lunedì, 27 aprile 2009
SHAKESPEARE, IL MISTERIOSO. Incontro con Domenico Seminerio
Parliamo di William Shakespeare, uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi.
Comincio subito con alcune domande.
Vi siete mai interessati a Shakespeare?
A vostro giudizio, che contributo ha dato alla letteratura mondiale?
Quali sono le vostre preferite, tra le tante opere da lui firmate e messe in scena?
Non è un caso se ho intitolato questo post: Shakespeare, il misterioso. Il mistero deriva soprattutto dai dubbi sulla sua identità.
William Shakespeare è stato proprio William Shakespeare?
Di recente, il prestigioso Wall Street Journal ha preso posizione in merito ospitando l’opinione del giudice John Paul Stevens, della Corte Suprema americana. Per Stevens, giudice di 88 anni, Shakespeare era solo un prestanome dietro il quale si nascondeva Edward de Vere, diciassettesimo lord Oxford.
I dubbi sull’identità di Shakespeare hanno data antichissima. Anche gente nota, del calibro di Orson Welles e Oscar Wilde, ha appoggiato la tesi del prestanome. C’è da dire che i candidati alla vera identità del celebre drammaturgo sono più di uno. Oltre a quello di de Vere, un altro nome indicato con una certa frequenza è quello di sir Henry Neville.
Bill Bryson, però, noto scrittore americano non è d’accordo con queste tesi. A suo parere si tratta di fantasie romanzesche più vicine alle teorie dei complotti che non a seri studi. Così si evince dal suo libro “Il mondo è un teatro. La vita e l’opera di William Shakespeare“ – Guanda (pp. 246, euro 15, traduzione di Stefano Bortolussi).
Ne parliamo con Domenico Seminerio, autore del bellissimo romanzo Il manoscritto di Shakespeare (Sellerio). Nel libro di Seminerio un vecchio maestro elementare – che vive in Sicilia - è convinto che il noto drammaturgo fosse stato in realtà un siciliano, costretto dai casi della vita a emigrare e cambiare nome. Il maestro sa bene che la teoria non è nuova, ma afferma di avere prove certe.
Ci fornisce approfondimenti sul romanzo la professoressa Maria Rita Pennisi, con la recensione che potrete leggere di seguito.
Subito dopo, troverete un articolo sul libro di Bryson firmato da Ranieri Polese e pubblicato sul Corriere della Sera del 20 aprile 2008. In coda al post vi attende un interessante pezzo di Enrico Franceschini – pubblicato su Repubblica del 9 marzo 2009 – relativo al… vero volto di Shakespeare.
Massimo Maugeri
——-
IL MANOSCRITTO DI SHAKESPEARE
recensione di Maria Rita Pennisi
Il manoscritto di Shakespeare, (2008) terzo romanzo di successo per Domenico Seminerio, dopo Senza re né regno (2004) e Il cammello e la corda (2006.) Tutti pubblicati dalla Casa Editrice Sellerio di Palermo. Siamo in un paese immaginario della Sicilia, Castelgrotta, e un affermato scrittore si gode l’estate nella sua casa, accudito dal cameriere Stanlay. La sua vita scorre lenta, in questo luogo silenzioso e quieto. Una mattina però per lui tutto cambia. Una notizia sconvolgente bussa alla sua porta, concretizzandosi nella persona di Gregorio Perdepane, vecchio maestro elementare in pensione, che gli chiede udienza. Lo scrittore lo riceve e Perdepane, dopo qualche indugio, comincia a raccontargli una storia che sa dell’incredibile. Da quel momento la vita dello scrittore cambia. La voglia di saperne sempre di più su quella storia, si impadronisce di lui. Ci vuole tempo però per sapere bene i fatti, perché Perdepane parcellizza le sue scoperte, mentre le riferisce allo scrittore, quasi volesse creare una sorta di suspance. Da quel momento lo scrittore attende le ore che lo separano dal suo interlocutore. Emerge così dagli abissi della nostra memoria, un personaggio simile a quello di Shahrazàd de Le mille e una notte. Non si tratta però della bella fanciulla che inganna la morte con le parole, bensì di un vecchio maestro in pensione che con il gioco, più o meno voluto, delle rivelazioni e delle attese tiene desta la curiosità dell’incredulo scrittore. Viene fuori così che, dopo la guerra, Perdipane ha comperato due libri da una donna, che nonostante fosse vestita di stracci, rivelava un aspetto nobile. Tra i mucchietti di libri ne nota uno. Si tratta di un libricino foderato di cartapecora, come si usava nel Settecento. Più tardi scoprirà che si tratta di un libro di aforismi, molto più antico di quel che credesse. Vorrebbe acquistarlo, ma la donna, dato che lui ne ha acquistato altri due, glielo regala insieme ad altri fogli che erano nel libricino. La nobildonna caduta in bassa fortuna è il tramite tra Perdepane e una verità che preme per essere rivelata. Che la nobildonna che si nasconde sotto abiti dimessi incarni la Conoscenza che nonostante tutto riesce sempre ad emergere dalla notte buia dell’ignoranza, quando sente che qualcuno è pronto ad accoglierla? Forse, ma in ogni caso questa notizia esplosiva è arrivata nelle mani sbagliate di Perdepane. Nessuno darebbe retta a un vecchio maestro in pensione, con la fama di essere un po’ matto. Questo lui lo ha messo in conto ed ha anche risolto il problema. Nessuno crederà a lui, ma tutti daranno credito all’opinione di uno scrittore affermato. Ecco perché si è rivolto a lui. Sarà lui a far conoscere la verità su Shakespeare, facendo riemergere la figura del siciliano Michelagnolo Florio, dagli abissi del tempo. Lui? Che sia davvero matto il maestro Perdepane? Pensa lo scrittore di Castelgrotta. Con grande perizia Domenico Seminerio ci guida e a volte ci catapulta nel dedalo di questa intricatissima storia, che a tratti si tinge di giallo. Definire questo romanzo un giallo però sarebbe riduttivo, al massimo questa potrebbe essere una chiave di lettura, forse la più semplice. Il romanzo dice molto di più. Potremmo definirla la storia delle verità nascoste? La storia di quelle verità, che sono sotto gli occhi di tutti e a cui nessuno fa caso? La lettera rubata di Edgar Allan Poe docet. A mio parere, la verità ha una sua sacralità è può rivelarsi, se vuole, solo a un occhio attento e devoto. Ma forse qualcuno penserà che sia più prudente non rivelarle certe verità o addirittura non cercarle nemmeno. In ogni caso immaginare uno Shakespeare messinese, uno Shakespeare italiano è affascinante. Ma dopo tutto, qual è una delle più grandi doti di un autore, se non quella di scrivere un romanzo che fa discutere? I lettori che amano il mistero e il dubbio, troveranno in questo romanzo tutto ciò che cercano. Chi ama invece le verità cristalline, le certezze assodate potrà gettarsi a capofitto nella lettura di questo romanzo e ne uscirà stupito, rigenerato, confortato dal dubbio, che è quello che dà l’input alla vita e che ci apre gli orizzonti perduti.
Maria Rita Pennisi
——-
«Il mondo è un teatro. La vita e l’opera di William Shakespeare» di Bill Bryson – Guanda (pp. 246, euro 15, traduzione di Stefano Bortolussi)
recensione di Ranieri Polese (da Corriere della Sera del 20 aprile 2008)
Un thriller (W di Jennifer Lee Carrell), la biografia ipotetica di Anne Hathaway (Shakespeare’ s Wife di Germaine Greer), la ricostruzione romanzesca di un episodio minore della vita del drammaturgo (The Lodger di Charles Nicholl): sono i casi più recenti di quell’industria di congetture legata al nome e ai misteri del Bardo di Stratford upon Avon. Il primo indaga su un’opera teatrale perduta, il Cardenio, ispirato al Chisciotte di Cervantes; il secondo immagina tutto quello che non sappiamo della donna che sposò Shakespeare nel 1582, gli dette tre figli, restò vedova nel 1616 (ottenendo nel testamento solo «the second best bed», nemmeno il letto matrimoniale!) e morì nel 1623; il terzo estrapola i possibili retroscena del fatto che Shakespeare, nel 1604, vivesse in affitto in una casa della City, proprietà di Christopher Mountjoy, un ugonotto francese stimato fabbricante di cappelli per signora. La sua presenza in quella casa è attestata dagli atti di un processo del 1612, quando il drammaturgo fu chiamato a testimoniare nella causa intentata dal genero di Mountjoy contro il suocero che non gli aveva corrisposto la dote promessa. Con una vita densa di opere (38 drammi, 154 sonetti, due lunghi poemi e due altri componimenti in versi) e poverissima di fatti documentati, Shakespeare (1564-1616) non ha mai cessato di ispirare ogni genere di supposizioni. Su di lui, peraltro, ogni anno escono mediamente quattromila studi: è un soggetto inesauribile per ogni genere di indagine. Anche quelle più bizzarre, come «Mal d’orecchi e omicidio nell’Amleto» o «Shakespeare e la nazione del Quebec». Ma cosa possiamo dire di sapere veramente su di lui? A questa esigenza di semplificazione e di ripulitura risponde il lavoro di Bill Bryson, lo scrittore americano autore di brillanti libri di viaggio (Notizie da un’ isoletta, America perduta) e di una divertente miscellanea su tutto quello che non sappiamo della scienza (Breve storia di – quasi – tutto). Pubblicato nella collana di Atlas Books (HarperCollins) dedicata alle biografie, Shakespeare: The World as a Stage, è uscito in traduzione italiana da Guanda, con il titolo Il mondo è un teatro. La vita e l’ opera di William Shakespeare (traduzione Stefano Bortolussi, pp. 246, 15). Troppe congetture. Secondo un esperto citato da Bryson «ogni biografia di Shakespeare è formata al 5 per cento di fatti e al 95 per cento di congetture». In caccia di fatti, molti studiosi, pertanto, si dedicano alle ricerche di archivio, nella speranza di trovare il nome del poeta in qualche carta. Lo spoglio sistematico dei documenti d’archivio era cominciato ufficialmente agli inizi del ‘900, quando una coppia di americani (Charles e Hulda Wallace) passò lunghi periodi in Inghilterra esaminando milioni di documenti dell’ epoca. A loro si deve la scoperta della testimonianza resa da Shakespeare nel processo contro Mountjoy (1612, con firma dello stesso poeta). Deluso per i mancati riconoscimenti, Charles Wallace se ne tornò in America, dove fece fortuna come proprietario di pozzi di petrolio. Da allora la ricerca prosegue; potrebbe ancora dare dei frutti anche se, nota Bryson, da queste indagini escono solo atti legali e certificati di proprietà. Sulla personalità del poeta, i suoi affetti, i suoi interessi culturali gli archivi tacciono. Le critiche e il sarcasmo di Bryson, però, si appuntano soprattutto sui fabbricanti di congetture, che nei loro lavori passano con grande disinvoltura dalle ipotesi alla certezza assoluta. Per esempio, nel caso dei cosiddetti Lost Years, gli anni perduti (1585-1592), il periodo in cui Shakespeare lascia moglie e tre figli a Stratford per trasferirsi a Londra e cominciare a lavorare in teatro e di cui non sappiamo niente. Partendo dal fatto che Shakespeare produce diversi drammi di ambiente italiano, molti studiosi hanno sostenuto che in quegli anni il giovane William visitò l’Italia. Illazione non proprio lecita, dice Bryson, oltretutto perché i drammi italiani di Shakespeare offrono solo informazioni confuse, inverosimili (per esempio, nella Tempesta e nei Due gentiluomini di Verona, per raggiungere rispettivamente Milano e Verona si va per mare) che tutto provano fuori che una conoscenza diretta del Paese. Più complessa l’altra ipotesi secondo la quale Shakespeare in quegli anni avrebbe prestato servizio come tutore presso una famiglia di nobili cattolici del Nord dell’ Inghilterra. Quella di uno Shakespeare segretamente cattolico è una teoria che ha affascinato molti, ma le prove addotte sono poco consistenti. Si dice, per esempio, che fra gli insegnanti della Grammar School presumibilmente frequentata dal giovane William (ma i registri sono perduti) c’era il fratello di un missionario cattolico scoperto e messo a morte nel 1582. Poi si aggiunge la notizia del ritrovamento verso la fine del ‘700, durante dei lavori nella casa di Shakespeare, del «testamento spirituale» del padre di William, John, che si dichiarava cattolico. Peccato, scrive Bryson, che quel testamento fu perduto poco dopo, e che quindi non si possa valutare la sua autenticità. Peggio di tutti, comunque, sempre secondo Bryson, si comportano quegli studiosi che passano dall’ esame dei testi (frequenza di certe parole, uso di determinate espressioni, ecc.) per arrivare a conclusioni assolutamente ingiustificabili. Fra gli altri, quelli che da due sonetti (37 e 89) deducono che Shakespeare zoppicava; o quelli che si immaginano uno Shakespeare marinaio (addirittura insieme a Sir Francis Drake) vista la frequenza di termini marini. William chi? La controversia sulla vera identità di Shakespeare (una sorta di Questione omerica per il più grande poeta dell’età moderna) nasce relativamente tardi. Nel 1857, quando un’americana, Delia Bacon, pubblica The Philosophy of the Plays of Shakespeare Unfolded (La filosofia delle opere di S. rivelata). Lì si sostiene che a scrivere i drammi del Bardo fu il filosofo Francis Bacon. La Bacon basava la sua argomentazione sul fatto che le opere di Shakespeare mostrano conoscenze fuori dal comune per un provinciale venuto a Londra per fare l’attore; ma aggiungeva di essere arrivata alla verità grazie alle sue particolari doti intuitive. (Tornata in America nel 1859, la poverina finì i suoi giorni in un manicomio). Il partito dei «baconiani» riscosse subito grande successo, fra l’altro ottenne l’ adesione di Henry James e Mark Twain. Comune a tutti i cosiddetti «antistratfordiani», quelli cioè che non riconoscono la paternità dei drammi all’uomo di Stratford, c’è il pregiudizio di uno Shakespeare troppo rozzo e senza cultura per poter scrivere le opere che vanno sotto il suo nome. Così, nel 1918 si volle «dimostrare» che l’autore vero di drammi, poemi e sonetti era Edward de Vere, conte di Oxford, colto e raffinato uomo di mondo, protettore di una compagnia teatrale e ammirato dalla regina Elisabetta. Peccato – nota Bryson – che Oxford muore nel 1604, quando ancora dovevano nascere molti capolavori shakespeariani. Un altro candidato, inevitabile, è Christopher Marlowe: molti sostengono che non morì nella rissa alla taverna di Deptford nel 1593, ma sotto copertura continuò a scrivere. Anche una donna appare nella lista dei pretendenti, Mary Sidney, sorella del poeta Philip Sidney. Infine – ed è la tesi ripresa dal thriller W di Jennifer Lee Carrell – c’è anche l’idea che dietro il nome di Shakespeare si celassero molti personaggi, fra cui lo stesso Philip Sidney e Walter Raleigh. Ma che valore hanno tutte queste supposizioni? Per Bryson nessuno, sono solo fantasie romanzesche più vicine alle teorie dei complotti che non a seri studi. Ai cultori di questa mania moderna (curiosamente, per circa 200 anni, nessuno mise mai in dubbio l’ identità del poeta), ossessionati dal fatto che di un genio così grande si conosca così poco, Bryson ricorda che dei poeti e drammaturghi contemporanei di Shakespeare si conosce molto meno. E ci sono rimaste molte meno opere.
Ranieri Polese – Corriere della Sera del 20 aprile 2008
——-
Il vero volto di Shakespeare
di Enrico Franceschini (da Repubblica del 9 marzo 2009)
LONDRA – Trentotto opere teatrali lo hanno reso immortale, ma il giallo che ci ha lasciato dopo la sua morte potrebbe avere finalmente una soluzione. Di William Shakespeare, considerato il più grande drammaturgo di tutti i tempi e il poeta dell’animo umano, si ignora molto, al punto che circolano teorie secondo cui non fu lui l’autore dei testi che gli vengono attribuiti, o che addirittura non sia mai esistito. Il mistero è accresciuto dal fatto che finora non si era mai saputo con certezza nemmeno quale fosse il suo volto: uno dei suoi ritratti più famosi è stato identificato come un falso, su altri esistono forti dubbi che la persona che vi appare sia il Bardo di Stratford-upon-Avon. Ma ora, quasi quattrocento anni dopo la sua scomparsa, un quadro dimenticato per secoli nella magione di campagna di un’aristocratica famiglia inglese potrebbe contenere l’ultimo segreto dell’autore dell’”Amleto”.
Secondo coloro che lo hanno scoperto e identificato, si tratta dell’unico ritratto di Shakespeare dipinto quando lo scrittore era ancora in vita, e per il quale è dunque verosimile che abbia posato. Ed è grazie all’immagine di questo quadro che il mondo può dunque conoscere la sua vera faccia.
Il quadro in questione giaceva da tre secoli nelle residenze di campagna dei Cobbe, una famiglia inglese di sangue blu, che recentemente lo aveva trasferito nel suo più bel maniero, ad Hatchlands, nel Surrey, un edificio amministrato dal National Trust per il suo valore architettonico e artistico. Del quadro era noto l’anno in cui è stato dipinto, il 1610, epoca in cui Shakespeare aveva 46 anni: sarebbe morto sei anni più tardi, nel 1616. Ma i Cobbe non avevano idea di chi fosse il personaggio ritratto nell’antico dipinto, sebbene inclini a pensare che si trattasse di sir Walter Raleigh, un poeta contemporaneo di Shakespeare, al quale alcuni attribuiscono la paternità delle opere del Bardo.
Tutto ciò sarebbe rimasto a far parte di discussioni davanti a un caminetto, se Alec Cobbe, membro della famiglia e di professione restauratore d’arte, non avesse visitato la mostra intitolata “Searching Shakespeare” (“Alla ricerca di Shakespeare”), allestita nel 2006 dalla National Portrait Gallery di Londra. L’esibizione raccoglieva da mezzo mondo alcuni dei più famosi ritratti, o meglio presunti ritratti, di Shakespeare, appunto per cercare di dare un volto sicuro al grande scrittore. C’era il Flowers Portrait, l’immagine più nota di Shakespeare, poi risultata un falso, perché il giallo ocra usato nel quadro è stato inventato solo nel 1814. C’era il Chandos Portrait, dipinto attorno al 1610, ma poi risultato non avere nulla a che fare con il Bardo. E c’era il Janssen Portrait, un ritratto meno conosciuto, opera di un pittore fiammingo che lavorò in Inghilterra nella prima metà del 17esimo secolo.
Davanti a quest’ultimo quadro, Alec Cobbe rimase interdetto, notando la somiglianza con il dipinto di proprietà della sua famiglia. Seguì un confronto tra i due quadri presso la National Gallery, e poi una serie di test di ogni genere, infine suffragati dal parere del professor Stanley Wells, docente di studi shakesperiani alla Birmingham University, curatore della sua opera magna, considerato il massimo esperto di Shakespeare al mondo.
La tesi è la seguente: il quadro di Janssen, eseguito dopo la morte di Shakespeare, fu ispirato dal quadro di proprietà dei Cobbe. Che, prima di finire nelle loro mani, apparteneva al terzo conte di Southampton, uno dei mecenati che finanziarono la messa in scena delle opere di Shakespeare. Il vero volto del Bardo sarà mostrato al pubblico per la prima volta stamane a Londra. Il mistero sembra risolto. “Essere o non essere”, continueremo a chiederci, ma almeno sapremo che faccia aveva colui che scrisse quelle parole.
Enrico Franceschini – da Repubblica del 9 marzo 2009
————–
AGGIORNAMENTO DEL 29 aprile 2009
Shakespeare era siciliano? Aggiorno il post inserendo di seguito tre video tratti dalla trasmissione Voyager di RaiDue dell’11 febbraio 2009, a cui ha partecipato anche Domenico Seminerio, dedicata proprio a Shakespeare e alla tesi della sua sicilianità.
Shakespeare era siciliano? – VOYAGER – (video 1/3)
Shakespeare era siciliano? – VOYAGER – (video 2/3)
Shakespeare era siciliano? – VOYAGER – (video 3/3)
Tags: bill bryson, domenico seminerio, Guanda, maria rita pennisi, repubblica, sellerio, shakespeare, william shakespeare
Scritto lunedì, 27 aprile 2009 alle 17:02 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
Commenti recenti