lunedì, 24 ottobre 2011
ESSERE FIGLI D’ARTE: PRIGIONE O OPPORTUNITÀ? IL “TIMOR SACRO” DI STEFANO PIRANDELLO
L’essere figli di una persona nota in campo artistico, è più un peso o un privilegio (nel caso in cui il figlio volesse ripercorrere la strada del padre)?
È più una prigione o un’opportunità?
Qualcosa di cui approfittare o da cui rifuggire?
Per esempio, se Sophie Auster, figlia dello scrittore Paul, anziché fare la cantante e l’attrice avesse deciso di darsi alla letteratura, avrebbe più o meno successo di adesso?
E se Stella McCartney, figlia dell’ex beatle Paul, avesse deciso di dedicarsi alla musica piuttosto che alla moda, sarebbe riuscita a sfondare?
E Julian Lennon? Se non fosse stato figlio di John, sarebbe più o meno noto di quanto in effetti oggi è?
Non è facile rispondere: è presumibile che dipenda dall’importanza del nome. È improbabile, cioè, che il figlio di un gigante dell’arte possa raggiungere i risultati del genitore. Anche se è bene non generalizzare in maniera assoluta. Per esempio, prendiamo questi due big di Hollywood: meglio Kirk Douglas o Michael Douglas?
Insomma, vi invito a dire la vostra sul tema “padri e figli d’arte… e relative ripercussioni” (magari potreste proporre altri esempi). Nel contempo, vi presento un caso e un libro che rientrano in maniera perfetta nella tematica proposta.
Qualcuno lo indica già come uno dei nuovi possibili casi letterari. Un romanzo postumo, firmato da un autore che porta uno dei cognomi più celebri della storia della letteratura. Un cognome che, probabilmente, lo ha penalizzato. Non è facile, infatti, essere figli di Luigi Pirandello e portare avanti il sogno, o meglio, la “necessità” della scrittura cercando di sfuggire al fastidioso e inevitabile peso del confronto. È quello che è successo a Stefano Pirandello, primogenito di Luigi, scrittore raffinato, schivo, costretto a ricorrere a uno pseudonimo (Stefano Landi) per pubblicare i suoi lavori senza incorrere, appunto, nel rischio di rimanere oscurato dall’ombra paterna.
Il lavoro di tutta una vita di Stefano Pirandello, cominciato negli anni Venti e riveduto più volte fino alla scomparsa dell’autore (avvenuta a Roma il 5 febbraio 1972), è un romanzo che vede la luce per la prima volta in questi giorni grazie all’impegno editoriale della Bompiani e alla cura dell’ordinario di Letteratura Italiana nell’Università di Catania Sarah Zappulla Muscarà (che ha già avuto il merito di dare nuovo lustro alle opere di Bonaviri, Patti e Addamo). Si intitola “Timor sacro” (Bompiani, pagg. 336, € 14,00) ed ha caratteristiche metanarrative giacché il protagonista, lo scrittore Simone Gei (alter ego dell’autore), è alle prese con la stesura di un’opera di esaltazione del fascismo. Nella narrazione, la storia di Gei si alterna a quella dell’albanese Selikdàr Vrioni, sfuggito alle arcaiche leggi di vendetta privata della sua stirpe.
Sono molteplici gli elementi di interesse di questo romanzo. Tra questi, come già accennato, l’aspetto metaletterario (“Timor sacro” è un romanzo sulla genesi del romanzo, dunque un metaromanzo), ma anche la natura autobiografica e i riferimenti – sebbene mascherati e trasfigurati – ai componenti della tormentata famiglia Pirandello (il padre Luigi, la madre Maria Antonietta Potulano, i fratelli Fausto e Lietta), agli amici più intimi di Luigi e di Stefano e a varie personalità di quegli anni. Non è difficile riconoscere tra le righe del libro letterati del calibro di Corrado Alvaro, Corrado Pavolini, Massimo Bontempelli, o politici come Ciano e Bottai, o scrittori come D’Annunzio, Malaparte, Alberto Savinio, Silvio D’Amico. Ma da “Timor sacro” emergono anche i risvolti inevitabili di un’epoca: la proclamazione dell’impero, la pena di morte, la figura del Boia, le leggi razziali. Su tutto, si erge il forte legame con il padre. Un legame che è totale, ma al tempo stesso tormentato. Amoroso, eppure tirannico.
«Romanzo pericoloso e di tutta una vita, l’inedito Timor sacro», – scrive nella prefazione Sarah Zappulla Muscarà – «erudito, alchemico, cui compete la dimensione dell’immaginario, come vuole Milan Kundera, ma pure della realtà, talora tragica, inesorabilmente violentata e compassionevolmente stravolta». Romanzo che «dell’itinerario esistenziale di Stefano ripercorre le tappe fondamentali. L’entusiasmo irredentista, la partenza per il fronte, la dura cattività, la beffa risorgimentale, il non facile reinserimento del reduce, la vicenda amorosa, l’emancipazione dal padre, la scelta definitiva dell’arte».
Diversi, dunque, i motivi per leggere “Timor sacro”. E il fatto che questo romanzo raggiunga per la prima volta gli scaffali delle librerie, dopo quasi quarant’anni dalla morte del suo autore, conferma la veridicità del titolo dell’ultimo intenso capitolo dell’opera: “Il libro traversa la vita e va oltre”.
Oltre che della tematica in generale, avremo modo di discutere anche di questo libro di Stefano Pirandello. L’amica Laura Marullo, docente presso facoltà di lettere dell’Università di Catania, mi darà una mano a moderare e ad animare la discussione.
Ma aspetto, ovviamente, i contributi da parte di tutti gli amici di Letteratitudine!
Come sempre, grazie in anticipo.
Massimo Maugeri
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