAGGI, GIOCHI E SVAGHI   17 commenti »

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