lunedì, 19 ottobre 2009
LETTERATURA E FUMETTI, LETTERATURA A FUMETTI
Tempo fa avevamo già avuto modo di trattare il tema Letteratura e fumetti nell’ambito di questo post. Adesso mi piacerebbe approfondire ulteriormente l’argomento e creare, contestualmente, una sorta di spazio permanente sulla suddetta tematica. L’occasione ce la forniscono una interessante pubblicazione di Annalisa Stancanelli – Vittorini e i balloons (Bonanno) - e una rivista che ha a cuore sia i fumetti che la letteratura: Mono.
In fondo al post avrete modo di leggere un saggio firmato dalla Stancanelli (sul rapporto tra Elio Vittorini e i fumetti) e un articolo di Angelo Orlando Meloni su Mono (che privilegia il numero della rivista dedicato alla letteratura).
Uno spazio sempre aperto, dicevo, sul tema (e sul rapporto) letteratura/fumetti dove – periodicamente – inviterò alcuni ospiti a partecipare alla discussione. Annalisa Stancanelli e Angelo Orlando Meloni mi aiuteranno a moderare e animare questo post e a rendere lo “spazio permanente” sempre vivo.
Vi invito, dunque, a discutere sia su “Vittorini e i fumetti” e sulla rivista “Mono”, sia – più in generale – sull’argomento Letteratura e fumetti, letteratura a fumetti.
E ora… alcune domande, formulate nella speranza di favorire la discussione (vi invito a rispondere… se ne avete voglia, s’intende).
- L’arte del fumetto è inferiore, uguale o superiore a quella della letteratura?
- “I fumetti sono più per i ragazzi, la letteratura è più per gli adulti”. Questa frase è un luogo comune o nasconde un fondo di verità?
- Che rapporto avete con le “grapich novel” (romanzi a fumetti)?
- Cos’è che un romanzo a fumetti non potrà mai eguagliare in un classico romanzo? E, viceversa, cos’è che un romanzo tradizionale non potrà mai eguagliare in un romanzo a fumetti?
- Qual è il personaggio dei fumetti che preferite?
- In generale, lo “spessore” dei più grandi personaggi dei fumetti può essere paragonato a quello dei più grandi personaggi dei romanzi tradizionali?
Di seguito: il saggio di Annalisa Stancanelli e l’articolo di Angelo Orlando Meloni.
Massimo Maugeri
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Vittorini l’anticipatore; aprì per primo ai fumetti le porte della “letteratura alta”
di Annalisa Stancanelli
Vittorini, diceva Oreste Del Buono, “era l’uomo che forse ha fatto di più per strappare la cultura italiana all’accademia e alla retorica”.
Era un coraggioso sperimentatore e un intellettuale avido di novità, curioso di tutto e di tutti.
I fumetti per lo scrittore erano a tutti gli effetti una forma di narrazione, la riscrittura di un mondo poetico; quelli che venivano considerati comics di qualità per l’intellettuale siciliano costituivano una forma di scrittura con la S maiuscola pertanto dovevano essere conosciuti e diffusi.
Per il suo interesse nei confronti dei fumetti, già noto negli anni Sessanta, Eco lo intervistò insieme a Oreste Del Buono, compagno d’avventura nel “Politecnico”, e poi per molti anni direttore della rivista “Linus”, nel primo numero di questa nuova pubblicazione che sdoganò i fumetti e li inserì nel circuito della letteratura cosiddetta alta ( “Linus”, numero 1, aprile 1965).
Come ha scritto Umberto Eco, su “Linus” n. 12, marzo 1966:
“Vittorini leggeva i fumetti, si divertiva con freschezza, ne ragionava con rigore critico, cercava di capirli, di farli capire, di giudicarli, nel bene come nel male, senza false compiacenze, senza snobismi. Non li “accettava”, li affrontava perché esistevano, e dunque dovevano significare qualcosa, e lui non poteva sottrarsi, doveva gettarsi anche in questa mischia, per chiarire, per capire, per far capire.
(Per Vittorini ) Non (…) pareva che esistesse distinzione di dignità tra una storia tutta scritta e una storia tutta disegnata: gli premeva solo che un libro desse qualcosa, stimolasse la fantasia, documentasse una situazione, un modo di pensare; sapeva che si può riflettere sull’uomo sia in endecasillabi che in strisce”.
Vittorini era un assiduo frequentatore della libreria Milanolibri ed un giorno per caso, scoprì Charlie Brown e i Peanuts; lo raccontò lui stesso nel corso della Tavola Rotonda del 1965 che battezzò appunto “Linus”, la rivista di Gandini.
“Charlie Brown è venuto per un accidenti. Io mi facevo mandare dall’America, da amici che ho lì, i supplementi domenicali dove ci sono i fumetti, però questo non l’avevo notato perché quelle persone non mi mandavano mai la pagina giusta. Finalmente una volta ho visto in mano a una ragazza della Mondadori, nel ‘58-59, un album ancora di quelli formato “forze di liberazione”. Incuriosito, me lo sono fatto dare e ricordo che passai il resto del pomeriggio mondadoriano a guardarmeli. Da allora li ho cercati sempre…”.
Insieme ai Peanuts, come Vittorini ricordò nel corso di un’intervista del 1964, i suoi fumetti preferiti erano i preistorici “B.C.” di Hart, “Krazy Kat” di Herriman e Bernard Mergendeiler di Jules Feiffer.
Il fumetto interessava Vittorini da sempre, il Corriere dei Piccoli era letto in famiglia e lo dimostra un ricordo di Jole Vittorini contenuto nel suo bel libro “Mio fratello Elio” (Ombre editrici, volume I ) che meriterebbe una ripubblicazione; in quel libretto Jole bambina descrive un ferroviere come un personaggio dei fumetti del Corrierino, “Capitan Cocoricò”.
L’interesse di Vittorini verso la letteratura disegnata, il mondo dei comics e dei cartoons esploderà però solo dopo la Guerra nell’autunno del 1945 sulle pagine del “ Politecnico”.
Raffaella Rodondi nella seconda parte dell’immane lavoro di raccolta dei Saggi e interventi di Vittorini dal 1938 al 1965 (Letteratura-arte-società, Einaudi, vol. II) nell’introduzione segnala che per quanto riguarda Il Politecnico:
“Ingente e disseminato è l’apporto di Vittorini che abbraccia indifferentemente pezzi anonimi e articoli firmati, editoriali, didascalie, schede informative, note di presentazione – postille – a sezioni e singoli contributi”.
Inoltre, Vittorini nella fase finale del “Politecnico” settimanale era già rimasto con pochissimi collaboratori e nel mensile, dal numero 29 in poi, raccoglieva con fatica contributi e materiali come documentano molte lettere; così scrisse in una lettera a Rosario Villari il primo ottobre 1946 : “io ormai sono solo a lavorarci”.
Alla fine dell’avventura Politecnico rimase solo con una segretaria e Giuseppe Trevisani fungeva da grafico.
La citazione della nota della Rodondi è d’obbligo perché molti degli interventi redazionali, delle schede e delle note introduttive sui comics non sono firmati ma sono attribuibili a Vittorini.
Nel numero 4 del “Politecnico” si trova una vignetta con Supertopolino, nella quarta pagina, con una didascalia veramente illuminante e interessante che rivela l’impronta vittoriniana:
“gli uomini hanno inventato il superuomo. E Walt Disney ha inventato dopo Topolino, il Super-topolino. E Super-topolino è nemico di Topolino come il superuomo è nemico dell’uomo. Quello nella favola del cartone animato, come questo nella vita”.
Sempre a Vittorini, poi, si ascrive il commento all’immagine della Mula Checca contenuto nella pagina 4 del Politecnico numero 28, l’ultimo del formato settimanale della rivista: “Un’immagine ci sorge spontanea nella memoria tutte le volte che pensiamo alla “democrazia cristiana” . Ci viene da quando leggevamo nella nostra infanzia Il Corriere dei piccoli. Ed è l’immagine della Checca, la terribile mula che tanti “scherzi da prete” faceva al rattoppato e umile lavoratore Fortunello. Perché lei? Solo perché vigorosa nei calci al sedere dei denutriti e nella testardaggine? Perché simbolica d’oscurantismo? O non perché aveva dietro a dirigerla il pasciuto gran proprietario padron Ciccio?”
Infine nel Politecnico mensile, del luglio-agosto del 1946 , in lingua originale e con i balloons, ecco spuntar fuori ben sette strisce delle avventure di Popeye, il burbero marinaio di Seagar, con una nota introduttiva che rivela la penna del Direttore del Politecnico in ogni sua sfumatura: Popeye viene scelto perché personaggio poetico che…“libero da intenzioni e riferimenti, arriva forse unico ad essere personaggio… che ha vissuto di realtà propria giungendo ad avere una sua moralità… per questo possiamo pensare Popeye a fianco di personaggi del racconto di tutti i tempi : è come un personaggio di Dickens: non come un personaggio di De Amicis”.
Vittorini proprio nel formato mensile darà “sfogo” a tutta la sua creatività e voglia di innovazione comunicativa. Ricordiamo che nel numero 35 del “Politecnico” Vittorini dà vita una vera e propria enciclopedia dell’arte e della letteratura, coniugando tutti i suoi interessi con nuove modalità espressive; nel mensile si ritrovano inediti disegni di Kafka, illustrazioni di Grosz per l’Inferno di Dante, disegni con balloons del pittore Topolskij, un saggio di Oreste Del Buono sul romanzo nero con un tentativo – il primo – di graphic novel sul romanzo “The Italians” di Ann Radcliffe, e delle strisce dello stesso Del Buono che compie una parodia dei temi ricorrenti dei racconti di Horace Walpole .
Vittorini aveva detto di essersi interessato di fumetti fin da ragazzo e, come è noto, di letteratura illustrata.
Ma quali le caratteristiche di un buon fumetto per Vittorini?
Lo spiega lui stesso nel 1965 rispondendo a una domanda di Eco, (Linus 1, 1965)
“Il fumetto (…) Va giudicato a partire da un certo punto: cioè da un punto in cui ci accorgiamo che è esplosa, per cosi dire, una globalità; un punto in cui è avvenuto una specie di ‘scatto di totalità’. Ma vorrei cercare di spiegarmi meglio. L’unità espressiva, l’abbiamo detto, è la strip, la sequenza. Prima della strip non abbiamo che la vignetta, una vecchissima conoscenza giornalistica, costituita da una figura e una battuta che si completano a vicenda e che esauriscono in un corpo solo quello che hanno da dire. Con la strip abbiamo non solo una moltiplicazione della figura e della battuta, una serie di quattro cinque figure e di altrettante battute, ma abbiamo anche un elemento del tutto nuovo, l’elemento della successione temporale, il quale si manifesta in due ordini sovrapposti, uno analogico per le figure e uno logico per le parole, benché poi le parole abbiano la prevalenza e investano della loro logicità letteraria tutto l’insieme riducendo le figure a non avere che dei compiti stereotipi, di descrizione, di caratterizzazione, ecc. ecc. come dei semplici segni pittografici. È questo terzo elemento che fa della strip un’unità espressiva, perché rende puramente paradigmatico il valore di ogni vignetta a sé, e assume in proprio (all’interno del proprio decorso) l’elaborazione del significato. Ma la strip non esprime che un frammento di mondo, un aspetto di personaggio, un momento di rapporto e anche se in se stessa può riuscire pregevole lo riuscirà solo a livello di massima, di illuminazione, di appunto, di episodio, di aneddoto. La qualità ch’essa rivela non va oltre i limiti della sua durata, è minima, è precaria, può essere banalissima o comunque non più che divertente, e occorre che i personaggi, i rapporti, gli oggetti in essa trattati ritornino in altre strips un certo numero di volte, sei volte, sette volte, nove volte, anche quindici, sedici volte, accumulando momento su momento e aspetto su aspetto, perché noi si possa entrare nel merito qualitativo del fumetto. A furia di quantità è avvenuto quello che ho chiamato “scatto di totalità”, cioè si è formato un significato secondo, che subito si riflette su ogni singola strip, anteriore o successiva, e la carica di importanza, la fa essere parte di un sistema, dandoci il senso di avere a che fare con tutto un mondo. Quando è Charlie Brown o B.C.; quando è un buon fumetto, si capisce…”.
Costruzione di un mondo a sé, temi e motivi ripetuti e libertà da condizionamenti, questi i caratteri fondamentali di un BUON FUMETTO, così come evidente dalle scelte effettuate per la pubblicazione di comics sul Politecnico che comprese Braccio di Ferro e Barnaby e lasciò fuori i comics di avventura e d’azione che furono facilmente strumentalizzati dagli USA durante la seconda guerra mondiale. Topolino e la banda Disney, addirittura, fu protagonista di un’intera pagina; nel numero 20 di “Politecnico” è inserito addirittura un lunghissimo racconto dello stesso Walt Disney sulla “costruzione dei cartoni animati”; segno dell’interesse forte verso questa nuova forma culturale. Accanto al testo inviato dall’America, che fa riferimento a un famoso cartone animato disney, Clock cleaners, Vittorini inserisce delle didascalie che fanno respirare ancora il dolore della guerra e delle ostilità fra gli uomini e che associano la penna vittoriniana alle favole di Fedro ed Esopo.
L’interesse di Vittorini verso Topolino, tuttavia, tende a diminuire quando nel dopoguerra anche le vicende del celebre topo si conformano alle ideologie socio-politiche dominanti; lo confesserà lo scrittore siracusano in un’intervista del 1964, in cui rileverà il cambiamento subito da Topolino, “prima eroe liberatore tipico della leggenda USA, ed ora un conformista, un aiuto poliziotto”.
E’ a un bambino, Barnaby (numeri 37,38,39 del “Politecnico”), che idealmente Vittorini affida la conclusione della vicenda Politecnico, pubblicando numerose strip della sua strampalata amicizia con un mago protettore pasticcione, con le ali rosa e il sigaro in bocca, in cura da uno psicanalista, Mister O’ Malley.
Ed il mondo dei bambini con i Peanuts è protagonista, come anticipato, delle sue ultime letture poiché Vittorini era affascinato dal mondo di Charlie Brown e Snoopy.
Tuttavia la letteratura disegnata e i fumetti lo seguirono anche durante il suo incarico come consulente Mondadori; fece pubblicare “L’antichissimo mondo di B.C.” di Hart e “I polli non hanno sedie” di Copi nella Collana Nuovi Scrittori Stranieri .
Com’è evidente Vittorini con la sperimentazione di comics e del racconto per immagini sul “Politecnico” anticipò nettamente l’interesse verso i fumetti della “cultura alta” e, ancora, mostrò il suo coraggio di libero sperimentatore di cultura, in tutte le sue forme, guadagnandosi le critiche del Partito Comunista e di Togliatti che, in seguito, alla fine del 1951 e l’inizio del 1952 con Nilde Jotti e Rodari fu protagonista sulle colonne di “Rinascita” della “questione dei fumetti”: ma questo è tema per un altro articolo o, forse, per un altro libro.
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La rivista “Mono”, Tunué editori.
di Angelo Orlando Meloni
“Mono” è la rivista antologica semestrale monotematica fatta di monotavole e monoracconti pubblicata da Tunué, una casa editrice che si è dedicata alla pubblicazione di graphic novel e saggi sul fumetto, nonché su fenomeni di costume e cultura contemporanea, dal cosplaying (è il caso di dirlo: costume in senso… letterale) all’invasione dei nuovi telefilm.
Ideata da Marco Rizzo e Sergio Algozzino, “Mono” è poi passata sotto la guida di Sergio Badino e Daniele Bonomo.
Chi scrive si occupa di coordinare la sezione dedicata alla letteratura, ma i collaboratori di “Mono” sono innumerevoli, se pensiamo alle copertine di Vittorio Giardino, Milo Manara, Fabio Celoni, Ivo Milazzo, Davide Toffolo, Roberto Baldazzini, e alle tavole interne realizzate sia da Big del fumetto sia da esordienti assoluti, come i vincitori del nostro contest.
A ogni numero “Mono” cambia rimanendo fedele a se stessa.
Questi sono i temi (e i sottotitoli) che si sono avvicendati: Americana, Musica, Acqua, Cibo, Passione, I classici della letteratura.
“Stiamo preparando il numero 7 di Mono”, dice Daniele Bonomo. “Uscirà in occasione del salone del fumetto di Lucca. Il tema guida è `crisi´. Ci sono periodi in cui alcuni termini vengono usati più di altri e se ci fosse un premio per la parola più usata e/o abusata, quest’anno `crisi´ l’avrebbe vinto a mani basse. Con Mono 7 vorremmo affrontare le varie sfaccettature di questa parola, che per ognuno di noi rappresenta qualcosa di diverso. Crisi di coppia, crisi di valori, crisi culturale, crisi economica, crisi cardiaca, crisi politica, crisi adolescenziale, crisi di mezza età, crisi d’identità, crisi di panico, donne in crisi, uomini in crisi, crisi ideologica…
Quando abbiamo scelto questo tema avevamo ben chiara in mente una cosa. Vedevamo gli oltre quaranta autori che avrebbero condiviso con noi l’avventura di questo numero seduti davanti al foglio bianco con lo sguardo nel nulla a cercare l’ispirazione: un’altra faccia della parola `crisi´”.
“Con il numero in preparazione”, aggiunge il condirettore Sergio Badino, “Mono entra del tutto nella nuova fase rappresentata dalla recente linea editoriale voluta e intrapresa dalla nostra direzione. Affronteremo d’ora in avanti temi socialmente sentiti, “impegnati”, che provino a sviscerare il vissuto quotidiano. Questo perché riteniamo il fumetto uno dei grandi mezzi di comunicazione dei nostri tempi, non un fratello minore – magari un po’ tardo – di cinema e letteratura, come troppo spesso è considerato in Italia. Soprattutto vogliamo provare a dare il nostro contributo nel far sì che il fumetto esca dalla nicchia in cui vive nel nostro Paese e che sia visto, come già accade in altre nazioni, al pari di altre forme espressive. Crediamo che il modo per riuscirvi sia appunto quello di affrontare problematiche con cui già si misurano molti romanzi e film di successo.
Va detto che il progetto editoriale di Mono è stato, fin dal primo numero, anche un progetto di vita: Tunué, di comune accordo con i curatori della rivista e in segno di gratitudine verso tutti gli autori coinvolti, ha adottato un bambino attraverso l’associazione Intervita Onlus. Concluso il percorso con il peruviano Walter Jesus, è iniziato un nuovo triennio con un ragazzo del Mali, Mahamadou Moussa Sylla. L’impegno con lui proseguirà nel tempo, al di là di Mono: dal numero 6 è presente sulla rivista una pagina dedicata a illustrare l’iniziativa e le finalità dell’associazione. Sempre dal sesto numero abbiamo voluto caratterizzare maggiormente alcune rubriche, gemellandoci con riviste leader in Italia nei diversi settori: “35mm” per il mondo del cinema e “Il Mucchio” per quello della musica. Per le recensioni fumettistiche dal prossimo numero ci affiancheremo a una delle principali riviste italiane nel campo”.
Nella sezione dedicata alla letteratura ci siamo proposti di andare a comporre pian piano una rassegna del meglio della letteratura italiana contemporanea (ma in futuro, perché no, anche straniera). Una rassegna di quanto di più frizzante, vivo, esuberante, si possa trovare in libreria, con un occhio rivolto anche a debuttanti di gran classe e belle speranze.
Abbiamo già “ospitato” – e fatto illustrare – racconti di Paola Barbato, Violetta Bellocchio, Emanuele Bevilacqua, Fabio Genovesi, Ivano Bariani, Gianluca Colloca, Nino G. D’Attis, Eva Clesis, Angelo Orlando (l’attore-regista-sceneggiatore), Giuseppe Carlotti e tanti altri ancora, un elenco che sarebbe davvero troppo lungo.
In un momento in cui le riviste letterarie soffrono sempre più e sono spesso costrette a emigrare su internet, Mono, con modestia ma con costanza e passione, vuole contribuire a creare nuovi spazi creativi, nuove occasioni per sperimentare l’eccitante strumento narrativo del racconto breve (brevissimo), fulminante e illuminante.
E offrire ai lettori un oggetto da collezione, bello a vedersi e saporito per il palato.
Letteratura e nuvole disegnate di nuovo uniti, quindi, nonostante le vecchie, stantie diatribe che vedevano la letteratura come via prediletta per la contemplazione delle più alte idealità e i comics relegati all’inferno, a titillare il ventre e le sue oscene pulsioni.
Colgo perciò l’occasione per invitare gli amici di Letteratitudine a una riflessione sul binomio letteratura-fumetto, che è stato al centro di un numero di “Mono” dedicato ai classici della letteratura.
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AGGIORNAMENTO DEL 22 APRILE 2010
Aggiorno questo post inserendo il gradito intervento di Gianfranco Manfredi. Lo reputo particolarmente interessante, dato che Manfredi ha grande competenza sia dal punto di vista letterario (è uno scrittore prolifico che ha pubblicato con diversi editori: da Feltrinelli a Gargoyle), sia dal punto di vista fumettistico (è il creatore della serie Bonelli, “Magico Vento”).
Massimo Maugeri
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I FUMETTI NON SI LEGGONO PIÙ DAL BARBIERE
di Gianfranco Manfredi
Ci sono personaggi dei fumetti capaci di entrare nell’immaginario collettivo come i grandi personaggi della Letteratura?
Dico, ma scherziamo? È sotto gli occhi di tutti che la letteratura contemporanea è avarissima di grandi personaggi in grado di ripopolare l’immaginario collettivo. Questi grandi personaggi risalgono quasi tutti all’epoca in cui il romanzo era al suo massimo rigoglio e nel quale la differenza tra letteratura colta e letteratura popolare si assottigliava.
Oggi la produzione di questi personaggi emblema è quasi per intero frutto della produzione fumettistica.
La letteratura contemporanea, più che in sé, ha imposto Personaggi Emblema attraverso il passaggio cinematografico (da Maigret a James Bond).
Il fumetto li ha imposti da solo.
Prendiamo uno dei più celebri personaggi letterari del mondo: Dracula. Se si fa un’inchiesta volante per la strada, qualsiasi persona interpellata saprebbe dire chi è. Già qui, però, il letterario comincia a fondersi con il cinematografico. Da questo punto di vista Dracula è un antecedente di James Bond. Di altri grandi personaggi letterari non si può dire altrettanto: Madame Bovary ha avuto le sue trasposizioni cinematografiche e televisive, ma non deve nulla della sua popolarità a queste trasposizioni. Ora: quale personaggio letterario contemporaneo può vantare altrettanta trasparenza con l’immaginario popolare?
Se si continua il sondaggio stradale chiedendo ai passanti: chi è il Giovane Holden, quanti saprebbero rispondere? Uno su dieci? Uno su cento? Uno su mille?
Prendiamo invece un personaggio dei fumetti: l’Uomo ragno, Diabolik, Tex, Valentina, Topolino, Charlie Brown… chi più ne ha più ne metta, e nella nostra intervista stradale quasi tutti gli interpellati saprebbero di chi si parla.
La “narrativa per immagini” (definizione che preferisco a quella di “letteratura disegnata”) ha come suo specifico compito e risultato quello di creare Personaggi, ospiti elettivi dell’immaginario popolare. Questo risultato è ottenibile in virtù non solo della composizione del fumetto, ma della sua natura di medium. Un fumetto ci accompagna serialmente dall’infanzia alla maturità. E’ parte della nostra formazione costante.
Ma chi è oggi il lettore di fumetti? Lo si può ancora considerare un pre-lettore, un lettore debuttante che comincia ad uscire dall’analfabetismo attraverso il supporto delle immagini alla narrazione? No. Oggi la divisione passa tra lettori (di tutto) e non-lettori. I lettori di fumetti (com’è testimoniato dalle rubriche della posta che molti fumetti ospitano) non sono lettori esclusivamente di fumetti, sono anche lettori di romanzi e di saggistica. Al contrario i lettori di romanzi e di saggistica, spesso leggono solo marginalmente i fumetti; nei loro giudizi sui fumetti sono legati al vissuto personale, non certo a una conoscenza della Storia del Fumetto, né della sua Attualità. Un fumetto troppo ingenuo, rozzo nel linguaggio letterario e nella strutturazione delle storie, come in quello grafico/visivo, oggi non avrebbe alcuna possibilità di successo. Il lettore di fumetti è molto più raffinato di quanto non si pensi. A un lettore di fumetti il Moccismo ripugna. Citatemi un solo fumetto che abbia espresso personaggi alla Moccia! Non ne esistono. Eppure la base di massa del fumetto è ben radicata nell’adolescenziale.
Ma si tratta di adolescenti molto raffinati. Le strutture di racconto di certi Manga trasposti o nati da cartoni animati (Lupin III, Occhi di gatto, Lady Oscar) sono estremamente complesse e ben più ricche delle trame semplificate e ripetitive dei normali telefilm non animati. Si comincia ad alimentarsi di queste strutture fin da piccolissimi. Spesso quando si comincia a leggere romanzi, si resta delusi nel non rintracciare altrettanta complessità e capacità di seduzione nella Letteratura consueta , quella cioè destinata alla popolarità effimera del Bestseller.
Il fumetto di massa è oggi superiore non tanto e non solo per livello estetico, ma per capacità di incidere nella nostra formazione, rispetto alla narrativa di massa che tende a ripetere stereotipi, a parte eccezioni notevoli (come Harry Potter, per dirne una). Banana Yoshimoto ha dichiarato: “non avrei mai potuto scrivere romanzi, se non fossi stata da bambina una fan di lady Oscar”. Il fumetto oggi evoca scrittura. Se non si capisce questo, non si capisce il ruolo “letterario” del fumetto.
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Hernán Henriquez e Gugulandia
Il disegno animato cubano e il fumetto satirico
di Gordiano Lupi
Hernán Henriquez è uno dei maggiori esponenti del disegno animato e del fumetto cubano negli anni successivi alla rivoluzione. Il suo tratto grafico, le battute salaci e irriverenti rivestono un’importanza unica nella storia del fumetto centramericano. Hernán Henriquez è stato uno dei fondatori di questa peculiare forma d’arte, un vero e proprio pioniere, che ha disegnato e pubblicato strisce in patria per vent’anni (1960 – 1980), ottenendo riconoscimenti e successo, ma a un certo punto della sua vita si è visto costretto a espatriare negli Stati Uniti.
Hernán Henriquez cominciò a lavorare ai disegni animati sotto l’influenza artistica dei prodotti statunitensi e nel 1958 si iscrisse a un corso per corrispondenza in California. Apprese le basi del mestiere di cartoonist ma al tempo stesso cominciò a lavorare in un’agenzia di pubblicità. Tutti dicevano che a Cuba non si poteva campare facendo disegni animati e scrivendo fumetti comici, perché era un mestiere che non esisteva, ma Hernan aveva deciso quale sarebbe stato il suo futuro.
Fidel Castro prese il potere nel 1959 e con il passare degli anni trasformò Cuba in un rergime comunista. Tre mesi dopo creò l’Istituto Cubano dell’Arte e Industria Cinematografica (ICAIC), con lo scopo di fondare una vera e propria industria cinematografica cubana. Il cinema divenne un mezzo di comunicazione importante, un veicolo fondamentale per manipolare le masse dal punto di vista intellettuale… (continua su Terzapagina)
Tags: angelo orlando meloni, annalisa stancanelli, fumetti, Gianfranco Manfredi, mono, vittorini, vittorini e i ballons
Scritto lunedì, 19 ottobre 2009 alle 16:34 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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