lunedì, 2 marzo 2009
STRANE COPPIE n. 2: GOETHE, FOGAZZARO
Seconda puntata de “Le strane coppie”, offerta dalla nostra Antonella Cilento.
Stavolta mettiamo a confronto Goethe e Fogazzaro. Accostiamo Le affinità elettive a Malombra grazie agli ottimi interventi di Giuseppe Montesano e Francesco Costa.
Cosa hanno in comune questi due libri in apparenza diversi?
Ce lo spiega Francesco Costa quando scrive: “In comune con le Affinità elettive c’è la decisione di Fogazzaro di mettere in scena un quartetto di personaggi che, come nel libro di Goethe, sono due donne e due uomini, e di stabilire fra loro delle interrelazioni magnetiche che porteranno tre di loro a tragica sorte. Come in Goethe, le figure sono contrapposte per età, per lignaggio e per tonalità cromatiche (…).
Di seguito avrete la possibilità di leggere l’introduzione di Antonella Cilento e gli ottimi contributi di Montesano e Costa.
Vi invito a discutere sui due classici “accoppiati” e sui loro autori prendendo spunto dai suddetti contributi.
E poi vi porgo le mie solite domandine collaterali…
In merito a Le affinità elettive Giuseppe Montesano scrive: “Secondo la chimica dell’800 le “affinità elettive” erano le forze misteriose che spingevano i corpi affini ad attrarsi, dissolvendo i legami precedenti e formando nuovi legami: esattamente ciò che è messo in scena nel romanzo. Ma la forza selvaggia della natura, che disgrega le coppie e le riforma nuove, si scontra in Goethe con la civiltà: il matrimonio, le convenienze, il dovere, la responsabilità.”
Vi chiedo…
A vostro giudizio esistono davvero le affinità elettive, o si tratta solo di un mito?
Ritenete che questo capolavoro di Goethe sia ancora attuale?
Che relazione c’è tra “amore” e “senso di responsabilità”?
Infine (riprendendo una frase di Montesano), esiste un mondo – o una dimensione – in cui l’amore non viene messo a morte dalla società?
Marina, protagonista di Malombra, è definita da Francesco Costa come “insoddisfatta, fremente, furiosa, (…) una parente non tanto alla lontana di Anna (Karenina) e di Emma (Bovary), delle quali spartisce una vocazione all’autodistruttività”.
Vi propongo una domanda che troverete nel testo di Costa.
Perché l’insoddisfazione delle donne ha ispirato gli artisti nel corso dei millenni?
E poi…
Chi, tra uomo e donna, riesce a sopportare meglio il peso – talvolta insostenibile – dell’insoddisfazione, della frustrazione?
A voi.
Massimo Maugeri
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Introduzione di Antonella Cilento
Cari amici de L’Ombra e la Penna,
eccovi la seconda puntata delle Strane Coppie, progetto in sei incontri dove sei coppie di autori contemporanei rileggono coppie di grandi classici italiani, francesi, spagnoli e tedeschi. Strane Coppie è un progetto di Lalineascritta Laboratori di Scrittura (www.lalineascritta.it) in collaborazione con Goethe Institut, Institut Français de Naples e Instituto Cervantes, che si tiene a Napoli con incontri aperti al pubblico da gennaio a giugno presso le sedi degli Istituti.
In questa seconda manche, tenutasi giovedì 19 febbraio, si sono confrontati Giuseppe Montesano e Francesco Costa, rispettivamente impegnati a raccontare Le affinità elettive di Goethe e Malombra di Antonio Fogazzaro.
Ringrazio Giuseppe Montesano per averci concesso l’articolo uscito su Il Mattino martedì 17 febbraio e Francesco Costa per aver voluto riassumere per noi il suo intervento.
Grazie e entrambi per la generosità e l’intensità.
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LE AFFINITA’ ELETTIVE
di Giuseppe Montesano
Si può raccontare la trama di un capolavoro? Proviamo. Una coppia felice vive in una villa circondata da un immenso parco. Edoardo e Carlotta si amavano da giovanissimi, poi lui è stato costretto dalla madre a sposare una donna più vecchia ma ricca e innamorata di lui, e lei un uomo altrettanto ricco e in fondo affascinante. Morti i rispettivi coniugi, Carlotta e Edoardo, che hanno intorno ai 35 anni e sono coetanei, si sposano: decidendo di vivere il loro grande amore in ritardo lontani dal mondo, l’uno per l’altra. Tutto è perfetto, nella villa e nel parco: e Edoardo, perché la gioia sia massima, implora Carlotta di accogliere in casa un suo amico fraterno, il Capitano; e, perché l’amico abbia compagnia, propone alla moglie di far venire a vivere con loro anche la figlioccia di Carlotta, la diciottenne Ottilia. E poi? E poi sono cominciate nel loro splendore sinistramente lunare Le affinità elettive, il più misterioso dei libri di Goethe e uno dei romanzi più ambigui e abissali della letteratura occidentale. Quello che accadrebbe al riunirsi delle due “coppie”, sarebbe ovvio in un romanzo di Moravia: Carlotta e il Capitano andrebbero a letto, e lo stesso farebbero Ottilia e Edoardo. E Goethe? Il cinquantottenne Maestro, che all’epoca si era innamorato di una diciottenne e aveva rinunciato alla ragazza, scrive una tragedia dove un erotismo intrattenibile viene coperto da un velo di eleganza suprema: scrive Le affinità elettive. Secondo la chimica dell’800 le “affinità elettive” erano le forze misteriose che spingevano i corpi affini ad attrarsi, dissolvendo i legami precedenti e formando nuovi legami: esattamente ciò che è messo in scena nel romanzo. Ma la forza selvaggia della natura, che disgrega le coppie e le riforma nuove, si scontra in Goethe con la civiltà: il matrimonio, le convenienze, il dovere, la responsabilità. A ogni pagina delle Affinità elettive il lettore moderno dice: basta, divorziate, e risolvete il problema! Ma Goethe non vuole lieti fine, né vuole tranquillizzare: vuole raccontare la misteriosa potenza dell’amore, il suo essere al di là del bene e del male, il suo essere un “pharmakon”, il veleno che uccide o che salva. E racconta la forza del caso, dell’occasione che mette in crisi ragione e morale. Un esempio? A un certo punto del romanzo c’è un capitolo superbo: è sera, in un corridoio Edoardo sta pensando a Ottilia, la desidera, vorrebbe andare nella sua stanza; ma la stanza della ragazza è lontana, sveglierebbe tutti; lì vicino, c’è la porta della camera della moglie; Edoardo allora, con un atto inconscio, bussa, sorprende Carlotta in camicia da notte, e dice che è venuto per baciarle “il piedino”; lei risponde che era da tempo che non lo faceva, i due si sfiorano al lume delle candele, e finiscono a letto facendo giochi erotici da amanti; ma al mattino Edoardo fugge, in colpa: sente di aver tradito insieme la moglie e Ottilia. E Carlotta? Carlotta ha accettato da brava moglie il piacere di una sera, ma, a sorpresa, scopriamo che un attimo prima dell’arrivo del marito, stava pensando con desiderio al Capitano, e quando ha sentito bussare alla porta ha temuto e voluto che fosse proprio il Capitano a farle visita: ha aperto tremante e sensuale, e si è trovata davanti il marito. In poco meno di cinque pagine sottili, essenziali, erotiche come un passo delle Relazioni pericolose di Laclos e leggiadre come un arredamento rococò, Goethe ha dispiegato tutta la sua potenza di scrittore. L’intero romanzo è così: un fiume di fuoco sotto una trasparente lastra di gelo, un affiorare di sensualità selvaggia sotto un’etichetta quasi stucchevole, l’ardere quieto dell’amore in cui Ottilia e Edoardo scordano il mondo: “Li univa un’indescrivibile, quasi magica forza di attrazione. Anche se non pensavano espressamente l’uno all’altra, presi ognuno dalle proprie occupazioni e distratti dalla compagnia, finivano per avvicinarsi. Se si trovavano in una stanza, non passava molto tempo che erano già vicini. Solo la vicinanza immediata poteva acquietarli: e tale vicinanza bastava, non servivano sguardi, parole, gesti, movimenti. Solo essere insieme.” Ma dalla parte di chi sta Goethe? Dalla parte del dovere coniugale o dalla parte dell’amore assoluto? Alla fine del romanzo (e basta, raccontare la trama: leggete o rileggete da soli Le affinità elettive, a scelta tra le due traduzioni migliori, di Paola Capriolo e Ada Vigliani) i due innamorati giovani, romantici e dissennati, muoiono, e non sono nemmeno riusciti a fare l’amore: come invece faranno, o forse hanno fatto, i più ragionevoli Carlotta e il Capitano. Allora Goethe punisce chi viola il matrimonio? Punisce la passione amorosa? Punisce gli innamorati eternamente giovani? Sì. Forse. No. Le ultime parole del romanzo dicono che Ottilia e Edoardo si risveglieranno un giorno per congiungersi in carne e anima, e quel giorno la loro felicità sarà indicibile. La resurrezione dei corpi del Cristianesimo viene piegata da Goethe a rappresentare il potere di Eros, l’amore che trionfa contro la morte e contro la legge: la promessa fatta dal vecchio Goethe a Ottilia è che deve per forza esserci un mondo nel quale l’amore non viene messo a morte dalla società. Dove sarà questo mondo? Quando comincerà questo mondo? Per il tardo Goethe il dove e il quando non importano più: lui sa che il mondo sperato nella disperazione, il mondo in cui gli amanti “vegliati da angeli affini” si uniranno, deve per forza esistere perché esista una vita vera. Ciò che importa, e che molti interpreti non hanno avuto il coraggio di vedere, è che non c’è nessuna religione della rinuncia in Goethe. Nelle Affinità elettive la rinuncia è forzata, non è una scelta; nel tardo Goethe non c’è nessuna passione spenta, nessuna olimpica freddezza, e nessuna pace fasulla è arrivata; ciò che in lui sembra conciliato, lo è solo nell’impossibile desiderio di sciogliere le contraddizioni senza annullarle. Con la ferocia che il Maestro in un’arte deve sempre avere, con l’infinita tenerezza di chi conservò fino all’ultimo una scheggia di paradisiaca infanzia erotica in sé, con lo sguardo stoico che non chiude gli occhi di fronte al male e al disordine se anche li odia, Goethe strinse nelle Affinità elettiva un nodo che ancora toglie il fiato, un sogno che ancora implacabilmente parla della nostra mancanza di sogni.
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MALOMBRA
di Francesco Costa
Quante parole si sono scritte sull’insoddisfazione delle donne, quanta indignazione ha suscitato questo tema, quante lacrime ha fatto versare. La donna guarda oltre, vede cose lontane, scalpita perché si avverino i sogni, freme di rabbia per l’impossibilità di intrecciare da sola i fili del suo destino. Guardava oltre, guardava cose invisibili agli altri anche Cassandra, figlia di un re destinato alla rovina, amata e compatita da Omero, e condannata dal crudele Apollo a vedere scetticismo e derisione addensarsi intorno alle sue profezie, e in un finale purtroppo modernissimo (basta chinarsi sui recenti, abominevoli fatti di cronaca in Italia) le tocca di essere violentata proprio sull’altare che fa da fondamento alla sua vocazione di profetessa inascoltata, e si può non trovare struggente il suo ultimo viaggio, quell’andare incontro ai pugnali che la trafiggeranno in Grecia, quando si pensa che neppure sulla nave che solca l’Egeo e l’avvicina inesorabilmente ai suoi carnefici sarà dato credito alla sua profezia di una morte violenta che attende sia lei che il suo carceriere?
Perché l’insoddisfazione delle donne ha ispirato gli artisti nel corso dei millenni?
Perché da sempre l’artista spartisce non poco con la condizione femminile (e non a caso Virginia Woolf afferma perentoria che l’artista non ha sesso), essendo condannato a far delle sue visioni uno spasso per ricchi in cambio di una minestra o di un tetto sulla testa e a pazientare perché esseri non di rado insensibili decidano quanto profitto si può trarre dalla sua ispirazione…
Ed eccoci allora a Marina di Malombra, che di Cassandra è una riconoscibile discendente, perché guarda a sua volta molto lontano, si perde in fantasticherie che danno le vertigini, e per sua sfortuna vive in un’epoca in cui questo dono si chiama nevrosi.
Insoddisfatta, fremente, furiosa, è così Marina. E’ una parente non tanto alla lontana di Anna (Karenina) e di Emma (Bovary), delle quali spartisce una vocazione all’autodistruttività che in queste ultime settimane, grazie al successo del film Revolutionary Road, tormenta e angoscia anche April Wheeler, casalinga statunitense di smisurate (e purtroppo mal riposte) ambizioni artistiche, inventata dallo scrittore Richard Yates con precisi riferimenti alla Bovary.
Come Emma, Marina vuole danzare, stordirsi a banchetti e feste, viaggiare verso lidi remoti, innamorarsi, sfuggire all’uggia della vita di provincia, trovare lenimento a un martellante fantasticare senza costrutto che alla fine la condurrà alla follia.
Per erodere alla base piramidi di noia che le si ergono davanti in tante giornate uguali a se stesse, in uno stato d’animo febbrile e prossimo al delirio che autorizza le più ardite fantasmagorie, Marina racconta a se stessa di essere la reincarnazione di un’ava, Cecilia, condannata come adultera a seppellirsi viva nello stesso maniero in cui, anni dopo, lei si vede ridotta a far la stessa fine, e senza neanche essersi macchiata di adulterio, visto che non le va di sposarsi con nessuno.
E’ breve il passo da lì a vedere nell’odiato zio che le lesina denaro e svaghi il doppio, il sosia dell’antenato che ha fatto morire la sventurata Cecilia. In una vita che non è vita, trapunta di ore in cui tutto è spento, Marina tramuta se stessa e gli altri in tanti revenants, ombre di esseri passati anni prima su questo pianeta, ed ecco che finalmente tutto acquista un senso, il cuore si gonfia di sensazioni eroiche, e la noia viene infine bandita perché la giovane s’è data un compito: quello di vendicare se stessa e la sua antenata.
In comune con le Affinità elettive c’è la decisione di Fogazzaro di mettere in scena un quartetto di personaggi che, come nel libro di Goethe, sono due donne e due uomini, e di stabilire fra loro delle interrelazioni magnetiche che porteranno tre di loro a tragica sorte.
Come in Goethe, le figure sono contrapposte per età, per lignaggio e per tonalità cromatiche: se Marina è l’oscurità (come lo è Fosca, l’eroina di un bel racconto di Ugo Igino Tarchetti, che è però brutta a livelli inimmaginabili, mentre la nostra Malombra è decisamente avvenente), la giovane tedesca Edith, bionda e celestiale, è la luce e appartiene alla categoria di quelli che devono sudare per buscarsi il pane. In modo analogo si fronteggiano i due uomini, lo zio di Marina e lo scrittore che s’innamora di lei, che sono l’uno attempato e molto abbiente, e l’altro giovane e squattrinato.
L’idea della reincarnazione, l’evenienza di poter tornare più volte sulla terra, i sussurri nel buio, la paura delle vendette femminili (agitata da Shakespeare quando catapulta sulla scena la sua Lady Macbeth), i castelli e le foreste, il lago e il delitto, l’anatema e il perdono: quest’armamentario messo in piedi da Antonio Fogazzaro nella seconda metà dell’Ottocento (1881) svela il suo amore per il romanzo gotico e l’amore per gli amici della Scapigliatura, sempre ubriachi e persi dietro le loro donne fatali, la passione per i rapporti morbosi e l’adesione a una visione che si potrebbe definire fumettistica della vita, e che oggi è universalmente vincente e molto apprezzata, se si considera il successo dei film di Tim Burton e di David Lynch, o dei romanzi di Anne Rice, con le loro atmosfere sarcastiche e opprimenti, il gusto del bizzarro e l’attenzione alle perversioni (sessuali e non), ma che all’epoca non poteva non attirare sull’incauto scrittore lo scherno dei critici. Non bastò a consolarlo il plauso dei lettori che fecero esaurire a tambur battente il tenebroso Malombra e neanche quello di un collega del peso di Giovanni Verga che, pur avendo scelto d’intraprendere altre strade dopo il comune assenso ai moduli della Scapigliatura, gli mandò per posta i suoi più vivi complimenti.
Il peggio, però, fu che su Antonio Fogazzaro piombò senza appello la condanna del Santo Uffizio: la sua ispirazione febbricitante, un po’ ingenua ma neanche tanto lontana dai notturni berlinesi narrati da Hoffmann, destava sospetti, autorizzava l’infierire dei censori, e storture nel giudizio, prevenzioni, prepotenze, abiezioni, finché un libro dello sventurato fu successivamente posto all’indice.
Questo spiega a sufficienza perché Malombra che avrebbe potuto aprire in Italia la strada al romanzo gotico, sul modello inglese che Jane Austen osa prendere amabilmente in giro in L’abbazia di Northanger, resta invece un caso decisamente isolato, che una cultura punitiva, di tono plumbeo e straordinariamente compiaciuta di se stessa si tolse il capriccio di mettere al bando.
Rimane però, in ogni caso, nella mente di chi l’ha letta la suprema capacità di seduzione di Marina di Malombra che condivide con la consanguinea Emma Bovary l’attrazione e l’amore quasi fisico in cui il suo autore l’avvolge. Se Flaubert amava talmente Emma da indossarne l’identità perfino in tribunale con quell’urlo doloroso che gli attira l’affetto degli artisti di ogni tempo (“Madame Bovary c’est moi!”), non è da meno Antonio Fogazzaro che accarezza, precede e segue l’affascinante Marina verso il baratro che l’attende al varco, descrivendone gli sdegni e il dolore, gli abiti fruscianti e le chiome biondo scuro, le collere e le lacrime, le passeggiate in barca e l’apparente pacificazione di attimi fugaci, ma soprattutto la voglia di perdersi in una passione che la incenerisca. Fogazzaro è davvero innamorato della sua eroina, e ci si chiede quante sorelle avrebbe potuto darle in opere successive che non sono mai nate. Con la punta di rimpianto che coglie il lettore all’idea delle tante eroine che sarebbero potute scaturire dalla sua immaginazione e si sono invece dileguate in aria, può consolare il fatto che almeno Marina di Malombra, continuamente ristampata, si configge nella mente di chi condivide le sue pene e non se ne distacca più. La prova del suo quasi diabolico potere di suggestione sono, per citare le opere migliori tratte dal romanzo, un magnifico film di Mario Soldati (con Isa Miranda) e un decoroso sceneggiato televisivo (con Marina Malfatti, casualmente omonima della sciagurata contessina). A dispetto dell’atmosfera sinistra che crea intorno a sé con la sola forza delle sue apparizioni, o forse proprio grazie a quella, un fatto rimane accertato: di Marina di Malombra finiscono con l’innamorarsi tutti.
Tags: amore, fogazzaro, francesco costa, frustrazione, giuseppe montesano, goethe, insoddisfazione, le affinità elettive, malombra
Scritto lunedì, 2 marzo 2009 alle 00:02 nella categoria L'OMBRA E LA PENNA (con il contributo di Antonella Cilento). Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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