mercoledì, 25 febbraio 2009
NEW ITALIAN EPIC. Incontro con Wu Ming 1
Avete mai sentito parlare di New Italian Epic? Si tratta di un «memorandum» di teoria letteraria pubblicato on-line, e scaricato da piú di trentamila persone, poi diventato libro per i tipi di Einaudi Stile Libero. Il volume è firmato dai Wu Ming.
In queste settimane si è sviluppato un dibattito molto acceso, prima sul web e poi sulle pagine dei quotidiani. Secondo i Wu Ming, negli ultimi anni, molti romanzi italiani si sono attratti e incontrati fino a formare una vasta nebulosa, una sorta di “campo elettrostatico” letterario.
La prima domanda che viene spontaneo porsi è: ma esiste davvero una “nuova epica italiana”? Sulle pagine de Il Riformista Luca Mastrantonio scrive: “No. Perché “nulla è nuovo sotto il sole”, come sta scritto nell’Ecclesiaste”; per poi aggiungere: “Sì. Se ammettiamo che qualcuno l’ha scritta per la prima volta quella frase, come ricordava Szymborska nel discorso per il Nobel”. Mastrantonio sviluppa un ragionamento molto interessante senza risparmiare critiche motivate al lavoro dei Wu Ming (vi invito a leggere il pezzo cliccando sul link indicato sopra, o qui… in coda al post).
Di seguito, invece, potete leggere un’intervista (inedita) che mi ha rilasciato Wu Ming I. La speranza è che da questa intervista, e dal pezzo di Mastrantonio, possano sorgere un’occasione di confronto e un dibattito… sereni (niente risse, please!).
Intanto vi chiedo… a vostro avviso, esiste una nuova nebulosa letteraria italiana (nel senso inteso dai Wu Ming)?
Wu Ming I parteciperà alla discussione per rispondere a vostre eventuali domande o considerazioni.
Massimo Maugeri
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INTERVISTA A WU MING I SUL “NEW ITALIAN EPIC”
di Massimo Maugeri
Se, in poche parole, dovessi spiegare cos’è il New Italian Epic (NIE) a chi non ne ha mai sentito parlare… cosa diresti?
- E’ un nome di comodo, relativo e provvisorio, che riassume una descrizione. La descrizione di un insieme di libri e di un divenire nella nostra letteratura. Semplifico al massimo: sono libri scritti da autori italiani che hanno attraversato o costeggiato la “rinascita dei generi” avvenuta negli anni Novanta, oppure – se più giovani – che a quella stagione si sono ispirati, per poi andare avanti, portandosi dietro stimoli ed esperienza ma virando per scrivere altro.
Il nome di comodo deriva da tre macro-caratteristiche, anzi, tre premesse: prendiamo in considerazione libri che siano stati scritti negli ultimi tre lustri (quindi “new”), nella peculiare situazione socio-politica italiana e in lingua italiana (quindi “Italian”), e con un respiro ampio che li distingua da certa narrativa “a corto raggio”, quella che batte i territori dell’angst generazionale o piccolo-borghese, della sempiterna “crisi dei trentenni” e “dei quarantenni”, delle decadenze languide e irresolute, con la sua poetica della piccola cerchia (spesso romana), del giovane o ex-giovane incompreso, dell’intellettuale che non sa che fare della propria vita, degli amorazzi mesti etc. L’aggettivo sostantivato “Epic” è usato anche per marcare la differenza con tutto questo. Poi, ovvio, noi lo chiamiamo “New Italian Epic”, altri se vogliono possono chiamarlo “Progetto Gemini” o “Xgfrg” o “Claudio Pedretti”. L’importante è che siamo d’accordo sull’esistenza di una nebulosa letteraria.
Queste le “poche parole”. Adesso posso espandere?
Ma certo.
- Negli ultimi quindici anni (il periodo coperto dalla cosiddetta “seconda repubblica” post-guerra fredda) abbiamo visto, letto, recepito, a volte amato tanti libri scritti in italiano. Tra questi, diversi ci sembrano avere svariate caratteristiche comuni, e si ha l’impressione che in profondità – sotto il livello delle loro trame – ci raccontino parti di una stessa, grande storia. Ce la narrano esplicitamente o, più spesso, in allegoria. Per questo possiamo considerarli un insieme, che abbiamo chiamato “nebulosa”, perché è instabile e dai contorni sfumati. Proviamo a mettere questi libri dentro quell’insieme, e vediamo cosa viene fuori dall’accostamento. Consideriamo ogni libro un sotto-insieme, e vediamo come e dove si intersecano tra loro. Molti hanno l’aspetto di romanzi storici, alcuni sembrano opere ibride tra narrativa e saggistica, altri appaiono come risultati di un superamento di noir, giallo e altri generi molto praticati in Italia a partire dagli anni Novanta. Ci sono, nella diversità delle scelte, alcune direttrici comuni (poetiche, stilistiche, tematiche, narratologiche). C’è, a nostro avviso, un’attitudine di fondo, una sensibilità comune.
Ecco, quella che si sta facendo è una lettura comparata dei libri che formano la nebulosa. E si scoprono cose intriganti. Ad esempio, che in molti viene narrata la morte di un “Vecchio” – un iniziatore, un fondatore, un pater familias – e la difficoltà, per chi viene dopo, di ereditare il mondo. Si verifica uno stallo, e nello stallo avvengono tragedie e disastri, ma è già pronta a esprimersi una soggettività diversa, “laterale” rispetto alle linee ereditarie, che scompiglia la situazione e trova vie di fuga. A volte è solo un cambiamento di sguardo, di ottica, e questo cambiamento è curativo. Altre volte, c’è proprio bisogno di un personaggio che scombussoli fino ad aprire un varco, spesso una donna.
E’, raccontata in allegoria, la situazione in cui ci troviamo oggi come Paese, come continente, come civiltà, come pianeta. Diversi libri del New Italian Epic la descrivono, e per farlo trasformano all’uopo strumenti, retoriche e morfologie che vengono dal romanzo di genere, dalla narrativa popolare, dalla cultura pop, senza per questo perdere di vista la tradizione più specificamente “letteraria”. Tutto questo armamentario viene messo al servizio di uno sguardo che abbiamo definito “obliquo”, cioè da punti di vista marginali o comunque inattesi.
Che poi questi libri siano o meno “riusciti”, ci pare secondario. Non stiamo selezionando opere per un “canone”, stiamo esplorando il modo in cui lo “spirito dei tempi” ha plasmato un filone della nostra letteratura recente. Sono fenomeni che, in altre forme, si stanno producendo anche altrove ma, poiché viviamo e operiamo in Italia – cioè una nazione a dir poco peculiare -, ci interessa prima di tutto vedere come si stiano producendo qui.
Quand’è che, per la prima volta, avete pensato alla possibilità di tracciare la mappa di una nuova epica italiana? C’è stato un “momento” particolare, un’occasione di riflessione, uno spunto o altro?
- Sì, momenti rivelatori ce ne sono stati diversi, alcuni li abbiamo raccontati nel dibattito dei mesi scorsi, altri ancora no. Stavolta provo ad andare in ordine cronologico.
Ci fu la lettura di Black Flag di Evangelisti, fatta poco dopo l’uscita del nostro 54. Entrambi i romanzi iniziavano con allegorie dell’11 Settembre, e la cosa ci colpì. All’epoca, Evangelisti non lo conoscevamo di persona.
Poco tempo dopo, nel 2003, il nostro romanzo Q uscì nel Regno Unito e in una recensione, anzi, in un autentico saggio critico sul libro, comparve l’espressione “postmodernismo proletario”. L’accento era posto sull’attributo, non sul sostantivo, segno che “postmodernismo” tout court non era sufficiente a “catturare” l’essenza del libro. E un “postmodernismo proletario” non può che comportare la contrapposizione a un postmodernismo borghese.
L’anno dopo, Q uscì anche negli Stati Uniti, e alcuni recensori ci parvero fraintendere totalmente senso e spirito del romanzo. Sul Washington Post un tizio, nell’affermare che Q non diceva nulla di nuovo, disse che quelle cose si erano già lette in… Tristram Shandy. Un paragone che sarebbe apparso assurdo a chiunque, qui in Europa. Cercammo di capire la motivazione di un parallelismo tanto bislacco, e la trovammo nell’assunto di partenza del recensore: Q come mero giochino letterario postmoderno, rimpasto di clichés in modo da comporre un anti-romanzo. In Europa – ma anche in altri ambiti in America – il libro aveva avuto interpretazioni di segno contrario: Q come romanzo-romanzo e narrazione militante, appassionata allegoria della tragedia del movimento comunista etc. Quella strana recensione americana – echeggiata da un’altra molto simile riservata due anni dopo a 54, sempre sul Washington Post – ci fece riflettere.
A fine 2006, poi, vedemmo tutti il film The Prestige di Christopher Nolan che, con tutta la sua carica perturbante, ci fece sentire stranamente “a casa”. Discutendone, trovammo nel film diverse cose che noi e altri autori stavamo cercando di esprimere da anni.
Infine, nel 2007, ci fu l’uscita in simultanea del nostro Manituana e di Nelle mani giuste di Giancarlo De Cataldo. Nel memorandum è descritta la sensazione provata leggendo il secondo dopo aver lavorato tre anni al primo. In superficie, due libri diversissimi; più in profondità, un “mitologema” comune, quello descritto poco fa: la morte del Vecchio, l’eredità impossibile, il mondo salvato da una donna… Probabilmente, in nessuno dei due casi si tratta dell’opera più riuscita del suo autore (credo che le palme spettino ancora, rispettivamente, a 54 e Romanzo criminale, anche quelli usciti lo stesso anno, il 2002). Ma sono, tra i libri del NIE, quelli più “trasparenti” per quel che riguarda l’allegoria comune.
Cosa bisogna intendere esattamente con il termine “epic”?
- Nella versione 3.0 del memorandum c’è – nello scritto intitolato “Sentimiento nuevo” – una specie di formula dell’epica come la intendiamo: MAGNITUDO + PERTURBANZA = EPICA, accompagnata da una spiegazione. Aggiungo: in greco il termine “epos” vuol dire tante cose: racconto, promessa, impegno assunto pubblicamente, messaggio divino, responso di oracolo… L’epica che abbiamo in mente è giocata su tutti questi usi della parola. Questa è la connotazione particolare che intendiamo dare alla parola, ma c’è un’accezione più larga, denotativa: quella che si può trovare in qualunque buon dizionario. Nei mesi scorsi c’è chi si è scandalizzato: ma che minchia fate, usate il dizionario? Certamente! I dizionari non servono a quello? Non servono a trovare insieme un punto fermo sul significato di base di un vocabolo? Ecco, siamo ripartiti da quello, poi siamo andati oltre.
Avete tenuto conferenze negli USA (al Middlebury College, Vermont, e al MIT di Boston). Come siete stati accolti? E come è stato accolto il vostro lavoro?
- Molto bene, con grande curiosità e rispetto, però forse si dà eccessiva importanza al fatto che quelle conferenze siano avvenute in America. Noi le abbiamo citate perché in quelle occasioni i vari appunti si sono incontrati, giustapposti, modificati a vicenda, e il discorso sul NIE ha iniziato a prendere forma. Sarebbe potuto avvenire in Giappone, o a Gibilterra, o a Marotta di Fano.
Sai dirmi se, in questo momento, il NIE è oggetto di studio o interesse da parte di facoltà di lettere delle Università italiane? Il vostro lavoro, in Italia, come è stato accolto a livello accademico?
- Da due anni a questa parte, quindi è un fenomeno abbastanza nuovo, noi Wu Ming siamo spesso invitati a parlare in simposii, seminari, master e conferenze. Quasi sempre – anzi, sempre! – da docenti giovani. Ultimamente, ci chiamano a parlare del NIE, anche in compagnia di altri autori. Di rado, però, si tratta di facoltà di lettere: ci chiama più spesso chi fa ricerca sui nuovi media, sulla comunicazione, sulla rete, sul transmediale etc. Le facoltà di lettere – non tutte, ma molte sì – sono più sonnacchiose e meno propulsive. Tuttavia, qualcuno che insegna letteratura ha cominciato a invitarci. Tra qualche giorno io sarò allo IULM di Milano a parlare di New Italian Epic. Lo stesso giorno, prenderò parte a un simposio della NABA in cui si parlerà soprattutto di video, ma mi hanno chiamato perché interessava loro stabilire connessioni col discorso sul NIE.
L’accademia, ad ogni modo, ha tempi lunghi, e poi non ne esiste una sola, c’è una molteplicità di ambiti, di corsi, di istituzioni più o meno permeabili o ricettive.
Poi ci sono gli inviti di altro genere, quelli che arrivano dagli studenti dell’Onda, per momenti di auto-formazione, contro-inaugurazione, seminari alternativi etc.
Secondo te, oggi, nel nostro paese, esiste ancora una “aristocrazia letteraria”? Se sì… l’odierna “aristocrazia letteraria” nazionale come giudica il NIE? Qual è la tua percezione in merito?
- C’è gente che si crede aristocrazia, è una cosa diversa. Gente ancora convinta di trovarsi all’epicentro dei processi di legittimazione culturale, quando invece è ai margini estremi di una periferia dei discorsi e – soprattutto – delle pratiche. Tutto avviene già altrove.
C’è chi sostiene che il New Italian Epic sia una forma di autopropaganda. Cosa c’è di vero in questa tesi?
- In latino “propaganda” significa “le cose che vanno propagate”. Ora, è chiaro che se ho delle cose da dire e le ritengo buone, utili, degne di attenzione, allora mi muoverò per propagarle. Libero chi viene a contatto con esse di prenderle in considerazione o meno. Dopodiché, capisco che il nostro essere un collettivo e il nostro scrivere su una rivista on line molto seguita (Carmilla) possano incutere timore, far pensare a chissà quali “macchine di persuasione” etc. Deleuze diceva che ogni singolo creatore è già una “associazione a delinquere”, figuriamoci di noialtri cosa si può pensare! Ma questo “propagare” è dialogico, e contiene una richiesta di partecipazione. Anche una richiesta di critica. Persino le stroncature più “de panza” (persino quelle datate da visioni castali e interessi corporativi) si dimostrano utili a qualche cosa, diventano a loro volta oggetto di analisi, servono a individuare delle retoriche.
Se dovessi indicare un libro (uno solo) come simbolo per eccellenza del New Italian Epic, quale titolo citeresti?
- Le parti mancanti di Petrolio di Pasolini, che forse qualcuno sta già scrivendo.
A tuo avviso esiste una “New Epic” letteraria anche in altri paesi?
- Non esiste fenomeno nazionale che non sia articolazione o variante di qualcosa di planetario. Viviamo da secoli nell’economia-mondo, da ben prima che si parlasse di “globalizzazione”. Non c’è niente che non si presenti ovunque, mutatis mutandis. Magari i tempi sono sfasati, gli impatti sono maggiori o minori, ma prima o poi tutto si presenta ovunque. Si tratta di entrare in contatto con quel che viene scritto. Non guardo tanto all’Europa o al Nordamerica, dove troppi autori devono ancora elaborare il lutto della fine del postmoderno, bensì all’America latina (che mi sembra davvero un serbatoio inesauribile di storie, saghe, avventure), all’Africa e all’Asia. Ma soprattutto l’America latina. Il tempo del cambiamento, di solito, lo battono le cosiddette “opere-mondo” (come accadde negli anni Ottanta con I figli della mezzanotte di Rushdie). Negli anni Novanta, il messicano Paco Ignacio Taibo II° ci ha dato Senza perdere la tenerezza, monumentale biografia narrativa di Che Guevara, forse l’opera più significativa di una fase rappresentata dai libri di Taibo, Chavarria, Diez, Bonasso, Sepulveda etc. Nella decade seguente, il cileno Roberto Bolaño ci ha dato il mastodontico 2666, che ora – complici alcune “leggende nere” sull’autore nel frattempo defunto – sta facendo furore nel mondo anglosassone. Intanto, proliferano grandi narrazioni multimediali e transmediali, giochi in rete o di ruolo o di realtà alternative dall’inusitata complessità, e serie televisive che, pur diventando sempre più “difficili” e ambiziose, non rinunciano a una briciola del loro essere popular. Tutto questo va già avanti da un po’, sta accumulando spinta, e sento che siamo sull’orlo di una nuova trasformazione.
Ultima domanda sul NIE. Che tipo di riscontro ha incontrato nel pubblico dei lettori?
- Molto incoraggiante. Qui trovi la “nube di catalogazione spontanea” del New Italian Epic formata dalle libere associazioni che fanno gli iscritti ad Anobii. Su Anobii, lo dico per i profani, ciascun iscritto cura la propria “libreria”, l’elenco dei libri letti o che sta leggendo o che si propone di leggere. Ogni libro diventa un’intersezione di diversi insiemi, un luogo dove si incontrano le esperienze di migliaia di lettori. Un esempio a caso, ecco cosa risulta cercando Q. Libro presente nelle librerie di 3025 iscritti, valutato da 1837 lettori, commentato 350 volte etc.
Al momento di includere un libro, un lettore inserisce anche il “genere” o l’area di appartenenza o il campo d’azione in cui, secondo lui, quel libro si muove. Quello rinvenibile cliccando il primo link è l’elenco dei 90 libri dei quali almeno un lettore ha detto trattarsi di “New Italian Epic”. E’ una catalogazione acefala, selvaggia, orizzontale. Ovviamente, non si tratta di essere d’accordo con questa o quella scelta di catalogazione. Si tratta di dare un’occhiata alla “media algebrica” del New Italian Epic secondo una precisa comunità di lettori forti e tecnologicamente svezzati. Un bell’oggetto di indagine. Fossi uno studioso, ci farei un paper.
E’ da riflessioni come questa che è nato il memorandum. Cioè ad anni-luce di distanza da quel che stava facendo la critica in quel momento.
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NIE, il cyberbook sull’epica italiana non pacificata
(di Luca Mastrantonio)
da Il Riformista del 5 febbraio 2009
C’è una nuova epica italiana? No. Perché “nulla è nuovo sotto il sole”, come sta scritto nell’Ecclesiaste. Sì. Se ammettiamo che qualcuno l’ha scritta per la prima volta quella frase, come ricordava Szymborska nel discorso per il Nobel. Qualcosa di simile succede con un libro che, letto senza pedanterie culturali, militanza o entusiasmi “entristi”, traccia un vettore importante della letteratura italiana contemporanea. New Italian Epic, uscito settimana scorsa, è un curioso ibrido culturale. Più simile a un ogm che a un prodotto doc, sebbene pubblicato da Einaudi, è un interessante cyberbook di teoria letteraria.
Scritto dal collettivo Wu Ming, già Luther Blisset, New Italian Epic nasce un anno fa come “memorandum” sulla letteratura dell’ultimo quindicennio, pubblicato sul sito wumingfoundation e generato da un intervento di Wu Ming 1 in una università straniera. Per questo, sostengono gli autori, va lasciato in inglese. «Se si sta troppo immersi nella caciara italiota – ha detto Wu Ming 1 a Panorama – si fatica a ragionare». Sinceramente, suona un po’ snob, un po’ radical snob. Sarebbe come chiamare “brainstorming” un dibattito nato da un collettivo per mettere in discussione dal basso l’Accademia. O “gardening” l’Arcadia…
In libreria, c’è l’aggiornamento cartaceo di un libro telematico, che ha avuto un dibattito a monte e che quindi a valle potrebbe anche non produrre molto di più. Finora, il libro è stato ri-lanciato da Loredana Lipperini su Repubblica e respinto da Carla Benedetti su Libero, con una critica così liquidatoria da venire subito assimilata dai Wu Ming (che l’hanno usata come strillo sul sito): «NIE è pura autopropaganda». Vero, perché i Wu Ming mettono al centro del suo ragionare letterario Gomorra, Romanzo Criminale e se stessi, per Q e 54. Bentornati al modernismo, ribattono a chi rinfaccia loro questa auto-esegesi in vece dell’autocritica. È tipico del «canone occidentale» («chiamiamolo così anche se non è equo», scrivono, collocandovisi) essere autori e critici di se stessi.
Tra gli autori neo-epici, Giancarlo De Cataldo, Carlo Lucarelli, Massimo Carlotto, Giuseppe Genna, Roberto Saviano, Valerio Evangelisti e altri fautori di una letteratura che attraverso le scritture di genere, in maniera più o meno eterodossa, hanno rinnovato la letteratura italiana. Letteratura d’eversione, intenzionata a cambiare il corso delle cose, a tratti d’evasione, certamente d’inversione, cioè revisione della storia italiana e non solo, ripercorsa in senso “ostinato e contrario”. La fiducia nel “romanzo”, anzi, nel contro-romanzo, suona come la riscossione di una scommessa vinta.
Così la quarta di copertina: «La letteratura non deve, non deve mai, non deve mai sentirsi in pace». Altrove, nel testo, leggiamo che «le storie sono asce da guerra da disseppellire» e «gli stolti chiamano pace il semplice allontanarsi dal fronte». Curiosamente, qualche giorno fa Alessandro Piperno sul Corriere della Sera, recensendo Albero di fumo, ha notato che tra «i libri che ho amato negli ultimi tempi mi accorgo che non ce n’è uno che non sia, in un certo modo, legato alla guerra» Da Le Benevole di Littell a Gomorra di Saviano.
Il termine post quem della NIE è il ‘93, il crollo definitivo del bipolarismo internazionale, con il Muro, e la nascita della Seconda Repubblica, in Italia. Giustamente, e simbolicamente, in un tempo che non è dopostoria, scelgono come epicentri cronologici il G8 di Genova e l’Undici settembre. Che non c’entrano nulla con Romanzo criminale, per esempio, ma che hanno “smosso” – anche stoltamente – il pensiero unico, producendo narrazioni e contro-narrazioni che ben si sposano con il cambio di prospettiva che De Cataldo ha messo in atto con il punto di vista della banda della Magliana.
Le definizioni, se efficaci, sono utili. Stabiliscono il campo di gioco, danno nomi alle cose e le idee, senza nomi, non esistono, sono cieche. Come le parole sono vuote senza idee e una verità non è nulla senza una storia che la tenga viva. Certo, “epico” per un romanzo suona come “poetica” una canzone. Ma allo spirometro, molti dei libri in questione producono un respiro lungo e profondo. Epico, certamente.
L’interesse per la NIE va al di là di ogni riserva sul merito. Cosa è epico e cosa no e perché una cosa è epica e un’altra no. Giustissima la critica all’ironia ebete di certo postmodernismo, che sabota il sistema nervoso del lettore-spettatore, sempre meno consapevole di quello che legge-vede, perché senza dolore o proiezioni del dolore non si applica conoscenza. Come avviene nell’Antologia cannibale. Precedente “commerciale” e narrativo di NIE, anch’esso powered by lo stileliberista Paolo Repetti.
Sul metodo, va detto che funziona molto la “critica creativa” che Wu Ming 2 fa fare agli alunni di una scuola cui chiede di riscrivere Il pallone di Donald Barthelme; mentre ha un retrogusto auto-referenziale la messe di interventi di autori chiamati in causa dal saggio. Può l’oggetto di uno studio legittimare lo studio stesso? Possiamo confondere conoscenza e certezza? Scommesse critiche e premesse? In fondo, non hanno sempre funzionato meglio le critiche da “poetae novi” ai “crepuscolari”? Ma NIE è un logo, oltre che un acronimo, e funziona benissimo per il suo fine. Diffondere e vendere un’idea riconoscibile.
Comunque sia, in questo saggio si sente, palpitante, il bisogno di disegnare mappe mentali tra i libri, accoppiare con più o meno giudizio autori, creare punti cospicui per rilevare posizioni e rotte dell’editoria italiana. Che è composta da editori, autori e lettori. Solo in ultima e accessoria parte, da critici. Ci possono essere risposte sbagliate (come definire UNO, cioè «Oggetti narrativi non identificati», alcune opere irregolari), ma giustamente bisogna porsi le domande: come classifichiamo Gomorra? Letteratura o giornalismo? Per Wu Ming, questo mix di fiction e non fiction, in alcuni passaggi è auto-fiction, cioè finzione su se stessa, attraverso un io ipertestimoniale narrante.
Per qualcosa di simile a uno snobismo internazionalista, o per ipercoerenza, i Wu Ming sembrano però voler risolvere molte contraddizioni del saggio con questa formula. NIE, sotto molti aspetti, sembra un software. Non a caso, su internet abbiamo avuto NIE, da scaricare, poi sempre su internet NIE 2.0 e ora, in libreria, per Einaudi, NIE 3.0. Assomiglia a Linux, un sistema che usa l’opensourcing, ma in libreria lo distribuisce Microsoft. D’altronde, i WM hanno sempre dichiarato e fatto, con sincerità autoassolutoria, guerriglia dall’interno.
Le incursioni e i prestiti da altre discipline funzionano spesso molto bene come argomentazioni narrative del saggio. Una qualità, la contaminazione disciplinare, che ricorda molto Opere mondo di Franco Moretti. Professore di letteratura all’estero, scrive a metà anni ‘90 un saggio che doveva essere sul modernismo e poi divenne un saggio sulle opere che definì “opere mondo”, cioè opere irregolari, romanzi XL, che possono fondare o rivisitare una società, che rappresentano la forma moderna dell’epica antica. Dall’Ulisse di Joyce, ovviamente, a Cent’anni di solitudine di Marquez. Allo stesso modo, mi sembra che i Wu Ming siano partiti dal postmodernismo – se lo ritrovavano appiccicato spesso addosso – e abbiano inventato, cioè trovato, questa definizione-slogan. Dà l’impressione che qualcosa di nuovo si stia muovendo davvero.
Ma allora è nuova o no questa epica? Nella quarta di copertina passa dalla qualità, nuovo, alla qualità, grosso. «Qualcosa di grosso si sta muovendo». E «New» è sicuramente l’attributo dominante, commercialmente, nella formula. Perché allora accanirsi contro il “nuovismo”, ricordando che si modifica una tradizione, più che dare corso a un’innovazione? Non ci sarebbe nulla di male ad ammettere che i Nuovi vogliono prendere il posto dei Dinosauri, (per rifarsi alla dialettica del racconto di Italo Calvino). Quando non si risolve nella dimensione “apocrifa” del NIE, sicuramente quella più felice e autentica, si oscilla tra il Qoelet, il libro della vanità del tutto, e la buona novella del Nuovo testamento.
Sulla scelta del termine “epica”, Wu Ming riconosce che l’espressione è «discutibile e discutendo», ma a fronte di una constatazione concreta, e cioè che «produce una sorta di campo elettrostatico e attirare a sé opere in apparenza difformi», sostiene un po’ in astratto «che hanno affinità profonde». Originale ma labile è il puntare, come “elementi comuni”, non su Massimi comuni denominatori, ma su Minimi comuni multipli. Alcuni legami, risultano posticci. Più solido è l’aspetto controfattuale, che avvicina la NIE alla Grammatica della fantasia di Gianni Rodari, e all’ipotesi fantastica, più che ad Alessandro Manzoni, e ai suoi Promessi sposi. Nella NIE ha spazio l’inverosimile, il contro-vero. Un altro punto di vista.
Leggendo la parte finale di Wu Ming 2, L’affabulazione obbligatoria, si arriva al cuore della NIE: la “contronarrazione”. Fa da contrappunto alla storiografia ufficiale, illuminandone i coni d’ombra, sguazzando nel fango, cambiando la prospettiva per regalare nuove profondità e punti di fuga. Con il rischio, calcolato se non voluto, di confondere le acque, pur di smuoverle. «L’unica alternativa per non subire una storia è raccontare mille storie alternative».
Se l’epica antica racconta e inventa rifondando con un mito la sua civiltà, e l’epica moderna “smitizza” una società coeva, la NIE è epica post-moderna, che racconta per sfondare o sfiancare la nazione coeva, con storie di complotti, narrazioni parallele, contro-piste e personaggi similveri che decostruiscono la memoria collettiva. Un’epica senza déi. Romanzi di contro-informazione. Forme moderne di un’epica postmoderna. Antiepica, contro-epica, epica apocrifa, antagonista. Ma volete mettere? Meglio “epica postmoderna” o New Italian Epic?
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Scritto mercoledì, 25 febbraio 2009 alle 00:14 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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