Mentre leggevo questo pezzo inviatomi da Luciano Comida non sono riuscito a non sorridere e a non annuire convinto. Leggetelo… e mi direte se ho ragione o no.
Il post è aperto. Ritengo che il tema dell’autoironia sia molto interessante e si presti a essere dibattuto. Fatevi sotto con i commenti, se volete! (Massimo Maugeri)
*
Anni fa un mio collega un po’ sfigato, che la sera sarebbe uscito per la prima volta con una ragazza che aveva appena conosciuta, mi chiese cosa, secondo me, avrebbe dovuto fare per conquistarla. Io gli suggerii di farla ridere.
Allora lui mi domandò qualche storiella, qualche barzelletta. Cercai di spiegargli che l’umorismo non è una serie di battute o di frasi fatte. Lo humour è un’altra cosa: è un modo di guardare alla vita e alle persone. È uno sguardo sul mondo e su noi stessi.
Per inciso, non so come andò a finire quella serata del mio collega. So però che adesso è felicemente sposato. Non so però se con quella ragazza o con un’altra.
*
Luciano Comida
*
Io ho la barba lunga e arruffata.
Ho la barba lunga e arruffata per molti motivi. Vi racconto quali: ho cominciato a farmela crescere appena mi sono spuntati sulla faccia i primi provvidenziali peli post-adolescenziali. Diventavo rosso in viso con imbarazzante facilità e la mia barbuzza mimetizzava la mia vergogna. Avevo (e ho tuttora) il viso grassottello e la barbuzza ingannava un po’. E poi c’era un’altra ragione: guadagnavo qualche mese in età e così, con la barbetta, aumentavano le mie possibilità di entrare al cinema dove si proiettava un film vietato ai minori di diciotto anni.
Adesso questi problemi li ho superati o perlomeno non costituiscono più un motivo di imbarazzo. E allora perché continuo ad avere la barba? Perché fa parte di me e perché la mattina, quando mi sveglio, vado in bagno, mi guardo allo specchio, mi vedo con la barba tutta storta e spettinata e allora accade un miracolo: mi faccio ridere da solo. E cominciare la giornata ridendo di sé stessi, mi sembra sempre un buon inizio.
Freud scrisse : L’umorismo non è rassegnato ma ribelle, rappresenta il trionfo non solo dell’io, ma anche del principio di piacere, che qui sa affermarsi contro le avversità delle circostanze reali.
*
Credo perciò che il primo punto sia questo: per essere legittimati a ridere degli altri e dell’intero mondo, dobbiamo prima di tutto essere capaci di guardarci allo specchio, per sorridere oppure per sghignazzare di noi stessi, dei nostri difetti, del nostro modo di essere.
È decisivo, per le nostre singole vite, imparare a farlo.
*
Vorrei fare un paragone azzardato: il confronto tra il popolo ebraico e gli adolescenti.
Il popolo ebraico è stato perseguitato, disprezzato, massacrato, sterminato e diffamato per secoli e secoli. Eppure, gli ebrei hanno sempre trovato la forza e l’intelligenza di ridere, prima di tutto di sé stessi. La stessa Bibbia, a leggerla con attenzione, è ricca di humour. Vorrei ricordare solo un passo, tratto dalla Genesi, capitolo 18, versetti 22-32, quando Dio sta per annientare la città di Sodoma e Abramo interviene, contrattando con Dio.
Sentiamo le parole di Abramo: Davvero tu vuoi distruggere insieme il colpevole e l’innocente ? Forse in quella città ci sono cinquanta innocenti. Davvero tu li vuoi far morire ? Perché invece non perdoni a quella città per amore di quei cinquanta ?
Dio acconsente: se troverà quei cinquanta, Sodoma sarà salva.
Ma Abramo insiste. Proprio come se fosse in un mercato levantino ad abbassare il prezzo del peperoncino: Ecco, io oso parlare al Signore anche se sono soltanto un povero mortale. Può darsi che invece di cinquanta ve ne siano cinque di meno. E tu, per cinque di meno, distruggeresti tutta la città ?
Ancora una volta, Dio accetta.
E ancora una volta, Abramo torna alla carica : Può darsi che ve ne siano solo quaranta.
Dio risponde : Io non la distruggerò per amore di quei quaranta.
Non citerò tutto l’episodio, ma Abramo va ancora avanti, sempre al ribasso : trenta, poi venti, infine dieci innocenti.
Rispettosamente dice a Dio: Non offenderti, mio Signore… Insisto ancora, Signore… Non adirarti, Signore. Rispettosamente, molto rispettosamente; ma intanto tira la corda.
Un po’ come fanno gli adolescenti con papà o mamma.
Questo è solo un esempio, ma se ne potrebbero raccontare decine e decine, di passi umoristici della Bibbia.
E anche solo un’antologia di libri e di film sull’umorismo ebraico occuperebbe intere biblioteche e cineteche.
Forse, il popolo ebraico è riuscito a sopravvivere alla sua tragica storia grazie anche al proprio senso del comico, alla propria ironia ed autoironia.
Vi è però un altro gruppo di persone che vivono da secoli e secoli una condizione difficile. Un gruppo di persone che bene o male sopravvive, ma che in genere non possiede né ironia né autoironia. Questo gruppo di persone sono gli adolescenti.
Anni fa, venne fatta a un vasto campione di ragazzini e ragazzine italiane una domanda : quando ti guardi allo specchio, cosa vedi ?
La maggioranza degli adolescenti dette una risposta che ci deve far riflettere a lungo e profondamente. Risposero: vedo un mostro.
*
Ora, c’è un antidoto prezioso contro la vergogna di sé.
Questo antidoto, lo avrete intuito, è l’umorismo, è l’autoironia. È il riuscire a guardare me e le mie confusioni con uno sguardo il più possibile esterno. E questo sguardo è impietoso, questo sguardo ride di me e delle mie contraddizioni, questo sguardo mi salva.
È un antidoto prezioso, un talismano che, se non mi garantisce da solo la felicità, almeno contribuisce, insieme a tante altre cose, a illuminarmi l’esistenza.
Ma di solito gli adolescenti questo talismano non l’hanno ancora trovato. E forse addirittura ignorano che esista.
Come aiutarli ad entrarne in possesso ?
*
Io credo che i libri servano a tante cose.
Un giorno mi slogai una caviglia e finii al pronto soccorso dell’ospedale. Tra l’attesa della prima visita, l’attesa della radiografia e del referto, la seconda visita conclusiva e la dimissione, rimasi in sala d’aspetto quattro, cinque ore.
Attorno a me c’era gente che si annoiava a morte, altri cercavano disperatamente di scambiare due parole con il vicino di barella. Io avevo con me un romanzo di John Irving e passai quelle ore leggendo beatamente.
Avete mai fatto una fila in posta o in banca ? C’è chi cerca di scavalcare la fila, chi si annoia senza speranza, chi guarda il vuoto, chi protesta col mondo. Io accolgo le file con gratitudine: mi regalano il tempo di leggere.
I libri insomma ci saziano, ci riempiono ghiacciai di tempo che se no faremmo fatica ad affrontare.
Ma servono anche ad altro, a tanto altro.
Io sono stato al centro della Terra, ho navigato oltre i confini del Sistema Solare, ho inseguito spietati assassini sui tetti di Parigi, ho amato una guerriera indiana del 1700, ho dialogato con Socrate, ho ascoltato le parabole di Gesù Cristo, ho assistito a lezioni filosofiche di Karl Popper, sono stato ad Auschwitz assieme a Primo Levi, ho vissuto la vita tranquilla di Emily Dickinson e quella avventurosa di Giacomo Casanova.
Io ho cinquant’anni, ma ho vissuto mille e una vita, perché ho letto mille e un libri.
La letteratura insomma allarga le nostre esistenze, ci mette in contatto con il mondo, arricchisce le nostre menti, fa entrare sangue fresco nelle nostre vene.
Ma i libri servono anche ad altro, a tanto altro.
I libri ci fanno sentire meno soli. Ci fanno scoprire che i nostri problemi, quelli che noi pensiamo accadano a noi per la prima volta nella storia dell’umanità, sono invece problemi che gli esseri umani hanno già affrontato milioni e milioni di volte. E questo patrimonio di esperienze ci aiuta a vivere meglio.
Ma i libri ci fanno anche percepire l’insoddisfazione, la ribellione contro le ingiustizie, gli squallori e le infelicità del mondo: i libri sono un combustibile per andare avanti, per non rassegnarsi, per intravedere e per cercare la speranza ed il cambiamento.
Chi legge, anche se il suo corpo è fermo, fa viaggiare la propria mente nel tempo e nello spazio, nella fantasia, nelle menti di altri esseri umani.
Chi legge è creatore al pari di chi ha scritto. Un libro esiste solo se qualcuno lo apre e si mette a leggerlo.
Chi legge non annoia né sé né gli altri.
Chi legge trasmette il contagio di due morbi meravigliosi: la curiosità e la libertà.
*
Secondo me, umorismo nei libri per ragazzi non significa ridere degli adolescenti, bensì ridere con gli adolescenti.
In vari miei libri, il protagonista è un tredicenne di nome Michele Crismani. I romanzi sono tutti scritti in prima persona, è lui l’io narrante. Dico lui perché ormai Michele è una persona a tutti gli effetti vera. Non posso costringerlo a fare quello che voglio io, non posso imporgli di comportarsi come a me autore verrebbe comodo. Devo lasciarlo libero di essere sé stesso.
Un esempio. In Michele Crismani vola a Bitritto, io avevo un’idea di trama. Però, dopo una cinquantina di pagine, Michele e la sua amica Michelle, una coetanea di colore, litigano, una brutta baruffa che cambia radicalmente i loro rapporti. Ma io quella lite non l’avevo mica prevista! È avvenuta davanti ai miei occhi sorpresi, sotto le mie dita che trascrivevano tutto battendo sui tasti del computer.
Se si lasciano liberi i personaggi, accade anche questo, accade che siano loro a fare il libro, a guidarlo dove li porta la loro personalità.
Quando scrivo le storie di Michele, faccio buio nella mia mente e lascio che sia lui, il mio personaggio, a raccontare.
Con Michele Crismani io cerco di guardare il mondo con gli occhi di un adolescente.
E per provare a farlo bisogna conoscerli, gli adolescenti.
Le strade per tentare di riuscirci credo siano due.
La prima: ascoltarli, guardarli, sapere quali sono i loro gusti, tenersi aggiornati. Noi adulti non dobbiamo né scimmiottarli né disprezzarli, ma conoscerli a fondo, pur restando noi stessi.
La seconda: ogni adulto (anche se l’ha dimenticato) ha avuto undici, dodici, tredici anni. E allora lo scrittore deve attingere a questo proprio passato, arricchendolo con la fantasia e con l’osservazione della realtà.
Il mio Michele Crismani è stato definito da un critico un adolescente con diritto di mugugno. È una definizione che mi piace molto: penso che Michele faccia ridere gli adolescenti perché si riconoscono in lui e nel suo sguardo sul mondo.
*
Chiudo con un interrogativo. Ricordate l’episodio di Abramo che contratta con Dio per salvare Sodoma? Avevamo lasciato Abramo che si ferma sulla soglia dei dieci innocenti. Ma Dio non trova nemmeno quelli e distrugge l’intera città, dopo aver permesso a Lot, a sua moglie e alle loro due figlie, di salvarsi.
Io spesso mi pongo una domanda, che non so se sia più teologica, filosofica o umoristica: in questa trattativa con Dio, Abramo fin dove poteva arrivare?
*
Luciano Comida
Commenti recenti