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mercoledì, 25 febbraio 2009

NEW ITALIAN EPIC. Incontro con Wu Ming 1

Avete mai sentito parlare di New Italian Epic? Si tratta di un «memorandum» di teoria letteraria pubblicato on-line, e scaricato da piú di trentamila persone, poi diventato libro per i tipi di Einaudi Stile Libero. Il volume è firmato dai Wu Ming.
In queste settimane si è sviluppato un dibattito molto acceso, prima sul web e poi sulle pagine dei quotidiani. Secondo i Wu Ming, negli ultimi anni, molti romanzi italiani si sono attratti e incontrati fino a formare una vasta nebulosa, una sorta di “campo elettrostatico” letterario
La prima domanda che viene spontaneo porsi è: ma esiste davvero una “nuova epica italiana”? Sulle pagine de Il Riformista Luca Mastrantonio scrive: “No. Perché “nulla è nuovo sotto il sole”, come sta scritto nell’Ecclesiaste”; per poi aggiungere: “Sì. Se ammettiamo che qualcuno l’ha scritta per la prima volta quella frase, come ricordava Szymborska nel discorso per il Nobel”. Mastrantonio sviluppa un ragionamento molto interessante senza risparmiare critiche motivate al lavoro dei Wu Ming (vi invito a leggere il pezzo cliccando sul link indicato sopra, o qui… in coda al post).
Di seguito, invece, potete leggere un’intervista (inedita) che mi ha rilasciato Wu Ming I. La speranza è che da questa intervista, e dal pezzo di Mastrantonio, possano sorgere un’occasione di confronto e un dibattito… sereni (niente risse, please!).
Intanto vi chiedo… a vostro avviso, esiste una nuova nebulosa letteraria italiana (nel senso inteso dai Wu Ming)?

Wu Ming I parteciperà alla discussione per rispondere a vostre eventuali domande o considerazioni.

Massimo Maugeri

———-

INTERVISTA A WU MING I SUL “NEW ITALIAN EPIC”
di Massimo Maugeri

Se, in poche parole, dovessi spiegare cos’è il New Italian Epic (NIE) a chi non ne ha mai sentito parlare… cosa diresti?
- E’ un nome di comodo, relativo e provvisorio, che riassume una descrizione. La descrizione di un insieme di libri e di un divenire nella nostra letteratura. Semplifico al massimo: sono libri scritti da autori italiani che hanno attraversato o costeggiato la “rinascita dei generi” avvenuta negli anni Novanta, oppure – se più giovani – che a quella stagione si sono ispirati, per poi andare avanti, portandosi dietro stimoli ed esperienza ma virando per scrivere altro.
Il nome di comodo deriva da tre macro-caratteristiche, anzi, tre premesse: prendiamo in considerazione libri che siano stati scritti negli ultimi tre lustri (quindi “new”), nella peculiare situazione socio-politica italiana e in lingua italiana (quindi “Italian”), e con un respiro ampio che li distingua da certa narrativa “a corto raggio”, quella che batte i territori dell’angst generazionale o piccolo-borghese, della sempiterna “crisi dei trentenni” e “dei quarantenni”, delle decadenze languide e irresolute, con la sua poetica della piccola cerchia (spesso romana), del giovane o ex-giovane incompreso, dell’intellettuale che non sa che fare della propria vita, degli amorazzi mesti etc. L’aggettivo sostantivato “Epic” è usato anche per marcare la differenza con tutto questo. Poi, ovvio, noi lo chiamiamo “New Italian Epic”, altri se vogliono possono chiamarlo “Progetto Gemini” o “Xgfrg” o “Claudio Pedretti”. L’importante è che siamo d’accordo sull’esistenza di una nebulosa letteraria.
Queste le “poche parole”. Adesso posso espandere?

Ma certo.
- Negli ultimi quindici anni (il periodo coperto dalla cosiddetta “seconda repubblica” post-guerra fredda) abbiamo visto, letto, recepito, a volte amato tanti libri scritti in italiano. Tra questi, diversi ci sembrano avere svariate caratteristiche comuni, e si ha l’impressione che in profondità – sotto il livello delle loro trame – ci raccontino parti di una stessa, grande storia. Ce la narrano esplicitamente o, più spesso, in allegoria. Per questo possiamo considerarli un insieme, che abbiamo chiamato “nebulosa”, perché è instabile e dai contorni sfumati. Proviamo a mettere questi libri dentro quell’insieme, e vediamo cosa viene fuori dall’accostamento. Consideriamo ogni libro un sotto-insieme, e vediamo come e dove si intersecano tra loro. Molti hanno l’aspetto di romanzi storici, alcuni sembrano opere ibride tra narrativa e saggistica, altri appaiono come risultati di un superamento di noir, giallo e altri generi molto praticati in Italia a partire dagli anni Novanta. Ci sono, nella diversità delle scelte, alcune direttrici comuni (poetiche, stilistiche, tematiche, narratologiche). C’è, a nostro avviso, un’attitudine di fondo, una sensibilità comune.
Ecco, quella che si sta facendo è una lettura comparata dei libri che formano la nebulosa. E si scoprono cose intriganti. Ad esempio, che in molti viene narrata la morte di un “Vecchio” – un iniziatore, un fondatore, un pater familias – e la difficoltà, per chi viene dopo, di ereditare il mondo. Si verifica uno stallo, e nello stallo avvengono tragedie e disastri, ma è già pronta a esprimersi una soggettività diversa, “laterale” rispetto alle linee ereditarie, che scompiglia la situazione e trova vie di fuga. A volte è solo un cambiamento di sguardo, di ottica, e questo cambiamento è curativo. Altre volte, c’è proprio bisogno di un personaggio che scombussoli fino ad aprire un varco, spesso una donna.
E’, raccontata in allegoria, la situazione in cui ci troviamo oggi come Paese, come continente, come civiltà, come pianeta. Diversi libri del New Italian Epic la descrivono, e per farlo trasformano all’uopo strumenti, retoriche e morfologie che vengono dal romanzo di genere, dalla narrativa popolare, dalla cultura pop, senza per questo perdere di vista la tradizione più specificamente “letteraria”. Tutto questo armamentario viene messo al servizio di uno sguardo che abbiamo definito “obliquo”, cioè da punti di vista marginali o comunque inattesi.
Che poi questi libri siano o meno “riusciti”, ci pare secondario. Non stiamo selezionando opere per un “canone”, stiamo esplorando il modo in cui lo “spirito dei tempi” ha plasmato un filone della nostra letteratura recente. Sono fenomeni che, in altre forme, si stanno producendo anche altrove ma, poiché viviamo e operiamo in Italia – cioè una nazione a dir poco peculiare -, ci interessa prima di tutto vedere come si stiano producendo qui.

Quand’è che, per la prima volta, avete pensato alla possibilità di tracciare la mappa di una nuova epica italiana? C’è stato un “momento” particolare, un’occasione di riflessione, uno spunto o altro?
- Sì, momenti rivelatori ce ne sono stati diversi, alcuni li abbiamo raccontati nel dibattito dei mesi scorsi, altri ancora no. Stavolta provo ad andare in ordine cronologico.
Ci fu la lettura di Black Flag di Evangelisti, fatta poco dopo l’uscita del nostro 54. Entrambi i romanzi iniziavano con allegorie dell’11 Settembre, e la cosa ci colpì. All’epoca, Evangelisti non lo conoscevamo di persona.
Poco tempo dopo, nel 2003, il nostro romanzo Q uscì nel Regno Unito e in una recensione, anzi, in un autentico saggio critico sul libro, comparve l’espressione “postmodernismo proletario”. L’accento era posto sull’attributo, non sul sostantivo, segno che “postmodernismo” tout court non era sufficiente a “catturare” l’essenza del libro. E un “postmodernismo proletario” non può che comportare la contrapposizione a un postmodernismo borghese.
L’anno dopo, Q uscì anche negli Stati Uniti, e alcuni recensori ci parvero fraintendere totalmente senso e spirito del romanzo. Sul Washington Post un tizio, nell’affermare che Q non diceva nulla di nuovo, disse che quelle cose si erano già lette in… Tristram Shandy. Un paragone che sarebbe apparso assurdo a chiunque, qui in Europa. Cercammo di capire la motivazione di un parallelismo tanto bislacco, e la trovammo nell’assunto di partenza del recensore: Q come mero giochino letterario postmoderno, rimpasto di clichés in modo da comporre un anti-romanzo. In Europa – ma anche in altri ambiti in America – il libro aveva avuto interpretazioni di segno contrario: Q come romanzo-romanzo e narrazione militante, appassionata allegoria della tragedia del movimento comunista etc. Quella strana recensione americana – echeggiata da un’altra molto simile riservata due anni dopo a 54, sempre sul Washington Post – ci fece riflettere.
A fine 2006, poi, vedemmo tutti il film The Prestige di Christopher Nolan che, con tutta la sua carica perturbante, ci fece sentire stranamente “a casa”. Discutendone, trovammo nel film diverse cose che noi e altri autori stavamo cercando di esprimere da anni.
Infine, nel 2007, ci fu l’uscita in simultanea del nostro Manituana e di Nelle mani giuste di Giancarlo De Cataldo. Nel memorandum è descritta la sensazione provata leggendo il secondo dopo aver lavorato tre anni al primo. In superficie, due libri diversissimi; più in profondità, un “mitologema” comune, quello descritto poco fa: la morte del Vecchio, l’eredità impossibile, il mondo salvato da una donna… Probabilmente, in nessuno dei due casi si tratta dell’opera più riuscita del suo autore (credo che le palme spettino ancora, rispettivamente, a 54 e Romanzo criminale, anche quelli usciti lo stesso anno, il 2002). Ma sono, tra i libri del NIE, quelli più “trasparenti” per quel che riguarda l’allegoria comune.

Cosa bisogna intendere esattamente con il termine “epic”?
- Nella versione 3.0 del memorandum c’è – nello scritto intitolato “Sentimiento nuevo” – una specie di formula dell’epica come la intendiamo: MAGNITUDO + PERTURBANZA = EPICA, accompagnata da una spiegazione. Aggiungo: in greco il termine “epos” vuol dire tante cose: racconto, promessa, impegno assunto pubblicamente, messaggio divino, responso di oracolo… L’epica che abbiamo in mente è giocata su tutti questi usi della parola. Questa è la connotazione particolare che intendiamo dare alla parola, ma c’è un’accezione più larga, denotativa: quella che si può trovare in qualunque buon dizionario. Nei mesi scorsi c’è chi si è scandalizzato: ma che minchia fate, usate il dizionario? Certamente! I dizionari non servono a quello? Non servono a trovare insieme un punto fermo sul significato di base di un vocabolo? Ecco, siamo ripartiti da quello, poi siamo andati oltre.

Avete tenuto conferenze negli USA (al Middlebury College, Vermont, e al MIT di Boston). Come siete stati accolti? E come è stato accolto il vostro lavoro?
- Molto bene, con grande curiosità e rispetto, però forse si dà eccessiva importanza al fatto che quelle conferenze siano avvenute in America. Noi le abbiamo citate perché in quelle occasioni i vari appunti si sono incontrati, giustapposti, modificati a vicenda, e il discorso sul NIE ha iniziato a prendere forma. Sarebbe potuto avvenire in Giappone, o a Gibilterra, o a Marotta di Fano.

Sai dirmi se, in questo momento, il NIE è oggetto di studio o interesse da parte di facoltà di lettere delle Università italiane? Il vostro lavoro, in Italia, come è stato accolto a livello accademico?
- Da due anni a questa parte, quindi è un fenomeno abbastanza nuovo, noi Wu Ming siamo spesso invitati a parlare in simposii, seminari, master e conferenze. Quasi sempre – anzi, sempre! – da docenti giovani. Ultimamente, ci chiamano a parlare del NIE, anche in compagnia di altri autori. Di rado, però, si tratta di facoltà di lettere: ci chiama più spesso chi fa ricerca sui nuovi media, sulla comunicazione, sulla rete, sul transmediale etc. Le facoltà di lettere – non tutte, ma molte sì – sono più sonnacchiose e meno propulsive. Tuttavia, qualcuno che insegna letteratura ha cominciato a invitarci. Tra qualche giorno io sarò allo IULM di Milano a parlare di New Italian Epic. Lo stesso giorno, prenderò parte a un simposio della NABA in cui si parlerà soprattutto di video, ma mi hanno chiamato perché interessava loro stabilire connessioni col discorso sul NIE.
L’accademia, ad ogni modo, ha tempi lunghi, e poi non ne esiste una sola, c’è una molteplicità di ambiti, di corsi, di istituzioni più o meno permeabili o ricettive.
Poi ci sono gli inviti di altro genere, quelli che arrivano dagli studenti dell’Onda, per momenti di auto-formazione, contro-inaugurazione, seminari alternativi etc.

Secondo te, oggi, nel nostro paese, esiste ancora una “aristocrazia letteraria”? Se sì… l’odierna “aristocrazia letteraria” nazionale come giudica il NIE? Qual è la tua percezione in merito?
- C’è gente che si crede aristocrazia, è una cosa diversa. Gente ancora convinta di trovarsi all’epicentro dei processi di legittimazione culturale, quando invece è ai margini estremi di una periferia dei discorsi e – soprattutto – delle pratiche. Tutto avviene già altrove.

C’è chi sostiene che il New Italian Epic sia una forma di autopropaganda. Cosa c’è di vero in questa tesi?
- In latino “propaganda” significa “le cose che vanno propagate”. Ora, è chiaro che se ho delle cose da dire e le ritengo buone, utili, degne di attenzione, allora mi muoverò per propagarle. Libero chi viene a contatto con esse di prenderle in considerazione o meno. Dopodiché, capisco che il nostro essere un collettivo e il nostro scrivere su una rivista on line molto seguita (Carmilla) possano incutere timore, far pensare a chissà quali “macchine di persuasione” etc. Deleuze diceva che ogni singolo creatore è già una “associazione a delinquere”, figuriamoci di noialtri cosa si può pensare! Ma questo “propagare” è dialogico, e contiene una richiesta di partecipazione. Anche una richiesta di critica. Persino le stroncature più “de panza” (persino quelle datate da visioni castali e interessi corporativi) si dimostrano utili a qualche cosa, diventano a loro volta oggetto di analisi, servono a individuare delle retoriche.

Se dovessi indicare un libro (uno solo) come simbolo per eccellenza del New Italian Epic, quale titolo citeresti?
- Le parti mancanti di Petrolio di Pasolini, che forse qualcuno sta già scrivendo.

A tuo avviso esiste una “New Epic” letteraria anche in altri paesi?
- Non esiste fenomeno nazionale che non sia articolazione o variante di qualcosa di planetario. Viviamo da secoli nell’economia-mondo, da ben prima che si parlasse di “globalizzazione”. Non c’è niente che non si presenti ovunque, mutatis mutandis. Magari i tempi sono sfasati, gli impatti sono maggiori o minori, ma prima o poi tutto si presenta ovunque. Si tratta di entrare in contatto con quel che viene scritto. Non guardo tanto all’Europa o al Nordamerica, dove troppi autori devono ancora elaborare il lutto della fine del postmoderno, bensì all’America latina (che mi sembra davvero un serbatoio inesauribile di storie, saghe, avventure), all’Africa e all’Asia. Ma soprattutto l’America latina. Il tempo del cambiamento, di solito, lo battono le cosiddette “opere-mondo” (come accadde negli anni Ottanta con I figli della mezzanotte di Rushdie). Negli anni Novanta, il messicano Paco Ignacio Taibo II° ci ha dato Senza perdere la tenerezza, monumentale biografia narrativa di Che Guevara, forse l’opera più significativa di una fase rappresentata dai libri di Taibo, Chavarria, Diez, Bonasso, Sepulveda etc. Nella decade seguente, il cileno Roberto Bolaño ci ha dato il mastodontico 2666, che ora – complici alcune “leggende nere” sull’autore nel frattempo defunto – sta facendo furore nel mondo anglosassone. Intanto, proliferano grandi narrazioni multimediali e transmediali, giochi in rete o di ruolo o di realtà alternative dall’inusitata complessità, e serie televisive che, pur diventando sempre più “difficili” e ambiziose, non rinunciano a una briciola del loro essere popular. Tutto questo va già avanti da un po’, sta accumulando spinta, e sento che siamo sull’orlo di una nuova trasformazione.

Ultima domanda sul NIE. Che tipo di riscontro ha incontrato nel pubblico dei lettori?
- Molto incoraggiante. Qui trovi la “nube di catalogazione spontanea” del New Italian Epic formata dalle libere associazioni che fanno gli iscritti ad Anobii. Su Anobii, lo dico per i profani, ciascun iscritto cura la propria “libreria”, l’elenco dei libri letti o che sta leggendo o che si propone di leggere. Ogni libro diventa un’intersezione di diversi insiemi, un luogo dove si incontrano le esperienze di migliaia di lettori. Un esempio a caso, ecco cosa risulta cercando Q. Libro presente nelle librerie di 3025 iscritti, valutato da 1837 lettori, commentato 350 volte etc.
Al momento di includere un libro, un lettore inserisce anche il “genere” o l’area di appartenenza o il campo d’azione in cui, secondo lui, quel libro si muove. Quello rinvenibile cliccando il primo link è l’elenco dei 90 libri dei quali almeno un lettore ha detto trattarsi di “New Italian Epic”. E’ una catalogazione acefala, selvaggia, orizzontale. Ovviamente, non si tratta di essere d’accordo con questa o quella scelta di catalogazione. Si tratta di dare un’occhiata alla “media algebrica” del New Italian Epic secondo una precisa comunità di lettori forti e tecnologicamente svezzati. Un bell’oggetto di indagine. Fossi uno studioso, ci farei un paper.
E’ da riflessioni come questa che è nato il memorandum. Cioè ad anni-luce di distanza da quel che stava facendo la critica in quel momento.

—————-

NIE, il cyberbook sull’epica italiana non pacificata
(di Luca Mastrantonio)
da Il Riformista del 5 febbraio 2009

C’è una nuova epica italiana? No. Perché “nulla è nuovo sotto il sole”, come sta scritto nell’Ecclesiaste. Sì. Se ammettiamo che qualcuno l’ha scritta per la prima volta quella frase, come ricordava Szymborska nel discorso per il Nobel. Qualcosa di simile succede con un libro che, letto senza pedanterie culturali, militanza o entusiasmi “entristi”, traccia un vettore importante della letteratura italiana contemporanea. New Italian Epic, uscito settimana scorsa, è un curioso ibrido culturale. Più simile a un ogm che a un prodotto doc, sebbene pubblicato da Einaudi, è un interessante cyberbook di teoria letteraria.
Scritto dal collettivo Wu Ming, già Luther Blisset, New Italian Epic nasce un anno fa come “memorandum” sulla letteratura dell’ultimo quindicennio, pubblicato sul sito wumingfoundation e generato da un intervento di Wu Ming 1 in una università straniera. Per questo, sostengono gli autori, va lasciato in inglese. «Se si sta troppo immersi nella caciara italiota – ha detto Wu Ming 1 a Panorama – si fatica a ragionare». Sinceramente, suona un po’ snob, un po’ radical snob. Sarebbe come chiamare “brainstorming” un dibattito nato da un collettivo per mettere in discussione dal basso l’Accademia. O “gardening” l’Arcadia…
In libreria, c’è l’aggiornamento cartaceo di un libro telematico, che ha avuto un dibattito a monte e che quindi a valle potrebbe anche non produrre molto di più. Finora, il libro è stato ri-lanciato da Loredana Lipperini su Repubblica e respinto da Carla Benedetti su Libero, con una critica così liquidatoria da venire subito assimilata dai Wu Ming (che l’hanno usata come strillo sul sito): «NIE è pura autopropaganda». Vero, perché i Wu Ming mettono al centro del suo ragionare letterario Gomorra, Romanzo Criminale e se stessi, per Q e 54. Bentornati al modernismo, ribattono a chi rinfaccia loro questa auto-esegesi in vece dell’autocritica. È tipico del «canone occidentale» («chiamiamolo così anche se non è equo», scrivono, collocandovisi) essere autori e critici di se stessi.
Tra gli autori neo-epici, Giancarlo De Cataldo, Carlo Lucarelli, Massimo Carlotto, Giuseppe Genna, Roberto Saviano, Valerio Evangelisti e altri fautori di una letteratura che attraverso le scritture di genere, in maniera più o meno eterodossa, hanno rinnovato la letteratura italiana. Letteratura d’eversione, intenzionata a cambiare il corso delle cose, a tratti d’evasione, certamente d’inversione, cioè revisione della storia italiana e non solo, ripercorsa in senso “ostinato e contrario”. La fiducia nel “romanzo”, anzi, nel contro-romanzo, suona come la riscossione di una scommessa vinta.
Così la quarta di copertina: «La letteratura non deve, non deve mai, non deve mai sentirsi in pace». Altrove, nel testo, leggiamo che «le storie sono asce da guerra da disseppellire» e «gli stolti chiamano pace il semplice allontanarsi dal fronte». Curiosamente, qualche giorno fa Alessandro Piperno sul Corriere della Sera, recensendo Albero di fumo, ha notato che tra «i libri che ho amato negli ultimi tempi mi accorgo che non ce n’è uno che non sia, in un certo modo, legato alla guerra» Da Le Benevole di Littell a Gomorra di Saviano.
Il termine post quem della NIE è il ‘93, il crollo definitivo del bipolarismo internazionale, con il Muro, e la nascita della Seconda Repubblica, in Italia. Giustamente, e simbolicamente, in un tempo che non è dopostoria, scelgono come epicentri cronologici il G8 di Genova e l’Undici settembre. Che non c’entrano nulla con Romanzo criminale, per esempio, ma che hanno “smosso” – anche stoltamente – il pensiero unico, producendo narrazioni e contro-narrazioni che ben si sposano con il cambio di prospettiva che De Cataldo ha messo in atto con il punto di vista della banda della Magliana.
Le definizioni, se efficaci, sono utili. Stabiliscono il campo di gioco, danno nomi alle cose e le idee, senza nomi, non esistono, sono cieche. Come le parole sono vuote senza idee e una verità non è nulla senza una storia che la tenga viva. Certo, “epico” per un romanzo suona come “poetica” una canzone. Ma allo spirometro, molti dei libri in questione producono un respiro lungo e profondo. Epico, certamente.
L’interesse per la NIE va al di là di ogni riserva sul merito. Cosa è epico e cosa no e perché una cosa è epica e un’altra no. Giustissima la critica all’ironia ebete di certo postmodernismo, che sabota il sistema nervoso del lettore-spettatore, sempre meno consapevole di quello che legge-vede, perché senza dolore o proiezioni del dolore non si applica conoscenza. Come avviene nell’Antologia cannibale. Precedente “commerciale” e narrativo di NIE, anch’esso powered by lo stileliberista Paolo Repetti.
Sul metodo, va detto che funziona molto la “critica creativa” che Wu Ming 2 fa fare agli alunni di una scuola cui chiede di riscrivere Il pallone di Donald Barthelme; mentre ha un retrogusto auto-referenziale la messe di interventi di autori chiamati in causa dal saggio. Può l’oggetto di uno studio legittimare lo studio stesso? Possiamo confondere conoscenza e certezza? Scommesse critiche e premesse? In fondo, non hanno sempre funzionato meglio le critiche da “poetae novi” ai “crepuscolari”? Ma NIE è un logo, oltre che un acronimo, e funziona benissimo per il suo fine. Diffondere e vendere un’idea riconoscibile.
Comunque sia, in questo saggio si sente, palpitante, il bisogno di disegnare mappe mentali tra i libri, accoppiare con più o meno giudizio autori, creare punti cospicui per rilevare posizioni e rotte dell’editoria italiana. Che è composta da editori, autori e lettori. Solo in ultima e accessoria parte, da critici. Ci possono essere risposte sbagliate (come definire UNO, cioè «Oggetti narrativi non identificati», alcune opere irregolari), ma giustamente bisogna porsi le domande: come classifichiamo Gomorra? Letteratura o giornalismo? Per Wu Ming, questo mix di fiction e non fiction, in alcuni passaggi è auto-fiction, cioè finzione su se stessa, attraverso un io ipertestimoniale narrante.
Per qualcosa di simile a uno snobismo internazionalista, o per ipercoerenza, i Wu Ming sembrano però voler risolvere molte contraddizioni del saggio con questa formula. NIE, sotto molti aspetti, sembra un software. Non a caso, su internet abbiamo avuto NIE, da scaricare, poi sempre su internet NIE 2.0 e ora, in libreria, per Einaudi, NIE 3.0. Assomiglia a Linux, un sistema che usa l’opensourcing, ma in libreria lo distribuisce Microsoft. D’altronde, i WM hanno sempre dichiarato e fatto, con sincerità autoassolutoria, guerriglia dall’interno.
Le incursioni e i prestiti da altre discipline funzionano spesso molto bene come argomentazioni narrative del saggio. Una qualità, la contaminazione disciplinare, che ricorda molto Opere mondo di Franco Moretti. Professore di letteratura all’estero, scrive a metà anni ‘90 un saggio che doveva essere sul modernismo e poi divenne un saggio sulle opere che definì “opere mondo”, cioè opere irregolari, romanzi XL, che possono fondare o rivisitare una società, che rappresentano la forma moderna dell’epica antica. Dall’Ulisse di Joyce, ovviamente, a Cent’anni di solitudine di Marquez. Allo stesso modo, mi sembra che i Wu Ming siano partiti dal postmodernismo – se lo ritrovavano appiccicato spesso addosso – e abbiano inventato, cioè trovato, questa definizione-slogan. Dà l’impressione che qualcosa di nuovo si stia muovendo davvero.
Ma allora è nuova o no questa epica? Nella quarta di copertina passa dalla qualità, nuovo, alla qualità, grosso. «Qualcosa di grosso si sta muovendo». E «New» è sicuramente l’attributo dominante, commercialmente, nella formula. Perché allora accanirsi contro il “nuovismo”, ricordando che si modifica una tradizione, più che dare corso a un’innovazione? Non ci sarebbe nulla di male ad ammettere che i Nuovi vogliono prendere il posto dei Dinosauri, (per rifarsi alla dialettica del racconto di Italo Calvino). Quando non si risolve nella dimensione “apocrifa” del NIE, sicuramente quella più felice e autentica, si oscilla tra il Qoelet, il libro della vanità del tutto, e la buona novella del Nuovo testamento.
Sulla scelta del termine “epica”, Wu Ming riconosce che l’espressione è «discutibile e discutendo», ma a fronte di una constatazione concreta, e cioè che «produce una sorta di campo elettrostatico e attirare a sé opere in apparenza difformi», sostiene un po’ in astratto «che hanno affinità profonde». Originale ma labile è il puntare, come “elementi comuni”, non su Massimi comuni denominatori, ma su Minimi comuni multipli. Alcuni legami, risultano posticci. Più solido è l’aspetto controfattuale, che avvicina la NIE alla Grammatica della fantasia di Gianni Rodari, e all’ipotesi fantastica, più che ad Alessandro Manzoni, e ai suoi Promessi sposi. Nella NIE ha spazio l’inverosimile, il contro-vero. Un altro punto di vista.
Leggendo la parte finale di Wu Ming 2, L’affabulazione obbligatoria, si arriva al cuore della NIE: la “contronarrazione”. Fa da contrappunto alla storiografia ufficiale, illuminandone i coni d’ombra, sguazzando nel fango, cambiando la prospettiva per regalare nuove profondità e punti di fuga. Con il rischio, calcolato se non voluto, di confondere le acque, pur di smuoverle. «L’unica alternativa per non subire una storia è raccontare mille storie alternative».
Se l’epica antica racconta e inventa rifondando con un mito la sua civiltà, e l’epica moderna “smitizza” una società coeva, la NIE è epica post-moderna, che racconta per sfondare o sfiancare la nazione coeva, con storie di complotti, narrazioni parallele, contro-piste e personaggi similveri che decostruiscono la memoria collettiva. Un’epica senza déi. Romanzi di contro-informazione. Forme moderne di un’epica postmoderna. Antiepica, contro-epica, epica apocrifa, antagonista. Ma volete mettere? Meglio “epica postmoderna” o New Italian Epic?


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Scritto mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 00:14 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

317 commenti a “NEW ITALIAN EPIC. Incontro con Wu Ming 1”

Come ho scritto, da questo «memorandum» (poi libro) dei Wu Ming è sorto un dibattito molto acceso (forse anche troppo).
A me piacerebbe che aprire un nuovo filone di discussione anche qui. Purché la discussione si sviluppi in maniera serena, con considerazioni e contro-considerazioni… ma sensa esagerare nei toni.
Vi ringrazio in anticipo per l’aiuto che mi darete.
In ogni caso,
all’occorrenza,
non esiterò ad applicare
la famosa “avvertenza”
(colonna di sinistra del blog)
Perdonate la rima :-)

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 00:19 da Massimo Maugeri


Esprimete comunque il vostro pensiero (dopo aver letto l’intervista).
Credo che l’occasione di dialogo (e di confronto) con Wu Ming I possa essere stimolante.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 00:22 da Massimo Maugeri


Ne approfitto per ringraziare Wu Ming I per aver risposto alle mie domande e Luca Mastrantonio per avermi concesso la possibilità di pubblicare il pezzo.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 00:22 da Massimo Maugeri


Allora… a vostro avviso, esiste una nuova nebulosa letteraria italiana (nel senso inteso dai Wu Ming)?

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 00:23 da Massimo Maugeri


@ Wu Ming I
Perché la scelta di quell’immagine nella copertina del libro?
Cosa simboleggia?

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 00:24 da Massimo Maugeri


@ Wu Ming I
Quando ti ho domandato… Se dovessi indicare un libro (uno solo) come simbolo per eccellenza del New Italian Epic, quale titolo citeresti?
Tu mi hai risposto… Le parti mancanti di Petrolio di Pasolini, che forse qualcuno sta già scrivendo
(segue)

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 00:27 da Massimo Maugeri



Quali sono le parti mancanti di “Petrolio” di Pasolini?
E perché quelle pagine, a tuo avviso, sarebbero il simbolo per eccellenza del New Italian Epic?

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 00:34 da Massimo Maugeri


Per il momento chiudo qui.
Auguro a tutti una serena notte.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 00:36 da Massimo Maugeri


A mio parere le parti mancanti di “Petrolio”, oggi, in Italia, le sta scrivendo solo Walter Siti. Anzi, direi che le ha già scritte con il migliore romanzo italiano degli ultimi tempi: “Troppi paradisi”.
Quanto ai NIE, trovo sinceramente un po’ stucchevole l’etichetta, per quanto molti ragionamenti di WM1 siano condivisibili. Ad ogni modo, la nebulosa di cui si parla, e che sarebbe formata da qui romanzi che tematizzano il trauma dell’avvicendamento generazionale e del rapporto Padre-Figlio, mi pare un abbaglio storiografico. Basta andare indietro di qualche decennio (gli anni sessanta o settanta, ad esempio) per scoprire in autori come Bianciardi, Volponi, Parise e Pasolini (ecc.) le medesime preoccupazioni. Sarà perché ci troviamo in un paese abortito, in cui il sano rapporto di autorità con i padri si è convertito in un insano ribellismo estetizzante. Il frutto è l’Italia di oggi: mammismo, provincialismo, televisione.
Trovo questa discussione molto interessante. Grazie, Massimo, per il post.
Saluti, Marco

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 01:07 da Marco Gatto


A me l’impostazione dei Wu Ming pare convincente. Bella l’intervista e bello il pezzo di Mastrantonio. Ma al di là del fatto che si possa essere d’accordo con la tesi dei WM o no, bisogna dar atto che questo pamphlet contribuisce a attivare un dibattito a largo raggio sulla nostra letteratura che coinvolge critici e pubblico dei lettori. Grazie per il post , Massimo. Pare molto equilibrato.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 08:05 da Mario


x Wu Ming
vi aspettavate che questo memorandum -come lo chiamate- suscitasse così tanto interesse?

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 08:06 da Mario


Ho seguito il dibattito sulla New Epic (almeno nei primi mesi) e l’ho trovato appassionante! Un capitolo della mia tesi è proprio dedicato alla New Epic e al noir sociale, che ha preceduto alcune sue tendenze. L’ho chiamata Letteratura Socialmente Responsabile…

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 08:52 da Sofia Assirelli


1) MAGNITUDO + PERTURBANZA = EPICA

2) in greco il termine “epos” vuol dire tante cose: racconto, promessa, impegno assunto pubblicamente, messaggio divino, responso di oracolo…

quindi… magnitudo+perturbanza “fa” messaggio divino o impegno assunto pubblicamente?

La risposta è dentro di me… epperò è sbagliata!

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 09:10 da Quelo


@ Marco Gatto

la “morte del Vecchio” (buco nero creato da un personaggio assente, che non è avvicendamento generazionale ma crollo di civiltà, fine di mondo, perché gli eredi si scontrano e si disperdono e tocca a chi arriva da una direzione inattesa trovare un bandolo di matassa e produrre una linea di fuga) non è l’unico tratto caratterizzante la nebulosa: è uno dei “mitologemi” – nuclei di materiale mitico-narrativo – che ci si possono trovare dentro, e la cosa interessante non è tanto il *cosa*, bensì il *come* questo venga trattato, e la compresenza di questa caratteristica tematica con tante altre (tematiche e stilistiche) che entrano in gioco.
.
Io ci leggo in allegoria il disorientamento che questa “seconda repubblica” (avvento del berlusconismo, lento suicidio della sinistra politica, invelenimento del clima, nuovi razzismi, espansione dei poteri criminali) ha causato in noi. I personaggi-assenza sono i Padri Fondatori (es. per alcuni sono i vecchi costituenti, per Philopat è Primo Moroni etc.) che morendo si sono portati via la bussola e ci hanno lasciati sperduti qui. Dobbiamo continuare a narrare questa condizione finché non si produrrà l’inatteso che produca una linea di fuga, e riapra i giochi.
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E’ vero che il passaggio padri-figli è stato raccontato sempre, fin dall’alba dei tempi. Ma il modo in cui viene raccontato, e la condizione più vasta che questo raccontare affronta, cambiano a ogni epoca. A me interessa studiare quest’epoca, perché il bandolo della matassa va trovato qui, pena un ulteriore sprofondamento nella melma che già ci arriva poco sotto le labbra.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 09:35 da Wu Ming 1


@ Mario

sì, ci aspettavamo che si alzasse un polverone. Oddìo, un simile livello di aggressività da come-osi-pestarmi-i-calli non era preventivabile, ma che le critiche negative sarebbero state livide lo sapevamo, mica ci nascondiamo dietro un dito. Ho indicato a Massimo la recensione di Mastrantonio perché è una delle pochissime che ho letto che discerne, distingue, critica senza stroncare, usa a volte il sarcasmo ma senza che questo diventi risentimento. E dice cose che a me e a noi sono utili.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 09:38 da Wu Ming 1


@ Quelo

a seconda dell’opera, delle scelte che compie l’autore, del contesto in cui l’opera viene scritta, l’incontro di ampio respiro e strategie di spiazzamento produrrà diversi risultati. Infatti stiamo prendendo in esame una produzione eterogenea, multiforme. E’ questo il bello.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 09:39 da Wu Ming 1


@ Massimo e Marco

le parti mancanti di Petrolio non le sta scrivendo Siti, scrittore che peraltro ammiro moltissimo e riesce sempre a lasciarmi attonito (Il contagio è per me tra i migliori libri italiani del 2008). Io quando parlo di “parti mancanti” intendo proprio quelle che Pasolini non riuscì a scrivere perché ucciso quando il libro era ancora a un terzo di stesura. Sarebbe un’impresa ambiziosa – anzi, carica di hybris – completare quell’opera basandosi (ma non pedissequamente) sui vari mozziconi, brandelli, abbozzi, titoli seguiti dal nulla, susseguirsi di scalette e glosse che Pasolini lasciò in quel faldone rimasto chiuso per tanti anni, e che oggi possiamo leggere come parte del libro incompiuto. Petrolio come esiste oggi è un oggetto narrativo non-identificato. Una volta terminato, sarebbe stato comunque di difficile definizione. Lo scarto tra quel che abbiamo e quel che (ottativo!) “magari fosse” (“volesse il cielo che”, suggerivano al liceo) per me è MAGNITUDO + PERTURBANZA = EPICA.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 09:44 da Wu Ming 1


@ tutti,

una piccolissima precisazione:
per “Wu Ming 1″ meglio che usiamo il numero arabo, altrimenti sembra che si debba dire “Wu Ming Primo”, ma io sono il primo solo in ordine alfabetico di cognome! :-)

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 09:45 da Wu Ming 1


@ Massimo

il discorso sulla copertina è complesso, ti risponderò con più calma.

@ Tutti

per la giornata di oggi mi sono sorti dei contrattempi di lavoro etc. Non sono sicuro di poter rispondere subito ad altre domande. Non considerate scortese se mi rifaccio vivo in serata o domattina, scusate, voi comunque ponete pure questioni etc. Grazie!

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 09:48 da Wu Ming 1


Scusate, non capisco. Perché riprendere Petrolio di Pasolini, oggi, dovrebbe essere utile? Perché dobbiamo rifarci sempre e comunque a Pasolini, che pur ammiro?
Mi piacerebbe leggere le risposte di Wu Ming 1 e Marco Gatto.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 10:00 da Ste


Per quanto riguarda il New Italian Epic osservo che i Wu Ming hanno recentemente voluto con forza sottolineare che la sua identificazione con una sorta di neorealismo (di cui Gomorra sarebbe l’esito più noto) è, come direbbe Berlusconi, un trasvisamento delle loro parole ad opera di giornalisiti e critici in malafede o superficiali. Mi riferisco al documento reperibile in Rete scritto da Wu Ming 1 nel settembre 2008. Il problema, per quanto mi riguarda, è che per confutare l’equazione NIE uguale neo-neorealismo, si attribuiscono alla NIE una serie di caratteri compositi e variegati, spesso interessanti ma che finiscono per accomunare stili, opere e personaggi molto diversi fra loro il che fa perdere alla definizione di NIE la sua potenzialità di categoria utile a classificare un fenomeno. Giunti al termine delle 33 pagine del pdf la sensazione di trovarsi nella più classica delle notti in cui tutte le vacche sono nere è forte, forse, anzi, certamente, per miei limiti intellettuali.
Io credo comunque che sia proprio l’indicazione di massima a non essere convincente. Non a caso il da noi tanto celebrato Gomorra (film) è stato accantonato dagli Oscar, mentre un film “Bolliwoodiano” ha fatto incetta. Il punto è che l’elemento di riflessione critico oggi non è “il reale” ma il sottile discrimine esistente oggi fra analogico e digitale e che ho fatto esprimere al protagonista del Romanzo collettivo a colori Le aziende In-visibili in un Episodio dedicato appunto a questo tema. Ad un certo punto, riprendendo le note tesi di Virilio, Deckard dice “Si è realizzata la profezia di Borges al contrario: Uqbar è stata invasa dal mondo reale e non viceversa.”. E aggiunge:
“Allo stesso modo si è clamorosamente sbagliato Baudrillard: il delitto perfetto lo ha perpetrato la realtà contro la fantasia. Il virtualismo digitale ha semplicemente consentito di assistere alla presentazione del reale senza andare a vedere sul posto. Ha eliminato il rischio connesso all’esserci veramente. Ma anche al pensare veramente, che è sempre un interpretare. Questo percepire senza esserci veramente definisce un mondo di diniego nel quale ormai si cerca meno di vedere che di essere visti da tutti nel medesimo istante secondo le medesime modalità. Si è così giunti all’affermazione quasi definitiva del modus operandi dello scientific management , l’omologazione coatta al Pensiero Unico, che ha avuto l’astuzia di usare gli strumenti dell’Avversario, rivoltandoglieli contro”.
“Quasi?”…..
L’Episodio si conclude descrivendo l’avvento dell’Organizational Storytelling, applicato da Bush prima e da Obama poi per vincere le elezioni presidenziali negli USA, come modalità definitiva scelta anche in azienda per l’affermazione di un modello di pensiero omologante e univoco. Ciò che il romanzo non sottolinea (anche perché è stato scritto un anno prima dell’affermazione di Obama) è che lo Storytelling del nuovo Presidente degli Stati Uniti si è dimostrato vincente anche perché ha saputo cogliere le potenzialità di Facebook nella narrazione della sua particolare visione della storia e della società. Ma la morale è comunque chiara: nell’”era dell’accesso”, l’adozione del digitale come sistema d’unificazione d’ogni descrizione del contenuto, la pratica di sinergie crossmediali come moltiplicatore delle economie di scala ed infine l’industrializzazione della convergenza sui terminali d’uso consentirà il controllo totale sul pensiero, l’immaginazione, la creatività ed in ultima analisi sulla realtà. Un controllo che nel mondo analogico era frammentato in mille interruzioni, sia nella codifica del contenuto, sia nella manipolazione e confezione, sia nella sua fruizione e che oggi invece è globale, totalizzante, Unico.
Diviene allora importante anche l’incrocio metadisciplinare, il lavoro di scrittura e produzione artistica collettiva. In questo senso Wu Ming è stato un benchmark, che però mi sembra non in grado di rinnovare se stesso ulteriormente in maniera convincente. Nel mio piccolo (diciamo pure infimo) fra le altre cose insieme ad una sessantina di artisti operanti in Second life sto realizzando una Web Opera che si propone di affrontare questi temi rendendo visibili le aziende in-visibili nel metamondo di sl. Una wiki-web opera che sia specchio e contraltare del wiki-romanzo. Per approfondimenti vedi qui:http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2009/02/call-for-sl-artists-una-web-opera-ispirata-a-le-aziende-invisibili.html,
qui,
http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2009/02/call-for-artists-il-video.html
e qui (il sito realizzato dal team di artisti che sta realizzando l’Episodio 100, esempio perfetto di wiki-work-in progress che credo vada ben oltre le pratiche wu-minghiane:
http://www.episode100.org ).

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 10:08 da Marco Minghetti


Ho letto il New Italian Epic da Carmilla, perciò non comprerò il libro (mi dispiace per l’ Einaudi). Ho trovato i testi di Wu Ming molto stimolanti e sono d’accordo con il commento di Sofia Assirelli

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 10:22 da Valeria


Wu Ming dice ‘E’ un nome di comodo, relativo e provvisorio, che riassume una descrizione. La descrizione di un insieme di libri e di un divenire nella nostra letteratura.’
Ma se il new italian epic si riferisce a un divenire nella nostra letteratura, non è esso stesso di per sé provvisorio?
E tale provvisorietà non è già un limite?

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 10:48 da Aurelio Fabiani


cari wu ming, voi siete dei pionieri. e i pionieri devono andare avanti con coraggio, rischiando.
non abbiate paura delle stroncature. anche quelle possono servire.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 11:09 da antonio calibrasi


Segnalo questa intervista su Panorama a Wu Ming 1 e Wu Ming 2
http://blog.panorama.it/libri/2009/01/23/intervista-con-wu-ming-sul-new-italian-epic/

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 12:02 da Loretta


Sì, probabilmente c’è un New Italian Epic, un divenire nella nostra letteratura. Purtroppo. Nel senso pessimo e negativo. Un’involuzione. Come Hanry Potter, o l’ultima portato avanti dalla Fazio Editore quella dei vampiri o ancora Cristian Jacq.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 12:18 da Peter


Peter,
Hanry Potter si scrive Harry Potter.
Fazio Editore è Fazi editore.
Cristian Jacq si scrive Christian Jacq.
Ma il termine New Italian Epic l’hai riportato in maniera perfetta.
Bravoooooooo! :)

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 12:27 da Loretta


Io sono una pro-NIE,se non s’era capito

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 12:27 da Loretta


Non conoscevo il new italian epic, ma grazie. Andrò a vedere sul sito Carmilla.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 15:07 da Martina


@Wu ming 1.
L’idea della ricerca attraverso un approccio “scientifico” a un periodo ha senza dubbio una finalità di comprensione. Di affondo nel reale.
Cosa vi proponete con questa classificazione?
Credo infatti che ricondurre a un “genere” o a un filone una serie di opere si ponga come obiettivo la scoperta di un senso, di un significato.
E’ così?

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 15:45 da simona lo iacono


per wu ming.
la letteratura è come il mare
a cosa serve classificare?
con simpatia.
j.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 18:15 da jenny


Wu Ming 1: questo libro sarà oggetto di aggiornamento nel tempo?

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 19:09 da Angela


Gentile Wu Ming 1, dei vostri libri ho letto Q e MANITUANA. Preferisco il primo. Questo sulla New Epic mi incuriosice. La mia domanda è questa, che poi è una curiosità. Sarebbe in grado di stilare una classifica per ordine di importanza dei libri da voi pubblicati includendo anche questo sulla New epic? Insomma,quali sono i più importanti secondo voi e perché

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 19:44 da Marco Vinci


Ringrazio Wu Ming 1 per la precisazione: interessante il suo discorso. Specie quello sul “mitologema”, per il quale, a dire il vero, preferirei parlare di “ideologema”, cioè di modi attraverso cui si esplica un’ideologia che è rappresentazione estetica di una necessità umana e materiale.
Quel che mi interessa capire – e qui rispondo alla domanda di Ste, che ringrazio -, in forma anche di questione problematica, è l’uso a mo’ di etichetta del termine “Epic” e dell’aggettivo “New”. Si tratta di un recupero della forma romanzesca in termini epici alla stregua di una novella tentazione lukacsiana di epopea di un eroe alla ricerca della sua identità? Si può proporre una new epic senza la facile constatazione che l’Italia non ha conosciuto la grande tradizione romanzesca essenzialmente perché non ha avuto una moderna classe borghese? E ancora, siamo sicuri che ci sia bisogno di una letteratura epica per stabilire quel necessario legame che si è perso con il referente – e che per i nostri sarebbe addirittura il proletariato (quale proletariato?)?. Il punto è che, a mio parere, gli scrittori dovrebbero ricominciare a ragionare in termini di umanesimo. E’ per questo che occorre guardare a Pasolini (ma non solo) come a un esempio: è uno degli ultimi scrittori-intellettuali; uno degli ultimi umanisti, seppur nella sua convinzione che la civiltà umanistica è alla fine. Laddove umanesimo significa, come direbbe Said, dilettantismo, anti-specializzazione, sinergia fra diversi saperi, ibridismo fra generi, mistione di critica e letteratura… Mi sembra che siamo ancora lontani da questo tipo di scrittura in Italia. Ma occorre essere speranzosi.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 20:04 da Marco Gatto


Quando la scrittura non c’è, ci si butta in poetica.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 20:08 da lupo


E quando la scrittura c’è, ce ne usciamo con frasi lupine.
:)

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 20:19 da cappuccetto rosso


x WM
Piccolissima provocazione, spero benaccetta. Tentare di tracciare in tempo reale una “nebulosa” letteraria non è un po’ come tentare di fotografare un’automobile in corsa?

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 20:22 da Fabio


Il post è molto stimolante.
Grazie Massimo per la possibilità di interagire con WM1, che saluto cordialmente.
Volevo chiedere a WM1 se ritiene la nostra letteratura attardata, provinciale e troppo legata alla tradizione.
A volte in Italia si ha la sensazione di vivere in una sorta di periferia di un non ben definito Impero. Pensi un poco in Sicilia, dove grazie a Dio qualcosa si muove però, tra piccolissime piccole e medie case editrici che tentano non solo di vivacchiare ma di fare cultura, salotti e circoli di lettura, corsi di scrittura, blog che tentano di colmare i gap con il “Continente”.
Sulla NIE… se è un discorso diciamo così clinico – tastare il polso alla letteratura italiana – il proclama-manifesto mi sta bene. Con qualche perplessità. Ad esempio… Ho letto “Q”, che mi è molto piaciuto, ma non ho continuato col “genere”, perché veramente il libro mi parve un impasto – ben riuscito, per carità – di generi diversi in ottica postmodernista (un po’ alla Eco ma in salsa più popolare, genere romanzone alla Ken Follett). Bene, benissimo. Lavorare sulla Triviallitteratur, sulla letteratura di consumo, giocarci su autorialmente per veicolare sensi “altri” è un esperimento fattibilissimo. Però non perdiamo di vista il fatto che anche un libro più “ombelicale” e meno epico – meno proclama, meno mito, meno narrazione, meno tutto – può essere una metafora perfetta del suo tempo.
Leggerò ben bene il documento e ci tornerò sopra…

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 20:53 da Maria Lucia Riccioli


Maria Riccioli, apre una parentesi interessante. La nostra letteratura è attardata, provinciale e troppo legata alla tradizione? Io dico di sì. Assolutamente sì. Un problema che si sentiva di più nei decenni passati. Una letteratura che guarda troppo se stessa, che rispecchia, che si bea. Autoreferenziale e narcisista. Ecco perchè i libri italiani all’estero non se li filava quasi nessuno. Oggi la situazione mi pare leggermente migliorata.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 21:06 da Ric


@ Wu Ming 1
Proverò a lasciare solo qualche domanda e qualche notazione frammentaria. La discussione tocca il cuore della letteratura e non può essere risolta con poche frasi scritte all’impronta.
Esiste certamente una “nuova nebulosa letteraria italiana”. Non potrebbe essere altrimenti, il rinnovamento fa parte d’una qualsiasi forma vitale. E’ abbastanza semplice riconoscerne in qualche modo la presenza. Delinearne gli aspetti è ben altra cosa. Rappresentano il “nuovo”, a mio parere, (senza legare questa novità a caratteristiche anagrafiche) nella narrativa: Gianni Toti, Carmelo Bene, Busi, Lagioia, Genna, Wu Ming, Evangelisti, Siti, Moresco, Pincio, Avoledo… Per la poesia: Roberto Amato, Chiara De Luca, Luca Ariano, Alessandro Ramberti, Nicola Licciardello…
Già negli anni Settanta si lamentava la scomparsa del padre – nella famiglia, nell’icarnazione della Legge, nel ruolo maschile. Tu qui lamenti la scomparsa dei Padri Fondatori, il senso di smarrimento che ne consegue. E però spesso si riconosce un padre soltanto dopo la sua morte. Sono d’accordo sull’elaborazione del lutto; per il resto, per quanto riguarda l’esistenza d’un “padre”, ci sarebbe molto da dire, e qui mi dilungherei non necessariamente.
Quali sono per te i Padri-Fondatori?
Ho notato (in un certo linguaggio, in certi stili) una sorta di ritorno ad atmosfere care agli anni Settanta. Sei d’accordo? E ho notato, dapprima con sorpresa, un paio di “ritorni” letterari, cercandone e scoprendone personalmente le ragioni, che evito per brevità di trattare qui: del ritorno impetuoso, in una sfera limitata della nostra vita culturale e letteraria, di Pasolini, dopo un paio di decenni di assenza dai nostri territori italiani, quando il suo nome era ormai conosciuto più in Francia che da noi (purtroppo esiste ancora una sorta di censura relativa a molti suoi film) e si ritorna a leggere (e a tradurre) William Burroughs.
Perchè, secondo te, questi “ritorni”?
Infine, non temi che talvolta l’impulso alla spinta documentaria affievolisca l’umore vitale d’un’opera letteraria, raggelandola in una sorta di “catalogo di fatti”?
(Il motivo del mio disaccordo con il Nobel a Dario Fo aveva a che fare proprio con un aspetto simile: con il potere letterario ben limitato della maggior parte delle sue opere, troppo legate al pamphlet e al documento d’epoca).
Mi fermo qui. Ti ringrazio e ti faccio tanti auguri per la tua carriera letteraria,
Gaetano

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 21:15 da Subhaga Gaetano Failla


Cari amici, vi ringrazio moltissimo per i numerosi commenti; da Marco Gatto (che saluto) in poi. Non vi nomino tutti ma… come se fosse.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 21:32 da Massimo Maugeri


Vi ringrazio soprattutto per il tono garbato degli “approcci critici”. Sono certo che lo apprezzerà anche Wu Ming 1 (il quale magari sorvolerà su alcuni “approcci” un po’ pungenti racchiusi in una frase).

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 21:35 da Massimo Maugeri


Avrei altre domande da fare, ma la “carne” messa sul fuoco e tanta. Insomma, caro Wu Ming 1… rispondere a tutte le domande e considerazioni che ti sono giunte ti impegnerà non poco.
Ti risparmio altre mie domande:-)

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 21:37 da Massimo Maugeri


@ Wu Ming 1
Hai scritto: “per “Wu Ming 1″ meglio che usiamo il numero arabo, altrimenti sembra che si debba dire “Wu Ming Primo”, ma io sono il primo solo in ordine alfabetico di cognome!”
-
Mea culpa. So bene che sei Wu Ming Uno e non Wu Ming Primo. Ma a un certo punto ho iniziato a scrivere Wu Ming I…
Però scarico la reponsabilità sulla Einaudi:-)
Se apri il libro, già alla prima pagina, per te compare il numero romano (e non il numero arabo). Almeno, così mi pare…
Però sarebbe carino chiamarvi Wu Ming I, Wu Ming II, Wu Ming III, Wu Ming IV.
Dopo la dinastia Ming, quella dei Wu Ming.
:)

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 21:42 da Massimo Maugeri


(Torno serio)
@ Marco Gatto e Wu Ming 1
Vi propongo un confronto sul postmoderno… ci state?
Secondo voi il cosiddetto postmoderno esiste ancora?
È mai esistito?
E il postmoderno letterario… ?

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 21:44 da Massimo Maugeri


Confesso la mia ignoranza ma non ho mai letto Wu Ming, nè 1, nè 2, nè centomila. Però è interessante la scrittura a più mani. Magari Massimo Maugeri potrebbe aprire una tenzone dando l’incipit e poi chi interviene deve prendersi l’onere di proseguire con, diciamo, una decina di righe… Che ne dite?

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 21:45 da Gianfranco Bussalai


Il mio stile è vecchio come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore…
Che bella la citazione dal caro carissimo Battiato!
La sottoscrivo pienamente…

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 21:50 da Maria Lucia Riccioli


@ Gianfranco
Per proposte creative esiste questo spazio all’interno del blog:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2006/11/02/iperspazio-creativo/
(Iperspazio creativo)

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 23:04 da Massimo Maugeri


In attesa degli interventi di Wu Min 1 ne approfitto per salutarvi e augurarvi una serena notte.

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 23:05 da Massimo Maugeri


Ho “provato” a leggere sia l’intervista che alcuni interventi. Premetto che sono un lettore accanito di letteratura italiana ed estera. Premetto anche che adoro i Wu Ming. Aggiungo che il virgolettato, attorno a “provato”, ha un significato ben preciso. Concludo: credo, spero non dovuto all’età (nel senso dell’appartenenza ad una forma di “linguaggio” antico), di non aver capito nulla dell’oggetto della contesa letteraria. C’è nessuno che potrebbe fare un riassunto per gente normale ? Grazie.
Andrea

Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 23:09 da Andrea


Ragazzi, sono a occhio e croce una ventina di domande, alcune molto generali, che mi chiedono addirittura di “abbracciare il mondo”, come faccio? Ce ne sono cinque o sei che richiederebbero la stesura di cinque-sei brevi saggi, e avrei soltanto iniziato a rispondere. Provo a iniziare:

1. I caratteri compositi e variegati precedono il tentativo di ridurre il NIE a un neorealismo, sono già alla base del memorandum 1.0. Per chiarire che il NIE non è un neorealismo, è sufficiente far notare che molte delle opere trattate nel testo non sono affatto “realistiche”, in nessuna delle accezioni correnti nel dibattito critico-giornalistico italiano. Spesso viene realizzato uno “sfondamento” nel soprannaturale o nell’ucronico, ci sono mondi paralleli, biforcazioni nel tempo, allucinazioni, sogni premonitori, fantasmi. I giornalisti che hanno riassunto la questione parlando di “ritorno al realismo”, molto evidentemente, non hanno letto queste opere. Ma è il concetto stesso di “realismo” a essere sfuggente, ad esempio: anche i sogni sono parte della realtà, perché siamo noi a sognarli, ce li ricordiamo da svegli, influenzano le nostre vite.
Su questo aspetto, rimando alle parti del memorandum dedicate al realismo come denotazione e all’epica come connotazione (che detto così sembra difficilissimo, ma viene spiegato). E rimando anche a questo articolo qui:
“REALISMO”: IL GIGANTESCO MALINTESO
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap3_IXa.htm#editoriale2
Sul fatto che leggendo il memorandum ti sei sentito smarrito nella notte nera: io faccio tesoro di ogni sensazione che mi venga comunicata da un lettore. Però mi piacerebbe se la argomentassi in modo più concreto, sennò come faccio a sapere *cosa* ti ha fatto smarrire?
Sul fatto che noi WM non saremmo in grado di rinnovarci, credo basti dare un’occhiata al nostro percorso nelle sue diverse fasi per vedere che, pur rimanendo coerenti con l’impostazione iniziale, abbiamo subito diverse metamorfosi, figlie di ripensamenti anche radicali su alcuni aspetti del nostro operare.
.
@ Ste
perché potrebbe essere utile riprendere Petrolio.
Perché noi siamo i posteri di Pasolini, quelli venuti dopo a cui il libro era indirizzato, e lo abbiamo ricevuto a brandelli, ma quei brandelli parlano di noi, di un processo degenerativo di cui stiamo vivendo conseguenze estreme e che Pasolini fotografava in una fase precedente (a lui contemporanea) e in una ancora più anteriore.
Petrolio inizia addirittura dalla Resistenza, in cui combattono futuri dirigenti d’impresa statale come Troya (ispirato a Eugenio Cefis, capo dell’ENI). Poi attraversa gli anni Cinquanta e l’Italia del Boom. Nell’estate del ‘60 avviene il fatidico sdoppiamento del personaggio principale, Carlo. La storia si prolunga fino agli anni in cui l’autore scrive, gli anni ‘70 della Strategia della tensione (nel libro, è profetizzata la strage alla Stazione di Bologna, che avverrà solo il 2 agosto 1980, cinque anni dopo l’uccisione di Pasolini).
Pasolini raccontava trent’anni di storia del Paese. Il libro è uscito, incompiuto, solo nel 1992, contemporaneo all’inchiesta Mani Pulite da cui parte l’effetto domino che travolgerà la Prima Repubblica descritta nel libro, e per i motivi detti nel libro!
Oggi sono passati trentatre anni dalla morte di Pasolini e diciassette dall’uscita di Petrolio. Più passa il tempo e più quel libro ci parla, più ci addentriamo in questa seconda repubblica (che potrebbe sfociare in una terza ancora peggiore), e più il libro si fa attuale.
Chiunque tentasse di scriverne le parti mancanti per produrre un “oggetto narrativo” complementare, anche fallendo miseramente nel tentativo andrebbe a mettere le mani su una materia ancora viva e pulsante. Il “senno di poi” potrebbe interagire con quell’opera-mondo in maniere davvero interessanti.
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@ jenny
se la letteratura è come il mare, allora possiamo servirci di carte nautiche per navigarla al meglio, o quantomeno di un sestante, e sapere in quale parte del cielo è la Stella Polare. Mappare il mare significa dire: qui c’è la barriera corallina, uno degli ecosistemi più affascinanti sul pianeta; qui il mare è poco profondo e rischiamo di arenarci; qui ci sono gli scogli ed è meglio evitare di sbatterci contro; lì c’è il Triangolo delle Bermude ecc. Andare alla deriva ad libitum sembra bello quando lo dici dalla terraferma, poi chiunque lo faccia trova l’esperienza tediosissima o spaventosa.
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@ Aurelio Fabiani
non ho capito la domanda, puoi riformularla?
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@ Fabio
osservare le nebulose è un’attività molto comune. Astronomi professionisti e semplici astrofili ti diranno che non è come fotografare un’auto in corsa :-) Le nebulose hanno questo aspetto qui:
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/74/Triangulum.nebula.full.jpg
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@ Marco Vinci
ogni nostro libro è un progetto a se stante, non sono in grado di dire quale sia il più importante. Ci sono diversi ordini di importanza, es. Asce di guerra è importante per l’esperienza umana fatta mentre lo scrivevamo, Manituana è importante perchè è il nostro esperimento transmediale più ampio e coerente, Q è importante perché da lì siamo partiti ecc.
.
@ Maria Lucia Riccioli
penso che viviamo in un Paese molto provinciale che però ha molti esempi di letteratura nient’affatto provinciale, tant’è che gli autori italiani non sono mai stati tanto tradotti all’estero come negli ultimi anni, e le loro opere vengono accolte con autentico interesse.
Certo, un’opera più raccolta e introspettiva può benissimo essere testimone del suo tempo. Ma lo sarà in un altro modo rispetto a quelli che sto cercando di mappare io, userà altri strumenti, instaurerà tutt’altro tipo di rapporti coi suoi lettori.
Riguardo a Q, l’ispirazione non fu Ken Follett e non volevamo “giocare” con la Triviallitteratur. L’ispirazione era il grande affresco epico della storia americana realizzato da James Ellroy nella – tuttora incompiuta – “trilogia del sottomondo”, il cui primo episodio American Tabloid ci esplose nella testa come una bomba a grappolo. Decidemmo di scrivere un romanzo epico come quello, ma europeo. Ovviamente, la nostra storia continentale va molto più in profondità di quella USA. Il nostro “far west” sono le guerre di religione del XVI secolo. Durante le quali erano accaduti fatti, come la Guerra dei Contadini, che si prestavano a una narrazione allegorica. Q parla del Novecento.
Sono contento di sapere che ami Battiato, nella mia formazione è stata una figura importantissima, l’ho scritto qui:
NON SAREI QUI SENZA FRANCO BATTIATO
http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/wm1_su_battiato.htm
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@ Massimo
il font usato dall’Einaudi ha il numero arabo pressoché identico a quello romano, da qui la confusione :-)
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@ ancora Massimo
Noooo, il dibattito sul postmoderno nooooo… :-D
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Pant! Pant!… fffff….
A domani.
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Postato mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 23:52 da Wu Ming 1


Abbiate pazienza, ho postato una prima multi-risposta, ma siccome conteneva dei link, l’anti-spam di Wordpress l’ha messa in approvazione. Appena torna Massimo e la sblocca, potrete leggerla sopra questa. Intanto grazie!

@ Andrea
tu non avevi ancora postato il tuo commento, quindi non sei incluso nella multi-risposta.
Io più divulgativo di così non riesco ad essere, mi dispiace. Dovresti dirmi quali sono i punti in cui incontri difficoltà, e vediamo se riusciamo a scioglierli ulteriormente.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 00:55 da Wu Ming 1


Il discorso è interessante, se non altro perché smuove le acque in uno stagno letterario piuttosto fermo. Personalmente, però, sono abbastanza contrario alla rigida catalogazione dei libri. Mi piacciono, infatti, le contaminazioni. Le definizioni troppo rigide servono più che altro ai librai per preparare gli scaffali. Spero che la New Epic sia un genere che sappia spaziare in ogni dove.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 01:30 da enrico gregori


@ Enrico
personalmente, ritengo quel che sto facendo sideralmente distante da qualunque rigida catalogazione, si usa la parola “nebulosa” proprio perché è un insieme cangiante e dai contorni sfumati, al cui interno le reazioni sono ancora in corso. E secondo me “genere” è una definizione mpropria. Gomorra e Medium, per citare due delle opere incluse, non sono affini perché dentro una stessa casella di “genere”, anzi, sono due libri in apparenza diversissimi, ma hanno caratteristiche comuni profonde e trasversali. Ne ho parlato qui:
http://www.carmillaonline.com/archives/2008/10/002804.html

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 01:44 da Wu Ming 1


Dimenticavo: sono in completo disaccordo sul fatto che la letteratura italiana sia uno stagno fermo. Sono anni fervidi e mossi, escono opere importanti e complesse. Non sempre i lettori se ne accorgono, però, anche perché la critica militante e il giornalismo culturale si affannano a ripetere che non c’è niente. Infatti, se ammettessero che c’è qualcosa, dovrebbero lavorare per descriverlo. Dovrebbero leggere, faticare. Meglio cavarsela dicendo che non c’è niente. E infatti la letteratura ha imparato a fare a meno di questi mediatori che non mediano più. I lettori si autorganizzano. La crescita di un social network come Anobii, che cito nell’intervista, è un esempio di questo.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 01:50 da Wu Ming 1


Massimo ha sbloccato la mia lunga multi-risposta di ieri sera, la trovate qualche commento più sopra.
Sicuramente non ho risposto proprio a tutto, ma mettetevi nei miei panni, m’avete alluvionato! :-) Quel che mi è sfuggito, lo possiamo recuperare fin da ora, segnalatemelo. Ciao.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 10:07 da Wu Ming 1


N.B. Non è segnato, ma la prima risposta (quella sul realismo) era @ Marco Minghetti.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 10:08 da Wu Ming 1


@wu ming1
curiosità:
da quel poco che conosco della vostra storia so che il nome scelto “wu ming” viene dal cinese e significa “senza nome”,voi avevate scelto anche la numerazione cinese che rispettava l’ordine alfabetico dei vostri cognomi,è esatto?ci spiegheresti le origini di questa scelta mutuata da una cultura così distante da quella italiana?
inoltre ,in un’epoca di grande spettacolarizzazione del personaggio e dell’immagine,il non mostrare l’individuo a favore di un lavoro collettivo,non diventa per voi un forzatura che può essere interpretata come un messaggio politico,metaletterario?
rifacendosi sempre a fatti epici e a cose accadute,quale spirito vitale dell’artista puoi trasmettere a chi legge?non rischi di restare un pò ingabbiato in una specie di non-genere che diventa un’epopea senz’anima?senza sguardo soggettivo che è angolatura dell’originalità di un artista?in fondo mica è facile gareggiare con Omero.
grazie di rispondere alle piccole curiosità,magari anche sull’immagine usata nella copertina,quando potrai.
saluti

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 10:16 da francesca giulia


@ wu ming1
io invece rubo un piccolo spazietto per lasciarti un saluto da parte dei ragazzi dell’associazione culturale “verbavoglio” di macomer
: )

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 10:56 da anonimo


questa è una delle discussioni più belle incentrate finora sul new italian epic. complimenti

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 11:03 da alba


@ francesca giulia
“Wu Ming” è la non-firma usata molto spesso dai dissidenti cinesi. Spesso i giornalisti occidentali riportano dichiarazioni di cittadini cinesi critiche verso il regime, e riportano il nome “Wu Ming”, ma o non dicono o non sanno che significa “Anonimo”. Quindi il nostro nome è un omaggio al pensiero che non si piega e non si fa asservire. La scelta per ciascuno di noi di un nome d’arte composto dal nome + un numero indica che, anche quando facciamo cose individualmente (come i romanzi “solisti”), sono considerate come creazioni della nostra bottega artigiana.
N.B. Sul perché usiamo così spesso questa immagine dell’artigiano e dell’artigianato, se si vuole approfondire c’è questo mp3 (dura una ventina di minuti):
IO, SCRITTORE ARTIGIANO, NELLA BOTTEGA DI IGNAZIO FLORIS
http://www.wumingfoundation.com/suoni/suoni.html#oxcars
Sì, certo, il non volerci spettacolarizzare come individui, il non andare in TV, è certamente un discorso anche metaletterario, etico, politico.
Invece non ho capito questa parte della domanda:
“rifacendosi sempre a fatti epici e a cose accadute,quale spirito vitale dell’artista puoi trasmettere a chi legge?non rischi di restare un pò ingabbiato in una specie di non-genere che diventa un’epopea senz’anima?”
Me la puoi articolare di più? Uno dei prerequisiti che rinvengo in queste opere è proprio la passione, un ethos “accorato e partecipe”.

Sulla copertina
è un discorso sul recuperare le rovine, le vestigia del passato che ci sono giunte grazie a un processo di selezione “labile” operato dal tempo – e che nei musei producono strani accostamenti, non certo pensati dai loro autori – e farle rivivere nelle nostre vite, tirarne fuori quel principio vitale che in esse è ancora contenuto (sotto la polvere della storicizzazione). In copertina c’è scritto “ritorno al futuro”, poi però c’è una metopa del Partenone scolpita venticinque secoli fa. Tradizione e innovazione non sono in contrasto: la tradizione va rivitalizzata e immessa nel nuovo, e il nuovo non è tabula rasa.
Poi, questa scultura trasmette una vitalità sconcertante: l’uomo e il centauro non paiono nemmeno fermi, sembrano vibrare nello sforzo della lotta. E sono tutti rotti:mancano due braccia, manca un pezzo di inguine… Ma sono ancora lì che lottano. La trovo davvero un’immagine bellissima.

@ anonimo sardo
grazie, un saluto anche a voi, prima o poi ci torniamo, a Macomer! :-)

@ Alba
è vero, gran bella discussione.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 11:38 da Wu Ming 1


Sono tuttora in atteggiamento di attenzione dialettica rispetto alla nozione di NIE e soprattutto con scrittori-persone (Wu Ming1, Di Michele, Genna) che contribuiscono ad irradiarne il profilo teorico, il che per me è la cosa più importante, perchè è questo dialogo che me ne fornisce il senso vitale. Sono di parte, nel senso che a questa cosa ho già deciso di prestare attenzione, di lasciarmene interrogare, e questo per me è un discrimine.
Perchè si? Perchè il realismo in letteratura è un equivoco, potrebbe coprire l’assorbimento più passivo nella cronaca massmediatica esattamente come la sua negazione ideologica nell’utopia sentimentale. Perchè non è la storia che fa la letteratura, ma uno sguardo “obliquo” che dall’intemporale dell’archetipo giudica il tempo. Ecco perchè l’epica è la vocazione originaria della narrazione, ogni qual volta essa tenti di leggere il presente alla luce di un destino e non si contenti di celebrarlo.
Con le parole di Ernst Junger:
“Nella dimensione storica vi è ripetizione, non ritorno. Achille ritorna in Alessandro,ma il primo Napoleone non ritorna in Napoleone III. All’interno del tempo calcolabile si danno analogie, non identità. Possono dunque comparire i padri, ma non il padre” (Al muro del tempo)
E qui l’aspetto che più mi separa dal gruppo di autori (e amici, vorrei pensare) che ho citato: la loro ricerca di un antecedenza fondativa mi pare ancora troppo storica per puntare a ciò che il ritorno nel senso sopracitato può realizzare. Credo nella reinterpretazione dell’archetipo, più che nella restaurazione del monumento, e credo che solo alcune e solo in parte delle opere citate a proposito della NIE vadano in questa direzione. Ma non è nemmeno questo il problema principale. I padri costituenti sono i padri di un Italia in cui non tutti oggi si riconoscono pienamente, e lo stesso si potrebbe dire di quelli Risorgimentali. Il padre de “La strada” di Cormac McCarthy, invece, è veramente la paternità essenziale, in cui ogni uomo riconosce la necessità del tra-mandare. A rispettosa ma credo proficua distanza dalla NIE, forse più come professore di filosofia che come scrittore di romanzi, mi sto chiedendo con forza e da tempo non tanto chi o cosa mettere nell’arca (perchè è di questo che si tratta, indubbiamente: un guado, lungo quanto un oceano) ma quale universale nutrimento perchè nessuno ne sia escluso.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 11:39 da valter binaghi


Volevo sottolineare queste due frasi di WM1.
I – …….(i romanzi “solisti”), sono considerati come creazioni della nostra bottega artigiana.
Qui WM1 parla di bottega artigiana, di artigianato. Questa è una cosa bellissima. Non c’è la spocchia di chi si autocelebra come artista. Io sono a favore dell’artigianato di qualità, fondato sul lavoro, sulla ricerca.anche in scrittura.E mi piace l’approccio di condivisione:tutti per uno, uno per tutti.Bravo WM1

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 11:58 da Loretta


poi questa……………………..
il non volerci spettacolarizzare come individui, il non andare in TV, è certamente un discorso anche metaletterario, etico, politico.
Fate bene ad andare in controtendenza.sono contraria all’eccessiva spettacolarizzazione televisiva della cultura. non ci servono scrittori soubrette,ci servono scrittori che scrivono

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 12:00 da Loretta


@ Valter
ovviamente, più si scava in profondità e più si giunge al nocciolo di differenze di impostazione filosofica. Nel tuo caso, poi, si arriva a un fondamento teologico, a una fede che io non ho. Per me, poi, l’archetipo non è astorico, ma immanente al nostro vivere in società, ri-creato dal nostro vivere in società, in un’interazione tra le nostre relazioni e il modo in cui funziona la nostra mente. Su questo, sono parecchio distante da Jung (di cui comunque riconosco l’indispensabile contributo). Ma qui andiamo su una china che ai tuoi occhi è sicuramente “fisicalista” (il mio interesse per neuroni e sinapsi, per le scienze cognitive etc.) Questo non significa che non si possa fare pezzi di strada, anche lunghi, affiancati oppure zigzaganti “a contrasto”: mentre uno fa zig, l’altro fa zag, e ogni tanto si converge scambiandosi opinioni.
Al muro del tempo comunque è un gran bel libro. Peccato che nelle traduzioni Adelphi gli autori di lingua tedesca sembrino tutti uguali. Eleganti nel fraseggio, ma parecchio omologati l’uno all’altro.
Oddìo, abbiamo alzato parecchio il livello… :-/
Ad ogni modo, quando parlo di “scomparsa dei padri fondatori”, non sto dando per forza un giudizio di valore positivo sul loro operato, anzi, l’immagine mi è venuta leggendo Nelle mani giuste di De Cataldo, dove i capostipiti scomparsi sono due e sono entrambi dei farabutti. E ne L’uomo che volle essere Peron di Bellu, come nel nostro Manituana, il Vecchio era un personaggio certamente integro e affascinante, ma con limiti e difetti che non vengono certo nascosti, anzi, sono al centro della narrazione.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 12:01 da Wu Ming 1


@ valter: capisco le tue perplessità. Dici che il realismo in letteratura è un equivoco, e sono d’accordo al 100%. Ma come già detto sopra, credo sia anche un grosso equivoco ridurre il NIE a un’unica dimensione: quella del romanzo storico realista.
Nel saggio “La salvezza di Euridice” (che segue quello di WM1 nel volume Einaudi) ho sottolineato con forza proprio l’importanza di mettere l’accento sull’interpretazione vs la restaurazione del dato storico di partenza. L’epica è tale proprio perchè trascende la cronaca e può trascendere la cronaca solo grazie a un passaggio iniziale irrinuciabile: rendere opaca la rappresentazione della realtà e chiarire così da subito che quel che interessa non è la verità, l’attendibilità della foto, ma il significato, la funzione di quel che si rappresenta. Solo così la memoria può riprendere a scorrere, interrogare il presente, e fluire verso il futuro.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 12:09 da Wu Ming 2


Forse Wu Ming 2 ha risposto alla parte della domanda di Francesca Giulia che non avevo capito.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 12:10 da Wu Ming 1


@wu ming1
grazie davvero per le tue risposte,interessante dibattito,c’è sempre da imparare grazie a persone che sanno porgere interrogativi e non solo risposte.Forse non ho formulato bene la domanda,più una curiosità,uniformando il pensiero e la scrittura agli altri componenti e facendone una voce di gruppo non si rischia di perdere quello spirito originale e unico che dà passione a ciò che si crea e che è per l’appunto individuale?non dico che bisogna essere necessariamnete autoreferenziali nella scrittura,ma il segno dell’individuo,dell’artista non si perde nel raccontare un’epica storica,una ripetizione di fatti accaduti?
come trasferisci il soffio vitale ai tuoi personaggi?fate una riunione di gruppo e date i voti?naturalmente quest’ultima è una scherzosa provocazione,ma ci spieggheresti a noi individualisti come si fa praticamente ad armonizzarsi in gruppo?
grazie di cuore

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 12:10 da francesca giulia


@wu ming 1 e 2
non avevo letto la risposta ulteriore,grazie devo rileggere con calma e capire se ho capito!
:-)

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 12:15 da francesca giulia


@ Francesca Giulia
nella musica è normale che esistano i gruppi e che le loro composizioni emozionino quanto se non più di quelle di artisti solisti. In letteratura pare più strano, ma è perché l’industria culturale vuole venderci a ogni costo l’immagine dello scrittore singolo, per farne una star, una celebrità.
Noi pensiamo che il nostro lavorare in gruppo, a stretto contatto, discutendo animatamente, leggendo ad alta voce, raccontandoci a vicenda le storie che poi finiranno sulle pagine, ci permetta di infondere nella scrittura più passione, non meno. Il fatto che siamo amici oltreché colleghi, che ne abbiamo passate insieme di tutti i colori, che dopo 15 anni il nostro progetto va avanti con lo stesso entusiasmo degli inizi, tutto questo è materia calda che plasmiamo nei libri.
Ciascuno di noi, poi, sente che il collettivo, lungi dal limitarne lo spettro, permette alla sua voce singola di risuonare in modi più variegati. E quando scriviamo i romanzi solisti, facciamo tesoro delle lezioni apprese in comune.
A volte le nostre riunioni sono a metà tra un gioco di ruolo e una seduta medianica, in cui ciascuno di noi è “posseduto” dalla voce e dal destino di un personaggio.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 12:17 da Wu Ming 1


@Wu Ming 1
Non so se il discrimine è proprio teologico, sai?
Se non fosse un parolone direi che è ontologico. Cioè quello che cerco non è tanto un Dio fuori dal tempo che assegni alla storia un destino (se c’è, saprà come farsi trovare), ma proprio un’estasi della storia che consenta di ricapitolarla. Il suo fondamento è antropologico: siamo fatti così, abbiamo il fiume di Eraclito sotto i piedi e la stella di Parmenide sopra la testa. L’epica lo fa vedere, sempre. Anche quando, come nell’Ariosto (o in Siti), la solennità si è trasformata in sovrana ironia.
Poi il fisicalismo a me va benissimo, purchè sappia di essere il linguaggio dell’esteriore, che non può sopravvivere senza il linguaggio ermeneutico dell’interiore, perchè l’uno è l’interprete dell’altro. La mia è una logica dell’inclusione, dell’integrazione, che non vuol creare mostri ma cose belle come la federazione irochese.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 12:19 da valter binaghi


E allora sulla federazione irochese possiamo trovarci. Anzi, nella federazione irochese. Intorno al fuoco parleremo di essere e divenire.
Come si discute bene, prima che i troll si accorgano che lo stai facendo!

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 12:46 da Wu Ming 1


scusate, cos’è la federazione irochese? perdonate l’ignoranza

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 12:54 da marvin


per Wu Ming 1 e 2
Pura curiosità. Secondo voi chi è il/la più grande autore/autrice della letteratura italiana del’Ottocento? E del Novecento?
E la più grande opera narrativa italiana di tutti i tempi?

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 13:03 da Antonio R.


@ Marvin
trovi la spiegazione qui:
http://it.wikipedia.org/wiki/Irochesi

@ Antonio R.
non mi hanno mai convinto questi giochi, ti rispondo ma tieni conto che in un’altra fase della mia vita avrei risposto o potrei rispondere in tutt’altro modo e per tutt’altri motivi.
Manzoni. Fenoglio. Divina Commedia.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 13:06 da Wu Ming 1


Colgo l’occasione per segnalare un’altra bella discussione su NIE e dintorni (in questo caso su NIE e poesia), in corso su Absolute Poetry:
http://lellovoce.altervista.org/spip.php?article1694

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 13:28 da Wu Ming 1


@Wu Ming2
Scusami, ho visto solo adesso il tuo commento. Il romanzo storico realista non è certo una novità, e nemmeno la sua amplificazione allegorica (vedi “Una storia romantica” di Scurati). Infatti io sono convinto che nel NIE ci sia molto più di questo, almeno come intenzione ri-fondativa in letteratura.
E comunque Manituana, più di Q, si avvicina molto alla mia idea di romanzo epico, anche se a suo tempo ne ho criticato il lancio un po’ roboante. Visto il lavoro che ne avete fatto seguire, credo adesso che l’enfasi fosse giustificata. Poi c’è L’Odissea ma c’è anche Omero. Cioè, nel NIE vedo di importante il tentativo di ri-pensare lo sguardo del narratore, prima ancora della materia narrata.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 13:43 da valter binaghi


@A tutti
Un grande romanzo epico: Davide, di Carlo Coccioli (Sironi)

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 13:45 da valter binaghi


@WuMing1:
voi WM avete una intensissima e programmatica attività di comunicazione con i lettori di cui questo blog è soltanto l’ultimo esempio, dopo il bellissimo Manituana.com, il super-completo Wumingfoundation.com, gli interventi su Carmilla, etc.
Io personalmente non conosco altri esempi così strutturati, né in Italia né in giro per il mondo, ce ne sono?

La ‘fatica d’amore’ di comunicare con il lettore può essere secondo te una delle caratteristiche della New Italian Epic, è una vostra scelta personale, o fa parte dello spirito dei tempi?

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 14:15 da Dalia


@ Antonio.
Provo a giocare anch’io, con le stesse riserve di WM1.
Manzoni. Sciascia. L’Orlando Furioso.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 14:25 da Wu Ming 2


Wu Ming 1 e 2.
Ero solo un pò curioso. Grazie :)
W Manzoni che continua a mettere d’accordo tutti.
[viva Manzoni, non Wu Manzoni ] :)

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 14:40 da Antonio R.


@ Dalia
Di certo è una scelta personale, figlia di questi tempi e di un certo modo di intendere il nostro mestiere. Però vorrei sottolineare anche un aspetto tipico delle opere NIE. Esse, pur senza essere realiste, hanno un forte legame con il mondo e gli eventi che circondano ognuno di noi. L’universo narrativo che mettono in scena non è tutta farina dell’autore. E’ come quando un fan si ispira al Signore degli Anelli per scrivere una storia ambientata in quel contesto. Ci mette del suo, ma il mondo del Signore degli Anelli non è suo, coinvolge migliaia di altri fan. Ecco, quando De Cataldo scrive “Romanzo Criminale” è una specie di fan creativo delle vicende della Banda della Magliana. Quando noi scriviamo Manituana, siamo fan della Rivoluzione Americana e degli indiani della costa est. Ora, cos’è naturale per un fan? Cercare altri fan, altra gente con la stessa passione, per confrontarsi, creare, espandere mondi. Quando parlo con qualcuno che ha apprezzato Manituana, io non lo reputo un fan di Wu Ming. Piuttosto, sono contento di aver trovato un altro patito, come me, di quel periodo storico, dei suoi simboli e allegorie, e di un certo modo di esplorarlo.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 14:40 da Wu Ming 2


ci saranno altre pubblicazioni sul nie? contate di riaggiornare questo volume? come stanno andando le vendite del libro? perché qualcuno dovrebbe acquistarlo se è scaricabile on line? troppe domande, forse. scusate

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 15:09 da filippo


un’altra cosa. voi siete 4, giusto? potreste aumentare di numero, nel tempo? o diminuire? scusate se vado fuori tema

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 15:11 da filippo


@wuming Yi
è molto affascinante questa idea della seduta medianica in cui ciascuno di voi è posseduto dal personaggio…,non avete paura di restare troppo ai margini del potere editoriale e delle scelte di mercato?oppure oltre alla dignitosa opera letteraria di espressione che vi siete posti sperate di rompere e destabilizzare gli schemi degli imperi editoriali?quanto vi interessa di più la creazione di opere letterarie che emozionino il lettore e quanto invece l’opera di rottura di certi schemi?quanto siete sinceri??
forse è ingenua la mia domandina,ma la curiosità mi spinge verso ciò che non conosco e comprendo fino in fondo.Qual è il vostro fine ultimo?

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 15:15 da francesca giulia


@ wu ming 1
forse ricordi il post di ieri l’atro su absolute poetry riguardo ai prossimi spettacoli di reading, incentrati su Manituana e Stella del mattino che col mio gruppo porteremo, starei per dire indegnamente, in giro per la toscana (farò del mio meglio!!).

Vorrei cogliere l’attimo di questa bella e serena discussione, e data la Tua inaudita disponibile pazienza, per chiedere di spiegarci\linkarci – con qualche dettaglio in più rispetto al memorandum – cosa rende un film con ricostruzione storica un’opera che non teme l’usura del tempo (esempio per tutti: L’ultimo dei Mohicani di Michel Mann, 1992) da uno di quei colossal anni ‘50-’60 sull’antica Roma, magari un peplum girato a cinecittà, così stantio ai nostri occhi.

Letture senza nome conterrà audio visivi – l’intento è una performance transmediale, per usare un termine a te caro – dal booktrailer di Monica Mazzitelli per WM4, e lo stesso video di presentazione a Manituana, alle foto riconducibili ai moti rivoluzionari del 1848 in Venezia, alle scene di guerra (le g. mondiali, in vietnam, il bombardamento di Bagdad nel 1991, fino ai recenti attacchi israeliani): certo andrebbe prima visto lo spettacolo, ma se è intuibile la fattura, non credi che la semplicità pensosa di cui ci si fa carico offra più che una resistenza all’imbarbarimento generale, uno spunto per accomunarci se possibile in quanto ‘italians’ per pura rivalsa patriottica?
Grazie e ancora complimenti a Massimo Maugieri

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 16:59 da fabiandirosa


Grazie a WM1 per la risposta sollecita e gentile…
Benvenuto a WM2!

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 18:06 da Maria Lucia Riccioli


Bello l’articolo su Battiato! Sottoscrivo ogni parola… FB riesce ad essere popular ed esoterico, radical e chic… unico sempre! Nella mia vita ad ogni tappa c’è una canzone di FB, mai banale, sempre suggestivo ed evocativo, di mondi lontani, dell’infinitamente grande e piccolo dentro e fuori di noi. Grazie ancora a WM1.
Naturalmente, il 23 marzo FORZA FRANCO a Catania!!!

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 18:30 da Maria Lucia Riccioli


Se consideriamo, che la letteratura è il riflesso del tempo, dobbiamo analizzare il nostro tempo per dedurne le cause del suo essere diversa, come anche di come sia..
Viviamo in un’epoca delle comunicazioni intense e vaste in ogni dell’attività dell’uomo.
Sorte dalla necessità prima di guadagno e solo dopo di occupazione, si riscontra oggi una divulgazione culturale senza precedenti. È possibile che proprio nella vastità dell’allargamento culturale risieda la causa della nebulosità dei suoi contenuti.
Reduci da un periodo di divulgazione unitaria ordinata e controllata, nella quale solo pochi emergevano per le loro idee nuove e individuali, riscontriamo oggi una forma di cultura eterogenea mai esistita, perché tollerata e appoggiata dal sistema del guadagno.
A parte i ristretti ambiti scientifici dove i trattati devono subire la conferma esperimentale per essere accettati e divulgati, negli altri campi esiste tolleranza assoluta, per lo meno nei sistemi democratici occidentali.
Per fortuna, direi, quando scrivere non è più assolutamente un’arte per vivere, ma un’attività che compensa gli interessi personali rivolti alla ricerca seria di sé.
Esistono così tantissime sfumature di letteratura, tutte da valutare e rispettare nel loro contenuto, purché siano dettate da un’intenzione ricercatrice seria.
Nell’epoca della velocità d’ideazione, produzione e scarto di tutto e quindi anche di pensiero, tutto il prodotto perde in breve tempo il valore concessogli all’inizio e dimenticato diventa immondizia.
L’uomo stesso perde ogni suo valore umano per diventare oggetto di produzione di reddito fino a quando non varrà neanche un centesimo e verrà scartato.
È un’illusione credere nel progresso delle teorie. Il sapere, senza la contropartita della parsimonia nel suo uso, incrementa la presunzione e vanità, due vizi sufficienti ad annientare tutta l’umanità.
Saluti
Lorenzo

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 19:46 da lorenzerrimo


bè, se da tutto questo profluvio,scialo direi quasi, di intelligenza e di cultura riesce addirittura a partorire una frase come “Nel vedere la chiesa allagata,il prete divenne paonazzo” (wu ming 54) nulla è perduto.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 19:46 da filippo 2


togliere il “da”

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 19:55 da filippo 2


Grazie per il tuo commento, Filippo 2. E benvenuto a letteratitudine!
Sono d’accordo con te quando sostieni che nulla è perduto. Sono sicuro che sarà d’accordo anche Wu Ming 54, con gli altri 53 membri della band (che immagino non avranno motivi per replicare).
:)
Io invece sono paonazzo per il fatto che a casa mia manca l’acqua corrente da ben 48 ore
:-(
Prima o poi su questo problema ri-corrente ci farò un post.
(scusate l’off topic)

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 20:19 da Massimo Maugeri


Caro Massimo, chiedi un confronto sul postmoderno. Il rischio è di parlare di questioni e periodizzazioni di lana caprina. Direi comunque che il postmodernismo letterario italiano non ha nulla a che fare con il postmodernismo americano, laddove il secondo raggiunge esiti maggiori rispetto al primo (quasi inesistente, in Italia). Direi piuttosto che, come accaduto in tutto il mondo, siamo passati da un certo tipo di realtà sociale ed economica a un’altra, e che anche la letteratura (prima quella americana e poi quella italiana, in ordine di tempo) ne sono stati influenzati, nei modi più diversi perché è ovvio che il rapporto non può essere unidirezionale. In Italia credo che la consapevolezza letteraria di questa fase si apra proprio con la morte di Pasolini, seppure anticipata dai libri di Arbasino /Fratelli d’Italia, ecc./, e coincida con lo scivolamento delle pretese della neoavanguardia e la sua successiva museificazione (Fortini docet). Gli anni Ottanta e Novanta rappresentano pienamente la nuova temperie culturale, confermando il crollo della civiltà umanistica e il dominio incontrastato di una letteratura da consumo. Ci si chiede ultimamente se il postmoderno sia finito, se esso sia stata una parentesi di modernità andata a male (Berardinelli, ma in fondo anche Luperini), se esso rappresenti un’illusione storiografica (Eagleton), se esso sia vivo e vegeto (Jameson). La mia personale opinione è che non ci si oppone allo spirito del tempo con un’iniezione plastica e artificiale di neo-neorealismo; piuttosto con un lavoro lento di resistenza alla cancellazione della storia, che è stato uno dei fenomeni più discussi di questi ultimi trent’anni, e che si accompagna alla perdita di una misura civile (laddove per civile intendo non semplicemente impegno e dedizione politica, quanto consapevolezza di avere un destinatario sociale a cui parlare, senza essere, come lo sono quasi tutti gli scrittori italiani di oggi, autoreferenziali fino all’eccesso): per questo plaudo ad opere come “Gomorra”, come “Le benevole” di Littel, che pur accettando l’orizzonte storico in cui viviamo, ne esprimono un rigetto critico, una consapevolezza demistificante, una comprensione civile. Non credo, poi, che ci troviamo in un’epoca tanto diversa rispetto a quella degli anni Ottanta: parlare di fine della postmodernità è un errore. Nel mio libro su Jameson – se mi è consentita un’autocitazione – ho tentato di dimostrarlo. Semplicemente, il ritorno della tragedia, il ritorno del reale nelle forme drammatiche degli attentati terroristici, non mostrano soltanto la loro chiara apparenza estetica, dimostrano piuttosto che, squarciato il velo delle mediazioni artistiche, possiamo riconoscere il volto aggressivo del tardo capitalismo, cioè di quel modo di gestire e pensare la realtà che ha inevitabili ricadute sul nostro modo di fare e concepire la letteratura. Il ritorno del reale è, a mio parere, la rivincita del capitale sull’estetica: cioè una nuova forma di mistificazione e dominio. Il libro che lo dimostra? “L’uomo che cade” di DeLillo, proprio perché esperimento letterario non riuscito.
Saluti,
Marco

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 20:21 da Marco Gatto


Ringrazio e saluto tutti gli altri intervenuti.
Un saluto speciale anche a Fabiandirosa (che interviene per la prima volta)… emh… nel mio cognome hai messo una “i” di troppo:-)

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 20:21 da Massimo Maugeri


@ Marco Gatto
Grazie per il tuo intervento, Marco. In effetti ti avevo citato perché so che sei uno studioso del “postmoderno”. E in effetti altre volte avevamo avuto modo di discuterne.
Citi Littel che, di recente (e proprio nella “patria” del postmoderno letterario), è stato brutalmente stroncato. Pure con l’ultimo DeLillo non ci sono andati leggeri, negli States (se non mi sbaglio). Sul postmoderno italiano, anche in altre circostanze, abbiamo citato Calvino (e pure Eco)…
Ma come ha fatto notare Wu Ming 1, rischiamo di andare fuori tema.
Magari potremmo riparlarne in maniera più approfondita in altre occasioni.
Grazie mille, caro Marco.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 20:32 da Massimo Maugeri


Saluto anche Wu Ming 2.
Grazie per essere intervenuto.

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 20:33 da Massimo Maugeri


Interessante lo scambio tra Wu Ming 1 e Valter Binaghi…

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 20:34 da Massimo Maugeri


Per il momento mi fermo qui e vi auguro buona serata.
Mi pare che c’è ancora lavoro per i Wu Ming, qui:-)

Postato giovedì, 26 febbraio 2009 alle 20:34 da Massimo Maugeri


Caro Massimo, non mi sorprende che Littel sia stato stroncato laddove il postmodernismo ha attecchito meglio. Una riprova del suo valore. Ad ogni modo, meglio discuterne in altra sede, come tu consigli. Grazie, e a presto, Marco

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 00:20 da Marco Gatto


@ filippo
Al momento nonabbiamo in cantiere altre pubblicazioni sul tema del NIE. I saggi contenuti nel volume si aggiorneranno attrevreso il dibattito, on-line e in altre sedi (a breve un convegno, all’Università di Londra). Nel libro è presente una versione aggiornata del memorandum – rispetto a quella attualmente disponibile per il download – oltre a un mio saggio inedito, che riflette sul NIE da un’angolazione piuttosto diversa.
Diminuire è sempre possibile, purtroppo: eravamo 5 fino a sei mesi fa, ora siamo 4. Aumetare è molto più difficile, almeno in pianta stabile. Collaborazioni con altri osggetti, invece, ne attiviamo di continuo.

@ francesca giulia
il nostro scopo è raccontare storie. Quali? Quelle che ci piacerebbe leggere. Cioè? “Epica apocrifa” mi pare una buona definizione…
Cerchiamo di fare il nostro lavoro con sincerità, passione e senza rinunciare ai nostri principi. Tutto il resto discende da questo.

@ marco gatto
Ha ragione Massimo, discutere a fondo il tuo breve intervento ci porterebbe lontano. Indico solo i passaggi sui quali non mi trovo d’accordo:
1) cancellazione della storia: non vedo la necessità di opporvisi con un lavoro lento, visto che proprio gli eventi che citi – 11 settembre e dintorni – hanno dimostrato – se mai ce n’era bisogno e in modo dirompente – quanto l’annuncio della “fine della storia” fosse una bufala colossale.
2) Se, come dici, siamo di fronte a un ritorno del reale, non vedo in che senso sarebbe “plastica e artificiale” l’iniezione di neo-neorealismo (con tutto che il termine non mi convince, ma facciamo a capirci). Mi pare piuttosto, una reazione naturale al ritorno che descrivi.
3) Quando dici che quasi tutti gli scrittori italiani sono autoreferenziali fino all’eccesso, mi sembra che tu descriva una situazione che è esistita (fino a metà anni Novanta) e che ormai è superata da molte opere “civili” e di ampio respiro. La N di New Italian Epic, sta proprio in questo “cambio di passo” nella letteratura italiana degli ultimi quindici anni

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 00:24 da Wu Ming 2


Per Wu Ming 2:
a) e b) credo che stiamo dicendo la stessa cosa: gli eventi storici dimostrano la bufala della cancellazione della storia – sono d’accordo – per cui ritengo vadano giudicate positivamente quelle opere che, intrattenendo un rapporto concreto con la realtà e col passato, annegano ogni tentazione “finista”. Direi di fare più attenzione alla categoria di nuovo realismo: c’è, obiettivamente, un ritorno al reale, ma nello stesso tempo c’è una persistenza forte di narcisismo spettacolare e di artificiosità. Attenti cioè a sdoganare principi e categorie che non corrispondono effettivamente ai prodotti letterari di cui parliamo; e che nella maggioranza dei casi sono invenzioni storiografiche, per non dire nuovi travestimenti del reale.
c) me lo auguro, anche se sono (per natura) scettico. In bocca al lupo.

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 01:02 da Marco Gatto


chiedo scusa per il commento di ieri: ero un po’ brillo.
un epico inciampo nel comico

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 08:31 da filippo 2


@Marco Gatto
Su a) e b) sì, credo stessimo dicendo qualcosa di molto simile.
su c) sono (per natura) ottimista…

@filippo 2
epica e comicità non sono affatto in contraddizione. “Epico” non vuol dire “serio”. Pensa all’Orlando furioso! Questo per ribadire che l’unica ironia che consideriamo ormai stucchevole e inefficace nasce dal rifiuto, dalla paura per l’empatia verso ciò che si scrive, in nome di un malintesto “disinteresse” dell’artista.

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 09:47 da Wu Ming 2


chiedo scusa a Maugeri per la ‘i’ di troppo (ops) ; al regista Mann, Michael (non Michel) e a wm 2 che pure ha preso parte alla discussione, cui rivolgerei l’intervento da me rivolto anche a wm1

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 10:32 da Anonimo


anonimo sono anonimo, però preferisco firmare..
;-D
fabian

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 10:34 da fabiandirosa


per wu ming 1.
grazie mille per la risposta,
è convincente
e pure tosta.
j.

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 11:32 da jenny


da CARMILLA ON LINE del 26/2/09
http://www.carmillaonline.com/archives/2009/02/002955.html

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 11:51 da NEW ITALIAN EPIC: SFIDE E PAURE


scusate se dirò delle stupidate ma mi dichiaro miserabile (come dice il Genna) lettore.
a me pare che pur con alcuni limiti che magari approfondirò il memorandum ha un importanza fondamentale, quella di mettere in evidenza un fattore comune tra molti scrittori italiani (si può dire contemporanei?).
il fattore comune è che sono gli unici (con la loro arte) a risvegliare una coscienza etica nelle persone, sono gli unici che ti mettono di fronte ad una realtà che è ben diversa e ben più complessa di quella che riceviamo dai media. quando leggo de cataldo, genna, biondillo, sarasso,…..non posso fare a meno di riflettere, di approdondire, di “indagare” la realtà.
concludo dicendo che insegno in una scuola superiore di secondo grado e penso che tramite la lettura di questi libri gli alunni possono attivare una coscienza critica tramite la conoscenza, l’analogia, la rielaborazione un po come quando io ero studente e vittorini, staiano, alvaro,…. lo hanno fatto con me.
ciao

ps scusate se sono un po OT rispetto all’intervista

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 11:54 da mauro


@ wu ming 1
una battuta, per ridere insieme.
posso dire che i tempi di scrittura di wu ming 1 sono tempi bui?
;)

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 12:32 da mortisia


@ wu ming 2: interessante il riferimento al comico. Mi viene da pensare alla satira ( Rabelais, ad esempio) che, se non proprio epica, è molto vicina al tipo di impegno e assunzione di responsabilità che compare nel memorandum.

ps: gran bel saggio, “la salvezza di euridice” ;)

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 14:17 da blepiro


@ wu ming 1:
grazie della precisazione. quando accennavo alla situazione stagnante della letteratura, non mi riferivo tanto agli autori quanto al complesso degli editori che, a mio avviso, non seguono autori o potenziali autori, in modo da tentare di valorizzarne i libri.
numerosi editori mi hanno fatto questo discorso, tutti lo stesso: “ma come si fa a leggere tutti i manoscritti che arrivano? è impossibile. ne buttiamo tanti senza manco aprirli. chissà, magari buttiamo il capolavoro del secolo. ma come si fa? è una valanga di carta. e poi, molti li leggiamo qua e là, tanto per, e poi rispondiamo che non possiamo pubblicare, o manco rispondiamo”.
Io questo discorso lo comprendo, ma la mia risposta è sempre stata la stessa: “perché, allora, invece che l’editore non hai fatto (chessò) il sarto?”

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 14:59 da enrico.gregori


Ringrazio tutti per i nuovi commenti.

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 16:31 da Massimo Maugeri


Qualcuno ha già inserito il link a Carmilla relativo ai due interventi di Alberto Casadei e Stefania Scateni:
http://www.carmillaonline.com/archives/2009/02/002955.html

Alberto Casadei è critico letterario, scrittore e docente di letteratura italiana all’Università di Pisa.
Stefania Scateni dirige le pagine culturali de L’Unità.

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 16:34 da Massimo Maugeri


@ Wu Ming 1
Quando nell’intervista ti ho chiesto “Se dovessi indicare un libro (uno solo) come simbolo per eccellenza del New Italian Epic, quale titolo citeresti?”, tu mi hai risposto “Le parti mancanti di “Petrolio” di Pasolini, che forse qualcuno sta già scrivendo”.
Dài… giochiamo a carte scoperte, Wu Ming 1.
:)
Non è che secondo te le parti mancanti di “Petrolio” di Pasolini qualcuno le ha già scritte?
Giuseppe Genna con “Italia De Profundis”?
Sbaglio?

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 16:40 da Massimo Maugeri


Peraltro Giuseppe Genna sarà presto mio ospite proprio qui a Letteratitudine.

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 16:41 da Massimo Maugeri


@ Filippo 2
Non ti scusare, dài… grazie per essere intervenuto, invece.
Ma se abbiamo conosciuto il Filippo 2 “un po’ brillo”, ora attendiamo il Filippo 2… brillante.
;)
Ti aspetto nei prossimi post…

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 16:43 da Massimo Maugeri


Auguro a tutti buon pomeriggio e buona serata.

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 16:43 da Massimo Maugeri


Salve a tutti, è da qualche mese che seguo il dibattito sul NIE in modo passivo, cioè solo leggendo i vari saggi o recensioni o stroncature di autori e critici. Il che è stato divertente, ma al tempo stesso avvilente, perché più leggo meno mi pare di riuscire a definire questo assieme di opere denominata NIE come movimento, come genere, o anche come temperie culturale. Diciamo che se in effetti vedo una rottura con il passato recente, non sono ancora convinto al 100% che questa rottura sia sufficientemente univoca da poter essere definita in modo esclusivo, ovvero includendo opere diversissime come quelle di Saviano e Wu Ming ed escludendo quelle di Ammaniti, oppure tracciando un confine netto fra NIE-sì NIE-no all’interno della produzione del medesimo autore…(continuate a leggere, adesso arriva la domanda)

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 16:57 da lorenzo amato


Ora, siccome la critica letteraria si fa solo in riferimento a opere specifiche, vorrei sapere (da Wu Ming 1, 2 GiuGenna o altri) quale sarebbe secondo loro un possibile canone di opere NIE, a uso di studenti stranieri che non conoscano la realtà letteraria italiana come (in teoria) dovremmo conoscerla noi. La mia domanda non è oziosa: intendo tenere un corso in Finlandia su questo argomento, e vorrei affrontare la materia in modo problematico, offrendo esempi e contro-esempi. Mi piacerebbe infatti studiare non tanto il ‘movimento’ (se esiste) quanto gli autori, andando quindi contro il precetto di Wu Ming, e in particolare controntare opere NIE e non NIE degli stessi autori (es. Camilleri, Evangelisti, ecc.) Per questo apprezzerei un canone di opere suggerito dagli autori, significative per rappresentatività e per qualità assoluta. Spero sia tutto chiaro!

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 17:02 da lorenzo amato


Mi sembra interessantissima l’”associazione” di un gruppo di scrittori che espongono le loro idee estetiche condividendole attraverso un “manifesto letterario”: mi fa pensare ai “bei tempi” in cui gli “intellettuali” si riunivano a “pensare insieme” ( mi vengono in mente: L’Encylopédie+ le “soirées de Médan”+ i manifesti dei Surrealisti e delle Avanguardie in generale+ l’Esistenzialismo e altri movimenti del pensiero).
Anche se non ho capito l’intero intervento, condivido pienamente ciò che scrive Marco Gatto in questi due punti:

1) ” il crollo della civiltà umanistica e il dominio incontrastato di una letteratura da consumo”;

2) “La mia personale opinione è che non ci si oppone allo spirito del tempo con un’iniezione plastica e artificiale di neo-neorealismo; piuttosto con un lavoro lento di resistenza alla cancellazione della storia, che è stato uno dei fenomeni più discussi di questi ultimi trent’anni, e che si accompagna alla perdita di una misura civile (laddove per civile intendo non semplicemente impegno e dedizione politica, quanto consapevolezza di avere un destinatario sociale a cui parlare, senza essere, come lo sono quasi tutti gli scrittori italiani di oggi, autoreferenziali fino all’eccesso)”
Credo sia necessario ritrovare, da parte degli intellettuali italiani, proprio un “destinatario sociale a cui parlare”.

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 20:55 da roberta


@ Tutti

scusate, sono stato fuori tutto il giorno, rientro solo ora e ho difficoltà a rimanere connesso. Risponderò alle nuove sollecitazioni quanto prima, intanto di nuovo grazie!

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 21:28 da Wu Ming 1


Per Wu Ming 1 e 2
Questo libro sarà tradotto in altre lingue? Pensate che contribuirà alla divulgazione dei romanzi italiani all’estero?

Postato venerdì, 27 febbraio 2009 alle 23:36 da Santo


@ Santo
La versione 2.0 del romanzo è già stata tradotta in francese, mentre il saggio “La salvezza di Euridice” verrà presto pubblicato in Spagna, in forma leggermente ridotta. Non so dirti se il nostro testo contribuirà alla diffusione dei romanzi italiani all’estero. Di certo contribuirà a rafforzare la sensazione – già piuttosto diffusa tra i critici stranieri – che in Italia si stia facendo qualcosa di peculiare e di interessante in ambito letterario.

@Massimo
Credo che le parti mancanti di Petrolio siano proprio “le parti mancanti di Petrolio”, cioè quel che si potrebbe scrivere oggi per completare il progetto ereditato da Pasolini. Nessuno scrittore italiano ha ancora tentato la sfida…

@fabiandirosa
Di solito resistono alla prova del tempo le opere che più di altre ci mettono in contatto con un mitologema, uno schema mitico di base. Nel caso dell’Ultimo dei Mohicani, è l’epica del popolo estinto, l’eredità meticcia, il passaggio di consegne dai vecchi ai giovani. Forse nei peplum si badava più alla dimensione colossal, alla ricostruzione storica roboante e molto meno all’interpretazione metastorica. Oggi, se dovessi indicare un film che si avvicina molto alla sensibilità delle opere NIE, direi senz’altro Valzer con Bashir, a prescindere da alcune ambiguità non risolte.

@roberta
“destinatario sociale a cui parlare” mi sa molto di comunicazione a senso unico. C’è un emittente che parla, c’è un destinatario che ascolta. La nave Argo passò indenne di fronte agli scogli delle sirene perché Orfeo riuscì a distrarre l’equipaggio con i suoi canti. L’apicoltore Bute, però, si distrasse e finì per gettarsi in mare. E’ questo il rischio che si corre se uno soltanto è delegato a canatre e tutti gli altri possono soltanto ascoltare. Abbiamo bisogno di narrazioni-karaoke, di un’epica da stornellatori.
Per questo, al posto di “destinatari”. preferisco parlare di comunità, di repubblica democratica dei lettori.

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 01:45 da Wu Ming 2


Allora io rispondo a Lorenzo.
Una necessaria premessa: non posso che ribadire che per noi il focus è sulle opere, non sugli autori. Se non abbiamo menzionato un’opera, non significa che abbiamo operato un’esclusione sull’autore. Sia chiaro per chi ci sta leggendo: non esiste un “Camilleri sì, Ammaniti no”. In alcune opere di Camilleri (quelle non seriali) abbiamo trovato il tipo di sensibilità e di rapporto con la storia e la comunità che stiamo cercando di descrivere, nelle opere di Ammaniti che finora abbiamo letto – io mi sono fermato a Io non ho paura, che sia chiaro – lo abbiamo trovato un po’ meno. Il che non significa che non ci siano piaciute, anzi: semplicemente, è un altro tipo di impostazione, al posto del perturbante io ci vedo un gioco coi clichés un po’ più “quadrato”, meno obliquo e selvaggio, anche a livello stilistico; insomma, forse quello che diceva Maria Lucia a proposito di Q, ma che io in Q non vedo, non a questi livelli). Però il nostro non è un giudizio insindacabile, anzi, non è nemmeno un giudizio. Il “canone” lo compongano altri, la lettura sistematica di tutto quel che esce dovrebbero farla i critici, noi possiamo solo dare suggestioni, pungolare, proporre delle premesse, dialogare con chi è disponibile ad arricchire il discorso. Discorso che rimane aperto, se per qualcuno una o più opere di Ammaniti possono reagire in modo interessante e dialogico se scagliate dentro la “nebulosa”, ben venga! Ti invito a farlo.
.
Riguardo alla questione: confronto tra opere NIE e opere non NIE nel percorso dello stesso autore, questo è molto interessante, perché secondo me la distinzione in certi casi è davvero nettissima.
Di Camilleri, prenderei in esame un qualunque Montalbano da una parte e, dall’altra, La presa di Macallè e Il re di Girgenti.
Nel caso di Lucarelli, prendiamo da una parte Almost Blue e, dall’altra, L’ottava vibrazione.
Nel caso di De Cataldo, prendiamo da una parte la sua produzione più thrilleristica con tanto di serial killer, tipo Onora il padre, e dall’altra Romanzo criminale e Nelle mani giuste.
Nel caso di Carlotto, prendiamo da una parte i romanzi dell’Alligatore e, dall’altra, Le irregolari, La terra della mia anima e Cristiano di Allah.
.
Qui inserirei una riflessione che facevo quasi un anno fa, perché mi sembra utile:
—-
“La disponibilità a scontentare il settore più pigro del proprio pubblico, a non scrivere per forza d’inerzia, a spiazzare le aspettative, è una delle cose che sento fortemente in comune con gli autori di cui ho parlato nel memorandum sul New Italian Epic.
Un po’ di esempi:
Molti fans di Montalbano hanno odiato La presa di Macallè di Camilleri, che io ritengo il suo libro più potente. E in genere i Montalbano vendono sempre molto più dei non-Montalbano, che per me sono i veri libri di Camilleri: Il re di Girgenti, Privo di titolo, Maruzza Musumeci etc.
Molti fans di Eymerich hanno detestato il “ciclo del Metallo” di Evangelisti, che per me è il suo vero ciclo epico, e Noi saremo tutto, una delle sue cose migliori.
[...]
In rete è pieno di gente secondo cui Genna era meglio quando scriveva thriller. La scelta di abbandonare il personaggio seriale Guido Lopez è stata forse problematica sul piano delle vendite, ma è stata importante sul piano poetico. Abbandonando il genere, Genna è cresciuto di statura e scrive con una libertà che molti altri possono soltanto invidiare.”

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 10:24 da Wu Ming 1


Refuso: ovviamente è Cristiani di Allah.

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 10:25 da Wu Ming 1


“Facciamo coraggiosamente il «brutto» in letteratura, e uccidiamo dovunque la solennità. Via! non prendete di queste arie da grandi sacerdoti, nell’ascoltarmi! Bisogna sputare ogni giorno sull’Altare dell’Arte! Noi entriamo nei domini sconfinati della libera intuizione. Dopo il verso libero, ecco finalmente le parole in libertà!
Non c’è, in questo, niente di assoluto né di sistematico. Il genio ha raffiche impetuose e torrenti melmosi. Esso impone talvolta delle lentezze analitiche ed esplicative. Nessuno può rinnovare improvvisamente la propria sensibilità. Le cellule morte sono commiste alle vive. L’arte è un bisogno di distruggersi e di sparpagliarsi, grande innaffiatoio di eroismo che inonda il mondo. I microbi – non lo dimenticate – sono necessari alla salute dello stomaco e dell’intestino. Vi è anche una specie di microbi necessaria alla vitalità dell’arte, questo prolungamento della foresta delle nostre vene, che si effonde, fuori dal corpo, nell’infinito dello spazio e del tempo”.

Di chi è?

Ciao, a tutti!

Luca Gallina

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 12:18 da luca gallina


E’ il “Manifesto tecnico della letteratura futurista”, e direi che più OT di così non potremmo andare, quindi scusami se non mi metto a parlare di questo, vorrei rimanere sulla narrativa, sull’etica della narrativa, su quello che si scrive in questi anni e, infine, su un confronto che prescinde da qualunque “nostalgia delle avanguardie” o dagli a priori e dalle prescrizioni tipiche dei “manifesti letterari”. Come ho già detto più volte, mi interessa partire da quel che concretamente e realmente si scrive e da qui affrontare un quadro più ampio (movimento dal basso verso l’alto), non da quel che si dovrebbe scrivere a partire da un’idea di letteratura (e di rapporto tra letteratura e società) già formata e quindi indiscutibile (movimento dall’alto verso il basso).

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 12:52 da Wu Ming 1


Per Wu Ming: molto interessanti le opere da te citate Nie-non Nie dei medesimi autori. Il fatto e’ che io stesso conosco di certi autori solo le opere classificate come NIE. Fanno eccezione Camilleri ed Evangelisti, dei quali conosco un po’ tutto. Proprio a partire dalle opere di quest’ultimo mi sono posto il problema di quanto ad esempio il suo dittico messicano si discosti da ricerche gia’ precedentemente impostate (nella trilogia del metallo) a loro volta collegate con lo sperimentalismo di Eymerich. Alla fine la differenza di impostazione e’ piuttosto visibile, ma mi pare che un buon grado di forzature dei generi vi fosse gia’ dall’alba della scrittura (artistica) di Evangelisti. C’e’ in effetti un altro punto che mi da’ noia. Il distacco dalla generazione precedente e’ netto. E’ quella la generazione dei (nostri-vostri) padri. Non Pasolini o Sciascia, che nel caso sono i nonni, dei quali i nipoti riscoprono la grandezza da contrapporre alla pochezza barocca delle ‘generazione di mezzo’ (quella di Baricco, per intenderci). Ecco, alcuni punti del memoriale (la perturbazione linguistica non evidente, l’uso della rete ecc. per uno scambio creativo con i lettori, ecc.) acquistano senso solo in contesto italiano solo in letteratura solo come contrapposizione alla generazione immediatamente precedente. Sono cioe’ elementi che a mio avviso non definiscono la NIE (visto che non sono ne’ veramente esclusivi della NIE, ne’ inclusivi di tutta la NIE), quanto piuttosto una reazione meno definita a cio’ che c’era prima. Piu’ essenziale invece l’aspetto etico, pure in contrapposizione col prima, ma di per se’ sufficiente a instradare la ‘reazione’ su un binario definibile nelle categorie di genere o movimento.
Ma la mia e’ una riflessione in corso, che intenderei continuare via via che leggo. Ringrazio quindi della risposta e auguro un buon lavoro!
Lorenzo Amato

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 13:02 da lorenzo amato


Andiamo per ordine, Lorenzo:
.
il rischio – l’ho detto più volte – è quello del riduzionismo, cioè anziché vedere se la sintesi prodotta è peculiare, la si scompone negli elementi di base (almeno quelli distinguibili) e di ciascuno si dice che esisteva già prima e altrove. Non è il nostro modo di procedere, perché lo riteniamo scorretto.
Nella cultura, l’innovazione si produce sempre e solo mediante sintesi. Il tutto non è mai solo la somma delle parti.
Se scomponi la musica di Mozart nei suoi elementi costitutivi (i generi che Mozart pratica, gli strumenti per cui compone, le scale su cui fa muovere la musica etc.), ciascuno di essi esisteva già prima e altrove. Ma la sintesi è diversa.
Se scomponi il rock’n'roll – sul cui aver prodotto una cesura netta e fondativa nella popular music del XX° secolo nessuno può avere dubbi – ciascuno di essi esisteva già prima e altrove (tre accordi di base, ritmo in 4/4, strumentazione elettrica, influenza afroamericana, testi pieni di sottintesi sessuali, giovane età anagrafica di esecutori e ascoltatori etc.). Ma a essere letteralmente inaudita è la sintesi che il rock’n'roll offrì all’ascolto a metà degli anni Cinquanta.
E la sintesi cambia perché sollecitata dal contesto intorno. Il rock’n'roll poteva prodursi solo in quella seconda metà dei Fifties, non prima.
.
“In letteratura + In Italia + In contrasto col passato recente” è semplicemente la somma di quelle che nel memorandum sono date esplicitamente come premesse. Manca ancora tutto il resto, e manca la verifica della sintesi che abbiamo chiamato “New Italian Epic”.
La controprova che dovresti fornirmi è che già nella letteratura italiana dell’altroieri esistessero sintesi come questa. Io vedo parentele, ascendenze, anticipazioni parziali, ma non vedo una possibile assimilazione tra quel che si scriveva negli anni Cinquanta e Sessanta e quel che si scrive oggi.
E come potrebbe essere, del resto?
Diversa la società, diversi i media, TV a un solo canale in bianco e nero con palinsesto solo serale, diversi i meccanismi di legittimazione, università ancora prevalentemente riservata ai figli di borghesi, diversi percorsi artistici e le influenze extraitaliane, netta separazione tra “alto” e “basso”… Niente Internet…
Molto di ciò che produce la sintesi del NIE sarebbero stati impossibili, allora. Per fare un esempio, che dire della compresenza di dimensione pop, sperimentazione linguistica, complessità narrativa e tensione al “transmediale” mantenuta viva dalla comunità dei lettori? All’epoca, un romanzo era un romanzo e basta, era “mono-mediale”. Inoltre, quarantanove volte su cinquanta o era popolare / di massa (“Il Giallo Mondadori”), oppure era complesso e sperimentale. Le due dimensioni erano in antitesi. Una figura come quella di Evangelisti, che usa la letteratura di genere come strumento esplicitamente e dichiaratamente politico, e la integra con una produzione di discorso teorico anche molto elaborato e complesso, non sarebbe stata possibile prima. Inoltre, non esisteva un vero fandom letterario, come oggi, ma soltanto cenacoli. Tutto questo influenza irreversibilmente scrittura, lettura e feedback tra le due.
.
E anche i singoli elementi, tratti stilistici e mitologemi, oggi sono usati in modo diverso. Sono forse gli stessi reagenti chimici, ma dentro tutt’altri alambicchi. Come ho scritto a proposito di Gomorra: l’ibridazione di letteratura e giornalismo c’era già anche prima, e questo è il cosa; ma in Gomorra è peculiare il come questo avvenga, e di ciò si sono accorti soprattutto all’estero.

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 13:33 da Wu Ming 1


Refuso:
“Molto di ciò che produce la sintesi del NIE sarebbero stati impossibili”
sarebbe stato impossibile.

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 13:47 da Wu Ming 1


a rischio di sembrare pinteresque ho anch’io un refuso: sostituire pura con sana: l’intento di NIE (e di tutti coloro che accettano in gran parte il contenuto) non è forse, tra le molte altre cose, una sana rivalsa patriottica più che una resistenza all’imbarbarimento?
walzer con bashir non l’ho visto ancora, mi riprometto di farlo e chissà di non proseguire altrove questo gaiardo discorso..

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 13:54 da fabiandirosa


“non è forse, tra le molte altre cose, una sana rivalsa patriottica”
.
Copio un estratto dal memorandum (pag. 10 della versione 2.0 disponibile on line):
—–
Accade in Italia. E’ l’unico significato dato qui all’aggettivo “Italian”. Scansiamo l’equivoco “patriottico”, le “patrie lettere” etc. Stiamo sempre alle opere: i libri NIE raccontano forse una comunità nazionale, il “popolo italiano” col suo fantomatico “carattere” (fatto di “arte d’ arrangiarsi” e generosità, perenne verve e simpatia anche in faccia alle avversità), oppure raccontano le lacerazioni, il divergere e divenire caotico, le deterritorializzazioni e riterritorializzazioni nel corpo frollato di un paese implodente, razzista e illividito? Non ho dubbi su come rispondere. Quella che cerco di fotografare è un’epica della differenza e della moltitudine, un’epica delle anomalie e del bellum intestinum che corre lungo la storia del nostro paese. Quando certi editorialisti se la prendono con Gomorra per come descrive agli stranieri l’Italia, la sua società, la sua economia, e imputano al libro di “infangare la nostra reputazione”, ebbene, colgono nel segno. Un raccontare non addomesticato non può che infangare la loro reputazione. Come sbraitava quel tale, facciamo passeggiare i lettori per le fogne.

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 15:22 da Wu Ming 1


Ringrazio tutti per i nuovi commenti…

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 16:03 da Massimo Maugeri


@ Wu Ming 1 e Wu Ming 2
Un ringraziamento particolare a voi, per l’abnegazione con cui state rispondendo alle sollecitazioni giunte.

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 16:04 da Massimo Maugeri


Su “Petrolio” di Pasolini…
Quando Wu Ming 1, in risposta alla mia domanda, ha sostenuto che “un libro (uno solo) come simbolo per eccellenza del New Italian Epic” potrebbe essere “le parti mancanti di “Petrolio” di Pasolini, che forse qualcuno sta già scrivendo” non pensavo lo dicesse in senso letterale.
Ringrazio Wu Ming 2 per il chiarimento.
Certo, tentare di completare “Petrolio” di Pasolini sarebbe un’operazione affascinante e rischiosa.
Chi potrebbe cimentarsi, oggi, con un’operazione simile?
-
@ Wu Ming 1
Perché dici: che “forse qualcuno sta già scrivendo”?
Hai notizie in tal senso?
Sono curioso.:-)

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 16:10 da Massimo Maugeri


Per il momento vi saluto e auguro buon fine settimana a tutti.

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 16:14 da Massimo Maugeri


“@ Wu Ming 1
Perché dici: che “forse qualcuno sta già scrivendo”?
Hai notizie in tal senso?
Sono curioso.:-)”

Non ho notizie in tal senso, ma se quell’ipotesi mi è venuta in mente, significa che è immaginabile, e può darsi che qualcuno l’avesse già immaginata. Certo, ci vorrebbe un autentico “santo pazzo” per tentarla davvero… :)

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 16:21 da Anonimo


Scusate, l’anonimo sopra ero io.

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 16:23 da Wu Ming 1


N.B. Vorrei chiarire che uso la parola “sintesi” in modo molto terra-terra, cioè: il risultato del mettere insieme diverse cose e farle funzionare insieme.

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 16:26 da Wu Ming 1


“È un romanzo, ma non è scritto come sono scritti i romanzi veri: la sua lingua è quella che si adopera per la saggistica, per certi articoli giornalistici, per le recensioni, per le lettere private o anche per la poesia”.

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 16:41 da PPP


Salve ancora. Rispondo con mostruoso ritardo (nei tempi della rete) e me ne scuso. Non ho detto di non vedere la novità del movimento. È che mi pare che alcune delle sue supposte qualità appartengano ad alcuni autori e non al movimento, es. appunto la transmedialità, che non vedo in nessun romanzo di Camilleri. L’esampio che tu citavi di Evangelisti che utilizza il genere in senso politico fa al caso mio: questo è già una piccola rivoluzione, e non è NIE secondo la tua definizione, poiché già Eymerich attua questo slittamento di fini rispetto alla fantascienza (o fantastoria) tradizionali (con tutte le eccezioni del caso). Ma nel complesso sono d’accordo che QUALCOSA c’è, ed è legato molto alla parte ‘Italian’ della definizione. Non tanto ‘patrie lettere’ o che, quanto ‘epica (=narrazione) della complessità’, nel suo senso più profondo. Questo trovavo in Q, questo in Evangelisti, questo in Camilleri, questo in Saviano. Perché la descrizione socioeconomica dei rapporti di causa-effetto dei piccoli-grandi eventi del mondo difficilmente può essere un bianco-nero (bene-male, giusto-sbagliato), ma di nutre di eventi ambivalenti dove spesso le uniche entità riconoscibili e ben definibili sono le vittime dei processi descritti. Ecco, questo è veramente italiano. Gli anglosassoni e i germanici, per tradizione più rigorosi, sono affascinati da questo tipo di analisi ma sembrano poi semplificarla e ridurla a singoli momenti di scelta individuale fra bene e male o, nella migliore delle ipotesi, fra ‘ciò che è bene e ciò che è più facile’, per citare il prof. Dumbledore. Proprio su questo aspetto insisterei di più anche nei momenti di definizione del NIE, a costo di raccattare romanzi come i primi di Evangelisti che già ’sforzavano’ i generi di partenza…
Lorenzo Amato

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 20:28 da lorenzo amato


Adesso ho capito cosa intendevi, valeva la pena passare per le varie precisazioni per avere adesso un piano di confronto chiaro. E’ molto interessante il tuo modo di “rileggere” la nebulosa spostando le intersezioni tra le opere e ponendo più enfasi su alcuni comuni multipli (derivanti dal peculiare contesto italiano) e meno o per niente su altri, è questo genere di risposte che sollecitiamo dall’inizio. Anzi, se questo aspetto di “italianità”/complessità/capacità di rendere l’ambivalenza tu volessi argomentarlo di più, con esempi presi da questo corpus di testi o dai suoi immediati dintorni…

Postato sabato, 28 febbraio 2009 alle 21:46 da Wu Ming 1


Mi risulta un po’ difficile argomentare questi aspetti in modo completo, al momento, per un banale problema di ignoranza. È quello che intendo fare fra qualche mese in Finlandia, ma mi occorre leggere di più, in lungo e in largo. Ma certo è in questa prospettiva che leggo lo ’sguardo obliquo’ di molti ‘vostri’ romanzi. La narrazione policentrica (es. Romanzo criminale, dittico messicano di Evangelisti) o lo sguardo attraverso uno o più oggetti (54, Gomorra) non sono vezzi stilistici o semplice sperimentalismo, ma un supporto narrativo che aiuta a delineare la complessità. Penso a Saviano: come sarebbe possibile descrivere la dinamica del fatto Camorra, senza indicarne gli addentellati nella nostra comune società, italiana europea e mondiale? E per far ciò è importante mostrare la vita delle merci, dalla loro emersione ombelicale a Napoli al loro consumo altrove al loro seppellimento (morte) nel napoletano. La prospettiva non è così soltanto obliqua: è frastagliata, con tante ombreggiature sovrapposte, tanto da annichilire la nostra normale percezione della realtà (evenemenziale, morale e non solo) sotto il peso della complessità dei rapporti fra ‘cose’ e fenomeni. Così in fondo anche in tanti altri romanzi che ho letto di recente. Mi sarà difficile, ad esempio, spiegare a dei finlandesi le reti di complicità e rivalità stratificate fra organizzazioni di tipo diverso che emergono in Romanzo criminale. Ed è proprio questo l’unicum della situazione italiana, a mio avviso (con qualche eccezione illustre dall’estero, es. Syriana, che però, oltre ad essere un film, è decisamente non italiano, per molti aspetti). Ma rispettosamente domando più tempo per leggere di più ed elaborare meglio questa prospettiva, che non può non coinvolgere romanzi ed autori ‘minori’ o solo marginalmente o per niente NIE, o magari non italiani, ecc…

Postato domenica, 1 marzo 2009 alle 00:19 da lorenzo amato


integro il mio post di ieri sera con due esempi di genere: Il corpo e il sangue di Eymerich di Evangelisti e Il cane di terracotta di Camilleri. Sono romanzi che si collocano agli albori della ‘reazione’ al postmodernismo. Sono romanzi di genere, ma entrambi cercano di sfondare i generi di riferimento. SU Evangelisti non c’è molto da dire: il protagonista del romanzo è una malattia, e tutti i personaggi umani vi ruotano attorno in epoche diverse più per usarla per scopi politici (normalmente abietti) che per limitarla o sradicarla. Mi pare che si sia già nella temperie descrivibile come NIE.

Il caso Camilleri qui forse è più interessante, perché dai romanzi di Montalbano è stato consacrato in Italia il genere noir-poliziesco (anche se già esistente). Ora, non c’è dubbio che il modello dei romanzi di Montalbano siano in parte quelli di Montalban, autore complesso e interessante (non condivido assolutamente il giudizio riduttivo di Genna). Ma Il cane di terracotta ha qualcosa in più di tipicamente italiano che Montalban non ha. La trama ‘gialla’ a un certo punto del romanzo di spacca. L’intreccio di frastaglia, anzi si decompone. Attorno alle stanze segrete che si susseguono una dietro l’altra a metà romanzo (la prima non segreta, la seconda contenente le armi della mafia, la terza i corpi dei due ragazzi morti) ruotano tragedie che si sovrappongono per contiguità geografica, ma che diventano storia e intreccio solo con l’azione (o inazione) di Montalbano. La ‘realtà’ non è più esprimibile con la metafora della metà oscura (in stile americano): non è solo un gioco di costrasto fra apparenza e sostanza. Dietro un orrore ce n’è un altro, ancora più antico e incrostato di sangue. E peraltro risulta forse comprensibile, ma insolubile, dato che il delitto è avvenuto 50 anni prima, sotto i bombardamenti americani, e il mandante dell’omicidio è morto da altrettanto tempo. Mi pare una bella descrizione della stratificazione storico-antropologica di una realtà (quella siciliana, italiana, e di tutto il mondo e di tutte le epoche) della quale non si è perso il bandolo della matassa perché semplicemente non lo si è avuto mai, se non per semplificazione ideologica. In questo senso ‘complessità’, e narrazione della complessità.

E questo, a mio avviso, è anche molto ‘Italian’. Ed è molto ‘New’. Perché è vero che già Pasolini e Sciascia (e Gadda!) in modo diverso raccontavano questa complessità, ma indubbiamente la generazione di mezzo pensava ad altro. Prendo un esempio che mi torna bene: Il Nome della Rosa di Eco (libro che apprezzo moltissimo, malgrado critiche e incomprensioni). Anche questo è un giallo che ‘gioca’ con il genere. Però l’attenzione non verte sulla complessità del reale (se non come citazione del giallo classico) ma sulle molteplici interpretazioni del vero, e anzi sulla possibilità di cogliere una qualsiasi verità in quanto tale. Il libro di Eco è molto più teoretico di qualsiasi libro recente. Eco mostra (e lo fa molto bene) come sia l’osservatore a dare un ordine al reale, attraverso una foresta di simboli che in realtà non potrà mai del tutto essere decifrata. Il libro è poi chiaramente un romanzo a livelli: lettori di cultura diversa vi leggono cose diverse. Ancora una volta: questo non avviene ne Il cane di Terracotta, dove pure nella prima parte si mostra l’ambivalenza del linguaggio (mafioso), fra allegoria favolistica e tragica realtà. Ma è un discorso del tutto interno alla nostra realtà italiana, anche attuale, della quale invece Eco (e gran parte del Postmodernismo) si disinteressa completamente.

Interessante il fatto che successivamente i romanzi di Montalbano si siano abbastanza appiattiti sul genere (il giallo poliziesco con qualche elemento di novità già del tutto presente nel primo romanzo). Ma a quel punto Camilleri già scriveva anche i romanzi definiti (nei Meridiani) ’storici e civili’. Come dire: dentro Il cane di terracotta si muove un alien pronto a saltare fuori. E il libro che si spacca a metà lo fa fuoriuscire in romanzi che non sono più di Montalbano. Camilleri, la coscienza civile appagata dai romanzi storici, può così continuare a scrivere anche storie di Montalbano senza più preoccuparsi di urlare un’angoscia che ne Il cane di Terracotta io, lettore, sento vivissima, e nei romanzi di Montalbano successivi assai meno.

Mi fermo qui, ho scritto anche troppo. Spero di essere stato chiaro. Ringrazio in anticipo per l’interesse di chi legge tutto!
Lorenzo Amato

Postato domenica, 1 marzo 2009 alle 10:09 da lorenzo amato


integro il mio post di ieri sera con due esempi di genere: Il corpo e il sangue di Eymerich di Evangelisti e Il cane di terracotta di Camilleri. Sono romanzi che si collocano agli albori della ‘reazione’ al postmodernismo. Sono romanzi di genere, ma entrambi cercano di sfondare i generi di riferimento. SU Evangelisti non c’è molto da dire: il protagonista del romanzo è una malattia, e tutti i personaggi umani vi ruotano attorno in epoche diverse più per usarla per scopi politici (normalmente abietti) che per limitarla o sradicarla. Mi pare che si sia già nella temperie descrivibile come NIE.

Il caso Camilleri qui forse è più interessante, perché dai romanzi di Montalbano è stato consacrato in Italia il genere noir-poliziesco (anche se già esistente). Ora, non c’è dubbio che il modello dei romanzi di Montalbano siano in parte quelli di Montalban, autore complesso e interessante (non condivido assolutamente il giudizio riduttivo di Genna). Ma Il cane di terracotta ha qualcosa in più di tipicamente italiano che Montalban non ha. La trama ‘gialla’ a un certo punto del romanzo di spacca. L’intreccio di frastaglia, anzi si decompone. Attorno alle stanze segrete che si susseguono una dietro l’altra a metà romanzo (la prima non segreta, la seconda contenente le armi della mafia, la terza i corpi dei due ragazzi morti) ruotano tragedie che si sovrappongono per contiguità geografica, ma che diventano storia e intreccio solo con l’azione (o inazione) di Montalbano. La ‘realtà’ non è più esprimibile con la metafora della metà oscura (in stile americano): non è solo un gioco di costrasto fra apparenza e sostanza. Dietro un orrore ce n’è un altro, ancora più antico e incrostato di sangue. E peraltro risulta forse comprensibile, ma insolubile, dato che il delitto è avvenuto 50 anni prima, sotto i bombardamenti americani, e il mandante dell’omicidio è morto da altrettanto tempo. Mi pare una bella descrizione della stratificazione storico-antropologica di una realtà (quella siciliana, italiana, e di tutto il mondo e di tutte le epoche) della quale non si è perso il bandolo della matassa perché semplicemente non lo si è avuto mai, se non per semplificazione ideologica. In questo senso ‘complessità’, e narrazione della complessità.

Postato domenica, 1 marzo 2009 alle 10:11 da lorenzo amato


ops, scusate, ho postato due volte lo stesso commento…

Postato domenica, 1 marzo 2009 alle 10:11 da lorenzo amato


Siamo molto, molto più vicini di quel che sembravamo all’inizio dello scambio. La tua interpretazione del percorso di alcuni autori mi è adesso chiara.
Mi interessa molto questo aspetto:
“dentro Il cane di terracotta si muove un alien pronto a saltare fuori. E il libro che si spacca a metà lo fa fuoriuscire in romanzi che non sono più di Montalbano.”
Io credo che un simile momento di “frattura” si possa individuare anche nei percorsi di altri autori che alternano romanzi di genere con personaggio seriale e romanzi che sono episodi unici e meno ascrivibili al genere. E credo che la frattura abbia luogo a fine anni Novanta. Nel memorandum proponevo una periodizzazione lasca, puramente orientativa:
- dall’inizio dei Novanta (crisi e caduta della prima repubblica etc.), recupero dei generi (soprattutto giallo e crime novel) da parte di sempre più autori italiani;
- alla fine del decennio, consapevolezza, da parte di quegli stessi autori, che il recupero dei generi non basta più e bisogna andare oltre – o magari spostarsi di lato. Aggiungo qui: nemmeno la giustapposizione dei generi (come avviene nei romanzi di Eymerich) basta più. Occorre uno sfondamento.
- con il 2001 (Genova e 11 Settembre), nuovo salto di fase. Seguendo la tua intuizione: si compie la frattura, si produce una piena biforcazione nelle produzioni di quegli autori. Con una maggiore attenzione per la produzione “altra”.
Ad esempio, se tra il 1994 e il 2001 erano usciti sei romanzi di Eymerich, dal 2001 a oggi ne sono usciti soltanto tre, per giunta con un buco di cinque anni tra Mater terribilis e La luce di Orione.
E non a caso, il 2001 è l’anno in cui Montalbano entra in crisi e medita seriamente, dopo il G8, di mollare tutto (cfr. Il giro di boa). Ma non lo fa, ed è il suo errore. Simultaneamente, quell’anno esce Il re di Girgenti.
Nel 2002 escono Black Flag e Romanzo criminale e Carlotto manda in pensione l’Alligatore. In quello stesso periodo, Lucarelli si prende una lunga pausa dalla forma-romanzo, e si mette a scrivere – complice il suo lavoro in tv – prevalentemente inchieste narrative e true crime, fino al ritorno al romanzo nel 2008, con l’anomalo L’ottava vibrazione.
Io nel memorandum ho scelto di mettere nella nebulosa del NIE soprattutto queste opere “altre”, perché anche se parlo del 1993 come punto d’origine di tutto il processo, in realtà pongo il 2001 come anno della svolta compiuta. A quell’altezza, la “frattura” è già nelle cose.
Se vogliamo prendere in considerazione anche le opere che sono ancora seriali ma che annunciano già la frattura, sicuramente avremo risultati interessanti e sorprendenti. In quale romanzo dell’Alligatore si sente più acuta la consapevolezza che la gabbia del personaggio seriale non basta più, non tiene più la complessità e c’è bisogno di libri diversi?

Postato domenica, 1 marzo 2009 alle 11:30 da Wu Ming 1


@Wu Ming2
sì, sarebbe bella una “comunità, una repubblica democratica dei lettori”, ma molti lettori non sono in grado di “partecipare”; e parlo per me in primis. Leggo tutto ciò che scrivete qui, ma non avendo letto i libri di Camilleri e di Evangelisti, è molto difficile seguire il vostro dialogo con Lorenzo Amato, anche perché sembra avere implicazioni storico-filosofiche; ma è molto interessante.
Cari saluti

Postato domenica, 1 marzo 2009 alle 13:45 da roberta


@ Roberta
certo, è evidente che le comunità di lettori sono tali quando hanno in comune le letture. Le comunità di lettori che conosco io si formano intorno a libri, a partire da opere amate insieme, lette in contemporanea o a staffetta, consigliate, abbandonate e riprese, prestate, regalate, discusse d’amore e d’accordo o scazzandosi ferocemente. Altri modi non ci sono, non ne esistono.
Ma a che serve parlare di libri, scrivere di libri, se non a incuriosire chi non li ha ancora letti?

Postato domenica, 1 marzo 2009 alle 15:29 da Wu Ming 1


Buona domenica sera a tutti e grazie per i nuovi commenti.

Postato domenica, 1 marzo 2009 alle 17:56 da Massimo Maugeri


Ci tengo a ringraziare in particolare Lorenzo Amato per il contributo alla discussione.

Postato domenica, 1 marzo 2009 alle 18:01 da Massimo Maugeri


per wu ming :
che ne pensate di un’opera come “davide” di carlo coccioli?
a me sembra che possa condividere con le “memorie di adriano” della yourcenar e “la morte di virgilio” di hermann broch la palma di libro più pompier del novecento.
dico cazzate?

Postato domenica, 1 marzo 2009 alle 18:15 da ellenio


@Wu Ming1
Sì, certo, hai ragione. Infatti io, che di solito leggo e rileggo anche tre volte quasi esclusivamente i “classici”( è un mio limite, me ne rendo conto), l’altro giorno nella libreria mi sono fermata ad osservare il vostro volume dell’Einaudi e in questo spazio vi seguo con molto interesse. Mi dispiace solo di non poter partecipare.
Grazie comunque.

Postato domenica, 1 marzo 2009 alle 18:24 da roberta


@ ellenio
Non l’ho ancora letto. Giulio Mozzi mi ha avvisato: “Non ti piacerà”. Vedremo.

Postato domenica, 1 marzo 2009 alle 20:05 da Wu Ming 1


[...] Letteratitudine si discute del New Italian Epic con i Wu Ming nessun [...]

Postato domenica, 1 marzo 2009 alle 20:31 da Kataweb.it - Blog - TERZAPAGINA, articoli selezionati dalle pagine culturali dei quotidiani » Blog Archive » IN SICILIA IL “GIALLO” NON È SOLO CAMILLERI


Ho letto il libro di Broch e naturalmente l’Adriano della Yourcenar – grande ricerca, grande poesia, ricostruzione e riflessione – e non li trovo libri pompier… Broch è stancante e prolisso, anche se ha dei momenti indovinati e felici, ma costituiva un esperimento: far coincidere tempo della storia e tempo del racconto.
Proverò a leggere “Davide”…

Postato domenica, 1 marzo 2009 alle 22:07 da Maria Lucia Riccioli


@ Wu Ming 1-2:
L’epica secondo le definizioni di genere celebra imprese storiche o leggendarie di personaggi eroici, spesso caratterizzate dall’intervento di forze sovrannaturali. Tipica dell’epica è la ciclicità tematica (ciclo troiano, carolingio, bretone, nibelungico, i canti di Ossian ecc.). I poemi epici non hanno solo una funzione di intrattenimento, ma sono rappresentativi di un popolo, dei suoi ideali e delle sue tradizioni; i tratti dell’eroe non sono solo qualità individuali, ma esprimono caratteristiche della collettività, che nelle gesta del protagonista ritrova l’identità culturale del proprio paese.
L’epica, in effetti, è il canto dell’appartenenza, della scoperta delle origini. Di un senso.
Come si concilia la tradizionale definizione di epica di cui sopra con l’eterogeneità delle opere che per la NIE ne fanno parte?
E se – nonostante l’eterogeneità – è possibile che queste opere dicano di noi, dell’Italia, di un tempo (il nostro tempo), quali sono le caratteristiche che rimandano a un’identità culturale?
O non c’è identità?
Grazie!

Postato domenica, 1 marzo 2009 alle 23:52 da simona lo iacono


Spero che la discussione qui possa continuare.
Ringrazio Simona per quest’ultima epica domanda:-)

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 00:24 da Massimo Maugeri


@ Simona
io credo che Mastrantonio, nella recensione riportata in cima a questa discussione, a parte la terminologia che non è la nostra, colga un punto importante quando scrive:
.
“Se l’epica antica racconta e inventa rifondando con un mito la sua civiltà, e l’epica moderna “smitizza” una società coeva, la NIE è epica post-moderna, che racconta per sfondare o sfiancare la nazione coeva, con storie di complotti, narrazioni parallele, contro-piste e personaggi similveri che decostruiscono la memoria collettiva. Un’epica senza déi. Romanzi di contro-informazione. Forme moderne di un’epica postmoderna. Antiepica, contro-epica, epica apocrifa, antagonista.”
.
C’è un solo buco nell’elencazione di Mastrantonio: manca l’epica medievale e cavalleresca. Sarebbe interessante capire come/dove la colloca lungo questo “decorso” dell’epica da stella a buco nero…
E’ indubbio che stiamo mappando un’epica che non canta le lodi di un popolo/nazione tramite le gesta di un eroe. Tutt’al più, quest’epica racconta comunità altre, marginali, minoritarie, brandelli di moltitudine che non sono popolo né stato, e anzi dallo stato sono state vessate, schiacciate, spinte via. Sono storie di sconfitte e catastrofi. Ed è un’epica il cui eroe spesso si assenta o giunge in ritardo, nel memorandum ho fatto alcuni esempi. L’eterogeneità di questo corpus di opere mi sembra inevitabile: la vittoria unifica, la sconfitta divide. Sono tanti e divergenti i percorsi della sconfitta. Queste opere ne seguono i rivoli: la sconfitta della rivoluzione messicana o del movimento operaio statunitense in Evangelisti, la sconfitta dei contadini in Q o in Camilleri, la sconfitta della democrazia in Sarasso, la sconfitta del Black Power nel mio “New Thing”, la sconfitta della convivenza in Babsi Jones, la sconfitta dell’Italia in Gomorra etc. Però sono sconfitte che non chiudono, non bloccano la vista dell’orizzonte. C’è sempre una ripartenza, un ricominciare, manca il crogiolarsi nella sconfitta. C’è il desiderio di atti fondativi nuovi.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 00:25 da Wu Ming 1


@Simona
Scrivi: “L’epica, in effetti, è il canto dell’appartenenza, della scoperta delle origini. Di un senso.”
Ecco, io credo che la sfida di un’epica “antagonista”, sia proprio quella di rintracciare un senso, rinunciando però all’identità. Fondare l’appartenenza sugli interrogativi, non sulle risposte. Sul percorso da compiere per afferrare il punto d’origine, non sulle origini stesse.
Credo quindi che le opere NIE rimandino all’identità culturale italiana non in maniera diretta – affermando determinate caratteristiche – quanto piuttosto in maniera sghemba, ponendo determinate domande. Soprattutto nella forma di questo domandare, nel modo di porre le questioni, mi pare si possa rintracciare una specificità italiana (e trovo molto azzeccate alcune osservazioni di Lorenzo, poco sopra)

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 13:18 da Wu Ming 2


Segnalo una critica “negativa” al memorandum sul NIE, meditata, niente affatto banale, e in alcune parti molto utile.
http://www.ilprimoamore.com/testo_1361.html
L’idea di letteratura su cui si fonda questa critica è molto, molto diversa dalla mia/nostra, in alcune parti forse inconciliabile. E trovo abbia molti limiti il lungo passaggio su Saviano (probabilmente ne scriverò prossimamente), ma da lì può partire un confronto fecondo.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 15:08 da Wu Ming 1


Vorrei provare a capire ragionando all’incontrario. Potreste farmi titoli di libri che non c’entrano niente col new italian epic? e spiegare perché non c’entrano niente?

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 16:07 da Angela


Dibattito vivace e interessantissimo…
Credo che in ogni autore ci siano delle fasi diciamo così epic o non epic: se per epic intendiamo uno smontare le consuetudini letterarie in nome della complessità o di nuovi orizzonti. CHI SONO-DOVE SONO-DOVE VADO è la triade delle domande che ognuno di noi si pone, aggravata, per quanto riguarda gli artisti, da COS’è LA MIA OPERA-DA DOVE VIENE-DOVE VA. Specie se l’artista è anche critico, cioè esercita quella che si chiamava la critica militante.
Credo che in Italia molti autori si domandino, anche inconsciamente, dove li stia portando il loro lavoro. L’annosa questione della tradizione letteraria italiana. E la ricerca di senso di cui parlava Simona.
NIE forse non è altro che una nuova consapevolezza. Non credo molto all’engagement politico, all’impegno – ad esempio, il nostro Vittorini seguì se stesso più che il PCI, cosa che Togliatti non comprese: Vittorini se n’è gliuto e soli ci ha lasciato. Summa dell’ignoranza e della stolidità sesquipedale di tutte le ideologie, anche di quelle che si pretendono libertarie – , ma oggi come in qualsiasi epoca si richiede ad ognuno una nuova responsabilità delle proprie azioni e PAROLE nei confronti di se stessi, del prossimo e del mondo.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 16:36 da Maria Lucia Riccioli


@ Wu Ming 1: infatti questo aspetto unitario del NIE lo condivido, pur con la riserva di non trascurare la fase I, quella dei romanzi di genere, che spesso di genere non sono. Sono altri aspetti che secondo me sono più accessori e parziali, non esclusivi del NIE e non inclusivi di tutto. Secondo me il NIE può essere definito a prescindere.

Sull’epica. Bello questo dibattito sull’epica. È un aspetto non secondario del NIE, purché la si concepisca come un’epica della morte. Mi piace quello che dice Wu Ming 1 sulla sconfitta: in effetti tutti i libri NIE parlano in qualche modo di una sconfitta, che però mi pare un po’ più definitiva di come la mette WU Ming 1. In un certo senso tutti i libri NIE che ho letto sono una complessa orazione funebre per i noi che non siamo riusciti ad essere. Ovvero quella persona e quella generazione magari non più ottimista ma forse più speranzosa, della quale invidiamo l’ingenuità proprio quando ne analiziamo i tratti più disturbanti. Penso all’esempio del padre di Genna, trasformato in un qualcuno che il padre biografico di Genna non è (verosimilmente) mai stato. Ecco, quel qualcuno del libro non è ovviamente il padre dell’autore, ma (per allegoria?) l’autore stesso. O meglio un personaggio contraddittorio, pieno di ombre, complesso, che viveva in un’epoca nella quale la battaglia era ancora aperta, e che l’autore non potrà mai essere, non potrà più essere, ma che forse avrebbe voluto essere, e di qui la sofferenza espressa nel libro, incarnata e sprigionata dalla morte del padre biologico.

In questo senso si potrebbe giustificare anche la frammentarietà di molti romanzi NIE. In quanto orazione funebre, ricordano episodi della vita di questo noi mitico (variamente proiettata in tempi antichi o recenti e nelle ideologie incarnate da quei tempi), senza tralasciare le ombre e spesso senza tralasciare l’analisi dell’Altro, il ‘nemico’, che spesso anzi diventa un punto di vista contrastivo.

Il NIE, in questo distinguendosi non solo dagli autori immediatamente precedenti, ma anche dai maestri come Pasolini e Sciascia (per nominare solo i soliti) non è una letteratura di testimonianza, né propone soluzioni per una battaglia in corso, ma piuttosto sembra analizzare i cocci e le rovine lasciate dalla battaglia perduta. Come fossero pezzi di un mosaico visto tanti anni fa, da bambini, e che appena si ricorda, e che si cerca di descrivere in base ai lacerti rimasti nel modo meno banale possibile, sapendo che comunque il mosaico originale non tornerà più. Magari la speranza implicita è che questa analisi porti al riuso dei pezzi sopravvissuti in nuovi mosaici altrettanto belli. Un’altra metafora potrebbe essere un corpo morto, descritto nelle sue parti interne nell’intenzione di individuare organi ancora espiantabili. Per dare possibilità a nuove vite (e fuor di metafora nuove lotte politiche, nuove proposte culturali, nuove tradizioni letterarie, nelle quali credere finalmente fino in fondo) che, però, ancora non sono individuabili, e che il NIE in sé non rappresenta ancora…

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 17:27 da lorenzo amato


E’ vero: leggendo la “critica negativa” al memorendum sul NIE si capiscono molte cose sia sulle intenzioni che sulla stessa idea di letteratura di Wu Ming. Ora capisco il ruolo del “lettore”:
” Gli scrittori fanno agire le categorie analitiche della teoria letteraria applicandola alla lettura delle opere”. Se questo è vero, il vostro è una sorta di “insegnamento”? Ci “prendete per mano” e ci “guidate” nella comprensione? Forse è molto utile. Ma in questo modo un comune lettore non potrebbe “capire da solo”? Magari ha pochi strumenti, ma ha i suoi. E’ possibile leggere un testo senza conoscere la semiotica? Perché altrimenti credo che si rischi di far “rinascere” solamente i lettori già molto “colti”; e la “rinascita” dovrebbe cercare di “colpire” un gran numero di lettori. Il termine “rinascita” ( forse improprio) me lo ha suggerito il bell’intervento qui sopra di Lorenzo Amato.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 20:04 da roberta


@Angela
ci sto a fare l’esercizio al contrario, ma forse dovresti propormi tu una lista di testi che conosci, e io ti dico perché non mi sembrano NIE (se li conosco).
Perché se invece io ti dico che “Se consideri le colpe” di A.Bajani è un bellissimo libro, ma non è NIE per questo e quest’altro motivo, a te serve solo se il libro l’hai letto e in caso contrario no.
Che so, “L’elenco telefonico di Atlantide” di Avoledo l’hai letto? Se l’hai letto ti dico perché secondo me non è NIE. “Euridice aveva un cane” di Michele Mari? Dimmi tu…

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 20:16 da Wu Ming 2


L’esercizio al contrario che proponi è interessante, Angela.
Approfitta della disponibilità di Wu Ming 2.
Fuori i titoli!:-)

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 21:38 da Massimo Maugeri


@ Roberta
Se questo è vero, il vostro è una sorta di “insegnamento”? Ci “prendete per mano” e ci “guidate” nella comprensione?

Direi che questa è l’esatta descrizione del contrario di quel che abbiamo sempre fatto. La prassi che teniamo da una quindicina d’anni diverge radicalmente da quest’interpretazione. Noi cerchiamo un rapporto il più possibile “orizzontale”, comunitario e dialogico, in cui siamo noi – e lo abbiamo più volte riconosciuto – a imparare dagli spunti che i lettori ci danno. Senza la serrata critica ai nostri primi personaggi femminili, condotta dalle lettrici, negli anni a seguire non avremmo messo sulla pagina personaggi femminili come quelli di Manituana. Il momento “pedagogico” che cerchiamo è di una natura ben diversa, lo descrive molto bene WM2 ne La salvezza di Euridice.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 21:57 da Wu Ming 1


@ Lorenzo Amato
.
“Come fossero pezzi di un mosaico visto tanti anni fa, da bambini, e che appena si ricorda, e che si cerca di descrivere in base ai lacerti rimasti nel modo meno banale possibile, sapendo che comunque il mosaico originale non tornerà più. Magari la speranza implicita è che questa analisi porti al riuso dei pezzi sopravvissuti in nuovi mosaici altrettanto belli.”
.
Questo è, precisamente, il funzionamento dell’allegoria secondo Benjamin.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 21:59 da Wu Ming 1


Mi dispiace, non avevo capito. Mi sembra molto più bella la proposta di “un rapporto il più possibile “orizzontale”, comunitario e dialogico”.
Cercherò “La salvezza di Euridice”.
Del resto, come avete scritto sopra:
” è evidente che le comunità di lettori sono tali quando hanno in comune le letture. Le comunità di lettori che conosco io si formano intorno a libri, a partire da opere amate insieme, lette in contemporanea o a staffetta, consigliate, abbandonate e riprese, prestate, regalate, discusse d’amore e d’accordo o scazzandosi ferocemente. Altri modi non ci sono, non ne esistono.
Ma a che serve parlare di libri, scrivere di libri, se non a incuriosire chi non li ha ancora letti?”

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 22:25 da roberta


eh, vorrà dire che alla fine dovrò leggere Benjamin :-)
Nel mio ragionamento rimane centrale la sconfitta, e le ricostruzioni sono funzionali a quella. Non conoscendo Benjamin se non di seconda o terza mano non so come lui intenda questa ricostruzione.
Fra l’altro ho letto una critica, non mi ricordo dove, che denunciava un uso improprio di Benjamin da parte degli scrittori (italiani) di oggi. Credo fosse in un libercolo intitolato “Sul banco dei cattivi” (2006), che devo recuperare in qualche modo. Quei saggi non sono aggiornati ai dibattiti sul NIE, ma offrivano spunti interessanti (su basi che peraltro non condivido) per la valutazione del giallo-noir italiano, e in filigrana dell’approccio del NIE.
A questo punto devo però leggere il saggio ‘negativo’ sul NIE linkato sopra. Così capisco gli ultimi post…

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 22:34 da lorenzo amato


A proposito di Benjamin…
Prima di chiudere (e augurarvi buonanotte) faccio in tempo a trascrivervi questa citazione tratta da “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” – 1936 – Einaudi, 1966.

“Ogni uomo contemporaneo può avanzare la pretesa di venir filmato. Per intendere questa pretesa basta gettare uno sguardo all’attuale situazione storica dell’attività letteraria. Per secoli, nell’ambito dello scrivere, la situazione era la seguente: che un numero di persone dedite allo scrivere stava di fronte a numerose migliaia di lettori. Verso la fine del secolo scorso, questa situazione si trasformò. Con la crescente espansione della stampa (…) gruppi sempre più cospicui di lettori passarono dalla parte di coloro che scrivono. (…) Il lettore è sempre pronto a diventare autore. In quanto competente di qualcosa”.
-
Walter Benjamin, 1936

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 23:00 da Massimo Maugeri


@ Lorenzo
Quel che scrivi sulla testimonianza è molto importante ed è l’elemento che distingue la nostra lettura di Gomorra da quella, ad es., di Tiziano Scarpa (secondo lui quella è “letteratura di testimonianza”, secondo noi no).
Se cerchiamo di superare quel tipo di letteratura, è perché testimoniare non è più sufficiente. In un processo, un testimone è chiamato a raccontare i fatti e il suo contributo serve a stabilire la verità. Ma la complessità che ci troviamo ad affrontare è ormai tale che i fatti non bastano più a determinare la verità e la verità non basta più ad emettere sentenze. Il groviglio di realtà e finzione è tale che per conoscere un fatto non ci basta più “vederlo”. Per questo non ha senso porsi come obiettivo la “restaurazione” del mosaico. Piuttosto occorre cogliere il senso e il funzionamento dell’archivio. Non sono i fatti ad essere scomparsi (come sostiene qualcuno). E’ il testimone oculare che spesso è cieco e ancora più spesso non soddisfa le nostre richieste (“in diretta” non è affatto una garanzia di conoscenza cristallina). Più che di testimonianze, abbiamo bisogno di visioni.
.
In Valzer con Bashir, Ari Folman intervista molti “testimoni oculari” dell’intervento israeliano in Libano dell’82. Lui stesso ha partecipato come soldato alle operazioni, ma non ricorda nulla e proprio per questo si affida alle memorie altrui. A prima vista, sembrerebbe un proposito di “restaurazione dell’archivio”. Presto però Folman si accorge che gli altri testimoni sono messi più o meno come lui. La parola chiave delle interviste è “Non so” (“Non l’ho registrato”, “Mescolo realtà e finzione”, “Nella mia immaginazione è così”). Così lo scopo “terapeutico” (e non testimoniale) del film finisce per slittare: Folman vuole capire “che ruolo ha avuto”, dove si trovava il giorno della strage di Sabra e Chatila. E se l’evidenza empirica, la testimonianza oculare, gli assicurano che non ha partecipato al massacro, che non è responsabile, il montaggio nell’archivio del suo frammento di memoria acquista proprio il significato opposto: ero lì, ero coinvolto.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 23:03 da Wu Ming 2


Sul banco dei cattivi è un libro di Giulio Ferroni, che se non sbaglio, in una puntata di Farenheit sul NIE ha sentenziato che non valeva nemmeno la pena di parlarne.

E a proposito di Farenheit, proprio domani si parla ancora di New Italian Epic, con Stefania Scateni e Gaia De Pascale:
http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm?Q_EV_ID=278255

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 23:08 da Wu Ming 2


@Roberta
“La salvezza di Euridice” è il saggio che chiude il volume “New Italian Epic” pubblicato da Einaudi.
Lì sostengo che gli scrittori hanno una responsabilità educativa, così come dovrebbe avercela, con i propri mezzi, ogni membro di una comunità. Anche i bambini.
Intendo “educare” come qualcosa di molto diverso da “insegnare”. Pensa all’etimologia: “insegnare” significa “imprimere”, “mettere un segno”, mentre “educare” significa “tirar fuori”. Ognuno di noi, quindi, dovrebbe aiutare la comunità a “tirar fuori” un’idea di sé stessa, un bagaglio di interrogativi, una visione di futuro. Perché senza visione non si educa, si insegna e basta, cioé si sovrappone alla persona un’armatura, che dovrebbe servirle ad affronatre il buio minaccioso di domani.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 23:19 da Wu Ming 2


Provo a fare qualche esempio.
“Come Dio comanda” di Ammaniti è New Italian Epic?
“Io uccido” e gli altri di Faletti sono New Italian Epic?
“Questa storia” di Baricco è New Italian Epic?

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 23:25 da Angela


“Come Dio comanda” di Ammaniti è New Italian Epic?
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Non l’ho letto. Conosco però i libri precedenti di Ammaniti, e secondo me non sono NIE, per i motivi che dicevo sopra quando rispondevo a Lorenzo Amato su questo autore. Di sicuro, però, rispetto ai libri di cui ci chiedi dopo, Ammaniti è molto, molto più vicino alla sensibilità di cui stiamo parlando. E ora veniamo agli altri.
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“Io uccido” e gli altri di Faletti sono New Italian Epic?
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No. Sono romanzi di genere *normali*, anzi, normalizzati, che non cercano mai di trascendere il loro genere, anzi, vi si adagiano dentro e si crogiolano, sono giocati costantemente al ribasso del primo cliché disponibile, e scritti in una lingua di plastica. “Io uccido” non ha nulla che lo distingua da un qualsiasi comunissimo, dozzinale giallo da edicola di stazione ferroviaria, che può pure essere una lettura piacevole da Bologna a San Pietro in Casale, ma che già durante il viaggio di ritorno a Bologna hai dimenticato al 70%: scomparsi i nomi dei personaggi, e la storia già avvolta in una bruma grigiastra. Se ha venduto quell’ira di dio di copie, è soprattutto perché l’autore era un personaggio televisivo, ex-comico di successo etc. Già il secondo libro ha venduto molto meno, il terzo ancora meno etc. Terminata la novità mediatica, tutto si stabilizza.
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““Questa storia” di Baricco è New Italian Epic?”
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No. Come quasi tutti i libri di Baricco, è un lieve gioco narrativo fondato sul distacco, su quell’essere blasé dell’autore che conosce bene i meccanismi della citazione e del pastiche e li fa funzionare. Un esercizio postmoderno, raffinato, ironico, e senza sugo. E’ proprio per rompere il più possibile con questo genere di scrittura che molti autori hanno cominciato a scrivere i libri che definiamo NIE.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 23:45 da Wu Ming 1


@ Wu Ming 2
Ferroni ha curato il libretto, ma non era l’autore del saggio che stavo citando sul noir italiano. In quella sede Ferroni, autore del primo saggio, se la prendeva con Baricco (in particolare con Seta), e secondo me giustamente. Se veramente Giulio Ferroni ha affermato quello che tu dici (= che non vale nemmeno la pena di parlare del NIE) allora mi ha “deluso per l’ultima volta”, come disse un tale in armatura. Peccato, perché sulla sua storia della lett. italiana mi ci sono formato.
Invece trovo bello il saggetto di Scarpa. Questo povero Saviano lo si sta strattonando un po’ troppo, forse, il che finisce paradossalmente per dar ragione a chi diffida della critica letteraria fatta dagli autori (non io, per l’amor del cielo). Però Scarpa, se forse ’scarpizza’ un po’ Saviano (la presenza scenica dell’autore è proposta culturale di marca sua) in realtà rischia di ridurlo a rango di giornalista che denuncia un affaire losco e finita lì. A prescindere dalle categorizzazioni e dalle fonti delle informazioni di Saviano, credo che basti leggere il capitolo su Pasolini e sul cemento a Napoli, e l’intervallare della ‘testimonianza’ di Saviano con il ritornello ossessivo “io so e ho le prove”, per vedervi una liturgia sacra di impressionante retorica e impatto emotivi. In quel capitolo l’autore è certamente più poeta che giornalista. E tutto ciò che di riduttivo è stato detto sulla portata conoscitiva del romanzo (ovvero che molte informazioni si conoscevano già ecc.) finisce per andare a merito del poeta, e della sua capacità di far reagire chimicamente elementi già noti facendoli deflagrare e portandoli all’attenzione di tutti.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 23:46 da lorenzo amato


@ Lorenzo Amato

l’autore del saggetto sul noir era Filippo La Porta, che è anche autore di questo capolavoro di elzeviro uscito sul “Corriere della sera” poco tempo fa:

Macché New Italian Epic Questo è Solo Glamour
Siamo proprio sicuri che è nata la Nuova Epica Italiana? Ho sempre pensato che l’ epica in Italia non può vantare una fiorente tradizione a causa della centralità della famiglia. Dove hai la famiglia non puoi avere l’ avventura. Bene, Wu Ming non trova di meglio che rilanciare l’ epica proponendo una Famiglia, benché letteraria. Ed è famiglia straordinariamente estesa, che comprende autori tra loro incommensurabili come Letizia Muratori e Valerio Evangelisti. Come ogni famiglia è protettiva e scarsamente sensibile a tutto ciò che avviene fuori di essa. Con il manifesto di Wu Ming siamo alla proposta letteraria con genealogia incorporata (da Manzoni a Pratolini) e bibliografia annessa (l’ incolpevole Benjamin usato come autore New Age). Marketing & Sovversione, Empatia per i sofferenti & Glamour mediatico. D’ accordo, le storie sono asce disseppellite per non subire la storia unica. Ma più che ad asce artigianali queste assomigliano a «bombe intelligenti» dell’ editoria. New Italian Epic è il logo perfetto (altro che «epica postmoderna»!, osserva Luca Mastrantonio sul «Riformista»), scritto nella lingua della comunicazione planetaria, per un prodotto appetibile dell’ Italian Style. Pensavate che non saremmo riusciti? Beh, we can… Ma proprio loro, appassionati nel cercare una verità non convenzionale del nostro Paese, non si accorgono che questa verità ha a che fare con una Grande Recita? Di fronte a una democrazia imperfetta e a una realtà sociale spesso drammatica la nostra cultura tende a simulare guerre civili, rigenerazioni morali, nobili sentimenti, epiche d’ importazione. Dove tutto viene riassorbito in una fiction seduttiva. Il nostro destino assomiglia piuttosto alla «infinita notte» del festival di Sanremo dell’ ultimo romanzo di Alessandro Zaccuri, in cui uno dei personaggi ha avuto successo proprio con una narrazione epica!

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 23:50 da Wu Ming 1


Su Baricco: credo stia diventando il nostro bersaglio preferito, e d’altro canto ben si presta. Tuttavia, dopo averlo detestato tanto (i libri, non la presona, poveraccio), devo chiedere con forza quali altri autori a parte Baricco voi (Wu Ming) individuate come la generazione alla quale reagire. Che mi dite di Stefano Benni? Del Giudice (autore che non disprezzo)?

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 23:51 da lorenzo amato


@ Wu Ming 1
Ah ecco! Ora tutto torna. Intendiamoci: il saggio di La Porta sul noir mi è stato utilissimo per definire la mia idea del romanzo NIE come (potenziale) epica della complessità. La Porta infatti trovava sostanzialmente negativa l’assenza nella nostra cultura (cattolica) di una struttura logico-morale che io non posso non definire manichea, cioè legata a una concezione forte del Male. Non è un discorso tutto sbagliato: basta ribaltarlo, vedere i lati positivi di una visione del Male problematica e complessa, e si ottengono strumenti di lettura del mondo formidabili e altrove difficili da concepire. Ma in calce a questo posto devo dire che la critica italiana è messa malino…

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 23:57 da lorenzo amato


Ai Wu Ming.
Non ho letto il “memorandum”, ma a pelle percepisco un po’ di confusione. Mi scuserete, spero. La mia è una critica a-priori. Anzi, più che una critica è una sensazione. Probabilmente sbagliata.
In ogni caso credo sia meglio non prendersela troppo per gli articoli critici. Anche per quelli duri e in apparenza spietati. Andate avanti col vostro “memorandum” e concentratevi sul vostro lavoro senza perdere troppe energie a parare i colpi.
Il tempo vi darà ragione o torto.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 23:59 da Carmelo Fabiano


Mi vuoi per forza portare sugli autori anziché sulle opere, eh? E’ che io fatico a ragionare in termini di generazioni, di anagrafe. Nel NIE parlo di opere di autori che hanno vent’anni più di me, alcuni addirittura quaranta più di me (Camilleri).
Trovo di un’inarrivabile tediosità i libri di Marco Lodoli. Tra gli autori degli anni ‘80, mai digerito Van Straten.
Mi piacciono invece i libri di Starnone (o almeno i due che ho letto: Denti e Via Gemito.
Benni lo stimo, però ammetto di avere smesso di leggere i suoi libri da diversi anni, per via della ripetitività che li contraddistingueva vieppiù. Mi dicono che l’ultimo “scarta” un po’ di più, vedremo.
Capisco l’importanza che ha avuto Tondelli, ma nei suoi libri non sono mai riuscito a entrarci, e il “tondellismo” degli anni Novanta per me è stato un po’ una sòla.
Del Giudice è una mia lacuna che prima o poi colmerò.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 00:01 da Wu Ming 1


@carmelo:
“Il tempo vi darà ragione o torto”
grazie, ma ciò dipende proprio dalla vitalità dello scambio di idee
quindi andare avanti implica per forza di cose ‘parare i colpi’ cioè anche controbattere
@ wu ming
trovo corretto in questa serie di post presentare le posizioni di altre voci . nella mia ignoranza leggo con interesse motivato dal fare reading quanto finora detto però sarebbe altrettanto interessante conoscere la vostra replica a tiziano scarpa o a carla benedetti..

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 09:17 da fabiandirosa


Un mio intervento che dialoga con quello di Tiziano Scarpa sarà pronto la prossima settimana.
A Carla Benedetti che possiamo mai rispondere, se finora a tutta la faccenda ha dedicato soltanto una frase? Appena scriverà qualcosa di argomentato, valuteremo.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 16:45 da Wu Ming 1


P.S. Sono in partenza, starò lontano dal computer fino a dopodomani. WM2 invece continuerà a rispondere anche in questo frattempo. A presto.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 16:46 da Wu Ming 1


@Wu Ming 2
Spinta dalla tua risposta sull’ “educare”+ sul titolo dell’ultimo saggio di “New Italian Epic” e dal concetto di insegnamento come “un’armatura che dovrebbe servire ad affrontare il buio minaccioso del domani”+ una curiosità che nutro da giorni per voi, sono andata a comprare il testo di Einaudi. Sono felicissima di averlo comprato, anche se per ora ho letto solo “La salvezza di Euridice”, perché intanto nella prima pagina ci sono alcuni versi da “La terra desolata” di Eliot e leggerli mi ha riportato indietro nel tempo, al tempo in cui seguivo il seminario che il nostro professore di letteratura inglese, Mario Domenichelli, teneva su “The Waste Land”: intere serate ad ascoltarlo, a leggere il testo, ma anche a “partecipare” in qualità di “discenti-pensanti”( e qui, forse, se non ho capito male-benché nessuno degli studenti di allora abbia scritto qualcosa di suo in seguito-era messa in atto la nostra “educazione”, nel senso di “tirar fuori una visione del futuro”).
Anche la lettura di “La salvezza di Euridice” mi ha “illuminato” molto: ho capito meglio il riferimento alle Sirene+ il mito di Orfeo+il senso della scrittura:
” (…) chi racconta non può far finta che gli altri non esistano. Quando avverte la luce, quando intuisce la speranza, il cantastorie ha bisogno di condividerla, di sentire ciò che sente l’altro, di immedesimarsi, per non raccontare soltanto i suoi sogni.”
Leggerò con curiosità tutto il saggio: è assurdo che leggiamo “la stroncatura” senza leggere il testo che è “stroncato”.
Riguardo ai testi che possono essere annoverati tra NIE oppure no, perché elencarli per forza?
Mi chiedevo: io non ho letto moltissimi testi che “partono dai FATTI”, anche perché sono “fatti” che, pur essendo importante venirne a conoscenza, mi addolorano e quindi me ne vorrei “allontanare”. Non so, da qualche parte ho letto di una “trasformazione simbolica” che ti fa capire le cose, ma non te ne parla “esplicitamente”. Certo, se penso ai “classici” del realismo francese ( alla cui fonte mi sonno “abbeverata” per anni) mi rendo conto che la mia visione attuale del mondo deriva direttamente dalla lettura della loro osservazione e analisi della loro epoca ( penso a “Père Goriot” di Balzac, per citarne uno indimenticabile); quindi, per capire meglio la mia epoca, dovrei leggere gli scrittori che ne parlano adesso. Eppure non ci riesco.
Ultima considerazione: se “insegnare”= imprimere, mettere un segno e “educare”= “tirar fuori”, in realtà cosa fanno gli insegnanti secondo voi? “Mettendo un segno” possono, in qualche modo, “tirar fuori un bagaglio di interrogativi+ una visione del mondo”?
Spero di sì.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 18:44 da roberta


Grazie per i nuovi interessanti commenti.
Non ho avuto modo di ascoltare Fahrenheit, oggi. Ascolterò, la puntata in differita, domani.
A beneficio di tutti riporto il link dove dovrebbe essere “caricata” la parte di trasmissione che ci interessa:
http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/archivio.cfm

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 22:13 da Massimo Maugeri


@ Roberta: credo che il significato di insegnare = imprimere fosse citato nella sua valenza etimologica per marcare la distinzione di un approccio più orizzontale e forse meno paternalistico. Nel linguaggio quotidiano i due verbi quasi si equivalgono. Ma è chiaro che un buon insegnante è colui che impartisce nuovi concetti, e li fa imparare (ovvero li imprime, etimologicamente) ma al tempo stesso ‘educa’ gli allievi facendo loro dedurre possibili soluzioni, idee e concetti complessi da nozioni ed esperienze già acquisite.

@ Wu Ming (uno qualsiasi): ma voi vi ritenete insegnanti, educatori o piuttosto condottieri? Ovviamente di quelli che prima di ogni assalto consultano la truppa e al tempo stesso la preparano alla battaglia. No? :-)

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 22:19 da lorenzo amato


@Roberta
Grazie della lettura e dell’apprezzamento.
Sull’allontanarsi dai fatti, dipende cosa intendi. Leggere un romanzo storico ambientato nel Settecento forse può darti l’impressione di essere distante dalla cronaca di tutti i giorni, poi però se è un buon romanzo, se ha costruito bene e tenuto aperte le sue allegorie, è molto probabile che a quella cronaca finirai per tornarci. Noi inseguiamo, per dirla con Barthes, “un’arte epica che rende discontinui i tessuti discorsivi, che distanzia la rappresentazione senza annullarla”.
Quanto a educare/insegnare…io credo che gli insegnanti dovrebbero fare entrambe le cose. Da una parte, “tirar fuori” dagli studenti attitudini e inclinazioni, farle germogliare. Dall’altra, “lasciare un segno”, disegnare una mappa culturale e metterla a disposizione degli alunni.
Nel mio post precedente, usavo però la parola “insegnare” in un’accezione negativa, perché come scrittore voglio dare un contributo educativo alla mia comunità, senza la pretesa salvifica di insegnare qualcosa, di trasformarmi in maestro.
Ora, in un libro molto interessante – “L’epoca delle passioni tristi” – Miguel Benasayag dice chiaro e tondo che non si può educare con le minacce. Dunque, finché presenteremo ai nostri figli il futruro come una minaccia, contro la quale occorre armarsi, imparare due lavori, tre lingue e via così, non riusciremo a tirar fuori nulla da loro. L’unico risultato sarà di mettergli addosso un’armatura, cioé qualcosa di posticcio, che non è pelle, carne e sangue. Solo una promessa di futuro – e non una vuota speranza – consentono di dire parole educative, di porre interrogativi capaci di “tirare fuori” le risposte dal cuore delle persone.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 22:35 da Wu Ming 2


@ Roberto
“Il condottiero che consulta la truppa” mi ricorda l’imprenditore toyotista, che consulta gli operai e li stimola a suggerire migliorie per il bene della fabbrica integrata…:-)
Io di mestiere ho sempre fatto l’educatore, quindi è inevitabile, mi sento proprio educatore, cioè parte di una comunità educante.
Ma detto in altri termini: sono un fan, vado pazzo per certe narrazioni epiche, mi piace parlarne con gli altri fan, e ogni tanto ne scrivo una.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 22:41 da Wu Ming 2


@Lorenzo:
grazie. Io sono un’insegnante ed è per questo che mi preoccupavo..
Non so quale sia il più difficile tra i due “mestieri”, lo scrittore e l’insegnante. Sono molto diversi e diversi gli interlocutori. Noi dobbiamo spesso fare in modo che i nostri allievi si “predispongano” a “ricevere l’impronta”( non passivamente, naturalmente, e in modo tale, come dice lei, da metterli nelle condizioni di dedurre possibili soluzioni) e spessissimo questa predisposizione manca da parte loro, per una serie infinita di cause che sarebbe tedioso elencare qui; gli scrittori ( e anche i saggisti), invece, credo possano contare proprio su questa “predisposizione” all’ascolto. In questo caso io sono, per esempio, un’ottima “alunna”, nel senso che è magnificamente descritto da Wu Ming ne “La salvezza di Euridice”.
Leggo con molto interesse anche i Suoi interventi.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 22:43 da roberta


@Massimo
Fahrenheit l’ho ascoltato, purtroppo solo gli ultimi dieci minuti. Molto interessante, almeno in tre occasioni, mi sono ritrovato a battere le mani…:-)

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 22:43 da Wu Ming 2


Capisco il punto. Ma in questo momento state conducendo una battaglia culturale, e credo ne siate consapevoli. E anche i vostri libri hanno sempre avuto un che di ordigni bellici (in senso buono, cioè metaforico, s’intende… ). Non c’è mica niente di male :-)

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 22:45 da lorenzo amato


@wu ming 2
mi piace molto questa cosa della promessa di futuro ai figli che “pone interrogativi capaci di tirare fuori le risposte dal cuore”. Questo dovrebbe essere il principio ispiratore della cultura ma anche dell’amore familiare e dell’educazione intesa non come trasmissione di regole ma come abitudine all’ascolto di sè e dell’altrui sensibilità. Solo così s’impara davvero e forse si insegna.Mi fa pensare all’argomento assenza dei padri in senso lato,ma potrei dire anche presenza delle nuove madri,sarebbe un nuovo discorso da fare con maggiore lucidità.
complimenti e auguri per le passioni coltivate con tanto ardore.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 22:49 da francesca giulia


@ Wu Ming 2
Sono molto curioso di ascoltare la puntata di Fahrenheit. Come ti dicevo lo farò domani.
p.s. Parte dei guadagni derivanti dalla vendita della copia del NIE acquistata da Roberta vanno a me. È bene che tu e Wu Ming 1 lo sappiate :)

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 22:51 da Massimo Maugeri


Per il momento chiudo qui.
Auguro una serena notte a tutti.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 22:52 da Massimo Maugeri


Beh, sai, io sono figlio di insegnanti di scuola superiore, sono una sorta di docente universitario (= a contratto, peraltro non retribuito, e ho una borsa di ricerca che finisce ad agosto e dopo saiddìochesuccede), e so bene cosa intendi. Credo che l’insegnante abbia un vantaggio sullo scrittore: a un certo punto si trova gli studenti davanti, e deve per forza dire qualcosa, e insomma, parlando parlando si impara a parlare (e a insegnare). Io sono anni che provo a scrivere, e tutte le volte che mi azzardo a scrivere qualche rigo ci trovo mille problemi e smetto subito. Se qualcuno mi obbligasse, come sono stato obbligato a insegnare, a un certo punto riuscirei a scrivere qualcosa di completo.
Una domanda per Wu Ming: ma voi quando avete iniziato riuscivate a rileggere le cose appena scritte senza mettervi a piangere? Vi ha aiutato in questo senso essere un gruppo?

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 22:58 da lorenzo amato


@caro lorenzo amato ritengo che sia un bene mettersi a piangere dopo aver letto le proprie cose scritte,vuol dire che hai quella dote rara che si chiama autocritica,perciò evidentemente prima o poi scriverai qualcosa di vero e interessante.
Il tuo desiderio di comunicare dovrebbe essere tanto forte da sfidare quell’orco del tuo censore interiore e alla fine di una battaglia estenuante uscirne vincitore!
però senza una fede non si mette un piede avanti all’altro, e con queste pillole di consigli alla Perpetua semiaddormentata vi saluto con affetto.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 23:05 da francesca giulia


@Wu Ming 2
sembra assomigliare molto alla maieutica di Socrate. Ma non vorrei allontanarmi dal contenuto vero e proprio della discussione.
Nell’attesa di leggere tutto il testo, mi viene in mente un’altra “terribile” preoccupazione riguardo al futuro: il futuro E’ una minaccia e non credo che neppure a noi ( che dovremmo educare i nostri figli) sia stata data questa “armatura” che forse dovremmo e vorremmo avere addosso.
Il problema è che per fornire quest’armatura, è necessario che chi la fornisce sia in grado di credere che serva ( però molte volte non è possibile crederci).
I “fatti” con i quali dobbiamo fare i conti, o su cui anche chi se ne allontana prima o poi “dovrà tornare”, sono ripetibili all’infinito e la loro “rappresentazione distanziata” non li “cura”.
Ma devo inserire ancora i pezzi del “puzzle” per proseguire.
Grazie a voi per le risposte:)

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 23:08 da roberta


@Lorenzo
sì, ma gli insegnanti universitari scrivono saggi, mi sembra. E quei saggi, per quel che ricordo io dei tempi dell’università, erano indispensabili per i discepoli.
Per me i Wu Ming ( non me ne vogliano se così non è, ma in fondo non è un’offesa) sono come “les encyclopédistes”.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 23:18 da roberta


@ Roberta
Mah, ti assicuro che i saggi che ho scritto io non hanno mai avuto niente a che fare con quel che mi son trovato a insegnare. Meglio così per tanti motivi: ho sempre parlato a lezione di cose più generali e meno specialistiche, e in definitiva più rilevanti, e mentre mi ristudiavo i manuali e i libri (rigorosamente la sera prima della lezione, fra le 22 e le 2 del mattino) ho capito cose che non avevo mai neanche intuito da studente. Forse in una lezione la persona che impara di più è l’insegnante…

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 23:33 da lorenzo amato


Sì, l’insegnante impara. Ma ci sono occhi e orecchi che registrano avidamente, anche se l’insegnante non se ne accorge o non immagina. Non so, in questo sono “stranamente ottimista”.. Ricordo che a un esame di letteratura inglese il professore mi rivolse una domanda su Thomas Malory; mi fece parlare per un pò, c’erano i riferimenti alla “terra malata” per la morte di Artù e altre cose; poi mi chiese: “Ma dove ha trovato queste cose?”- non sapevo cosa rispondere, ma poi, avendole realmente lette nei suoi saggi ed avendole ascoltate, e non temendo di sembrare quella che ero (una sua “seguace”), gli dissi: “le ha dette lei, professore”. Guardò l’assistente e aggiunse sorridendo: “Però, alla fine vedi che diciamo cose interessanti?”.
Io ricordo alcuni discorsi del professore di letteratura inglese a distanza di molti anni e tengo gelosamente costoditi con me i suoi saggi su Conrad e altri saggi.
Ma divago.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 23:59 da roberta


@Lorenzo
Avere un gruppo di lavoro e di amici di cui ti fidi, che conosce quel che stai scrivendo, che legge subito quello che sforni e ti dà un parere (e in molti casi anche una penna)…che altro potrebbe volere di più uno scrittore in erba, sempre in altalena tra esaltazione e castrazione?
E’ vero quel che dici dell’insegnante, però anche uno scrittore, se vuole, ha moltissime occasioni di ritrovarsi davanti i lettori. Parlando parlando, si impara aanche a scrivere. Ascoltando ascoltando, si capiscono i propri errori.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 23:59 da Wu Ming 2


No, non era malata per la morte di Artù ( la memoria mi abbandona) ma perché Artù era malato.

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 00:01 da roberta


@Massimo
Dunque…il libro costa 14,50 euro…io e il mio compare ne vediamo l’8%, che diviso per due fa…mi sa che ti va meglio se ti offriamo un caffé (magari del commercio equo) :-)

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 00:02 da Wu Ming 2


@Roberta
scrivi: “Il problema è che per fornire quest’armatura, è necessario che chi la fornisce sia in grado di credere che serva ( però molte volte non è possibile crederci).”
.
Il punto è che l’armatura non serve a nulla, se non hai imparato l’arte marziale.
E l’arte marziale è niente, se non sai perché combatti.
Rispondere che si deve combattere perché prima o poi qualcuno ci tirerà una mazzata. è in realtà una non-risposta. Ecco perchè limitarsi a dire che il futuro è minaccioso, e che bisogna armarsi per affrontarlo, non serve a nulla.

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 00:07 da Wu Ming 2


Di nuovo @Roberta
scrivi: “I “fatti” con i quali dobbiamo fare i conti, o su cui anche chi se ne allontana prima o poi “dovrà tornare”, sono ripetibili all’infinito e la loro “rappresentazione distanziata” non li “cura”.”

Non sono d’accordo. Cioé: dipende dalla “rappresentazione distaziata”. In certi casi è terapeutica – e può davvero sfidare la coazione a ripetere con la forza del dubbio.
Ho già citato più volte “Valzer con Bashir”, il film di Ari Folman. Lì c’è la guerra – la peggiore delle coazioni a ripetere. Se il film fosse un reportage, forse non farebbe altro che ribadirla. Invece è un film di animazione e proprio perché non punta a ricostruire una verità, riesce a suscitare interrogativi “maieutici”, curativi. Anche se forse in maniera fin troppo ambigua…

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 00:16 da Wu Ming 2


Vi scrivo solo per ringraziarvi. Le vostre discussioni mi aiutano a riflettere.

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 00:19 da Alba


Infatti per me è inutile “armarsi”.
Una manifestazione di ingenuità da parte mia “scoprire” solo ora la vostra scelta per la carta danese riciclata e l’adesione a Green Peace per la salvaguardia delle foreste?
E che dire del titolo: “Guerra agli umani”? Ho letto la trama e non la ricordo bene, ma il sapore “animalista ed ecologista” lo rende quasi “irresistibile”. Nella recensione francese si dice che è “un romanzo ricco di colpi di scena che, facendo finta di niente( =l’air de rien), denuncia la crisi culturale, sociale ed ecologica della nostra civiltà”.
E’ giusta questa definizione? La trovate restrittiva?
Divago ancora, ma spero di poter tornare nei prossimi giorni su NIE.
Per ora grazie infinite.

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 00:38 da roberta


@ Wu Ming 2
la rappresentazione distanziata cura soltanto coloro che sono già in via di guarigione. Forse si può cercare di “curare” i piccoli, ma non si può cercare di convincere un cacciatore che la vita di un cervo protetto in una riserva è preziosa e che dalla salvaguardia dei cetacei dipende la salvezza del pianeta, perché non lo capirà mai.
Tempo fa qualcuno scriveva in questo spazio che “l’Umanesimo è morto”; ora penso che credere in una possibile “cura” sia credere alla possibilità dell’avvento di un nuovo Umanesimo. Sarebbe bello. Ma, anche Thomas More è stato decapitato da Enrico VIII. E’ un’ utopia.
Il disfattismo serve ancor meno dell’utopia, però. Quindi, per far sì che ” gli interrogativi “maieutici” siano sempre suscitati e il dubbio una perenne guida, leggiamo e scriviamo.

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 00:51 da roberta


A Wu Ming 1
“(…) replica a tiziano scarpa o a carla benedetti..”
Mannoò, credo fabiandirosa volesse suscitare una Tua reazione all’articolo di Carla Benedetti che riguarda Gomorra di Saviano.
Eppure i due punti finali erano chiari ;O)
Io non Ti seguo molto, impegnato come sono nella videopoesia, confesso tuttavia un certo coinvolgimento.
Allorquando rientri avrò premura di ascoltarTi_

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 08:36 da CignoNero


@ Wu Ming 2
Accetto il caffè, ma a due condizioni:
1. Che sia italiano (e ben ristretto)
2. Che sia nuovo (i caffè usati – già bevuti – mi danno il voltastomaco)
Ciò premesso, mi acconterò anche se il caffè non sarà epico.
;)

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 16:43 da Massimo Maugeri


@ Wu Ming 2
Sì, torniamo “in topic”.
(Magari avremo modo di discutere su Cuba in altre occasioni).

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 21:03 da Massimo Maugeri


Ho visto che su Fahrenheit hanno “caricato” la trasmissione:
http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/archivio.cfm
http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/archivio_2009/audio/intervista2009_03_03.ram
La ascolterò più tardi.

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 21:04 da Massimo Maugeri


@ Roberta
La definizione “francese” è corretta, mi ci ritrovo.
Rispetto al NIE, credo che Guerra agli Umani sia uno dei pochi romanzi della “nebulosa” che usa il comico, il grottesco, e anche l’ironia, dentro uan cornice epic. Sul risultato dell’esperimento, ovviamente, non mi posso esprimere.

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 22:28 da Wu Ming 2


Le sperimentazioni, in letteratura, sono sempre importanti.
Mi sento tuttavia più attratta dalla letteratura di “evasione”, rispetto a quella “militante”. L’”esotismo” di certe opere ( con “esotismo” intendo che il lettore, attraverso l’immaginazione, sia catapultato in una realtà molto lontana dalla sua- per esempio nelle serate a casa della principessa di Guermantes, nella Recherche di Proust) resta, per certi lettori come me, sempre più irresistibile dei testi “militanti”.
E’ la stessa cosa dell’”allontanarsi dai fatti” di cui sopra: un altro possibile modo di concepire la funzione dell’arte.

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 00:42 da roberta


@ Wu Ming 2
Molto interessante la puntata di Fahrenheit…
Una Scateni… scatenata.
:)

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 08:56 da Massimo Maugeri


Sì, evidentemente l’impressione che la critica abbia perduto la presa sulla situazione letteraria italiana è forte, e non soltanto fra i lettori e gli autori. Chi vivrà vedrà, ma ho l’impressione che questa defaillance sia da libro di storia della letteratura (quelli futuri, ovviamente, fatti col senno del poi)…

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 11:20 da lorenzo amato


@ Roberta
Magari dipende anche da cosa si intende per letteratura di evasione. Nel linguaggio vulgato significa libri di puro intrattenimento. Ma se citi Proust probabilmente stai costruendo una dicotomia fra letteratura militante e letteratura di evasione (cioè non collegata alla realtà quotidiana, in specie politica) che in sé non esiste. Letteratura di argomento esotico può ben essere militante in allegoria (es. proprio Q dei Wu Ming), mentre letteratura con riferimenti all’attualità può essere (e spesso è) di puro intrattenimento, senza cioè alcuno sperimentalismo o ambizione letteraria (es. Faletti e i suoi gialli di plastica).

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 11:31 da lorenzo amato


@Lorenzo Amato
intendevo dire che l’”engagement” politico di certi scrittori, per un certo “tipo” di lettori, può non essere la lettura preferita, senza nulla togliere al suo valore, naturalmente, se ce l’ha. Per esempio, io non sono molto sicura di voler leggere tutta la produzione di Jean Paul Sartre, ma questo non ha molto a che fare con la grandezza dello scrittore, che è indiscutibile. Anche per quanto riguarda il cinema, a me non piace un cinema militante, di “denuncia”; preferisco la poeticità (dal mio punto di vista) del “Posto delle fragole” di Ingmar Bergman o quella del “Cielo sopra Berlino” di Wim Wenders.
Sì, forse chiamarla letteratura “di evasione” è improprio, ma non saprei quale altro termine utilizzare per individuare una letteratura che non mette il lettore di fronte alle “brutture” del mondo, soprattutto se il lettore in questione non crede alla “validità” della militanza. O non vuole semplicemente essere un “militante”.
Se mi fanno scegliere tra il vedere a teatro una commedia di Marivaux e un dramma di Brecht, scelgo sempre e comunque Marivaux. Ma è solo una questione di inclinazione personale sia al “marivaudage” che alla “comédie en général”.
Io temo moltissimo alcuni “lettori militanti” che ti dicono: “Proust amava troppo l’aristocrazia”, per esempio. Questa frase nasconde prima di tutto la mancanza di conoscenza dell’opera proustiana e una negazione diciamo così piuttosto “integralista” dell’opera d’arte che non sia quella in cui si rispecchia l’ideologia di chi legge. Ricordo un’amica molto “militante” che mi aveva detto, conoscendo la mia predilezione per Molière: “E’ solo un maschilista”. Ecco, io intendo questo: come è possibile “liquidare” un commediografo come Molière sostenendo semplicemente che si tratta di un “maschilista”? In questo caso direi che si tratta di seguire soltanto la propria ideologia e questo porta alla “chiusura” nei riguardi dell’arte in generale. Molière poteva rappresentare le sue commedie perché era un “protégé” di Luigi XIV e menomale che il re lo proteggeva, altrimenti non potremmo amare le sue commedie. Sarebbe stato un drammaturgo migliore se si fosse opposto al potere dell’Assolutismo monarchico? No, certamente no.
Mi scuso con Wu Ming per la divagazione.

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 12:11 da roberta


@ Roberta
Il povero Molière ha certamente avuto le sue gatte da pelare, perché a suo modo militante lo era. Ho letto un bel saggio (aimè non ricordo l’autore) sul Molière ideologicamente libertino, e quanto le camarille cattoliche della corte francese gli abbiano nuociuto. Ad esempio il Tartufo doveva essere originariamente un religioso, e per questo non fu rappresentato per anni, fino a che Molière non ha cambiato la storia, sostituito il religioso a un personaggio meno definito, e costruito il finalino felice con il messo reale che salva la situazione. Solo a quel punto la commedia è stata rappresentata. Discorso simile per Don Giovanni, personaggio libertino sostanzialmente positivo per tutta la commedia, salvo il finale diabolico. Non dimentichiamo poi che la condanna religiosa ha accompagnato Molière post-mortem!
In buona sostanza sono d’accordo con te che una lettura rigidamente ideologica delle opere letterarie le distorce e le riduce, ma questo non implica che una qualsiasi opera letteraria di valore non abbia un’impronta ideologica anche forte. Chiaramente la militanza degli autori del passato non va sempre nella direzione che oggi vorremmo, ma in certi casi misconoscerla (come nel caso di Molière) significa non comprendere parte dell’importanza dell’opera. Parlo ovviamente di chi lo definisce ‘maschilista’ o ‘realista’ (nel senso di filomonarchico), che non ha capito nulla di come si legge un’opera letteraria o d’arte in genere…

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 12:28 da lorenzo amato


Ritengo peraltro che questa discussione non sia OT. Infatti uno degli aspetti del NIE è proprio il suo impegno, ovvero la sua marca ideologica e in parte militante. Discutere dell’approccio a queste tematiche implica in modo obliquo discutere dell’approccio a questa scrittura attuale di fronte agli scrittori, il che non è cosa da poco…

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 12:30 da lorenzo amato


@Lorenzo
Sì, su Molière non avevo dimenticato la censura, na avevo dimenticato la sua condanna dopo la sua morte. Riportavo il giudizio “tout court” di chi “taglia” con le cesoie tutto ciò che non riconosce come ideologicamente appartenente alla sua idea politica: la stessa persona mi avrebbe detto, tre secondi dopo, se le avessi ricordato la censura: “Eh, che grande Molière!”. Sono persone che non amano l’arte, nonostante pretendano di amarla.
Il punto è, secondo me, che Molière non era “grande” per la sua “militanza”( se vogliamo annoverarlo in questa categoria) ma perché il suo teatro è “scritto” divinamente. Io sto parlando di “pura estetica”, é quella che mi attrae maggiormente, anche se non misconosco la portata polemica dei moralisti, in generale( mai “sovversivi”, peraltro). Altrimenti chiunque “militi” potrebbe essere un artista. Invece, parlando di risultati artistici, non è sempre così, mi sembra.

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 13:20 da roberta


@ Roberta
Sì, capisco la ricerca della bellezza nell’arte a prescindere da un impegno vero o presunto. Ma l’arte deve pur comunicare qualcosa al di là della forma pura. Con buona pace di Benedetto Croce, i maggiori autori del Novecento sono imbevuti di filosofia, scienza, sociologia, ecc. A partire da Proust. In fondo la recherche parla del senso della vita, che si risolve, sì, in scrittura, ma attraversa drammi di esperienza e memoria senza i quali la scrittura stessa non avrebbe sostanza. Il legame con l’attualità e la storia non è l’unico modo di dimostrare impegno. Tutto il modernismo è un arte dell’impegno, inteso come impegno conoscitivo, ma spesso non parla di attualità. Un esempio potrebbe essere il Calvino ancora modernista, che pure, in superfice, è lettura facile e piacevole. Quale scrittore ha scritto opere ‘riuscite’ di pura estetica, senza contenuto morale o conoscitivo? Io non ne vedo tanti…

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 15:25 da lorenzo amato


Intervengo con ampio ritardo nella discussione per riprendere un intervento di WM2, di cui cito la parte che mi ha colpito:

“[...] testimoniare non è più sufficiente. In un processo, un testimone è chiamato a raccontare i fatti e il suo contributo serve a stabilire la verità. Ma la complessità che ci troviamo ad affrontare è ormai tale che i fatti non bastano più a determinare la verità e la verità non basta più ad emettere sentenze. [...] Più che di testimonianze, abbiamo bisogno di visioni.”

Non credo che il motivo principale per cui si avverte l’insufficienza della testimonianza sia la complessità: la realtà è sempre complicata per i contemporanei, solo a posteriori si può avere l’impressione che il passato fosse più semplice.
I fatti bastano ancora a determinare la verità, e la verità basta ancora ad emettere sentenze: il problema è che quello di cui avvertiamo il bisogno non sono le sentenze, ma una reazione ad esse (le sentenze di cui sto parlando non sono quelle dei tribunali, ma quelle emesse da ciascuno di noi). Il bombardamento mediatico della nostra epoca fa sì che sia abituale vedere o leggere reportage, mediamente ben fatti, di avvenimenti anche terribili, e questo ha due effetti importanti: da una parte l’assuefazione; dall’altra una sorta di rifiuto nel momento in cui ci si sente impotenti a fronte di cose o troppo lontane o troppo grandi per noi.
Credo che la riuscita di Gomorra sia dovuta alla capacità, attraverso i meccanismi narrativi analizzati nel memorandum, e quindi al suo aspetto “poetico”, di superare questi ostacoli e di arrivare non solo al cervello, ma ai nervi e al sangue dei lettori.
In questo sta l’importanza delle innovazioni del NIE che si potrebbe considerare secondarie in quanto tecniche/formali (sovversione nascosta del linguaggio, oggetti narrativi non identificati).

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 17:05 da Alex Pardi


@Alex Pardi
Ti ringrazio per il commento, che mi permette di precisare alcune cose.
1) Quando dico che i fatti non bastano (più) a determinare la verità, intendo i fatti “bruti” e intendo dire che non bastano mai. Solo enunciati molto semplici possono essere veri perché “corrispondono” ai fatti. In tutti gli altri casi, entrano in gioco il linguaggio, l’interpretazione, le metafore che portiamo scritte nel cervello…
2) Quando dico che la verità non basta (più) ad emettere sentenze, intendo – come fai tu – le sentenze emesse da ciascuno di noi, i nostri giudizi. Ora: i nostri giudizi, anche i più razionali, NON dipendono esclusivamente dalla verità. Questa è una (vecchia) idea illuminista e non spiega perché, di fronte all’evidenza, molte persone si comportino contro il loro interesse. Sono tutti deficienti? Non credo. Le neuroscienze ci dicono che la razionalità ha una componente emotiva e inconscia molto più vasta di quel che siamo abituati a pensare. Il framing, la cornice concettuale dei fatti, spesso ha più importanza dei fatti stessi.
3) Per complessità intendo l’abbondanza di informazioni. In questo senso, credo sia difficile negare un aumento nella complessità del mondo.
4) Non credo nell’assuefazione dovuta al bombardamento mediatico. Quando Gutenberg inventò la stampa, molti umanisti sostenevano che l’abbondanza di libri avrebbe fatto male alla cultura, proprio per un motivo simile, un’overdose. Ma non tutte le sostanze generano tolleranza. Quindi l’assuefazione ai media DIPENDE dal media, dalla sostanza. Ad es, mi pare che le immagini diano assuefazione, le storie molto meno (Ci definiamo “società dell’immagine”, eppure le immagini hanno un effetto sempre minore, questo sì.)
Ecco perché la poetica delle opere NIE mi pare centrale. Proprio perché aggiunge ai fatti quello di cui hanno bisogno per tornare a farci effetto, per determinare le nostre sentenze. Ecco dunque il lavoro sul linguaggio, sulla metafora e l’allegoria, sulle cornici concettuali, sulle emozioni, sugli intrecci, sul rapporto tra testimonianza e visione, tra passato e futur

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 18:13 da Wu Ming 2


@ Alex Pardi
L’umanità in quanto tale è un ecosistema sociale complesso. Come diceva l’adagio sul clima, se una farfalla muove le ali da una parte del mondo, dall’altra si scatenerà un uragano in conseguenza (o qualcosa del genere). Ma la visione umana tende sempre a semplificare la complessità, per renderla comprensibile secondo schemi predefiniti e tranquillizzanti. Per far ciò tuttavia occorre una fede, o un’ideologia forte. Magari soccombente, ma pur sempre in grado di spiegare, se non di giustificare, il Male. In questo senso il testimone, per quanto possa essere una figura umana complicata e contraddittoria, assume il significato dell’agnello di Dio, o al limite dell’osservatore non sporco fino in fondo, che con candore, più o meno reale, dà conto del Male e impone un giudizio da parte del lettore. Ciò che definisce il testimone è una qualche fede, ideologia, o anche solo fiducia, che per quanto inespressa o inconsapevole gli fornisce una chiave di lettura tutto sommato binaria rispetto alla quale lui stesso diventa termine di paragone.
La mia impressione è che questa fede, ideologia forte o fiducia manchino in molta parte del NIE, anche negli autori politicamente più schierati. Prevale uno sconforto anche abbastanza rabbioso nei confronti di una situazione (italiana e non solo) che una quindicina di anni fa ha aperto uno spiraglio di luce, ci ha fatto sperare in un mondo migliore, per poi scaraventarci nell’attuale situazione di vuoto ideologico e imbarbarimento morale. Manca spesso (negli autori, e in molti di noi comuni mortali) il bandolo di una matassa che si vede come inestricabile, e per questo, invece di inventarsi chiavi di lettura dell’universo, gli scrittori del NIE ne mostrano (almeno nel limite del possibile) le dinamiche complesse senza quelle semplificazioni che potrebbero sì rendere la storia (le storie) più digeribile e tranquillizzante ma al prezzo di castrarne la reale portata problematica…

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 18:28 da lorenzo amato


@ Wu Ming 2
Quando ho risposto ad Alex non avevo letto la tua risposta, che è assai diversa dalla mia, ma forse complementare. Non sono però del tutto d’accordo su alcuni punti. Io credo invece che ci sia un bombardamento mediatico spesso cercato da chi non vuole che certi fatti siano conosciuti. Oggi non c’è bisogno di impedire che un libro sia pubblicato: basta pubblicarne altri quattro che dicono cose diverse, quaranta che commentino quei quattro, fare trasmissioni in tv e scrivere su blog e notiziari online commenti e risposte a quei quaranta, e il primo libro non lo vedrà più nessuno, se non chi quel libro l’ha effettivamente letto e che resterà comunque parte di una minoranza.
Dal loro punto di vista gli umanisti (il primo critico fu Niccolò Perotti) avevano ragione: la stampa fissa e diffonde concetti, spesso imprecisi, in modo più ampio di quanto non potesse fare anche il più prolifico copista, per cui un errore o falsificazione diventa la vulgata di un certo concetto. Inoltre con l’aumento dei libri il libro perde valore sociale e la letteratura il suo carattere di immortalità. Cosa che è effettivamente accaduta: quanti scrittori oggi hanno speranza di essere ricordati fra mille anni? Mille anni fa invece questa era quasi una certezza…

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 18:38 da lorenzo amato


@Wu Ming2

Ah beh, ma allora era più che altro questione di intendersi sui termini :-)

1 e 2) Siamo d’accordo, la componente emotiva e inconscia che sta alla base dei nostri giudizi e comportamenti è proprio quella a cui mi riferivo parlando di “nervi e sangue”.
3) Concordo anche qui, anche se più che di aumento parlerei di “cambiamento” della complessità. Ieri la difficoltà maggiore consisteva nell’ottenere informazioni, oggi nel selezionare ciò che è rilevante: Eco scherzava (ma non troppo) raccontando di come fino a qualche anno fa chi dovesse fare una ricerca andava in biblioteca, trovava 10 libri, e se li leggeva. Oggi va su Google, ne trova diecimila, spegne il computer e se ne va.
4) Qui tocca a me precisare: le storie non danno assuefazione, ma il modo di raccontarle sì. Per questo, appunto, la poetica del NIE è importante.

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 18:56 da Alex Pardi


Grazie per i nuovi commenti pervenuti. Sono lieto che la discussione continui.

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 22:47 da Massimo Maugeri


@lorenzo amato
Il bombardamento mediatico c’è, quel che contesto sono i suoi effetti. Secondo me 1) non è detto che si generi assuefazione (il bombardamento di libri, nel ‘500, non mi pare abbia prodotto questo risultato. E con buona pace degli umanisti, la moltiplicazione dei testi ha portato un benificio alla cultura mondiale). 2) Non è detto che il bombardamento sia sempre efficace. C’è una bella differenza tra dire “quel libro non lo leggerà nessuno” e “quel libro lo leggerà una minoranza”. Se accettiamo l’equazione minoranza=nessuno siamo proprio finiti. Perché qui non si tratta di salvare il mondo tutto in una volta, ma di salvare le storie. Ed è la somma di storie salvate, piccole e di minoranza, che alla lunga può produrre un cambiamento culturale più vasto.
.
Anche sulla questione della fede occorre fare dei distinguo. Una cosa è la fede, un’altra la fiducia. Se mi dici che nelle opere del NIE non c’è fede sono d’accordo, e sono contento. La fede si ottiene manipolando i miti e gli archetipi con uno scopo preciso e a me non interessa un Nuovo Vangelo Epico Antagonista da contrapporre alla Bibbia del Potere. La fiducia invece mi pare fondamentale. Altrimenti si fa molto presto a cadere nell’equivoco: descrivere “l’imbarbarimento morale” diventa contemplarlo, magari con rabbia, ma fa davvero differenza? In questo sta la differenza tra Gomorra (libro) e Gomorra (film). Il secondo è molto più freddo, si limita a prendere atto del Male, forse anche ad estetizzarlo. Nel primo c’è rabbia, ma anche fiducia: se non altro, fiducia nella parola.
.
In ogni caso: sia questo tema della sconfitta, sia l’altro, di come la produzione di genere di certi autori “prepari” la loro produzione NIE, mi sembrano entrambi molto interessanti. Se avessi voglia di scriverne in maniera sistematica, se ne potrebbe fare qualcosa da mettere in condivisione, magari attraverso Carmilla.

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 09:18 da Wu Ming 2


@lorenzo amato, @Wu Ming 1 e 2

A proposito di fede e fiducia, Fenoglio diceva di scrivere “with a deep distrust and a deeper faith”. Dato che Wu Ming 1 l’ha citato, pur con i distinguo del caso, come più grande autore italiano del ‘900, vorrei chiedervi se secondo voi la fiducia/fede nella parola di cui parla si ritrova nel NIE. A me pare che il rapporto sia in qualche modo rovesciato: l’affermazione di Fenoglio vira al pessimismo, come se non credesse – razionalmente – nel potere della parola di cambiare le cose, ma lo scrivere fosse per lui una necessità spirituale, una missione. Il NIE mi sembra, in generale, tutt’altro che rassegnato. La sconfitta c’è, è dichiarata, ma è un punto di partenza da cui provare a costruire qualcosa. Che dite?

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 11:30 da Alex Pardi


Ehi WM2!
“Ad es, mi pare che le immagini diano assuefazione, le storie molto meno (Ci definiamo “società dell’immagine”, eppure le immagini hanno un effetto sempre minore, questo sì.)”
Scusa WM2: con ‘questo sì’ ti dai ragione da solo?
Non sono molto d’accordo sul fatto che la ’sostanza’ IMMAGINI, e credo di poter includere fotografie o film, abbia portati assuefazione mentre la parola scritta no, o molto meno..
Mi guardo bene dal cavillare sul modo in cui ti sei espresso – sono l’ultimo a poterlo fare, puoi credermi – ma se il senso è chiaro vorrebbe dire che cineasti di ogni angolo della terra sono destinati a non poter più stupire, provocare, commuovere attraverso l’evocazione visiva (?), poichè oramai il pubblico è abituato, assuefatto (?). Sarebbe come dire che tutto è stato fatto in pittura, pittori rassegnatevi!
Mi rattrista la tua ineluttabile visione, ma non voglio essere qui il veleno nella coda , sono sicuro che in fondo anche Tu auspichi rinnovate forze dirompenti da parte dei futuri lungometraggi.

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 11:39 da fabiandirosa


@ Alex Pardi
penso che quella “profonda sfiducia” fosse da Fenoglio riferita in primis ai propri mezzi, e che quella “ancor più profonda fede” fosse invece fede nella scrittura come processo che va oltre i mezzi del singolo scrivente. Traducendo: io, scrittore, mi sento piccolo, limitato, inadeguato; di contro, lo scrivere è tanto grande da contenere miracoli, e con in mente questa grandezza e questa possibilità di miracolo, io vado avanti. E’ una visione aperta. L’avrei considerata pessimistica se la frase fosse stata a rovescio, cioè: “scrivo with a deep faith and a deeper distrust”.
.
@ fabiandirosa
I primi a dire che le immagini danno assuefazione e hanno un effetto sempre minore e quindi si debbano cercare nuovi modi di produrle senza aggiungerle al “rumore visivo” sono proprio gli studiosi che più hanno fede nella possibile forza del cinema e delle arti visive, da Serge Daney in giù. Su questo, consiglio un libro ancora misconosciuto ma davvero bello e – almeno secondo me – fondamentale, cioè “Lo sguardo e l’evento” di Marco Dinoi, giovane docente di teoria del cinema morto nel 2007. Il libro è postumo, lo ha pubblicato l’editrice Le Lettere di Firenze.
Di quel che di nuovo, interessante, potenzialmente rivitalizzante si sta cercando di fare nel cinema e negli audiovisivi, si è parlato nel simposio milanese di cui si dà notizia in calce a questo post:
http://www.carmillaonline.com/archives/2009/03/002963.html
L’mp3 della mia conferenza sarà messo on line nei prossimi giorni.

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 12:41 da Wu Ming 1


Pardon, ho messo un congiuntivo inutile (“si debbano”) quando un indicativo avrebbe svolto egregiamente il medesimo compito :-)

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 12:42 da Wu Ming 1


Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 13:55 da fabian


cioè a dire: hai ancora molto da leggere-studiare-incamerare prima di eprimerti
ma è sicuro che sia proprio così?
qui il congiuntivo è d’obbligo :-)

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 14:05 da fabiandirosa


volevo segnalare riguardo NIE il nuovo articolo – discussione – di Nevio Gambula su Absolute Poetry. Sembra proprio un detrattore, qui:
http://lellovoce.altervista.org/spip.php?article1700

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 14:26 da fabiandirosa


“cioè a dire: hai ancora molto da leggere-studiare-incamerare prima di eprimerti”

Se ti piace interpretarla così, avrai i tuoi buoni motivi, ma il punto era un altro: non serve a niente leggere “desistenza” dove è scritto “resistenza”.
.
Sull’articolo di Nevio Gambula, bah, nil novi sub sole: il mercato… siete funzionali al potere… che fico criticare i Wu Ming da sinistra e dar loro dei servi sciocchi… infilare qualche pezza d’appoggio teorica… qualche pensatore cool… et voila, ecco servito il cliché. Vabbe’, passiamo oltre…

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 15:10 da Wu Ming 1


@Lorenzo Amato
Beh, sì, la pura forma estetica, senza contenuto, non esiste. Anche le poesie di Théophile Gautier( quelle poche che ricordo), teorico dell’Arte per l’Arte, hanno un contenuto ( morale, conoscitivo).
Non conosco molto Calvino; me l’hanno fatto studiare alle scuole medie ed è un tipo di scrittura che mi fa “sentire a testa in giù”; ma dovrei leggerlo.
Volevo dire che la “militanza” di per sè non produce opere artistiche. Ho incontrato troppe persone nella mia vita che scelgono esclusivamente in base al contenuto “ideologico” dell’opera ed è questo atteggiamento che non condivido; conosco persone che non guarderebbero un film americano esclusivamente perché è “americano” e mi hanno portato a vedere un film di un regista marocchino, credo, che era “pesantissimo” per me( non per la nazionalità del regista, ma per il contenuto del film), ma per loro no. Volevo dire questo, prima. Allora: se le stesse persone riconoscono nei film statunitensi ( senza vederli nemmeno) un’ideologia che rifiutano categoricamente, non potrebbero mettersi il problema della loro ideologia contenuta nei testi o nei film che amano loro? No, non se lo pongono. Con loro è ‘ “vietato” affermare che “quel film è un brutto film” e magari è un brutto film.
L’impegno poi può produrre opere belle e importanti, è innegabile. Ma quello che non mi sembra “consequenziale” è impegno+ militanza= bello.
A me i Wu Ming sembrano molto bravi e seri, anche se posso non condividere la loro ideologia.

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 18:24 da roberta


per wu ming 2: sto leggendo “guerra agli umani”. Sono arrivato al cap. 4 Complimenti!

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 18:42 da ellenio


@ Roberta
Per l’amor del cielo, hai ragione te! So bene cosa intendi, perché per anni sono stato (e sono) considerato lo scemo del villaggio degli intellettualoidi fiorentini perché mi piaceva Matrix e leggevo libri che non rientravano soltanto nel genere “libro-d’autore-du’-palle-peso-introspettivo-ma-fa-figo”. A parte poi che la militanza e l’impegno, o l’impegno e la valenza conoscitiva di un’opera, son tutte cose diverse. Ma ancora una volta sottolineo che una cosa è la militanza dello scrittore, un’altra quella del lettore-spettatore. Io posso leggere un libro militante e commuovermi anche se non condivido le basi ideologico-politiche di partenza (es. V. Hugo: militantissimo, ma bello! Oppure, in modo più improprio, Arcipelago Gulag di Solzenicyn – saiddìo come si traslittera). Ci sono tanti modi intelligenti di esprimere militanza, che insegnano anche a chi vive in contesti e di ideologie diverse. Ma tu hai nelle orecchie le critiche di amici che sono sì militanti, ma 1) sono spettatori, e quindi non autori, e quindi la loro diventa una militanza del rifiuto delle opere altrui, cioè una censura; 2) (da quel che mi dici tu, ma ci credo perché ho le stesse esperienze umane) sono persone chiuse, e quindi snob. Un po’ lo stereotipo dei sinistrorsi trinariciuti che esistono, esistono eccome!
Valerio Evangelisti ce l’ha con la politica sociale (ed estera) degli USA, e ne ha buon motivo. Ma gli USA sono stati e sono un laboratorio artistico e letterario molto interessante. Credo che se si scavasse nelle letture degli autori NIE salterebbero fuori molti titoli nordamericani (sbaglio Wu Ming?) Rifiutare opere che vengono dagli USA perché vengono dagli USA (o dalla Russia, o dalla Cina, o da qualsiasi parte del mondo), senza neanche conoscerle, non è un’operazione di attivismo culturale: è soltanto superficiale e tutto sommato infantile.

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 19:19 da lorenzo amato


@ Wu Ming 2
cito: “sia questo tema della sconfitta, sia l’altro, di come la produzione di genere di certi autori “prepari” la loro produzione NIE, mi sembrano entrambi molto interessanti. Se avessi voglia di scriverne in maniera sistematica, se ne potrebbe fare qualcosa da mettere in condivisione, magari attraverso Carmilla”.

In effetti sarei molto interessato a scrivere di questi argomenti. È già qualche mese che ci penso, e mi sembra che Carmilla sia la sede migliore. Mi sapete dare qualche istruzione in più? Es. limiti di parole, criteri, a chi spedire ecc.?

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 19:23 da lorenzo amato


@Lorenzo
(Non c’entra nulla, ma immaginavo fossi fiorentino, non so perché, però).
Sì, sono d’accordo per la differenza tra scrittori e lettori-spettatori: è un aspetto a cui non avevo pensato. Ma ( e non credo sia il caso del caro Victor Hugo) certi scrittori “modernisti” hanno ben in mente con chi “dialogare”. Esiste questa libertà: di ascoltarli o non ascoltarli, di ascoltarli e non seguirli o di ascoltarli e seguirli, di leggerli o non leggerli, di andare a vederli o non andare a vederli. E così va bene.

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 19:37 da roberta


@ Lorenzo
puoi contattarmi via mail che ne discutiamo senza tediare gli altri :-)
wuming1 AT gmail.com
Sulla questione USA: io sono notoriamente un “filo-americano”, ma vorrei andare addirittura oltre e riproporre qui una lettera che inviammo a “Il Foglio” di Giuliano Ferrara nel 2001 e che, ovviamente, il giornale non pubblicò:
———
[Lettera spedita a Il Foglio il 25 ottobre 2001]
.
Signor direttore – da scrittori ritenuti “ultrasinistri” che nondimeno respingono l’accusa di “antiamericanismo” (espressione che dovrebbe restare patrimonio di un grande anti-americano: Joe McCarthy) e sentendosi cittadini del mondo detestano etichette quali “no-global” (le lasciamo a chi vagheggia “piccole patrie”), aderiremmo volentieri alla manifestazione del 10. Tra l’altro, ci piace lo slogan (“Pace nella giustizia”) che riecheggia il losangelino “No Justice, No Peace”(1992).
Aderiremmo, se l’America di cui ci si proclama amici e sostenitori fosse davvero quella della Costituzione che, unica al mondo, previde il “diritto alla felicità” [in realtà era la Dichiarazione d'indipendenza, N.d.R.] (e che lo stesso Ho Chi Minh citò al momento di dichiarare l’indipendenza del Vietnam), l’America cantata da Walt Whitman, mito di libertà che ha ispirato le moltitudini (a condizione di ignorarne il peccato originale, cioè il genocidio nei confronti dei nativi).
In quel caso si sfilerebbe anche per l’America degli IWW e di Joe Hill, del
movimento operaio più radicale e inventivo d’Occidente (spazzato via dagli agenti del patriota Pinkerton, dall’FBI del patriota Hoover e dalla mafia che infiltrò e deturpò i sindacati, rendendoli per l’appunto… patriottici)… Si rivendicherebbe anche l’America dei reportages di John Reed, della “lost generation”, di Henry Miller, di Hemingway e del Battaglione Lincoln a fianco della Repubblica spagnola contro Franco, l’America di Atticus Fynch (il protagonista de Il buio oltre la siepe), l’America degli inquisiti per “antiamericanismo”, Frances Farmer, Dashiell Hammett, Dalton Trumbo… Ci si schiererebbe anche per l’America di Woody Guthrie, Pete Seeger, Phil Ochs, The Times They Are A’Changin’ e I Ain’t Marchin’ Anymore
Per l’America del be-bop, della Beat Generation, di Allen Ginsberg, del free jazz, della Freedom Suite di Sonny Rollins e Max Roach, del movimento per i diritti civili e dei Freedom Riders, del Free Speech Movement di Berkeley, di Malcolm X, delle Black Panthers (che il solito patriota Hoover fece sterminare dal Cointelpro), dell’opposizione alla guerra (“Hell no, we won’t go!”), di What’s Goin’ On di Marvin Gaye, dei Last Poets, degli MC5 e delle White Panthers di Detroit, di George Jackson ucciso mentre tentava di evadere da Soledad, dell’American Indian Movement, di Leonard Peltier e Mumia Abu Jamal condannati a morte… Per l’America della solidarietà, l’America di
Justice For Janitors, l’America che due anni fa si manifestò a Seattle, l’America della controinchiesta sul caso McMartin, l’America dei Fugazi e dei Dead Kennedys…Aderiremmo, insomma, se la “star spangled banner” che si vuole portare in piazza somigliasse meno a quella di Rocky IV e di più a quella delle copertine di Volunteers dei Jefferson Airplane o di There’s A Riot Goin’ On di Sly & the Family Stone.
Come vede, non è questione: tutti siamo impregnati di cultura americana.
Occorre pero’ discernere di quale cultura e di quale America si tratti.
Ci sembra che, al di là delle intenzioni, l’America evocata da chi aderisce alla vostra iniziativa sia più simile a quella stucchevole e poliziesca di Walt Disney (informatore dell’FBI, persecutore dei propri
dipendenti iscritti al sindacato) o di patrioti come Sylvester Stallone, che
dopo aver seminato odio (da rivedere Rambo 3) oggi prega per “the heroes” tra ceri e occhi lucidi. Più che Atticus Fynch, quest’America ci ricorda quella denunciata da Fritz Lang in Furia, sempre pronta a ricompattarsi contro il capro espiatorio che le viene offerto, interno o esterno che sia.
Senza contare che da qui al 10, per non mordere la polvere, saliranno sul carrozzone fascisti di varia natura e provenienza, sulla cui reale conoscenza del paese in oggetto ci sarebbe forse da discutere. Noi crediamo non vada oltre la visione di pellicole quali Alba Rossa e Invasion USA.
Ovviamente, non ci vedrete nemmeno sfilare nella “contromanifestazione” “no-global”, iniziativa che non ci convince.
Ce ne staremo a casa, a rivedere Mr.Smith va a Washington.
Cordialmente,
.
Wu Ming, laboratorio di design letterario, da Bologna

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 19:54 da Wu Ming 1


@ Wu Ming1
Non sapevo di questa lettera mai pubblicata (ma d’altro canto non mi par strano dopo averla letta, e considerata la destinazione originaria). Però è coerente con affermazioni e indizi di altro genere che le vostre opere trasudano. E poi in Occidente siamo tutti un po’ americani. Il che non vuol dire osannare l’Impero, soprattutto nelle scelte socio-politiche, ma riconoscerne la peculiare grandezza, che paradossalmente è culturale. Dico paradossalmente perché, come dimostra la lettera di Roberta (e la mia esperienza) per tanti ‘intellettuali’ italiani l’inglese americano è ancora la lingua dell’economia e l’inglese britannico la lingua della cultura. Ma credo che la vostra lettera sia splendida per eloquenza e densità dei riferimenti, e quindi non dico altro.
.
Per tornare alla letteratura (sennò Massimo ci banna tutti :-) ) un ‘indizio’ del costante riferimento alla letteratura americana è l’antologia The Dark Side pubblicata tre anni fa. Si deve aggiungere altro? Proprio il nostro La Porta diceva che in quell’antologia gli americani risultavano molto meglio degli italiani, perché metterebbero in campo le proprie paure mentre gli italiani si limiterebbero a esercizi di stile (sto ampiamente parafrasando e interpretando). Ne aveva anche per voi :-) Anche da quegli smilzi raccontini però emerge la peculiarità italiana della percezione della complessità. Ovviamente non negli americani, che però ognuno nel proprio sono effettivamente maestri indiscussi (vedi il racconto di O’ Toole, che da solo vale l’acquisto del libro). Che ne pensate?

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 22:11 da lorenzo amato


Giuro che non voglio tirarla per le lunghe – mi rivolgo alla spitalità di Massimo Maugeri – nè approfittare dei suggerimenti di WM1 costringendolo alle mie continue repliche.
Desidererei solo aggiungere che invece serve a molto un consiglio di lettura (proprio in ottica NIE ‘applicata’ alla video arte) e che avere ancora molto da assorbire non la interpreto come “ignorante informati” o chessò “se non ti va di studiare, desisti”.
Per un dilettante appassionato come me, che per vivere è costretto a fare il servo dei servi tra scartoffie e computer, – senza parlare della famiglia che cresce – trovare tempo e denaro per un nuovo libro costa sacrificio. Quel sacrificio per me è già resistenza.
WM1, i tuoi interventi a me diretti voglio che siano uno sprono!
Mia la presunzione di non averne bisogno_

Postato sabato, 7 marzo 2009 alle 00:42 da fabiandirosa


@ Wu Ming, Roberta, Lorenzo A., Fabiandirosa
Continuate pure la vostra conversazione, su:-)
Vi leggo con molto piacere.

Postato sabato, 7 marzo 2009 alle 01:13 da Massimo Maugeri


@WM2 “descrivere “l’imbarbarimento morale” diventa contemplarlo, magari con rabbia, ma fa davvero differenza? In questo sta la differenza tra Gomorra (libro) e Gomorra (film). Il secondo è molto più freddo, si limita a prendere atto del Male, forse anche ad estetizzarlo. Nel primo c’è rabbia, ma anche fiducia: se non altro, fiducia nella parola.”

Il film in effetti c’entra poco con il libro, perché non tenta minimamente di approfondire il discorso su quella tonnellata di male che sbatte in faccia agli spettatori. Ma in un certo senso secondo me il ruolo narrativo del film lo si puo’ cogliere soltanto nel suo rapporto diretto col libro. Anzi, trovo che sia un ottimo esempio di inter-medialità ben pensata (non per niente Saviano è tra gli sceneggiatori del film). Se il film Gomorra fosse esistito da solo, senza il libro in esposizione sugli scaffali dei negozi, allora sarei d’accordo con te. Sarebbe stato soltanto un ennesimo tentativo (inutile) di capire la logica della violenza contemplandone le conseguenze. Ma qui il caso è diverso.
Ho visto il film con degli amici francesi che all’uscita dalla sala si sono detti interdetti perché si aspettavano di capire molto di più sulla natura della camorra. Al che, alcuni di loro si sono visti “costretti” a comprare il libro per andare più a fondo. Ecco, per me il Gomorra film in questo senso è un adattamento cinematografico perfettamente riuscito. Perché mostra senza spiegare nulla, ed in questo modo stuzzica la curiosità degli spettatori e li spinge ad approfondire il discorso nelle pagine del libro.
Comunque scusate l’OT e grazie per questa discussione. Anche io che di letteratura non capisco un fico secco trovo nelle vostre parole moltissimi spunti di riflessione (e di tanto in tanto sono anche costretto a consultare il dizionario on-line, che non è mai male :)

Postato sabato, 7 marzo 2009 alle 12:10 da quasimai


@ Wu Ming *, Lorenzo Amato

Vorrei tornare sulla questione del cosiddetto “bombardamento mediatico”. Credo che una iper-stimolazione abbia sempre un effetto anestetico, e porti quindi una certa assuefazione, cioè l’abitudine allo stimolo e la conseguente perdita di efficacia dello stimolo stesso. Questo non significa però che l’abbondanza di libri (o, in generale, di storie scritte) determini tale iper-stimolazione, perchè leggere una storia è comunque un atto volontario. La sovrabbondanza rende più difficile individuare e selezionare, ma non comporta nessun obbligo. Lo stesso discorso vale per i film e, in generale, per le storie narrate per immagini: guardare un film resta una libera scelta.
Bisogna però considerare che l’assuefazione dipende dal medium e dal modo di usarlo: è vero che al cinema ci vado quando lo decido io, ma è anche vero che quotidianamente sono esposto a una quantità di immagini, ferme o in movimento, in modo involontario e a volte – peggio – inconsapevole. Se pensiamo agli spot e alle immagini pubblicitarie, e al loro fagocitare o creare stili, ci rendiamo conto della difficoltà, per chi voglia comunicare per immagini (fotografi, registi, artisti) di riuscire a non apparire “già visto”, e a perdere quindi efficacia.
Mi pare che quest’ultimo aspetto di “esposizione involontaria” sia più accentuato per le immagini, e che in questo abbia senso parlare di “civiltà dell’immagine”.

Postato sabato, 7 marzo 2009 alle 12:21 da Alex Pardi


@ quasimai
E’ interessante quello che osservi, eppure non credo che Garrone sarebbe d’accordo… Sono convinto che la transmedialità dovrebbe basarsi su prodotti autonomi, che non hanno per forza bisogno gli uni degli altri per una piena comprensione. Regioni di un universo narrativo che si richiamano ma sono tra loro indipendenti. Credo anche che una storia debba sempre stimolare chi la legge a proseguire il racconto con altri mezzi (ricerche, letture, quotidiani…). Eppure, nel caso del film Gomorra, non credo si possa distinguere tra forma e contenuto (anzi, credo non li si dovrebbe fare mai…): il tono freddo, distaccato del film determina lo sguardo dello spettatore nei confronti della barbarie. E anche se poi quella barbarie mi invoglia a guardarla più da vicino, ciò non elimina quella sensazione, quel “guarda (“mira”) come ci siamo (inevitabilmente) ridotti…”.
Per tornare alla questione delle immagini: un film non è fatto solo di immagini, ha molti altre mezzi per rendere incisiva la visione. Ecco, mi pare che Garrone si affidi un po’ troppo all’estetica dell’immagine e troppo poco a tutto il resto.

Postato sabato, 7 marzo 2009 alle 14:38 da Wu Ming 2


@Alex Pardi
Sono d’accordo con te. Nel saggio che ho scritto per il libro NIE uso un immagine molto simile: se ho la cantina strapiena di vino, non è detto che mi ubriacherò. Ovvero: l’abbondanza di storie non determina per forza overdose. Le storie sono più simili al vino in cantina mentre, nella civilità delle immagini, l’immagine è più simile all’aria: non si può fare a meno di respirare. Dunque: non si può nemmeno rinunciare all’aria, bisogna trovare il modo di “cambiarla”. Questo intendeva WM1 dicendo che fabiandirosa scambia il mio invito a resistere (con le immagini) per un invito a desistere (dalle immagini). Non credo affatto che tutto ciò che contiene immagini dev’essere buttato nel cesso. Credo soltanto che le attuali modalità di comunicazione trasformino troppo spesso le immagini in merda. Si tratta di pensare altre modalità.
Tuttavia c’è chi sostiene (Christian Salmon nel suo “Storytelling”, Baricco a più riprese, Freccero in una recente intervista) che anche le storie stanno diventando invasive, grazie a un nuovo ordine narrativo, nel quale tutto diventa racconto, dalla pubblicità, alla politica, al marketing. Questa visione delle cose non mi trova per niente d’accordo, ma adesso devo uscire, e magari, se interessa, riprenderemo il discorso.

Postato sabato, 7 marzo 2009 alle 14:46 da Wu Ming 2


Mi pare che Baricco dovrebbe essere l’ultimo a parlare, visto che lui di storie non ne ha mai raccontate. Al più ha scritto di come si potrebbero scrivere, fornendo esempi di paradossi stilistici anche interessanti, ma non come narrativa quanto piuttosto come scuola di scrittura.
Però nel mio esempio ‘numerico’ non facevo riferimento alle storie che una persona legge o intende leggere, quanto piuttosto all’offerta di libri (e quindi implicitamente di storie) che si presenta a un potenziale lettore che ancora non abbia fatto la propria scelta di lettura. E che non abbia ricevuto un’imbeccata da un amico. La buona narrativa, e anche i testi di divulgazione culturale o scientifica che possano andare contro i pareri di chi comanda al momento, può oggi essere sommersa da una quantità tale di merda (parola di Wu Ming 2) da non risultare più visibile nel mare delle scelte teoricamente possibili. Se io scrivo un documentatissimo libro sulla Sindone che va contro quel che dice la Chiesa, ci vuol poco a soffocarlo con dozzine di libri filoecclesiastici, e magari altrettanti fintamente dubitativi, che propongono teorie ’scientifiche’ che farebbero rizzare i capelli a un santo. Magari anche scritti male, magari palesemente pieni di sciocchezze, e che in pochi probabilmente leggeranno, ma sufficienti a nascondere il mio libro in libreria. Anche grazie a massicce campagne televisive tipo quella scatenatasi contro Dan Brown dopo il successo Da Vinci. Non si sta parlando di storie, ma di visibilità, che oggi è diventata il più potente degli strumenti di controllo culturale. Tutto qui.

Postato lunedì, 9 marzo 2009 alle 10:40 da lorenzo amato


Segnalo questo bell’intervento di Riccardo Capecchi in “risposta dialogica” alle riflessioni di Tiziano Scarpa:
http://www.ilprimoamore.com/testo_1374.html

Postato lunedì, 9 marzo 2009 alle 16:56 da Wu Ming 1


Wu Ming 1, ti ringrazio per il nuovo contributo offerto.

Postato lunedì, 9 marzo 2009 alle 23:02 da Massimo Maugeri


googlando qua e la ho scoperto che nel prossimo numero de L’espresso del 12 marzo uscirà un articolo di Carla Benedetti su NIE
Se giovedì riesco a passare dal giornalaio…
buona notte :)

Postato lunedì, 9 marzo 2009 alle 23:16 da fabiandirosa


L’articolo della Benedetti è già uscito, sul numero in edicola da sabato.

Postato lunedì, 9 marzo 2009 alle 23:58 da Wu Ming 2


E che dice di bello?

Postato martedì, 10 marzo 2009 alle 01:15 da lorenzo amato


@ lorenzo amato

Di buon ora comprato la rivista citata.
Provo a dare una risposta sintetica ma puntuale. Per farlo però, prima un link all’articolo di Bui sul Nuovo epico italiano e i dolori de panza, qui: http://www.carmillaonline.com/archives/2009/02/002945.html
Ravviso lo stratagemma di ‘Tizio e Caio’ unito allo stratagemma del ‘Dagli al venduto’.
La stroncatura si incentra sull’idea che il memorandum presenti un ”volto repressivo del canone” (testuale virgolettato)
e su questo confido in una replica dei Wu Ming_

Postato martedì, 10 marzo 2009 alle 09:16 da fabiandirosa


In estrema sintesi:
1) Per fortuna qualcuno si è accorto che nella letteratura italiana si muovono opere importanti.
2) Tra le varie etichette proposte – per ragioni di marketing – “epica” è quella che mi piace di più
3) Peccato che la NIE dei Wu Ming sia un canone ristretto, tagliato su misura per il tipo di libri che scrivono loro ed escludendo una caterva di opere ben più interessanti
4) Lista di autori: Moresco, Scarpa, Baliani, Bajani, Lagioia, Trevi, Siti, Pugno, Fachini, Mastroianni, Mari, Pariani, Kubati, Voltolini, Pardini, Parente, Nelli, Siti, Evangelisti.
5) Tra le caratteristiche del NIE compare la “sovversione nascosta di lingua e stile”. Perché nascosta? Per piegare la lingua alle logiche del mercato e dell’industria culturale.

In sostanza, non mi aspettavo che Carla Benedetti desse per assodata – e in fondo giustificata – la cornice concettuale dell’epica. Il suo pezzo mi pare “prenda atto” di questa cornice, salvo contestare che non ci sono dentro i libri che le piacciono, e che quelli che ci sono dentro non azzardano abbastanza sul piano della lingua.

Su tutto aleggia la solita accusa: il NIE è autopropaganda. Il che, detto da una la cui pagina su Wikipedia è contrassegnata come “apologetica, non neutrale, promozionale”, fa abbastanza sorridere. :)

http://it.wikipedia.org/wiki/Carla_Benedetti

Postato martedì, 10 marzo 2009 alle 09:27 da Wu Ming 2


@fabiandirosa
C’è poco, davvero poco da replicare.
Se il memorandum fosse la lista dei 30 libri italiani da non peredere per nessuna ragione al mondo, allora capirei la “Stroncatura epica” della Benedetti.
Cita una sfilza di autori senza dire perché dovrebbero star dentro al NIE – dice solo che a lei sono piaciuti + il motivo che la spinge alla citazione (tutto molto stringato, e a voler pensare male si direbbe che la lista è compilata per “non far torto a nessuto” ).
L’unica affermazione appena appena “critica” è quella sulla lingua. Ci torno su satsera. Ciao.

Postato martedì, 10 marzo 2009 alle 10:02 da Wu Ming 2


Fabian, per domani dovrebbe essere pronta la seconda parte di “New Italian Epic: reazioni de panza”, che termina la mappatura. :-)

Postato martedì, 10 marzo 2009 alle 10:26 da Wu Ming 1


WM: vi ringrazio e vi bacio sulla nuca :-D – battuta liceale… mi rendo conto -

p.s.: ho prenotato il testo di Dinoi e ho appena iniziato Romanzo criminale ( “ma come? Ancora non lo avevi letto?!” )

p.p.s.: interessandomi di molto all’audio visivo, sono a orecchi tesi invero per l’intervento prossimo di wm1 in mp3 di cui un pò più sopra..

la lettura continua kam kam come dicono in Iran, piano piano, ma ora ai numeri e alle scartoffie ho da tornar

Postato martedì, 10 marzo 2009 alle 11:57 da fabiandirosa


Mi piace però l’espressione di ‘volto repressivo del canone’ :-)
E’ ovvio però che una comparazione fra ciò che è stato proposto come NIE e ciò che è stato implicitamente escluso andrà fatta in modo serio, per mettere alla prova la tenuta della definizione. Il lavoro della critica dovrebbe anzi essere questo.
Anzi per quanto mi riguarda questo è uno degli aspetti più significativi del dibattito (e mi pare che l’amico Stefano Jossa sia su posizioni vicine, anche se con maggior competenza in storia della critica).
Credo che il dibattito su NIE non NIE entrerà nella sua maturità quando finalmente ci si deciderà a parlare delle opere, comparandole, studiandole, e ogni tanto anche leggendole.

Postato martedì, 10 marzo 2009 alle 22:55 da lorenzo amato


L’attesissima seconda parte di “New Italian Epic: reazioni de panza”:
http://www.carmillaonline.com/archives/2009/03/002968.html
Buona lettura! :-)

Postato martedì, 10 marzo 2009 alle 23:51 da Wu Ming 1


WM1,
ok, come lettore e visitatore (muto) dei siti di discussione su NIE rimane alto l’interesse del dibattito , fatto salvo che alcuni passaggi sono comprensibili solo a chi non ha lacune.
Ciò nonostante un dubbio residuo rimane:concludere il pezzo con l’apostrofo di beppe grillo non mostra anche a Te di avere attraversato uno stress eccessivo da critica farlocca?
In effetti era solo un mal di pancia che non può che terminare con l’evacuazione risollevatrice della sanità corporale..
Fuor di metafora comprendo la tua tenace difesa, devi essere del segno del toro, e allora domando come mai non prendi di petto anche la Benedetti?
Come dicono dalle mie parti:
S’ta ga ciep :-)

Postato mercoledì, 11 marzo 2009 alle 12:57 da fabiandirosa


Il pezzo della Benedetti era interamente costruito sull’ultimo espediente esaminato, quello delle “palle di can(n)one”, con occasionali ricorsi agli altri due che tu stesso avevi già individuato. Non c’era nemmeno bisogno di menzionarlo. La “griglia” deve servire a questo, a non doversi occupare di qualunque articolo capzioso esca sotto il sole.
.
E ti correggo: il finale del pezzo è: “Soccmel! Finalone…” :-D

Postato mercoledì, 11 marzo 2009 alle 14:07 da Wu Ming 1


Eh eh eh!
Lungi da me voler travisare il senso del Tuo articolo (parte 2).
Allora, a questo punto sembra plausibile affermare che la discussione su NIE 3.0 stia entrando in una fase ‘matura’.
Dopo un Nevio Gàmbula, che nell’incalzare il memorandum si riduce agli assetti societari dell’editoria, – peccato che Severino Cesari, attuale direttore di Stile libero, è stato cooptato da Giulio Einaudi in persona, ben prima dell’acquisizione Mondadori-Berlusconi avvenuta nel 1994 – la fase pugilistica o tennistica può solo scemare.
Non escluderei sconfinamenti sul potente mezzo televisivo, magari avvalendosi del diritto di non esporre alle telecamere il proprio volto..

Questo post ha il sapore di un ‘au revoir’. Enorme per me la sollecitazione se si guarda alla lettura tragica in Manituana e in Stella del mattino da cui provenivo.
Aggiungi a questo la lentezza di scambi, pur così vicini, fatti sul web e la comicità che scopro tra le righe di Romanzo criminale, insomma, si è materializzata l’immagine di Charlot soldato, non so perchè. Massimo Maugeri mi perdonerà se esco un attimo dal topic.
Giusto per tornare a bomba e mostrare dove andremo a parare col nostro reading estivo. Realizzato due notti fa, roba di prova. Dura 130 secondi, certo riguarda più wu ming 4 essendo un brano tratto dal suo romanzo, da ieri è su youtube, se vuoi puoi vederlo qui:
http://www.youtube.com/watch?v=Iv_4KaMlvWo
Domani ritiro in libreria Lo sguardo e l’evento…
e dato che non è cosa da nascondere, Vi saluto col mio nome di battesimo. Ciao
Fabio Luise

Postato mercoledì, 11 marzo 2009 alle 21:09 da fabiandirosa


@ Lorenzo, Fabian, Wu Ming 1, Wu Ming 2
State mantenendo viva la discussione. E vi ringrazio.

Postato mercoledì, 11 marzo 2009 alle 23:06 da Massimo Maugeri


Bello! Azzeccatissimo Charlot soldato. Anche la voce usata molto bene.

Postato giovedì, 12 marzo 2009 alle 09:59 da Wu Ming 1


Non mi piace l’espressione “volto repressivo del canone”…

Postato giovedì, 12 marzo 2009 alle 15:19 da Maria Lucia Riccioli


Il canone (penso ad esempio a quello occidentale, di Bloom se non mi sbaglio) dev’essere una sorta di mappa che ci orienti nel mare magnum della letteratura, non una sorta di frontiera tu-passi-tu-no! NIE o non-NIE, that is the question! Come dicono gli stessi Wu MIng, lo stesso autore scrive opere NIE e non-NIE, ma anche nella stessa opera ci possono essere elementi “tradizionali” e quelli ravvisati dai Wu Ming come innovativi…
Espressione e non repressione…

Postato giovedì, 12 marzo 2009 alle 15:23 da Maria Lucia Riccioli


sì maria lucia, mi piace molto quello che hai detto, la cultura, quella vera e non quella con la puzza sotto al naso di molti accademici nostrani, deve dare un senso di apertura altrimenti tradisce il suo significato più profondo,che sia critica ma non repressiva o limitativa, a chi poi l’ardua sentenza della scelta? magari coloro che oggi vivono di certezze-letterarie- potessero guardare domani dall’aldilà indietro se qualcuno li legge ancora e che faccia fà.Questa sarebbe la discriminante:restare indimenticati.
io sono d’accordo con te.

Postato giovedì, 12 marzo 2009 alle 18:08 da francesca giulia


@ Wu Ming
Ho letto il pezzo di Riccardo Capecchi. Intanto rimanda a Deleuze e a Foucault ( avete ragione: non è soltanto quando lo citate che il riferimento al suo pensiero c’è). Direi che il concetto di “parresiastes”, cioè colui che “non teme niente, ma apre completamente il cuore e la mente agli altri attraverso il suo discorso” è adattissimo al vostro tipo di letteratura (credo). Voi fate un tipo di ricerca che mette i lettori di fronte a una scelta: chi vi ama, vi segue ( o una cosa del genere). Si può accettare o no di “seguirvi”: in ogni caso siete bravi, e molto originali. La rivisitazione dei testi classici può essere fatta in più modi ( anche “The Waste Land” è un collage di citazioni), l’importante è saperla fare; può succedere che si stravolge l’intenzione dello scrittore “rivisitato”, ma se l’uso originale che se ne fa per produrre un’altra opera è comunque riuscito, l’esperimento è valido ( secondo me).
E certo poi che annoverare o non annoverare in un elenco una serie di testi che rispondono alle “caratteristiche” riportate nel “manifesto letterario” bisogna farla; non credo che André Breton accogliesse nella sua cerchia i poeti che non sperimentavano la “scrittura automatica” (anzi, risulta che abbia discusso spesso con altri poeti che di volta in volta sono “usciti” dal movimento dei “surrealisti” e abbia prodotto tre versioni del manifesto ). Sui “risultati” estetici della poesia surrealista i critici hanno avuto molto da dire, e non so quanto fosse o sia “popolare” quel tipo di poesia ( del resto è poco “fruibile” anche T. S. Eliot); però intanto si discuteva insieme su quella che doveva essere la “strada” della poesia futura. Che non è esattamente parlare di cose che non contano.

Postato venerdì, 13 marzo 2009 alle 16:48 da roberta


@ Francesca Giulia e Maria Lucia
Credo che nel contesto dell’articolo (credo perché non l’ho letto) l’idea di canone sia legata alla selezione di libri NIE – non NIE che l’articolista attribuisce a Wu Ming. Non quindi un canone qualitativo assoluto, ma una selezione dei ‘nostri’ contro gli ‘altri’ che lei vede come artefatta e autopromozionale. La questione non è banale, anche se da quel che mi pare di capire è risolta banalmente. Infatti il concetto di NIE è solo apparentemente chiaro e definito. Deve ancora essere analizzato il concetto, e i libri di riferimento, e soprattutto deve essere messo sotto esame con strumenti critici adeguati (comparativi, storici, ecc.) Non è cosa banale, e può anche dare risultati diversi da quelli che i Wu Ming si aspetterebbero (come propone Tiziano Scarpa). Certo, condicio sine qua non di tale analisi è la lettura dei romanzi NIE, la lettura di romanzi italiani non NIE, la lettura di romanzi italiani precedenti alla ‘nebulosa’ e di romanzi stranieri precedenti e contemporanei. La cosa richiede un sacco di tempo, e non per nulla molti dei cosiddetti ‘critici’ che in questi giorni stanno tirando bordate ai Wu Ming e a tutti gli altri tutto ’sto tempo da perdere mica ce l’hanno… S’intende però che loro (a differenza del sottoscritto) almeno sono pagati per scrivere quello che scrivono…

Postato sabato, 14 marzo 2009 alle 10:49 da lorenzo amato


Ho iniziato a rispondere a Tiziano Scarpa:
http://www.ilprimoamore.com/testo_1386.html

Postato lunedì, 16 marzo 2009 alle 12:48 da Wu Ming 1


Segnalo che l’articolo di Carla De Benedetti apparso su L’Espresso si trova anche qui:

http://www.ilprimoamore.com/testo_1376.html

Non ho letto L’Espresso, ma, a giudicare dal riassunto che ne ha fatto Wu Ming 2 (che, a quanto ha detto, è ancora debitore di una risposta sulla questione della lingua), l’articolo sembrerebbe lo stesso.

Postato lunedì, 16 marzo 2009 alle 17:56 da Alex Pardi


Interessante la contrapposizione simbolo/allegoria… purtroppo oggi l’Italia vive nel simbolo di se stessa…

Postato lunedì, 16 marzo 2009 alle 22:14 da Maria Lucia Riccioli


@ Wu Ming
Mi pare molto giusto (e molto triste) quello che dici su Saviano. Per lui sarà un dramma scrivere di qualsiasi argomento che non sia camorra. Qualsiasi caduta di tono in qualsiasi libro futuro (se ci saranno) gli sarà rinfacciata e rintracciata in modo retroattivo anche in Gomorra. Almeno Rushdie aveva una sua età e aveva già scritto altri libri prima di Versetti satanici…

Postato lunedì, 16 marzo 2009 alle 23:20 da lorenzo amato


Grazie mille per i nuovi commenti e per i link.

Postato martedì, 17 marzo 2009 alle 00:07 da Massimo Maugeri


@ AlexPardi
confermo: l’articolo apparso su L’Espresso è un sunto, un estratto di quanto pubblicato da CB su ilprimoamore.

Avessi saputo prima quei tre euro li avrei spesi altrove..

Postato martedì, 17 marzo 2009 alle 09:30 da fabiandirosa


@ Wu Ming1 –
Molto interessante quello che scrivi su Savaiano. Ma a questo punto sarei proprio curioso di sapere cosa ne pensa lui della sua collocazione all’interno del NIE. Gli avete mai chiesto di esprimersi a proposito ?

Postato martedì, 17 marzo 2009 alle 09:38 da quasimai


@ quasimai

precisiamo, per capirci bene: Saviano non è collocato all’interno del NIE, nel senso che il NIE – almeno per come lo vedo io – non è un movimento di autori, bensì un corpus di opere. Detto questo, no, non ho chiesto a Saviano cosa ne pensasse, le pressioni per avere pareri o “endorsements” da chicchessìa sono estranee al mio stile. Gli autori che hanno voluto dire qualcosa in proposito lo hanno fatto loro sponte. E poi Saviano ha altre priorità, al momento.
L’unica cosa che posso dire è che nella recensione del nostro Manituana scritta due anni fa da Saviano, si può vedere, sia pure in nuce, già molto di quel che poi ho scritto nel memorandum sul NIE:
http://www.manituana.com/notizie/18/8249

Postato martedì, 17 marzo 2009 alle 15:56 da Wu Ming 1


@ tutti, e a proposito:
su Carmilla c’è un saggio di Dimitri Chimenti sulle retoriche di Gomorra, che per me è una delle cose migliori siano state scritte su quel libro.
http://www.carmillaonline.com/archives/2009/03/002974.html#002974
.
@ Fabian:
in calce a quel post, è possibile scaricare l’mp3 di cui parlavo tempo fa, quello della conferenza milanese su UNO e audiovisivi.

Postato martedì, 17 marzo 2009 alle 15:58 da Wu Ming 1


Anzitutto vorrei rinnovare i complimenti all’ospite: Massimo Maugeri lo sapevi che di te hanno parlato recentemente e bene su bookswebtv? I dettagli sono qui: http://bookswebtv.splinder.com/post/20058016#20058016
.
@ Wu Ming 1
Scusa il mio impedimento ma nel post ‘1a parte’ di Face off con Tiziano Scarpa proprio non riesco a trovare il link per downloadare la conferenza sugli audiovisivi (help!)
Intanto la pagina 61 de Lo sguardo e l’evento dove parla dell’immagine al quadrato ha smosso nuove idee per il supporto video al reading. Te ne fò cenno dal momento che il provino Charlot era piaciuto.
Siamo proprio sicuri che la vicenda delle Twin Towers può essere raccontata – in video – in un solo modo? Quello dei network televisivi o delle videocamere dei passanti?
Mentre attraverso Face-off sono entrato in ‘Da Camelot a Damasco’ di Wu Ming 4. Spero perdonerà l’inesperienza del mio post.
Infine: sei più tornato su Absolute Poetry? Mi sono piuttosto pentito di un mio recente intervento.. :-(

Postato martedì, 17 marzo 2009 alle 22:04 da fabiandirosa


@ Fabian
Grazie, Fabian… no, non ero al corrente della segnalazione su bookswebtv.
Grazie per avermela notificata.

Postato martedì, 17 marzo 2009 alle 22:13 da Massimo Maugeri


@ fabian

infatti non è dove lo cerchi tu, su Il Primo Amore. E’ in calce al post di Chimenti su Carmilla, che ho linkato sopra.
No, non sono più tornato su Absolute Poetry.

Postato giovedì, 19 marzo 2009 alle 14:05 da Wu Ming 1


@WM1 ottima idea mettere l’audio della conf alla NABA in calce all’articolo di Chimenti: fu una bella serata.

ora mi leggo il saggio di Chimenti, ciau!

Postato giovedì, 19 marzo 2009 alle 16:46 da sergio


Segnalo che è on line la seconda parte della mia replica a Tiziano Scarpa:
http://www.ilprimoamore.com/testo_1399.html

Postato martedì, 24 marzo 2009 alle 09:48 da Wu Ming 1


letto! Ora attendo con ansia la terza parte, soprattutto in relazione all’enallage!!! A proposito, nell’articolo citi ACAB, che ho appena comprato. Come ti è parso?

Postato martedì, 24 marzo 2009 alle 20:00 da lorenzo amato


Grazie per l’aggiornamento, Wu Ming 1.

Postato martedì, 24 marzo 2009 alle 21:41 da Massimo Maugeri


segnalo l’articolo dedicato ai Wu Ming sull’ultimo numero di Internazionale :
http://www.labandedestinee.com/Mas/Inter-Wuming.pdf

Postato venerdì, 27 marzo 2009 alle 13:50 da quasimai


L’intervista a Internazionale è proprio venuta bene :-D
.
Ho terminato la mia risposta a Scarpa.
Testo completo in pdf qui.
.
@ Lorenzo
ti ho ringraziato in calce per alcuni spunti emersi qui e utilizzati là.
ACAB è molto coinvolgente, l’operazione è interessante e inequivocabilmente UNO / NIE. Certo, ci sono parti il cui contenuto “mi stride” per ovvie ragioni: un po’ troppo “giustificative” della violenza poliziesca, ma è l’effetto dello sguardo “da dentro”. Comunque, penso che qualcosa ne scriverò.

Postato sabato, 28 marzo 2009 alle 10:07 da Wu Ming 1


@ quasimai

tra tutti i commenti sul dibattito NIE giunti in varie forme, ne manca uno in forma di comic… Uhm…

Postato sabato, 28 marzo 2009 alle 12:53 da Wu Ming 1


@ Wu Ming1
Grazie! Spero di essere un buon sparring partner anche in futuro :-)
Sto leggendo Dies Irae in questi giorni. Cerco di colmare alcune mie lacune… Non conosco ancora G.Genna particolarmente bene. Ci sono suoi romanzi ‘di genere’ che definiresti pre-NIE?

Postato sabato, 28 marzo 2009 alle 22:50 da lorenzo amato


Giuseppe ha praticato il “genere” fin dall’inizio in modo piuttosto eterodosso e deviante, pero’ si puo’ dire che il suo primo romanzo, “Catrame”, e’ piu’ dentro i confini del genere di quanto siano quelli successivi.

Postato lunedì, 30 marzo 2009 alle 15:14 da Wu Ming 1


@ wuming 1
Bella sfida ! In effetti è un dibattito che potrebbe essere allargato anche al fumetto, perlomeno alla sua corrente più letteraria. Ci penso su e ti faccio sapere :)

Postato martedì, 31 marzo 2009 alle 09:42 da quasimai


Scarpa e Wu Ming, non vi ha insegnato niente Arisa?

Postato mercoledì, 1 aprile 2009 alle 10:43 da Felice Muolo


che per andare a sanremo è meglio mettere gli occhiali
:-)

Postato mercoledì, 1 aprile 2009 alle 11:07 da marta


quello che intendevo dire: pulitevi i vostri.

Postato mercoledì, 1 aprile 2009 alle 16:45 da Felice Muolo


Caro Felice,
ti ringrazio per i tuoi commenti. Credo che al di là di tutto – con gli occhiali o senza – ciascuno di noi la vede a modo proprio (e ha il diritto di vederla a modo proprio).
Il mio piccolo grande sogno è quello di poter confrontare le nostre opinioni (convergenti o divergenti che siano) in maniera serena. Spero che tu lo possa condividere.
Ti ringrazio molto.

Postato mercoledì, 1 aprile 2009 alle 17:03 da Massimo Maugeri


Caro Massimo, daccordissimo. Credo però che a volte si esagera a discutere sul sesso degli angeli. Gli angeli non hanno sesso. Punto e basta. Almeno fino a prova contraria. (La mia comunque era una provocazione, non un’offesa.)

Postato mercoledì, 1 aprile 2009 alle 18:09 da Felice Muolo


Caro Felice, ti ringrazio moltissimo per aver condiviso la mia filosofia.
So bene che la tua non era un’offesa, ma solo una provocazione.
Però mi hai fornito una bella idea… magari prima o poi organizzerò un dibattito sul sesso degli angeli.
;)

Postato mercoledì, 1 aprile 2009 alle 21:55 da Massimo Maugeri


Caro Massimo, giusto per chiarire, la mia idea dello scrivere, come ho già riferito da altra parte, è che uno scrive come meglio gli viene. Nessuno può riuscire a produrre qualcosa di genuino appoggiandosi unicamente (la sua vita, le sue esperienze, dove le mettiamo?) su presunti e fuorvianti trattati sullo scrivere che prendono in considerazione il già detto, il già fatto (l’esistenza di altri). Si vende troppo fumo, in letteratura. Al lettore interessa solo un buon libro da leggere, scritto bene, che si faccia leggere. I discorsi astratti, giusti o errati che siano, hanno il tempo che trovano. Grazie per la cortese attenzione.

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 09:52 da Felice Muolo


@ Muolo
Credo che ognuno abbia la sua idea dello scrivere e della letteratura, e la porti avanti. L’importante è non imporla agli altri, o pretendere che sia verità assoluta; altrimenti diventa violenza. Questo è quello che penso. Vale per i Wu Ming ma anche per lei, per me e chiunque altro. Grazie.

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 10:02 da Attilio F.


Attilio, sottoscrivo pienamente. In più, quando io scrivo, mi metto nei panni anche di chi legge. In quanto alla violenza nell’imporre la letteratura agli altri, è proprio su questo punto che mi incavolo. E’ diventata una norma: se non sottoscrivi il pensiero di certe lobbi, arrivano a sbarrarti l’ingresso perfino ai siti letterari che gestiscono. Non serve fare neanche dei nomi che subito ti sbranano, protagonisti e gregari. Ti pare giusto? Prego.

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 10:48 da Felice Muolo


Per fortuna qui è possibile esprimersi grazie alla grande pazienza di Maugeri, che giustamente tiene molto a preservare un clima sereno e rispettoso chiedendo la collaborazione di tutti. Ma mi fermo, proprio per rispetto di Maugeri, con cui mi scuso perché sto andando fuori argomento. Grazie per lo scambio.

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 11:42 da Attilio F.


@ quasimai

sì, certo, allargare ai comics, però vedo che mi sono spiegato male: manca un commento al dibattito che sia *in forma* di comics. Cioè, anziché un semplice testo di riflessione sul NIE, un fumetto di riflessione sul NIE. Due-tre tavole, che si esprimano nello specifico di quel medium e di quel linguaggio artistico.

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 15:02 da Wu Ming 1


@ Wuming 1
No, ti eri spiegato bene. Avevo capito che parlavi di realizzare qualche tavola sull’argomento. Percio’ parlavo di una bella sfida.
Appena trovo un po’ di tempo ci lavoro su, contaci.

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 18:12 da quasimai


Grande! :-)

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 23:21 da Wu Ming 1


@ quasimai
Anch’io mi unisco all’attesa del tuo lavoro su NIE in forma di comics. Ma non sarà mica che vien fuori un’Armata Brancaleone..

Postato giovedì, 2 aprile 2009 alle 23:22 da fabiandirosa


http://quasimai.canalblog.com/archives/2009/05/13/13713632.html

Bello!
Complimenti a quasimai

Postato venerdì, 22 maggio 2009 alle 11:12 da fabiandirosa


@fabiandirosa
Grazie ! Avevo dimenticato di linkarlo qui :)

Postato martedì, 26 maggio 2009 alle 10:24 da quasimai


[...] leggi NOVITÀ. Il guaio, caso bizzarro, è che non è così. Stiamo a quanto dice WM1 in una intervista: “Il nome di comodo deriva da tre macro-caratteristiche, anzi, tre premesse: prendiamo in [...]

Postato domenica, 21 febbraio 2010 alle 12:19 da Bizzarrie del New Italian Epic « Il Grande Roe


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Postato lunedì, 25 novembre 2013 alle 11:08 da choidoAgott



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