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mercoledì, 18 novembre 2020

MARCO SANTAGATA con “Come donna innamorata” (Guanda) in radio a LETTERATITUDINE: puntata dedicata allo scrittore scomparso il 9 novembre

MARCO SANTAGATA con “Come donna innamorata” (Guanda), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie). Puntata dedicata allo scrittore scomparso il 9 novembre 2020

marco-santagata

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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PER ASCOLTARE LA PUNTATA CLICCA SUL PULSANTE “AUDIO MP3″ (in basso), O CLICCA QUI

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Ospite della puntata: lo scrittore e saggista Marco Santagata e il suo romanzo intitolato “Come donna innamorata” (Guanda, 2015).
Dedichiamo questa nuova puntata di Letteratitudine al caro Marco Santagata scomparso il 9 novembre scorso per complicanze dovute alla pandemia da Covid-19.

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La scheda del libro: “Come donna innamorata” di Marco Santagata (Guanda)

Come si può continuare a scrivere quando la morte ti ha sottratto la tua Musa? È questo l’interrogativo che, l’8 giugno 1290, tormenta Dante Alighieri, giovane poeta ancora alla ricerca di una sua voce, davanti alle spoglie di Beatrice Portinari. Da quel momento tutto cambierà: la sua vita come la sua poesia. Percorrendo le strade di Firenze, Dante rievoca le vicissitudini di un amore segnato dal destino, il primo incontro e l’ultimo sguardo, la malìa di una passione in virtù della quale ha avuto ispirazione e fama. È sgomento, il giovane poeta; e smarrito. Ma la sorte gli riserva altri strali. Mentre le trame della politica fiorentina minacciano dapprima i suoi affetti – dal rapporto con la moglie Gemma all’amicizia fraterna con Guido Cavalcanti – e poi la sua stessa vita, Dante Alighieri fa i conti con le tentazioni del potere e la ferita del tradimento, con l’aspirazione al successo e la paura di non riuscire a comporre il suo capolavoro… È un Dante intimo, rivelato anche nella sua fragilità, e nelle sue ambiguità, quello che Marco Santagata mette in scena in un romanzo che restituisce le atmosfere, le parole, le inquietudini di un Medioevo vivido e vicino. Il sommo poeta in tutta la sua umanità: lacerato dall’amore, tormentato dall’ambizione, ardentemente contemporaneo.

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Marco Santagata (Zocca, 28 aprile 1947 – Pisa, 9 novembre 2020) è stato uno scrittore, critico letterario e accademico italiano, vincitore del Premio Campiello nel 2003 con Il maestro dei santi pallidi e del Premio Stresa di Narrativa con L’amore in sé nel 2006. Nel 2015 è stato finalista al Premio Strega con il romanzo Come donna innamorata. Come italianista è tra i massimi esperti di lirica classica italiana, di Dante e di Petrarca e petrarchismo.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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(continua…)

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venerdì, 24 luglio 2020

JAVIER CERCAS con “Terra alta” (Guanda) in radio a LETTERATITUDINE

JAVIER CERCAS con “Terra alta” (Guanda), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie). Questa puntata è dedicata a Ennio Morricone e alla sua musica.

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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Ospite della puntata: lo scrittore spagnolo Javier Cercas con cui abbiamo discusso di “Terra alta” (Guanda – traduzione di Bruno Arpaia), il suo romanzo vincitore del Premio Planeta 2019 (uno dei più prestigiosi premi letterari spagnoli).

Caro Javier, come nasce ” Terra alta“? Come descriveresti questo luogo della Catalogna così particolare in cui è ambientato il romanzo? Che tipo di persona è Melchor Marín, questo giovane poliziotto e appassionato lettore protagonista del romanzo? Cosa puoi dirci sul contesto famigliare di Melchor e sul suo passato? Cosa puoi dirci sulle dinamiche di questo crimine e sul modo in cui Melchor Marín decide di affrontare l’attività di investigazione in cui viene coinvolto? Che posto occupa, per te, “Terra alta” rispetto alla tua poetica in generale e ai tuoi precedenti libri? Ci saranno altri libri con protagonista Melchor Marín?

Questo e tanto altro abbiamo chiesto a Javier Cercas nel corso della puntata.

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La scheda del libro: “Terra alta” di Javier Cercas (Guanda – traduzione di Bruno Arpaia)

Un crimine spaventoso sconvolge una quieta cittadina nel Sud della Catalogna: i proprietari dell’azienda più impor­tante della zona, le Gráficas Adell, vengo­no trovati morti, con segni evidenti di feroci torture. Il caso è asse­gnato a Melchor Marín, giovane poliziotto e appassionato lettore, alle spalle un passato oscuro e un atto di eroismo quasi involontario, che lo ha fatto diventare la leggenda del corpo e lo ha costretto a lasciare Barcellona. Stabilitosi in questa piccola regione dal nome evocativo di Terra Alta, crede di aver seppellito l’odio e la voglia di riscatto sotto una vita felice, grazie all’amore di Olga, la bibliotecaria del paese, dalla quale ha avuto una figlia, Cosette. Lo stesso nome della figlia di Jean Valjean, il protagonista dei Miserabili, il suo romanzo prefe­rito. L’indagine si dipana a ritmo serrato, coinvolgendo temi come il conflitto tra giusti­zia formale e giustizia sostanziale, tra rispetto della legge e legittimità della vendetta. Ma soprattutto Javier Cercas, l’autore di libri memo­rabili come Soldati di Salamina, Anatomia di un istante, L’impostore, racconta l’epopea di un uomo solo che cerca il suo posto nel mondo, e per questo dovrà lottare e mettere a rischio tutto: i valori, gli affetti, la famiglia, la vita.

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Javier Cercas è nato nel 1962 a Ibahernando, Cáceres. La sua opera, tradotta in più di trenta lingue, è pubblicata in Italia da Guanda: Soldati di Salamina (Premio Grinzane Cavour 2003), Il movente, La velocità della luce, La donna del ritratto, Anatomia di un istante, Il nuovo inquilino, La verità di Agamennone, Le leggi della frontiera, L’avventura di scrivere romanzi (con Bruno Arpaia), L’impo­store, Il punto cieco e Il sovrano delle ombre. Anatomia di un istante ha vinto nel 2010 il Premio Nacional de Narrativa e nel 2011 il Premio Salone Internazionale del Libro di Torino e il Premio Letterario Internazionale Mondello. L’impostore è stato finalista al Man Booker International Prize 2018. Terra alta, il romanzo di cui abbiamo discusso (tradotto da Bruno Arpaia) ha vinto il Premio Planeta 2019 (uno dei più prestigiosi premi letterari spagnoli).

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin


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Colonna sonora della puntata: le musiche di Ennio Morricone dalla colonna sonora del film “The Hateful Eight” – Overture ; L’Ultima Diligenza di Red Rock; Neve.

(continua…)

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venerdì, 6 luglio 2018

HELENA JANECZEK vince il PREMIO STREGA 2018

HELENA JANECZEK con “La ragazza con la Leica” (Guanda), vince il PREMIO STREGA 2018.

Helena Janeczek vince il Premio Strega 2018

Di seguito lo speciale di Letteratitudine con la lunga conversazione radiofonica con  Helena Janeczek e l’Autoracconto d’Autore dedicato a La ragazza con la Leica” (in chiusura di post, alcune immagini della serata).

Helena Janeczek, autrice di “La ragazza con la Leica” (Guanda), vincitrice del Premio Strega 2018 e del Premio Selezione Campiello 2018, ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, giovedì 5 luglio 2018. Si è appena concluso, lo spoglio della seconda e ultima votazione che ha proclamato Helena Janeczek, con il romanzo La ragazza con la Leica, (Guanda), vincitore della LXXII edizione del Premio Strega, promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e da Liquore Strega .

Come da tradizione gli Amici della domenica si sono riuniti nel giardino del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia dove Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega 2017, ha presieduto il seggio di voto.

La somma dei voti elettronici e delle schede cartacee ha portato alla vittoria il romanzo di Helena Janeczek, La ragazza con la Leica, (Guanda) con 196 voti. Seguono Marco Balzano con Resto qui, (Einaudi), 144 voti; Sandra Petrignani con La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg, (Neri Pozza) con 101 voti; Carlo D’Amicis con Il gioco, (Mondadori) con 57 voti; e Lia Levi con Questa sera è già domani, (Edizioni e/o) con 55 voti; per un totale di 554 voti espressi.

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HELENA JANECZEK racconta il suo romanzo LA RAGAZZA CON LA LEICA (Guanda)

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di Helena Janeczek

Ogni libro ha una storia che può essere facilmente ripercorsa e una storia sotterranea di cui l’autore riesce a vedere alcune tracce. Entrambe cominciano nel 2009, con una visita al Forma di Milano che ospitava la prima retrospettiva di Gerda Taro accanto a una mostra di Robert Capa. In quel periodo lavoravo a Le rondini di Montecassino, dove Capa è menzionato per una foto dei funerali degli studenti del liceo Sannazaro caduti nel 1943 durante le “Quattro giornate di Napoli”. Però tutto il suo lavoro a seguito delle truppe americane mi aveva permesso di toccare con gli occhi la realtà della guerra che stavo raccontando. Erano quelle foto della “Campagna d’Italia” che volevo vedere in uno spazio espositivo. Questo significa che, sul versante della storia sotterranea, Robert Capa era già una presenza interiorizzata quando uscii dal Forma con il desiderio di approfondire la conoscenza di Gerda Taro. Comprai il catalogo a cura di Irme Schaber e poco dopo andai a procurarmi Gerda Taro, Una fotografa rivoluzionaria nella guerra civile spagnola (DeriveApprodi, 2007), la biografia con cui la studiosa di Stoccarda poneva fine al lungo oblio della sua concittadina morta a nemmeno ventisette anni nella Guerra di Spagna.
Ma soltanto sul finire del 2011 si affacciò l’ipotesi che quella lettura potesse fungere da base per un lavoro di scrittura. Non pensavo a un romanzo, bensì a un racconto da affiancare a altri due che componessero un trittico dedicato a tre donne reporter di guerra. Le rondini di Montecassino, uscito nel 2010, aveva suscitato spesso la domanda come mai avessi scelto un tema così maschile come la guerra. In realtà, non mi sentivo molto svantaggiata rispetto a uno scrittore, bastava solo studiare un po’ di più. Però restava vero che narrare qualcosa che travalica le esperienze di noi figli e figlie del dopoguerra comporta un rischio di inadeguatezza sia etica che estetica. Mi colpiva, perciò, che esistessero donne disposte a mettere a rischio la propria vita per testimoniare con le parole o con le immagini la realtà delle guerre ancora in corso. Avevo già scritto un contributo per un’antologia (I persecutori, Transeuropa, 2007) che riconvocava la figura di Anna Politkovskaja nella cornice della fiera del libro di Francoforte agitata dalla notizia del suo assassinio. Durante le ricerche per quel racconto, avevo scoperto che tra i pochissimi giornalisti presenti a Grozny nei giorni della caduta ci fosse un’altra donna. Già inviata a Gaza e Sarajevo e in molti altri conflitti (in italiano è stato tradotto Il giorno che vennero a prenderci; dispacci dalla Siria, La nave di Teseo, 2017), Janine di Giovanni ha scritto anche il memoir Ghosts by Daylight (2011), dove racconta come la scelta di mettere al mondo un figlio avesse attivato i traumi che lei e il suo compagno, un fotoreporter francese, avevano subito.
(continua…)

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mercoledì, 20 giugno 2018

HELENA JANECZEK con “La ragazza con la Leica” (Guanda) in radio a LETTERATITUDINE

HELENA JANECZEK con “La ragazza con la Leica” (Guanda), ospite del programma radiofonico Letteratitudine trasmesso su RADIO POLIS (la radio delle buone notizie)

In streaming e in podcast su RADIO POLIS

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e postproduzione: Federico Marin

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Ospite della puntata: Helena Janeczek, autrice di “La ragazza con la Leica” (Guanda): romanzo finalista alle edizioni 2018 del Premio Strega e del Premio Campiello.

Con Helena Janeczek abbiamo discusso del romanzo e delle tematiche a esso legate.

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Questo libro racconta la vita di questa ragazza ribelle, l’amore con Robert Capa, l’avventura di fotografare e la gioia di vivere nella Parigi degli anni Trenta.

Il 1° agosto 1937 una sfilata piena di bandiere rosse attraversa Parigi. È il corteo funebre per Gerda Taro, la prima fotografa caduta su un campo di battaglia.
Proprio quel giorno avrebbe compiuto ventisette anni. Robert Capa, in prima fila, è distrutto: erano stati felici insieme, lui le aveva insegnato a usare la Leica e poi erano partiti tutti e due per la Guerra di Spagna.
Nella folla seguono altri che sono legati a Gerda da molto prima che diventasse la ragazza di Capa: Ruth Cerf, l’amica di Lipsia, con cui ha vissuto i tempi più duri a Parigi dopo la fuga dalla Germania; Willy Chardack, che si è accontentato del ruolo di cavalier servente da quando l’irresistibile ragazza gli ha preferito Georg ­Kuritzkes, impegnato a combattere nelle Brigate Internazionali. Per tutti Gerda ­rimarrà una presenza più forte e viva della celebrata eroina antifascista: Gerda li ha spesso delusi e feriti, ma la sua gioia di ­vivere, la sua sete di libertà sono scintille capaci di riaccendersi anche a distanza di decenni. Basta una telefonata intercontinentale tra Willy e Georg, che si sentono per tutt’altro motivo, a dare l’avvio a un romanzo caleidoscopico, costruito sulle fonti originali, del quale Gerda è il cuore pulsante.
È il suo battito a tenere insieme un flusso che allaccia epoche e luoghi lontani, restituendo vita alle istantanee di questi ragazzi degli anni Trenta alle prese con la crisi economica, l’ascesa del nazismo, l’ostilità verso i rifugiati che in Francia colpiva soprattutto chi era ebreo e di sinistra, come loro.
Ma per chi l’ha amata, quella giovinezza resta il tempo in cui, finché Gerda è vissuta, tutto sembrava ancora possibile.

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Helena Janeczek, nata a Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da oltre trent’anni. È autrice dei romanzi Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), finalista al Premio Comisso e vincitore del Premio Napoli, del Premio Sandro Onofri e del Premio Pisa, e Lezioni di tenebra (Guanda, 2011). Il suo sito internet è: www.helenajaneczek.com/la-ragazza-conla-leica.html

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia e post produzione: Federico Marin

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La colonna sonora della puntata: “These foolish things”, “Yesterdays”, “I’ll never be the same” (brani interpretati da Billie Holiday)

(continua…)

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lunedì, 14 maggio 2018

FERNANDO ARAMBURU vince il PREMIO STREGA EUROPEO: lo speciale di Letteratitudine

Fernando Aramburu, con il suo romanzo Patria (Guanda), tradotto da Bruno Arpaia, si aggiudica la quinta edizione del Premio Strega Europeo, nato nel 2014 in occasione del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea per diffondere la conoscenza delle voci più originali e profonde della narrativa contemporanea.

Il romanzo racconta di due famiglie basche che abitano in un paesino dalle parti di San Sebastián. Due famiglie che hanno sempre vissuto all’insegna dell’amicizia e del reciproco sostegno… fino a quando la loro storia non si incrocia con quella dell’ETA e con un attentato terroristico che costerà la vita a uno dei due capofamiglia (il Txato, titolare di una ditta di trasporti, che non si è voluto piegare a messaggi intimidatori a scopo estorsivo ricevuti dall’organizzazione terroristica). Una morte che non crea solo dolore, ma anche divisioni e allontanamenti (per ulteriori dettagli sulla trama rinviamo alla scheda del libro inserita alla fine del post).

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Risultati immagini per Fernando Aramburu wikipedia esFernando Aramburu ha dichiarato di sentirsi onorato per il prestigioso conferimento del premio e ne ha approfittato per evidenziare il merito del suo traduttore italiano. Ha espresso un pensiero dedicato ai suoi concittadini, che per anni hanno subito dolore. Ha evidenziato il fatto che nel suo romanzo ha narrato – appunto – storie di sofferenza attraverso il racconto dell’esperienza di vita dei suoi personaggi. Si è anche soffermato sul senso della parola “Patria”, una parola forte e dai molteplici significati; riferita, in questo caso, ai Paesi Baschi, e che molti editori hanno deciso di lasciare come titolo del romanzo tradotto.

Di seguito, il video della premiazione:

E a proposito di traduzione, riproponiamo un paio domande (con relative risposte) che abbiamo rivolto a Bruno Arpaia (co-vincitore del Premio Strega Europeo nel suo ruolo di traduttore) su questo fortunato libro da lui brillantemente tradotto…

- Bruno Arpaia, partendo dal presupposto che puoi godere di una “visuale privilegiata” nel tuo molteplice ruolo di lettore, scrittore, giornalista culturale e (ovviamente) traduttore dell’opera in questione… cos’è che più di ogni altra cosa hai apprezzato in “Patria” di Fernando Aramburu? (continua…)

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venerdì, 23 febbraio 2018

PATRIA di Fernando Aramburu: traduzione di Bruno Arpaia

PATRIA di Fernando Aramburu (Guanda): un libro di grande successo ottimamente tradotto da Bruno Arpaia

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di Massimo Maugeri

Il nuovo appuntamento dello spazio di Letteratitudine chiamato “Vista dal traduttore” (dedicato, per l’appunto, al lavoro delle traduttrici e dei traduttori letterari) è incentrato sul romanzo Patriadi Fernando Aramburu e sulla traduzione in italiano di Bruno Arpaia.

Bruno Arpaia è anche giornalista culturale e scrittore. Ne approfitto per segnalare questo post (con il suo Autoracconto d’autore) dedicato al suo più recente romanzo intitolato “Qualcosa, là fuori” (Guanda)

“Patria” di Fernando Aramburu è stato – anche nel nostro Paese – uno dei casi letterari (e uno dei romanzi più venduti) del 2017, rientrando nell’ambìta “categoria” di libri che unisce il successo commerciale al grande riscontro di pubblico. D’altra parte non è trascurabile il sostegno che il Premio Nobel per la Letteratura 2010 Mario Vargas Llosa gli ha voluto offrire con la seguente dichiarazione (che leggiamo sulla copertina del libro): «Da molto tempo non leggevo un romanzo così persuasivo, commuovente, e così brillantemente concepito.»

Il romanzo racconta di due famiglie basche che abitano in un paesino dalle parti di San Sebastián. Due famiglie che hanno sempre vissuto all’insegna dell’amicizia e del reciproco sostegno… fino a quando la loro storia non si incrocia con quella dell’ETA e con un attentato terroristico che costerà la vita a uno dei due capofamiglia (il Txato, titolare di una ditta di trasporti, che non si è voluto piegare a messaggi intimidatori a scopo estorsivo ricevuti dall’organizzazione terroristica). Una morte che non crea solo dolore, ma anche divisioni e allontanamenti (per ulteriori dettagli sulla trama rinvio alla scheda del libro inserita alla fine del post).

Rivolgo a Bruno Arpaia un paio di domande su questo fortunato libro da lui brillantemente tradotto…

- Caro Bruno, partendo dal presupposto che puoi godere di una “visuale privilegiata” nel tuo molteplice ruolo di lettore, scrittore, giornalista culturale e (ovviamente) traduttore dell’opera in questione… cos’è che più di ogni altra cosa hai apprezzato in “Patria” di Fernando Aramburu? (continua…)

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lunedì, 23 novembre 2015

MARCO BELPOLITI ospite di “Letteratitudine in Fm” – “Primo Levi di fronte e di profilo” (Guanda)

MARCO BELPOLITI ospite di “Letteratitudine in Fm” – lunedì 23 novembre 2015 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)


In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO



È stato Marco Belpoliti l’ospite della puntata di Letteratitudine in Fm di lunedì 23 novembre 2015. Con Marco Belpoliti abbiamo discusso del suo nuovo saggio, incentrato sulla figura di Primo Levi, intitolato Primo Levi di fronte e di profilo (Guanda).

Nella seconda parte della puntata, la lettura di un estratto del più celebre romanzo di Levi: “Se questo è un uomo“.

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La scheda del libro
Frutto di un lavoro ventennale, questo è un libro-universo, e l’universo è quello di Primo Levi, lo scrittore che negli ultimi settant’anni si è imposto come il testimone per eccellenza dello sterminio ebraico: la sua vita tormentata, la sua vicenda di scrittore e intellettuale, ma soprattutto la sua opera sfaccettata, complessa, ricchissima di temi, rimandi e suggestioni. È’ un libro-mosaico, in cui ogni opera di Levi dà il tema a un capitolo; ma oltre alla storia della composizione, della pubblicazione, delle influenze letterarie, l’analisi si muove in profondità nei contenuti, nell’immaginario, nelle passioni e nei molti mondi di Primo Levi: dalla chimica all’antropologia, dalla biologia all’etologia, dai voli spaziali alla linguistica. Se questo è un uomo, l’opera capolavoro che pure inizialmente era stata rifiutata, viene riletta in maniera nuova: si parla di sogni, animali, viaggio; di scrittura letteraria, commedia e tragedia; di vergogna, di memoria, del rapporto con altri scrittori come Kafka e Perec, Améry e Šalamov… Temi come l’ebraismo, il lager, la testimonianza percorrono e innervano tutto il libro, che si arricchisce inoltre di fotografie di grande impatto e di materiale epistolare ritrovato dall’autore in archivi finora non esplorati dagli studiosi. Marco Belpoliti ha scritto il libro definitivo su Primo Levi, un tesoro di storie e riflessioni che compongono un saggio con il respiro di un’opera letteraria multiforme.

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Marco Belpoliti, saggista e scrittore, ha curato le opere di Primo Levi e pubblicato diversi libri, tra cui: Settanta, Diario dell’occhio, L’occhio di Calvino, Camera straniera. Alberto Giacometti e lo spazio, Il segreto di Goya. Condirettore della rivista-collana Riga (Marcos y Marcos) e di www.doppiozero.com, insegna all’Università di Bergamo e collabora a La Stampa e a L’Espresso.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

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La colonna sonora della puntata è composta dai seguenti brani musicali: “Un americano a Parigi” di Gershwin; “Quadri di un’esposizione” di Mussorgsky; “Bridge on the River Kwai”.

(continua…)

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venerdì, 30 ottobre 2015

STORIA DI UN CANE CHE INSEGNÒ A UN BAMBINO LA FEDELTÀ di Luis Sepúlveda

Nell’ambito di “GIOVANISSIMA LETTERATURA“, il nuovo spazio di Letteratitudine interamente dedicato alla cosiddetta “letteratura per ragazzi” e alla “letteratura per l’infanzia“, dedichiamo un post al nuovo volume di Luis Sepúlveda intitolato Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà(Guanda).

Sul post proponiamo: un video realizzato da Letteratitudine, un estratto del libro e il booktrailer.

Massimo Maugeri

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Le prime pagine di “STORIA DI UN CANE CHE INSEGNÒ A UN BAMBINO LA FEDELTÀ” (Guanda) di Luis Sepúlveda

Kitie — Uno

Il branco di uomini ha paura. Lo so perché sono un cane e fiuto l’odore acido della paura. La paura ha sempre lo stesso odore e non importa se la prova un uomo spaventato dal buio della notte o se la prova waren, il topo che mangia finché il suo peso diventa una zavorra, quando wigna, il gatto delle montagne, si muove guardingo fra gli arbusti. Il fetore della paura negli uomini è così forte da guastare gli aromi della terra umida, degli alberi e delle piante, delle bacche, dei funghi e del muschio che il vento mi porta dal folto del bosco. L’aria mi porta anche, molto leggero, l’odore del fuggiasco, ma quello sa d’altro, sa di legna secca, di farina e di mele, sa di tutto quel che ho perduto. (continua…)

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venerdì, 30 ottobre 2015

PASOLINI IN SALSA PICCANTE: in radio con Marco Belpoliti

PASOLINI IN SALSA PICCANTE: in radio con MARCO BELPOLITI

In occasione del quarantennale della morte di Pier Paolo Pasolini, che ricorrerà il 2 novembre 2015, riproponiamo la puntata di “Letteratitudine in Fm” del 3 dicembre 2010 dove Massimo Maugeri incontra Marco Belpoliti per discutere del saggioPasolini in salsa piccante”, pubblicato dallo stesso Belpoliti per Guanda nel 2010 (in occasione del 35° anniversario della morte di Pasolini).

Nel corso della puntata si è discusso anche dei saggi: “Settanta” (Einaudi) e “Senza vergogna” (Guanda).

PER ASCOLTARE LA PUNTATA, CLICCA SUL PULSANTE AUDIO

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In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

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Il libro
Sono trascorsi trentacinque anni dalla morte di Pasolini e forse è venuto il momento di fare con lui quello che il Corvo consigliava a Totò e Ninetto in “Uccellacci e uccellini”: i maestri si mangiano in salsa piccante. Per digerirli meglio, ingerendo il loro sapere e la loro forza. Andare oltre Pasolini con Pasolini: è quello che si propone Marco Belpoliti nel suo saggio.
Partendo dal primo processo, nel 1949, in Friuli, per atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minore, passando attraverso la rilettura degli Scritti corsari e delle Lettere luterane, e attraverso l’analisi dei nudi del poeta scattati nel 1975 da Dino Pedriali e le foto inedite di Ugo Mulas sul set di Teorema, sino ad arrivare alla pubblicazione postuma di Petrolio, Belpoliti mostra come la cultura italiana abbia sempre rifiutato l’omosessualità di Pasolini, come non abbia compreso che questa è la radice della sua critica alla «mutazione antropologica», e come oggi si cerchi di fare di lui un martire delle trame occulte degli anni Settanta, quasi per alleggerirsi del senso di colpa nei suoi confronti. Un pamphlet che è un atto d’amore: mangiare Pasolini per onorarlo, per liberarlo dal limbo dei cattivi pensieri e dei falsi perdoni, delle solerti ammirazioni e degli impotenti moralismi che l’hanno tenuto sospeso nei nostri pensieri per tre decenni. Mangiarlo in salsa piccante perché è un maestro. Un grande maestro.

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Marco Belpoliti, saggista e scrittore, ha curato le opere di Primo Levi e pubblicato diversi libri: Settanta, Crolli, La prova, Diario dell’occhio, La foto di Moro. Curatore con Elio Grazioli della rivista-collana Riga (Marcos y Marcos), insegna all’Università di Bergamo e collabora a La Stampa e a L’Espresso.

Il suo libro più recente è: Primo Levi di fronte e di profilo(Guanda, 2015)

(continua…)

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mercoledì, 14 ottobre 2015

ADAM THIRLWELL racconta TENERO & VIOLENTO

Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è lo scrittore inglese ADAM THIRLWELL, autore del romanzo “TENERO & VIOLENTO” (Guanda – traduzione di Riccardo Cravero).

Adam Thirlwell è nato nel 1978. Vive a Londra. È stato segnalato fra i migliori narratori britannici delle nuove generazioni dalla rivista «Granta».

Adam Thirlwell ha scritto a Letteratitudine per raccontare il suo nuovo romanzo intitolato “Tenero & Violento”, pubblicato in Italia da Guanda con la traduzione di Riccardo Cravero.

Sul post troverete il contributo di Thirlwell tradotto in italiano e, a seguire, la versione originale in lingua inglese. Ne approfitto per ringraziare l’autore e l’ufficio stampa di Guanda per la cortese collaborazione.

Massimo Maugeri

P.s. Nelle precedenti puntate abbiamo ospitato: Glenn Cooper, Ildefonso FalconesJoe R. Lansdale, Amélie Nothomb, Clara Sánchez, Gabrielle Zevin, Caroline Vermalle, John Scalzi, Amos Oz, Maylis de Kerangal, Pierre Lemaitre.

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ADAM THIRLWELL scrive a Letteratitudine per raccontare il suo romanzo “TENERO & VIOLENTO (Guanda – traduzione di Riccardo Cravero)

di Adam Thirlwell

Premessa: è da molto tempo che volevo scrivere un romanzo ambientato nelle periferie. Queste periferie, in origine, si sarebbero dovute basare in maniera piuttosto approssimativa sui dintorni di Londra. Poi, la Londra che ne è venuta fuori ha subito una certa tropicalizzazione – con nuova fauna e nuova flora. In un certo senso questo luogo a cui pensavo è diventato ovunque, e da nessuna parte. Del resto, se c’è una cosa davvero strana della periferia è proprio la sua non specificità: la sua orizzontale e globale vaghezza. Ovvero, come dice la voce narrante del mio romanzo, “Tenero & Violento” : “Scegli qualunque parte del globo ti piaccia, da Kabul a Santiago ti imbatterai nello stesso paesaggio. Perché in realtà la maggior parte degli abitanti di Kabul non vive all’interno della città, ma ai suoi bordi, dove Kabul si disintegra tra luci smisurate e grandi strade vuote, il genere di strade in cui persino il marciapiede è abulico e ci sono solo pochi lampioni, alimentati da generatori di fortuna riposti dentro baracche prefabbricate. Oggi la maggior parte della gente vive in posti come questi, e dunque quando ci si sposta in una città qualunque, in un modo o nell’altro, ci si ritrova a casa; basta allontanarsi un po’ dal centro: non troppo, ma quanto basta”.
Ho pensato che un’ambientazione di questo tipo si sarebbe potuta prestare meglio per approfondire la conoscenza di alcune delle principali stranezze che altrove sarebbero rimaste invisibili: problemi connessi a come trascorrere il proprio tempo, o vivere la propria vita. Le grandi questioni metafisiche.

La maggiore stranezza è stata una voce, o un modo di pensare, che ho cominciato a sentire intorno a me. Sì, così come per l’ambientazione, ho voluto usare un narratore molto particolare. D’altra parte la voce narrante che il romanziere può decidere di adottare è come un giocattolo sconosciuto, molto più imprevedibile di quanto si possa pensare. Non è qualcosa di tristemente ordinario come un personaggio. Ci sono voci narranti o tonalità espressive che meglio di altre si prestano per esplorare questa difficile relazione che si instaura nel centro più nascosto di ogni forma d’arte: quella cioè che intercorre tra lo scrittore e il lettore (o lo spettatore). Sebbene possa sembrare che queste tonalità espressive esistano solo nei romanzi, in realtà è possibile riscontrarle anche altrove, come quando ci si sforza di far comprendere il significato recondito di un monologo, o si cerca il modo giusto per rivolgersi a qualcun altro. Può essere loquace, consapevole, sovraeccitata, affascinante, e persino internazionale, ma ciò che rende la voce narrante così peculiare dipende dal fatto che i Narratori a cui mi riferisco appartengono a una sorta di confessione progettata per esonerarli da ogni responsabilità. Che cosa potrebbe essere più pericoloso di qualcuno convinto della propria bontà, o della propria innocenza? Qualcuno che crede che ciò che sente è molto più importante di ciò che realmente fa?
È una voce di questo tipo che ho cominciato a percepire intorno a me. Non so nemmeno come chiamarla. Mi sembra una categoria non ancora descritta. Quindi chiamiamola in un modo ossimorico e impossibile. Chiamiamola Innocente/Corrotta. Ha dei precursori, ovviamente – in Hamsun, o nello Zeno di Italo Svevo. Ma la versione che stavo sperimentando era forse più pericolosa, perché molto più convinta della sua bontà.
In altre parole, ho trovato un’ambientazione, e ho trovato un narratore. E questo narratore aveva uno scopo particolare nella sua vita: il piacere, o la felicità. C’è una sequenza che ritengo piuttosto struggente: “Dimmi solo questo: se stessi per morire, preferiresti che te lo dicessero, o che morissi all’improvviso? Perché io vorrei morire all’improvviso, senza che nessuno mi dica nulla. Alla fine, preferisco più felicità a più verità.” Sebbene questo atteggiamento possa sembrare volutamente disinvolto o superficiale, il motivo per ammirare questo narratore senza nome potrebbe essere determinato dalla sua capacità di indurre a domandarsi se ciò che a prima vista sembra problematico o inusuale celi, in realtà, una verità più profonda. Tutto ciò non potrebbe già fornire un motivo per svolgere questa attività silenziosa chiamata leggere? Per esplorare piccole strade pericolose, i piccoli folli dialoghi con noi stessi che non potremmo mai avere in pubblico? È come quella splendida immagine finale offerta dal romanzo di Proust: “Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che è offerto al lettore per permettergli di discernere quello che, senza il libro, non avrebbe forse visto in se stesso”.
E così ho lasciato che il narratore di questo mio libro potesse scatenarsi. Certo, l’inizio è abbastanza duro – con il narratore che si sveglia accanto a una donna che non è sua moglie, una donna che è anche incosciente e sanguinante dopo una notte trascorsa a base di sostanze stupefacenti. Ma questo, cari lettori, è solo l’inizio. Ciò che succede dopo ha a che fare con inseguimenti in auto, rapine, orge – e una sanguinosa vendetta finale. Eppure, per tutto il tempo, accadrà qualcosa di molto tranquillo – perché ciò che in apparenza potrebbe sembrare come una sorta di b-movie, o un noir, o un thriller, non è altro che un giocattolino finalizzato alla corruzione del lettore. Voi penserete di leggere un romanzo, mentre in realtà tutti i valori morali che davate per scontati verranno smantellati senza che ve ne rendiate conto.

(traduzione dall’inglese di Massimo Maugeri)

[Un estratto del libro è disponibile qui]

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© Adam ThirlwellLetteratitudine

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On Lurid & Cute

by Adam Thirlwell (continua…)

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mercoledì, 18 marzo 2015

MARCO SANTAGATA ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 18 marzo 2015

marco-santagataMARCO SANTAGATA ospite di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 18 marzo 2015 – h. 9 circa (e in replica nei seguenti 4 appuntamenti: venerdì alle h. 06:00 e alle h. 13:00, domenica alle h. 06:00, martedì alle h. 00:30)

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

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È Marco Santagata l’ospite della puntata di “Letteratitudine in Fm” di mercoledì 18 marzo 2015.
Con Marco Santagata abbiamo discusso del suo nuovo romanzo “Come donna innamorata” (Guanda) e delle tematiche a esso connesse.
Un romanzo incentrato sulla figura di Dante Alighieri.

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“Come donna innamorata” (Guanda) – di Marco Santagata
Come si può continuare a scrivere quando la morte ti ha sottratto la tua Musa? È questo l’interrogativo che, l’8 giugno 1290, tormenta Dante Alighieri, giovane poeta ancora alla ricerca di una sua voce, davanti alle spoglie di Beatrice Portinari. Da quel momento tutto cambierà: la sua vita come la sua poesia. Percorrendo le strade di Firenze, Dante rievoca le vicissitudini di un amore segnato dal destino, il primo incontro e l’ultimo sguardo, la malìa di una passione in virtù della quale ha avuto ispirazione e fama. È sgomento, il giovane poeta; e smarrito. Ma la sorte gli riserva altri strali. Mentre le trame della politica fiorentina minacciano dapprima i suoi affetti – dal rapporto con la moglie Gemma all’amicizia fraterna con Guido Cavalcanti – e poi la sua stessa vita, Dante Alighieri fa i conti con le tentazioni del potere e la ferita del tradimento, con l’aspirazione al successo e la paura di non riuscire a comporre il suo capolavoro… È un Dante intimo, rivelato anche nella sua fragilità, e nelle sue ambiguità, quello che Marco Santagata mette in scena in un romanzo che restituisce le atmosfere, le parole, le inquietudini di un Medioevo vivido e vicino. Il sommo poeta in tutta la sua umanità: lacerato dall’amore, tormentato dall’ambizione, ardentemente contemporaneo.

Il sito ufficiale di Marco Santagata

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO


(continua…)

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mercoledì, 30 luglio 2014

VIVERE SIGNIFICA AMMAZZARE

La nuova puntata de “Il sottosuolo”di Ferdinando Camon è dedicata ai seguenti volumi di Ernst Jünger

- La battaglia come esperienza interiore, trad. Simone Buttazzi, Piano B edizioni, 2014, pagg. 140, euro 13

- Nelle tempeste d’acciaio, introd. Giorgio Zampa, trad. Giorgio Zampaglione, Guanda, ristampa 2014

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ferdinando-camonVIVERE SIGNIFICA AMMAZZARE

di Ferdinando Camon

L’oscena bestemmia sta a pagina 57 e spande una luce lugubre sul resto del libro e sugli altri libri di questo grande autore. Suona così: “Vivere significa ammazzare”. Se non ammazzi non vivi. La gioia dell’esistenza si ha nel corpo-a-corpo col nemico, quando lo infilzi con la baionetta o gli tagli la gola o lo sbricioli con una bomba a mano. La gioia del soldato sta nel “vedere” il nemico mentre muore, o nel contemplare il suo corpo appena morto. Non devi odiarlo per questo. L’odio è umano, ma il soldato che uccide è super-umano, è un dio. Quando il nemico esce di notte dalla sua trincea e protetto dal buio striscia fin sotto i tuoi reticolati, e con la pinza li taglia facendo quel rumore secco, clic clic, che pare un topo che rode, i tuoi soldati si stringono intorno a te e godono di sentire quegli scricchiolii come il gatto gode nel sentire i topi a portata di unghie. D’improvviso tutti sparano sul rumore, fucili mitragliatrici e bombe a mano, tu ami le bombe a mano perché sono un prolungamento del tuo pugno, e dopo la sparatoria è bello esaminare i morti sbrindellati, tu controlli i loro stivali, se qualcuno ha gli stivali eleganti e puliti quello è un ufficiale, e la tua gioia raddoppia. Fai delle scoperte. A volte un proiettile s’infila tra i sacchetti di sabbia e trapassa un cranio, dal cranio esce sangue all’infinito, come mai? Ci sono così tante vene nella testa? La guerra è l’habitat del vero uomo, e nella guerra il momento-clou è l’assalto. Se l’assalto è lungo 100 metri, in quei 100 metri succede questo: “Corriamo. I colpi si fondono l’uno con l’altro sempre più in fretta, sempre più furiosi, affondando in un ruggito crescente. Il terreno ondeggia, l’aria soffocante impregnata di gas e putrefazione ci arriva in faccia a ondate. Zolle di terra si schiantano contro gli elmi, le schegge risuonano contro le armi. Si ode forte e chiaro ogni volta che un pezzo di ferro stacca un trancio di carne umana. Ai nostri piedi, ai bordi del sentiero giacciono i morti, spettrali bambole di cera nella luce fioca, gli arti stranamente slogati. Una cassa toracica affonda, tenera come un mantice, sotto il mio stivale chiodato”. Tu non uccidi perché eseguì un ordine, ma perché sei nato per uccidere. La pace camuffava il tuo istinto, la guerra lo rivela. La pace è menzogna, la guerra è verità. Dalla tua trincea, spii e ascolti la trincea nemica, è la tua ossessione, prenderla e sterminarla: “Nelle notti silenziose il vento ci portava voci, colpi di tosse, battiti, martellate e un lontano, sconnesso rumore di ruote. Al che ci coglieva un sentimento singolare, tristo e bramoso, come quello di un cacciatore che, in una radura della giungla, fa la posta a una bestia oscena ed enigmatica”. Finalmente tradotto in italiano, da un piccolo meritevole editore, questo smilzo libretto di meditazioni rivela il lato profondo e oscuro di Jünger, ammirabile ma disamabile. Per lui non è importante “perché” si combatte, ma “come” si combatte. La guerra è nostra madre e nostra figlia. Ci forgia come vuole, e noi la forgiamo come vogliamo. Guardando i soldati che scavano fosse senza far rumore, sincronizzano gli orologi fosforescenti, individuano i punti cardinali dalla posizione degli astri, pensi: “È questo l’uomo nuovo, il pioniere della tempesta, il fior fiore della Mitteleuropa”. Nato per vincere, anzi per trionfare. Per segnare un’epoca. Dominarla. A cominciare dalla Grande Vittoria in questa Grande Guerra. (continua…)

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lunedì, 15 aprile 2013

VUOI ESSERE UN UOMO? AMMAZZA UN ORSO

ferdinando-camonLa nuova puntata de “Il sottosuolo” di Ferdinando Camon abbraccia un argomento legato al romanzo “La pelle dell’orso” di Matteo Righetto (Guanda). Da domani, su LetteratitudineNews, sarà disponibile uno stralcio tratto da questo libro.
Massimo Maugeri

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Vuoi essere un uomo? Ammazza un orso

di Ferdinando Camon

Son tornate le linci, le volpi, le aquile, i lupi, e gli orsi. Prima 5-6 coppie di Orso Bruno liberate nei boschi del Bellunese e del Trentino, a ridosso dell’Austria; adesso si calcola che ce ne siano alcune decine. Vai per i sentieri della Val Zoldana, e sai che a destra e a sinistra ce n’è qualcuno: tu non vedi lui, ma lui vede te. Andar per monti non è più come vent’anni fa. Allora eri padrone dispotico, potevi perderti in un bosco e dormire tranquillo sotto gli alberi, sapevi che tutto ciò che si muoveva e respirava intorno a te aveva paura di te: intorno a te si stendeva il creato, così com’era uscito dalla mani del Creatore, e tu eri il re del creato. Beh, non lo sei più. Prendiamo proprio la Val Zoldana: esci dall’autostrada, arrivi a Forno, e lì un orso ha sbranato un asino; arrivi a Dont, e lì s’aggira un orso piccolo, chiamato perciò “orsetto”. Un altro, sopra Trento, ha tagliato la strada statale e ha sbattuto contro un’Alfa Romeo. Danni all’Alfa, ma lui è morto. La Val Zoldana è vicina all’area che il mondo conosce per la catastrofe del Vajont: la catastrofe avvenne di notte, al mattino i giornali nazionali non avevano la notizia, il “Gazzettino” sì, a caratteri mastodontici, mai visti caratteri così grandi, sembravano tagliati con lo scalpello. In stazione, all’alba presto, era un via-vai di lettori che correvano in edicola a cambiare i loro giornali nazionali col “Gazzettino”. Passo spesso di lì, e ogni volta mi domando: nascerà un nuovo scrittore, capace di raccontare la nuova Natura, la paura dell’uomo detronizzato, la grandezza del piccolo uomo che affronta la Grande Bestia? E la dolcezza materna di questi monti e di queste valli, dove ci sono uomini che parlano con i cani in lingua tedesca? Cani che sono lupi, allevati da piccoli.
D’improvviso, in silenzio, eccolo il romanzo della nuova Natura, delle bestie selvagge, degli orsi e specialmente del Grande Orso, soprannominato El Diàol. Il centro del racconto sta a Colle Santa Lucia, uno di quei paesi bellissimi che però t’ispirano un senso di allarme: visiti il cimitero, delizioso, e dalle epigrafi capisci che le due guerre mondiali per loro non sono cominciate nel ‘15 e nel ’40, ma nel ’14 e ’39. Nel ’15 erano i nostri nemici. È un’oasi di lingua ladina. L’orso Diàol sta nel cuore del bosco, assalta caprioli e nella furia di sbranarli li scaraventa tra i rami degli abeti. Il romanzo ha un impianto apparentemente hemingwayano, padre e figlio che vanno a uccidere il Diàol per intascare una maxi-scommessa, ma in realtà Hemingway sta troppo in superficie, qui il testo scende più in profondità, non lo senti derivare da qualcuno dei “Quarantanove racconti” di Ernest, ma dalla “Linea d’ombra” di Conrad. La “linea d’ombra” segna l’uscita dell’uomo dall’età dell’innocenza e l’entrata nelle grandi sfide, la furia dell’oceano, i mostri della natura e dello spirito, fuori di te e dentro di te. Oltrepassi quella linea, e non sei più lo stesso. Qui la grande sfida sta nel cercare, trovare e uccidere il Grande Orso, El Diàol. La scommessa l’ha lanciata il padre, ma se a uccidere l’orso fosse il padre, sarebbe uno dei tanti racconti d’avventura a quota simbolica zero. Qui la quota simbolica è alta: è il figlio, 12 anni, che uccide la Bestia, su quella linea d’ombra avviene il passaggio delle consegne, il figlio è un vincente che vince la vita, il padre esce dalla vittoria e dalla vita. Lo scontro avviene nel cuore del bosco dove il padre, quand’era ragazzo, aveva una capanna segreta, per sé e per la sua ragazza. Il figlio studia bene il posto. Diventerà il suo posto segreto. Righetto sposta indietro la vicenda, al tempo della catastrofe del Vajont, ma la spinta a scrivere gli viene oggi dal ritorno delle bestie feroci. È da queste che è eccitato. Un tempo avremmo detto “ispirato”.
(continua…)

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lunedì, 18 marzo 2013

CONVERSAZIONE CON PRIMO LEVI – di Ferdinando Camon

Conversazione con Primo LeviPubblico l’intervista a Ferdinando Camon, curata da Renzo Montagnoli, in merito al volume “Conversazione con Primo Levi” (Guanda).

Su LetteratitudineNews è disponibile una recensione firmata dallo stesso Montagnoli.

Massimo Maugeri

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INTERVISTA A FERDINANDO CAMON (su “Conversazione con Primo Levi“)

a cura di Renzo Montagnoli

- La Sua è un’intervista realizzata in un arco di tempo piuttosto lungo e in più incontri; considerato che all’epoca (all’incirca nella prima metà degli anni ’80) non esisteva ancora Internet e quindi non era possibile effettuare il tutto con uno scambio di messaggi elettronici, Lei ricorse a incontri diretti con lo scrittore nella sua città natale (Torino), a scambi di telefonate e raramente in via epistolare. Fu indubbiamente un impegno non trascurabile, anche se ne valeva la pena. Che cosa la spinse però a contattare Primo Levi per intervistarlo?
Mi spinse un complesso di colpa. Come ho scritto da qualche parte, andare a parlare con Primo Levi per me significava andare a Canossa. C’è nel libretto, se uno lo legge bene, un punto di attrito tra Levi e me, che mi fu ascritto a colpa dalla stampa tedesca e francese di destra. Levi sosteneva che la colpa dello Sterminio era del personaggio che dominava la Storia, e cioè Hitler. Levi aveva un’idea eroica della Storia. La Storia la fanno  Grandi, i dominatori, gli domi eroi. Costoro sono il vento che scuote il mare, sul quale i popoli galleggiano come sugheri. Lui aveva un’idea ristretta della Grande Colpa. Io sostenevo allora (cioè: mi aggregavo a chi sosteneva) una colpa collettiva, la responsabilità di massa. Che non vuol dire di ogni tedesco, singolarmente preso. Ma del popolo tedesco, nel suo insieme. Questa tesi ha finito poi per scalzare la tesi di Levi: Hillberg e Goldhagen e tanti altri parlano sempre e solo di una “responsabilità di massa” dei tedeschi per lo Sterminio. E pongono, Hillberg specialmente, la tesi che lo Sterminio fu l’ultima fase di un’opera di espulsione ed esclusione durata molti secoli. Dapprima fu detto agli ebrei: “Potete vivere in mezzo a noi, a patto che diventiate come noi. Convertitevi”. Fu l’epoca delle conversioni coatte. Poi fu detto: “Non siete diventati come noi, andate a vivere da un’altra parte”. Fu l’epoca dei ghetti. Il nazismo venne per attuare la terza fase: “Né fra noi né lontano da noi, non potete vivere da nessuna parte. Ovunque siate, dovete morire”. Ma questa terza fase non sarebbe stata possibile senza la seconda, e la seconda senza la prima. E su quella fasi ha un’impronta fondante la civiltà euro-occidentale, della quale io, come tutti qui, siamo figli. Levi è una nostra colpa. Recensendo il mio libretto “Conversazione con Primo Levi”, la stampa tedesca di destra (ma sono comunque grato che la Germania l’abbia tradotto) e la stampa francese di destra (ma sono grato che il libretto sia stato tradotto e recitato in teatro in una ventina di città, e la pièce dovrebbe ripartire di nuovo quest’anno) giudicavano Levi “obiettivo”, nell’attribuire la colpa al solo Führer, e me “razzista”, nel coinvolgere il popolo  tedesco. Si crede che veder girare un proprio libro nel mondo sia una gioia, invece è un martirio.

- Si potrebbe dire che Hitler nel popolo tedesco è riuscito a far emergere determinate caratteristiche che prima erano sopite, o comunque in letargo. Al riguardo mi pare che Marlene Dietrich abbia espresso sostanzialmente lo stesso concetto e lei appunto era tedesca.
C’è un passo della conversazione, all’argomento “Il diavolo nella storia”, in cui Lei dice: –Tuttavia, nei momenti delle grandi riprese dei loro movimenti morali e religiosi, loro pescano sempre in un repertorio di perdizione, di dannazione, di… e Levi aggiunge: – Di demoniaco? Al che la sua risposta è questa: – Di demoniaco, che coinvolge e annulla la stessa divinità…
La pregherei di precisare quali siano questi momenti in cui sono emerse caratteristiche di diabolica perdizione e di abbandono al male. Già che ci sono, mi risulterebbe che accadimenti simili non hanno caratterizzato solo i tedeschi, ma anche i polacchi e i russi.

Nella mia memoria si affacciava un brano di uno storico tedesco, che commentava come adesso dirò l’avvento del luteranesimo. Lo può trovare nell’Antologia di Critica Storica di Armando Saitta, in tre volumi, per Laterza. Il brano è questo: Lutero sta dialogando con un seguace, gli espone il suo concetto di Dio e di giustizia divina, come questa giustizia sia legata alla Grazia e separata dai merito. “Ma come si può amare un Dio come questo?” esclama terrorizzato l’allievo. “Amarlo?” risponde Lutero, “io lo odio”. Questa confessione di Lutero, che odia il proprio Dio, mi entrò nel cervello allora, ero studente di liceo classico, e non m’è più uscita. Nella mia cultura di euro-mediterraneo è inammissibile. Se non erro, Freud s’interrogava su quel che facevano i tedeschi del suo tempo, e rispondeva che erano “battezzati male”, cioè “mal cristianizzati”. In questi giorni mi sto occupando di Primo Levi, presento sulla “Stampa” un libro di Frediano Sessi intitolato “Il lungo viaggio di Primo Levi”, e mi son riletto le opere concentrazionarie di Levi: i custodi del lager non erano uomini, non avevano niente di umano. Nell’incontro del ’38 al Brennero con Mussolini, Hitler gli portò in regalo le opere di Nietzsche rilegate in pelle. Hitler non ha mai taciuto che intendeva realizzare il Superuomo di Nietzsche con le sue SS. L’avvento del Superuomo è teorizzato in “Così parlò Zarathustra”. “Tre incarnazioni dello Spirito io vi narro – esordisce Zarathustra -, com’esso divenne cammello, e di cammello leone, e di leone fanciullo”. Lo Spirito-cammello è il Cristianesimo. “Qual cosa pesa di più?” chiede lo Spirito cammello, partendo  per il proprio deserto, “ditemelo, o eroi, affinché io me lo sobbarchi”. Ma, fratelli miei, non significa questo immergersi nell’acqua putrida della verità, senza scacciare da sé i rospi viscidi e i vermi schifosi?” Le SS servivano a depurare l’acqua della vita dai rospi viscidi e dai vermi schifosi, a correggere l’umanità, perché com’era stata creata non andava bene.

- Comprendo; mi pare, però, di aver capito che in fondo Levi in questa conversazione non attribuisce le colpe dell’Olocausto al popolo tedesco (continua…)

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martedì, 9 novembre 2010

ASINO CHI LEGGE, di Antonella Cilento

asino-chi-legge-coverConosco Antonella Cilento da diversi anni. Di lei ho sempre apprezzato sia il talento letterario, sia l’impegno civile di una vita dedicata ai libri e alla letteratura. Questo impegno rimbalza dalle sue pagine ai corsi di scrittura de La linea scritta, dalle svariate iniziative culturali (come quella di Le strane coppie) alla sua attività svolta in giro per le scuole d’Italia con l’intento di trasmettere agli studenti – talvolta anche ai docenti – l’amore per la lettura e per la scrittura.
Ed è proprio da questa esperienza, dall’incontro con i ragazzi delle scuole, che nasce il volume Asino chi legge, appena pubblicato da Guanda (così come ben spiegato dalla scheda del libro).

“Asino chi legge” si scriveva una volta sui muri delle scuole, per sbeffeggiare un compagno ingenuo o gli adulti noiosi. Un tempo, neanche tanto lontano, avere libri in casa e un figlio laureato era considerato un valore aggiunto, il trionfo per una famiglia in risalita sociale. Da qualche anno, invece, leggere è considerato un errore, una perdita di tempo, un insignificante vizio. Studiare e leggere, è ormai noto, non ti porterà da nessuna parte, non ti aprirà le porte del mondo del lavoro, non farà di te una persona migliore, tanto vale trovare false scorciatoie.
Questo libro racconta la sfida di portare la letteratura, scritta e letta, in luoghi dove la passione per la pagina non è mai nata o si scontra con difficoltà inenarrabili: a Napoli, in Irpinia, in Trentino, in Sicilia e in altre province d’Italia. Antonella Cilento, perennemente in viaggio fra treni e scuole pubbliche, dove da anni offre servizio come esperto esterno di scrittura creativa, raccoglie storie divertenti, assurde e tristi: dai figli dei capo-clan napoletani ai timidi ragazzi della Nusco di De Mita, ai giovani pakistani di Bolzano, fissando una fotografia disincantata delle ultime generazioni, della percezione dello scrittore nelle scuole, e di un Paese in piena crisi di idee.
I ragazzi e i loro insegnanti sono, insieme ai luoghi, i veri protagonisti, con le pagine che scrivono, le loro vicende e la domanda più grave: cosa stiamo facendo del nostro futuro? Un viaggio alla ricerca di quel che stiamo perdendo o, in certi casi, abbiamo già perso, ma che niente, salvo noi stessi, può impedirci di riconquistare.

Dalla nota, dicevo, si capisce bene il senso di questa importante testimonianza… il cui sottotitolo è “I giovani, i libri, la scrittura”.
Ed è proprio dei giovani, dei libri e della scrittura che vorrei discutere con voi, insieme ad Antonella Cilento… che parteciperà al dibattito (questo post è da considerarsi come una “costola” del forum permanente “Letteratitudine chiama scuola”).
Pongo le solite domande, volte ad avviare la discussione…

1. Nella vostra esperienza, che rapporto hanno i ragazzi con la lettura?

2. Siete d’accordo sul fatto che da qualche anno leggere è considerato una sorta di errore, una perdita di tempo, un insignificante vizio?

3. Se è così… perché si è giunti a questo punto? E di chi è la colpa?

4. Viceversa, perché è importante leggere? Perché è importante saper scrivere? Come lo spieghereste a un ragazzo di oggi?

5. E con quali libri “iniziereste” alla lettura un ragazzo (o una ragazza) delle cosiddette scuole medie inferiori? E a quelli del liceo? Che letture proporreste?

6. Qual è, o quale dovrebbe essere, il ruolo della scuola e del corpo docente per incentivare gli studenti a leggere e a saper scrivere?

Vi sarei grato se poteste far “circolare” questo post, soprattutto tra i giovani e tra le scuole.
Grazie mille in anticipo.

Massimo Maugeri

P.s. Di seguito, l’articolo di Bruno Quaranta pubblicato in prima pagina di Tuttolibri de La Stampa del 23 ottobre… e le prime pagine di “Asino chi legge”
(continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, L'OMBRA E LA PENNA (con il contributo di Antonella Cilento), SEGNALAZIONI E RECENSIONI   292 commenti »

lunedì, 26 luglio 2010

SMETTERE DI FUMARE CON P. G. WODEHOUSE

Che rapporti avete con il fumo?
Avete mai fumato in vita vostra?
Siete fumatori incalliti?
Se sì… avete mai provato a smettere di fumare? Ci siete riusciti?
Raccontereste la vostra esperienza?

E a proposito di fumo: meglio la sigaretta, il sigaro, la pipa (o altro)?

Pensate che le campagne contro il fumo siano adeguate? Pensate siano esagerate?

E le limitazioni imposte ai fumatori nei luoghi pubblici? Sono giuste o eccessive?

Quale potrebbe essere un motivo, una ragione, per cui smettereste davvero di fumare?

Potrebbe esserci, viceversa, un motivo per cui comincereste a fumare?

Immagine 11 Sigarette

L’idea di proporvi questa discussione mi è sorta a seguito della recentissima uscita del volume “L’uomo che smise di fumare” di G. Pelham Wodehouse (Guanda, 2010). Una raccolta di divertentissimi racconti che potrebbe ben figurare nel forum dedicato alla letteratura dell’ironia.
Sarà anche l’occasione per conoscere un po’ meglio Pelham Grenville Wodehouse, autore di una novantina di romanzi tradotti in tutto il mondo.

Segue la scheda del libro…

Se ti trovi a Londra, all’Angler’s Rest, magari verso l’orario di chiusura, non hai scampo: devi sapere che assieme al tuo bicchiere di whisky ti verrà servita una storia incredibile e divertente da parte del più instancabile fra i chiacchieroni del locale, il signor Mulliner. Seduto accanto agli altri avventori, come Birra scura alla spina, Pesce persico e Doppio whisky e poca soda, farai conoscenza con la sterminata famiglia Mulliner, nipoti, cugini e lontani parenti compresi, sempre al centro di strampalate avventure. Come quella di Archibald, alle prese con la lettura di Shakespeare e di Bacone per impressionare la zia dell’amata Aurelia Cammerleigh, salvo poi scoprire che la ragazza trova questo genere di cose di una noia mortale; o quella in cui Ignatius decide di conquistare Hermione smettendo di fumare: una prova d’amore difficile (e non richiesta… ); fino ad arrivare ai racconti dedicati alla terribile Roberta “Bobbie” Wickham e alle peripezie che devono affrontare i suoi pretendenti, come trovarsi dei serpenti infilati fra le lenzuola da chissà chi o gettarsi in rocambolesche fughe dalla finestra alla rincorsa del famigerato treno del latte, primo mezzo utile per scappare dalla casa di famiglia della giovane donna, teatro di spassosi equivoci. Nove racconti che rappresentano ognuno un piccolo mondo, ritratti con il consueto, irresistibile umorismo senza tempo di P.G. Wodehouse.

E a proposito della storia di Ignatius che decide di conquistare Hermione smettendo di fumare, vi propongo questo brano estrapolato dal libro:
“«Se volete sapere che ne penso, signori» riprese il signor Mullner, «dirò che, per un uomo, smettere di fumare non soltanto è sciocco: è imprudente. È un gesto che risveglia il demone sopito in tutti noi. Smettere di fumare è diventare una minaccia per chi ci sta accanto. Non dimenticherò facilmente che cosa accadde nel caso di mio nipote Ignatius. Grazie a Dio la storia ha un lieto fine, ma…»”

Siete d’accordo con la tesi del signor Mullner?
Smettere di fumare può essere imprudente? È un gesto che risveglia il demone sopito in tutti noi? In altre parole: smettere di fumare può diventare una minaccia per chi ci sta accanto?

Vi invito a partecipare a questa discussione, nella speranza che non sia troppo… fumosa.

Massimo Maugeri

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lunedì, 10 maggio 2010

PADRI (SCRITTORI) e LIBRI: Valter Binaghi, Gianni Biondillo, Vito Bruno, Franz Krauspenhaar, Rosa Matteucci, Raul Montanari, Amedeo Romeo

padri-e-figliÈ un post a cui tengo particolarmente, questo… finalizzato ad avviare una discussione sul significato dell’essere padre, oggi; dell’essere marito (o partner); ma anche dell’essere scrittore (e/o artista). E ancora, sul rapporto tra padre e figlio (anche nel caso di genitori separati) e su quello tra uomo e donna all’interno del nucleo familiare.
Per farlo ho invitato sei scrittori che hanno pubblicato, di recente, romanzi… “in tema”. Si tratta (li elenco in ordine alfabetico di cognome) di: Valter Binaghi, Gianni Biondillo, Vito Bruno, Franz Krauspenhaar, Raul Montanari, Amedeo Romeo.
Avrò modo di presentarli nel corso della discussione.

Vi anticipo i tratti in comune che hanno i protagonisti di queste storie (in fondo al post troverete le schede dei rispettivi libri).

- Il protagonista del libro di Valter Binaghi si chiama Fausto Blangé: è uno scrittore che ha perso la moglie (morta suicida) e ha ucciso il suo ex analista.

- Luca, personaggio del libro di Gianni Biondillo, è un padre separato che deve fare i conti con la moglie che gli impedisce di vedere la figlia.

- Anche il protagonista del libro di Vito Bruno – un uomo che scrive a quella che sta per diventare la sua ex moglie – deve affrontare la terribile esperienza della separazione dal figlio.

- Il personaggio principale del romanzo di Franz Krauspenhaar è un anziano scrittore italiano di origine tedesca alla ricerca della moglie scomparsa. L’uomo teme che sia stata uccisa dal figlio.

- Danio è il protagonista del libro di Raul Montanari: fa lo psicologo, è separato e ha un figlio, nervoso come tutti i ventenni. Ha anche una giovane fidanzata, e un tremendo segreto: è un assassino… un assassino per caso.

- Andrea Morini, invece, personaggio del romanzo di Amedeo Romeo, è affascinato dalla maternità ma… ha il terrore di diventare padre.

Discuteremo, approfittando della presenza degli scrittori/ospiti, dei libri (introdotti di seguito), ma anche dei temi del post.

Pongo alcune domande volte a favorire la discussione (e ispirate dai romanzi oggetto di questa discussione).

1. Come è cambiato, oggi, l’essere padre?

2. In cosa, il padre di oggi, si differenzia nettamente da quello delle generazioni precedenti? Quali i pro e i contro di tali differenze?

3. Che cosa significa, oggi, “volere” un figlio?

4. Premesso che le principali vittime delle separazioni tra i coniugi sono quasi sempre i figli, tra il padre e la madre chi è che subisce – in genere – il trauma maggiore? E chi, in genere, tra i due presenta maggiori fragilità?

5. L’uomo contemporaneo rischia di rimanere vittima della corruzione del successo di più o di meno rispetto a qualche decennio fa? E il successo che corrompe colpisce di più l’uomo, il marito, il padre, lo scrittore (o – in maniera analoga – la donna, la moglie, la madre, la scrittrice)?

Contestualmente coglieremo l’occasione per discutere sulla legge relativa all’affidamento dei minori.

Mi daranno una mano a moderare la discussione: Simona Lo Iacono (che, nella veste di scrittrice e giurista, metterà a nostra disposizione le sue competenze per fornirci informazioni e chiarimenti sulla vigente normativa sull’affidamento dei minori nei casi di separazione dei genitori; in fondo al post troverete un suo articolo), Francesca Giulia Marone (nel ruolo di scrittrice, madre e figlia: mercoledì 12, h. 8.00, trovere un suo racconto pubblicato su La poesia e lo spirito) e Ausilio Bertoli (che – nel duplice ruolo di scrittore e psicosociologo della comunicazione e della devianza – ci fornirà spunti e chiarimenti di natura, appunto, psicologica; ne approfitto per segnalare questo libro). Ad affiancare Ausilio Bertoli, anch’egli nel duplice ruolo di scrittore e psicanalista: Salvo Montalbano (nulla a che vedere con Camilleri, come si evince da questa recensione al suo romanzo).

Di seguito, le schede dei sei romanzi.
Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, LETTERATURA È DIRITTO... È VITA (a cura di Simona Lo Iacono), SEGNALAZIONI E RECENSIONI   432 commenti »

giovedì, 11 marzo 2010

SE NIENTE IMPORTA, PERCHÉ MANGIAMO GLI ANIMALI?

Il giovane scrittore americano Jonathan Safran Foer ha pubblicato di recente un saggio che sta facendo “parlare” parecchio di sé (sia sulle pagine culturali cartacee, sia sul web: segnalo, tra gli altri, il dibattito condotto su Satisfiction dall’amico Gian Paolo Serino… a cui vanno tante congratulazioni per il nuovo editore di Satisfiction/rivista: Vasco Rossi).

Il titolo di questo nuovo libro di Foer – Se niente importa, perché mangiamo gli animali? (Guanda, 2010) – contiene al suo interno una domanda, sulla quale si potrebbe discutere a lungo (che è, appunto): perché mangiamo gli animali?

Per farvi capire di cosa tratta, riporto – di seguito - una parte della scheda che trovate sulla bandella laterale:
Jonathan Safran Foer, da piccolo, trascorreva il sabato e la domenica con sua nonna. Quando arrivava, lei lo sollevava per aria stringendolo in un forte abbraccio, e lo stesso faceva quando andava via. Ma non era solo affetto, il suo: dietro c’era la preoccupazione costante di sapere che il nipote avesse mangiato a sufficienza. La preoccupazione di chi è quasi morto di fame durante la guerra, ma è stato capace di rifiutare della carne di maiale che l’avrebbe tenuto in vita, perché non era cibo “kosher”, perché “se niente importa, non c’è niente da salvare”. Il cibo per lei non è solo cibo, è “terrore, dignità, gratitudine, vendetta, gioia, umiliazione, religione, storia e, ovviamente, amore”. Una volta diventato padre, Foer ripensa a questo insegnamento e inizia a interrogarsi su cosa sia la carne, perché nutrire suo figlio non è come nutrire se stesso, è più importante. Questo libro è il frutto di un’indagine durata quasi tre anni che l’ha portato negli allevamenti intensivi, visitati anche nel cuore della notte, che l’ha spinto a raccontare le violenze sugli animali e i venefici trattamenti a base di farmaci che devono subire, a descrivere come vengono uccisi per diventare il nostro cibo quotidiano.

Riporto anche questo brano, estrapolato dal libro:
“E’ antropomorfismo provare a immaginarsi dentro la gabbia di un animale d’allevamento? E antropodiniego non farlo?
Una gabbia per galline ovaiole concede in genere a ogni animale una superficie all’incirca di quattro decimetri quadrati: uno spazio grande poco meno di un foglio A4. Le gabbie sono accatastate in pile da tre a nove — il Giappone detiene il record d’altezza per le gabbie di batteria, con pile di diciotto gabbie — in capannoni privi di finestre.
Entra mentalmente in un ascensore affollato, un ascensore così affollato che non riesci a girarti senza sbattere (esasperandolo) contro il tuo vicino. Un ascensore così affollato che spesso rimani sollevato a mezz’aria. Il che è una specie di benedizione, perché il pavimento inclinato è fatto di fil di ferro che ti sega i piedi. Dopo un po’ quelli che stanno nell’ascensore perderanno la capacità di lavorare nell’interesse del gruppo. Alcuni diventeranno violenti, altri impazziranno. Qualcuno, privato di cibo e speranza, si volgerà al cannibalismo.
Non c’è tregua, non c’è sollievo. Non arriverà nessun addetto a riparare l’ascensore. Le porte si apriranno una sola volta, al termine della tua vita, per portarti nell’unico posto peggiore…”

Come vi dicevo, questo è un libro che sta facendo “parlare di sé” (c’è chi è d’accordo con Foer e c’è – ovviamente – chi non la pensa come lui).

Per favorire la discussione estrapolo alcune domande dalla recensione del sito Ibs (linkata sopra).
Da dove viene la carne che finisce sui nostri piatti? Com’è prodotta? Come sono trattati gli animali e in che misura è importante? Quali effetti ha mangiare gli animali sul piano economico, sociale e ambientale?

E poi…
Davvero “niente importa”, pur di salvaguardare interessi economici e soddisfazione della gola? Non ci sono alternative possibili?

Ne aggiungo qualche altra…
Secondo voi la frase “mangiare (troppa) carne fa male” è vera o falsa?
Vi è mai capitato, in generale, di interrogarvi sulle vostre abitudini alimentari?

Vi siete mai posti il problema della salute e delle condizioni in cui vivono gli animali da allevamento?

Nella nostra società esiste ancora il cosiddetto “peccato di gola”?
Domanda provocatoria: se Dante dovesse scrivere oggi la Divina Commedia… contemplerebbe ugualmente il “girone dei golosi”?

In basso, un video con Safran Foer. Nei prossimi giorni arricchirò il post con ulteriori contributi e spunti.
Intanto, se volete, potete cominciare a dire la vostra…

Massimo Maugeri
(continua…)

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martedì, 16 giugno 2009

ISOLE SENZA MARE, di Antonella Cilento


“Isole senza mare” è il nuovo romanzo di Antonella Cilento, ma è anche la storia parallela di due donne che attraversano l’Otto e il Novecento: Aquila, nobile caduta in povertà e costretta a lasciare la Spagna, vende se stessa e tenta il riscatto diventando l’amante del marchese Campana, collezionista di arte e di vite altrui, un amore che la trascinerà in una trama di ossessioni, vendette e fantasmi. Nina, ultima erede di una catena di donne che dalla Spagna sono fuggite, ha più di ottant’anni, ha vissuto il Fascismo e una difficile intimità famigliare percorsa da molti nodi silenziosi: orfana di padre, sposa tardiva, madre mancata. Aquila e Nina amano con infelicità, entrambe sono esiliate: legate a doppio filo da rimandi, coincidenze ed eredità, le loro vicende si intrecciano con un coro di indimenticabili personaggi sullo sfondo del Mediterraneo.
Un romanzo sulla solitudine, sull’isolamento, sull’esilio. Sull’amore deluso. Un’opera letteraria che ha impegnato Antonella Cilento per ben dieci anni e che finalmente vede la luce.
Ce ne parlano Luigi La Rosa e Simona Lo Iacono.
Vi invito a discuterne con loro e con l’autrice.
Di seguito pongo alcune domande/riflessioni – ispirate al romanzo – con l’intento di favorire la discussione.

1 -Isole senza mare. Isole senza amore.
Siamo isole quando amiamo? E quando scriviamo?

2 – Isole senza approdo, anche. Perchè se non c’è mare, non c’è riva. Se scriviamo come isole siamo, anche, viaggiatori senza ritorno?

3 – Isole senza tempo. Le generazioni che sfalsano e scombinano destini.
Il tempo che scorre è solitudine? È compimento?

4 – Isole senza viaggio.
Un viaggio, per scrivere, è necessario? E quale viaggio?

Di seguito, gli ottimi contributi di Luigi La Rosa e Simona Lo Iacono.
Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in L'OMBRA E LA PENNA (con il contributo di Antonella Cilento), LETTERATURA È DIRITTO... È VITA (a cura di Simona Lo Iacono), SEGNALAZIONI E RECENSIONI   137 commenti »

lunedì, 27 aprile 2009

SHAKESPEARE, IL MISTERIOSO. Incontro con Domenico Seminerio

Parliamo di William Shakespeare, uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi.
Comincio subito con alcune domande.

Vi siete mai interessati a Shakespeare?

A vostro giudizio, che contributo ha dato alla letteratura mondiale?

Quali sono le vostre preferite, tra le tante opere da lui firmate e messe in scena?

Non è un caso se ho intitolato questo post: Shakespeare, il misterioso. Il mistero deriva soprattutto dai dubbi sulla sua identità.

William Shakespeare è stato proprio William Shakespeare?


Di recente, il prestigioso Wall Street Journal ha preso posizione in merito ospitando l’opinione del giudice John Paul Stevens, della Corte Suprema americana. Per Stevens, giudice di 88 anni, Shakespeare era solo un prestanome dietro il quale si nascondeva Edward de Vere, diciassettesimo lord Oxford.
I dubbi sull’identità di Shakespeare hanno data antichissima. Anche gente nota, del calibro di Orson Welles e Oscar Wilde, ha appoggiato la tesi del prestanome. C’è da dire che i candidati alla vera identità del celebre drammaturgo sono più di uno. Oltre a quello di de Vere, un altro nome indicato con una certa frequenza è quello di sir Henry Neville.
Bill Bryson, però, noto scrittore americano non è d’accordo con queste tesi. A suo parere si tratta di fantasie romanzesche più vicine alle teorie dei complotti che non a seri studi. Così si evince dal suo libro Il mondo è un teatro. La vita e l’opera di William ShakespeareGuanda (pp. 246, euro 15, traduzione di Stefano Bortolussi).

Ne parliamo con Domenico Seminerio, autore del bellissimo romanzo Il manoscritto di Shakespeare (Sellerio). Nel libro di Seminerio un vecchio maestro elementare – che vive in Sicilia - è convinto che il noto drammaturgo fosse stato in realtà un siciliano, costretto dai casi della vita a emigrare e cambiare nome. Il maestro sa bene che la teoria non è nuova, ma afferma di avere prove certe.
Ci fornisce approfondimenti sul romanzo la professoressa Maria Rita Pennisi, con la recensione che potrete leggere di seguito.
Subito dopo, troverete un articolo sul libro di Bryson firmato da Ranieri Polese e pubblicato sul Corriere della Sera del 20 aprile 2008. In coda al post vi attende un interessante pezzo di Enrico Franceschini – pubblicato su Repubblica del 9 marzo 2009 – relativo al… vero volto di Shakespeare.
Massimo Maugeri
(continua…)

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lunedì, 16 giugno 2008

LE DONNE E LE SOCIETÀ DIFFICILI: SALMA E ABEEDA

donne-velo.JPGSalma e Abeeda sono due personaggi letterari.
Due donne che vivono in contesti sociali difficili e che reagiscono alle avversità in maniera diversa.
Salma è condannata a morte nel suo villaggio di beduini per essere rimasta incinta prima del matrimonio.
Per sopravvivere lascia la sua piccola, appena nata, in mano agli abitanti del villaggio e fugge in esilio in Inghilterra, dove si costruisce una nuova vita… in un mondo completamente diverso. Un mondo dove tutto è permesso, dove il sesso è addirittura incoraggiato, dove niente le dovrebbe far rimpiangere il suo passato arabo e musulmano. Eppure…
Abeeda è una donna musulmana che conduce una doppia vita: divorziata, madre di quattro figli, invischiata nel luccicante mondo dei casinò dove sviluppa una vera e propria dipendenza dal gioco.
Abeeda, sotto il velo, nasconde l’ardore di una donna mentalmente libera e indipendente: la sua personalità, per certi versi, scardina una serie di cliché sull’identità culturale e religiosa delle donne musulmane e della società che le circonda.
Salma e Abeeda sono due personaggi simbolo. Due donne a confronto con società (a esse) avverse. Due donne che, in un modo o nell’altro, lottano per la loro emancipazione.
Un tè alla salvia per Salma” di Faqir Fadia (edito da Guanda) ci viene presentato da Silvia Leonardi.
Salvo Zappulla ha recensito “Confessioni di una giocatrice d’azzardo” di Rayda Jacobs (edito da Del Vecchio editore): cliccando qui potrete leggere il primo capitolo del libro.
Silvia e a Salvo mi daranno una mano a moderare questo post.
Colgo l’occasione per invitare Pietro Del Vecchio a presentare il progetto editoriale della casa editrice che dirige.
A voi chiedo di discutere sull’argomento “donne e società difficili”.
Vi domando:
Le società che ospitano donne come Salma e Abeeda sono davvero così opprimenti nei confronti del genere femminile? O la nostra visione risente, almeno in parte, di stereotipi (come ci suggerisce il personaggio Abeeda)?
E in ogni caso, quale dovrebbe essere la strada perché queste donne possano beneficiare di una maggiore emancipazione?
E quante, tra queste donne, desiderano davvero una maggiore emancipazione?
E poi… fino a che punto è possibile generalizzare? Quante sub-società esistono all’interno di una società?

Massimo Maugeri

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UN TE’ ALLA SALVIA PER SALMA di Faqir Fadia

recensione di Silvia Leonardi (nella foto)

silvia_leonardi.JPG

Un romanzo dolceamaro, in un ossimoro che non può essere separato. Un periodare che intreccia presente, passato, immaginario e vissuto senza confondere né spiazzare. Come essere nella mente della protagonista, filtrare la luce attraverso i suoi occhi, osservare immagini tremolanti corrotte da lacrime in bilico.
“Un tè alla salvia per Salma” è la storia di una donna beduina e della sua fuga dalla Giordania all’Inghilterra. Un passaggio tra due culture in cui Salma difende se stessa e il suo diritto ad essere donna a dispetto di tutto.
Condannata a morte per aver amato un uomo prima del matrimonio, è costretta a farsi arrestare per aver disonorato la sua gente e la famiglia. Minacciata di morte dallo stesso fratello che vuole lavare col sangue la vergogna, la sua salvezza sarà prima l’umida cella che la ospita e poi la fuga in una cittadina inglese. Qui Salma prova a inventarsi una nuova vita, annaspa alla ricerca di un appiglio e capisce, ogni giorno sempre meglio, che dimenticare è impossibile. Un vento freddo, un pianto lontano, un segreto pesante come un macigno sul cuore, troppe sono le cose e le persone che ha lasciato e che non può dimenticare.

Personaggio contraddittorio e malinconico, Salma si nutre delle sue incertezze e nello stesso tempo cerca e trova appigli nella solidarietà delle donne. Quelle che ha perso e quelle che incontra nella sua nuova vita. Fortissimo in lei il sentimento di estraniazione, il suo sentirsi “aliena” in un paese così diverso dal suo, dove essere libera e occidentalizzata non vuol dire altro che adattarsi a nuove regole.
Così ogni tanto Salma si spreca, si butta via, convinta di non valere niente e di meritare il disprezzo della gente. E mentre impara a leggere riviste di moda, a parlare inglese, a camminare sui tacchi, continua a sentirsi inadeguata. Fuori posto. Una pastora nera in un mondo di donne bionde, belle e chiare.
Ma Salma, a suo modo tenace, conquista piano il suo spazio senza fare rumore. Tutto quello che ha è tutto quello che nel tempo si è guadagnata e finalmente – dopo tanti anni – nella sua vita così diversa comincia a farsi spazio l’ombra lieve della felicità.
Sentimento fuggevole per Salma, colomba scura che vive in bilico perenne tra ricordi, pianto e sorrisi. Tra amori che ha lasciato e amori nuovi.
Adesso che potrebbe fermarsi a riposare, Salma sente che quello che ha lasciato nella sua terra di “capre, vigne, ulivi, e prugni e mandorli e fichi e meli” è molto più che un ricordo. E sarà questa la spinta di un viaggio in cui Salma ritroverà se stessa.

Un brano tratto dal libro:
“Nel buio della notte o alle luci dell’alba, restino i tuoi petali serrati, strette e chiuse le gambe! Io invece ricevetti Hamdan come un fiore avventato che si spalanca al sole.
Salma, adesso sei una donna… Sei mia, sei la mia schiava.»
«Sì, sì, sì» gli dicevo. Niente fazzolettini di carta, preservativi o spermicidi, solo l’odore della terra fertile arata di fresco. Mi lavai i calzoni nel ruscello e tornai a casa stordita. Da quel momento, notte dopo notte lo aspettai distesa sotto il fico.
«La mia puttana è ancora qui!» mi diceva, poi mi prendeva in fretta.
«Ancora» gli sussurravo.
Quando Hamdan non girò più su se stesso e io smisi di baciare cavalli, capre e alberi, le nostri madri cominciarono a insospettirsi. «Piccola sgualdrina, che cosa hai fatto?» Mia madre mi trascinò per i capelli.
«Madre, ti prego…»
«Hai ricoperto di pece il nostro nome! Tuo fratello ti sparerà in mezzo agli occhi.»
«Madre!»
I miei petali vennero strappati a uno a uno. Mi tirò i capelli, mi diede morsi, cinghiate finché non fui tutta chiazze e sprofondai serena nell’oscurità.”

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CONFESSIONI DI UNA GIOCATRICE D’AZZARDO di Rayda Jacobs

recensione di Salvo Zappulla (nella foto)

salvo_zappulla.JPGAbeeda, la protagonista di questo avvincente romanzo, è una donna musulmana praticante, divorziata, madre di quattro figli, di cui uno omosessuale (il minore) muore per AIDS. Abeeda porta il velo nel rispetto delle tradizioni ma le vicissitudini della vita, le frustrazioni accumulate sviluppano in lei un senso di ribellione, un desiderio furente di scardinare cliché religiosi e culturali da farla assurgere a simbolo dell’emancipazione femminile. Il suo miraggio di libertà è il casinò dove dilapida il suo patrimonio; si libera dei pesanti fardelli psicologici inebriandosi nella trasgressione, nel vizio, in definitiva nel peccato.
Rayda Jacobs manipola con sapiente tecnica narrativa una storia dal forte impatto sociale, gioca con i sentimenti contrastanti di una protagonista sempre sull’orlo del baratro: la tresca con il cognato, la storia di sesso con il proprio datore di lavoro, il rapporto ambiguo con la sorella, le amicizie perdute e poi ritrovate, le affannose corse al casinò, i conflitti interiori con se stessa, i brevi lampi di lucidità, lo spasmodico desiderio di vita, le debolezze proprie dell’umanità.

 

Questo romanzo è la storia di un’ infinita solitudine, che trova sfogo nei bagliori pirotecnici e ammalianti delle macchinette da gioco, nell’abisso vorticoso della dipendenza dal gioco d’azzardo in cui Abeeda precipita senza più trovare la via di uscita, fino a escogitare il falso furto della propria auto per cercare di risanare i debiti. Il ritmo incalzante, gli intrecci conturbanti, la prosa limpida e accattivante ne hanno fatto un best-seller tradotto in diverse lingue, e ottimo fiuto ha avuto Pietro Del Vecchio ad accaparrarsene i diritti per l’Italia. Il film sudafricano tratto dallo stesso romanzo Confessions of a gamber (Les confessions d’une joueuse), di Rayda Jacobs e Amanda Lane, in concorso al Dubai International Film Festival, è ambientato nella comunità indiana di Lape Town e vede protagonista la stessa Rayda Jacobs la quale interpreta il ruolo di Abeeda.

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