Giorni fa, come vi spiegherò in dettaglio tra i commenti che avvieranno la discussione che seguirà a questo post, ho ricevuto una mail che aveva a che fare con… l’utopia.
Da lì ho iniziato a riflettere su come (e se) il ricorso all’utopia (nella sua accezione positiva), oggi, possa in qualche modo essere utile alla crescita collettiva e individuale.
Mi sono domandato: è possibile, oggi, dare spazio all’utopia?
Quali sarebbero i pro e i contro?
Poi mi sono imbattuto su due citazioni celebri. La prima – quella a favore dell’utopia – è di Oscar Wilde e recita così: «Una carta del mondo che non contiene il Paese dell’Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo Paese al quale l’Umanità approda di continuo. E quando vi getta l’àncora, la vedetta scorge un Paese migliore e l’Umanità di nuovo fa vela.» (Oscar Wilde)
La seconda – a sfavore – è di Paul Claudel e dice: «Chi cerca di realizzare il paradiso in terra, sta in effetti preparando per gli altri un molto rispettabile inferno.» (Paul Claudel)
Secondo voi chi, tra i due, ha più ragione? E perché?
Seguendo i percorsi della mia riflessione, mi è venuto in mente il titolo di un celeberrimo romanzo ispirato a una storia vera: “La città della gioia” di Dominique Lapierre (pubblicato nel 1985). Ve lo ricordate?
Con l’aiuto di Wikipedia Italia, vi accenno la trama:
Ambientata negli anni ‘80, l’opera narra tre storie di personaggi che, per motivi diversi, andranno a vivere nella più grande baraccopoli di Calcutta: La città della gioia. Il primo protagonista del libro è Hasari Pal, un contadino che, a seguito della devastazione del proprio raccolto causato da un disastro naturale, è costretto ad emigrare nella megalopoli con la propria famiglia, in cerca di un nuovo lavoro. Tra mille peripezie riuscirà a diventare un “uomo cavallo”, ossia un guidatore di risciò.
Il secondo protagonista del romanzo è Paul Lambert, un missionario francese che ha deciso di vivere la sua vocazione tra i più poveri dei poveri. Dopo varie difficoltà causate dall’estenuante burocrazia indiana, riuscirà a coronare il suo sogno. I primi giorni nella bidonville non saranno di sicuro facili (imparare a lavarsi dalla testa ai piedi con pochissima acqua, il cibo scarso…), ma con il passare del tempo il religioso riuscirà a farsi accettare dalla comunità e a essere d’aiuto nei problemi quotidiani della stessa. Tra questi, Paul capisce che uno dei problemi maggiori che assilla la comunità è la totale mancanza di assistenza medica. Per questo motivo decide di pubblicare un annuncio per reclutare giovani medici decisi ad avviare una struttura al fine di fornire assistenza medica agli indigenti.
A questo annuncio risponde il terzo personaggio del romanzo: Max Loeb. Un giovane medico statunitense, figlio di un noto cardiologo di Miami, che, alla ricerca di nuovi stimoli, decide di spendere un anno della sua vita in questo progetto.
Questi tre personaggi arriveranno a condividere esperienze molto provanti e dolorose: la povertà estrema, la morte prematura di un giovane malato di tubercolosi, la mafia dello slum che rende la vita dei poveri ancora più misera. Ma in tutte queste esperienze i protagonisti, in particolar modo quelli occidentali, giungeranno a riconoscere in ciascun abitante dello slum una dignità e una forza nel superare le avversità, da far capire loro a pieno il perché del nome “La città della gioia”.
Mi domando, e vi domando: è ancora possibile, oggi, trovare dignità e forza nelle situazioni e nei luoghi più disagiati?
“La città della gioia”, in altri termini, può esistere o è solo una… utopia (intesa, stavolta, nella sua accezione “negativa”)?
E avrebbe ancora senso, oggi, rileggere (o far leggere) questo libro di Dominique Lapierre?
Nel corso della discussione vi dirò come sono nate queste riflessioni.
Massimo Maugeri
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AGGIORNAMENTO DEL 23 novembre 2009
Primo Festival dell’Utopia di Biancavilla – 22 novembre 2009
Servizio del TG3 Sicilia del 23/11/2009
La giuria del premio “Leonardo Sciascia, un sogno fatto in Sicilia”,
presieduta dallo scrittore Domenico Seminerio, ha decretato domenica
22 novembre 2009 i seguenti vincitori:
GIANLUCA TERRANOVA (sez. poesia)
FRANCESCO NICOSIA (sez. racconto)
GIOVANNA EMANUELA CORSARO (sez. articolo giornalistico)
La giuria ha ritenuto doveroso inoltre segnalare:
ALFIO ZAMMATARO
SALVO SIDOTI
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