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lunedì, 2 marzo 2009

STRANE COPPIE n. 2: GOETHE, FOGAZZARO

fogazzaro-goethe.JPGSeconda puntata de “Le strane coppie”, offerta dalla nostra Antonella Cilento.
Stavolta mettiamo a confronto Goethe e Fogazzaro. Accostiamo Le affinità elettive a Malombra grazie agli ottimi interventi di Giuseppe Montesano e Francesco Costa.
Cosa hanno in comune questi due libri in apparenza diversi?
Ce lo spiega Francesco Costa quando scrive: “In comune con le Affinità elettive c’è la decisione di Fogazzaro di mettere in scena un quartetto di personaggi che, come nel libro di Goethe, sono due donne e due uomini, e di stabilire fra loro delle interrelazioni magnetiche che porteranno tre di loro a tragica sorte. Come in Goethe, le figure sono contrapposte per età, per lignaggio e per tonalità cromatiche (…).
Di seguito avrete la possibilità di leggere l’introduzione di Antonella Cilento e gli ottimi contributi di Montesano e Costa.
Vi invito a discutere sui due classici “accoppiati” e sui loro autori prendendo spunto dai suddetti contributi.
E poi vi porgo le mie solite domandine collaterali…
In merito a Le affinità elettive Giuseppe Montesano scrive: “Secondo la chimica dell’800 le “affinità elettive” erano le forze misteriose che spingevano i corpi affini ad attrarsi, dissolvendo i legami precedenti e formando nuovi legami: esattamente ciò che è messo in scena nel romanzo. Ma la forza selvaggia della natura, che disgrega le coppie e le riforma nuove, si scontra in Goethe con la civiltà: il matrimonio, le convenienze, il dovere, la responsabilità.”
Vi chiedo…
A vostro giudizio esistono davvero le affinità elettive, o si tratta solo di un mito?
Ritenete che questo capolavoro di Goethe sia ancora attuale?
Che relazione c’è tra “amore” e “senso di responsabilità”?

Infine (riprendendo una frase di Montesano), esiste un mondo – o una dimensione – in cui l’amore non viene messo a morte dalla società?

Marina, protagonista di Malombra, è definita da Francesco Costa come “insoddisfatta, fremente, furiosa, (…) una parente non tanto alla lontana di Anna (Karenina) e di Emma (Bovary), delle quali spartisce una vocazione all’autodistruttività”.
Vi propongo una domanda che troverete nel testo di Costa.
Perché l’insoddisfazione delle donne ha ispirato gli artisti nel corso dei millenni?
E poi…
Chi, tra uomo e donna, riesce a sopportare meglio il peso – talvolta insostenibile – dell’insoddisfazione, della frustrazione?

A voi.

Massimo Maugeri

—————

Introduzione di Antonella Cilento

Cari amici de L’Ombra e la Penna,
eccovi la seconda puntata delle Strane Coppie, progetto in sei incontri dove sei coppie di autori contemporanei rileggono coppie di grandi classici italiani, francesi, spagnoli e tedeschi. Strane Coppie è un progetto di Lalineascritta Laboratori di Scrittura (www.lalineascritta.it) in collaborazione con Goethe Institut, Institut Français de Naples e Instituto Cervantes, che si tiene a Napoli con incontri aperti al pubblico da gennaio a giugno presso le sedi degli Istituti.
In questa seconda manche, tenutasi giovedì 19 febbraio, si sono confrontati Giuseppe Montesano e Francesco Costa, rispettivamente impegnati a raccontare Le affinità elettive di Goethe e Malombra di Antonio Fogazzaro.
Ringrazio Giuseppe Montesano per averci concesso l’articolo uscito su Il Mattino martedì 17 febbraio e Francesco Costa per aver voluto riassumere per noi il suo intervento.
Grazie e entrambi per la generosità e l’intensità.

—————–

LE AFFINITA’ ELETTIVE
di Giuseppe Montesano

Si può raccontare la trama di un capolavoro? Proviamo. Una coppia felice vive in una villa circondata da un immenso parco. Edoardo e Carlotta si amavano da giovanissimi, poi lui è stato costretto dalla madre a sposare una donna più vecchia ma ricca e innamorata di lui, e lei un uomo altrettanto ricco e in fondo affascinante. Morti i rispettivi coniugi, Carlotta e Edoardo, che hanno intorno ai 35 anni e sono coetanei, si sposano: decidendo di vivere il loro grande amore in ritardo lontani dal mondo, l’uno per l’altra. Tutto è perfetto, nella villa e nel parco: e Edoardo, perché la gioia sia massima, implora Carlotta di accogliere in casa un suo amico fraterno, il Capitano; e, perché l’amico abbia compagnia, propone alla moglie di far venire a vivere con loro anche la figlioccia di Carlotta, la diciottenne Ottilia. E poi? E poi sono cominciate nel loro splendore sinistramente lunare Le affinità elettive, il più misterioso dei libri di Goethe e uno dei romanzi più ambigui e abissali della letteratura occidentale. Quello che accadrebbe al riunirsi delle due “coppie”, sarebbe ovvio in un romanzo di Moravia: Carlotta e il Capitano andrebbero a letto, e lo stesso farebbero Ottilia e Edoardo. E Goethe? Il cinquantottenne Maestro, che all’epoca si era innamorato di una diciottenne e aveva rinunciato alla ragazza, scrive una tragedia dove un erotismo intrattenibile viene coperto da un velo di eleganza suprema: scrive Le affinità elettive. Secondo la chimica dell’800 le “affinità elettive” erano le forze misteriose che spingevano i corpi affini ad attrarsi, dissolvendo i legami precedenti e formando nuovi legami: esattamente ciò che è messo in scena nel romanzo. Ma la forza selvaggia della natura, che disgrega le coppie e le riforma nuove, si scontra in Goethe con la civiltà: il matrimonio, le convenienze, il dovere, la responsabilità. A ogni pagina delle Affinità elettive il lettore moderno dice: basta, divorziate, e risolvete il problema! Ma Goethe non vuole lieti fine, né vuole tranquillizzare: vuole raccontare la misteriosa potenza dell’amore, il suo essere al di là del bene e del male, il suo essere un “pharmakon”, il veleno che uccide o che salva. E racconta la forza del caso, dell’occasione che mette in crisi ragione e morale. Un esempio? A un certo punto del romanzo c’è un capitolo superbo: è sera, in un corridoio Edoardo sta pensando a Ottilia, la desidera, vorrebbe andare nella sua stanza; ma la stanza della ragazza è lontana, sveglierebbe tutti; lì vicino, c’è la porta della camera della moglie; Edoardo allora, con un atto inconscio, bussa, sorprende Carlotta in camicia da notte, e dice che è venuto per baciarle “il piedino”; lei risponde che era da tempo che non lo faceva, i due si sfiorano al lume delle candele, e finiscono a letto facendo giochi erotici da amanti; ma al mattino Edoardo fugge, in colpa: sente di aver tradito insieme la moglie e Ottilia. E Carlotta? Carlotta ha accettato da brava moglie il piacere di una sera, ma, a sorpresa, scopriamo che un attimo prima dell’arrivo del marito, stava pensando con desiderio al Capitano, e quando ha sentito bussare alla porta ha temuto e voluto che fosse proprio il Capitano a farle visita: ha aperto tremante e sensuale, e si è trovata davanti il marito. In poco meno di cinque pagine sottili, essenziali, erotiche come un passo delle Relazioni pericolose di Laclos e leggiadre come un arredamento rococò, Goethe ha dispiegato tutta la sua potenza di scrittore. L’intero romanzo è così: un fiume di fuoco sotto una trasparente lastra di gelo, un affiorare di sensualità selvaggia sotto un’etichetta quasi stucchevole, l’ardere quieto dell’amore in cui Ottilia e Edoardo scordano il mondo: “Li univa un’indescrivibile, quasi magica forza di attrazione. Anche se non pensavano espressamente l’uno all’altra, presi ognuno dalle proprie occupazioni e distratti dalla compagnia, finivano per avvicinarsi. Se si trovavano in una stanza, non passava molto tempo che erano già vicini. Solo la vicinanza immediata poteva acquietarli: e tale vicinanza bastava, non servivano sguardi, parole, gesti, movimenti. Solo essere insieme.” Ma dalla parte di chi sta Goethe? Dalla parte del dovere coniugale o dalla parte dell’amore assoluto? Alla fine del romanzo (e basta, raccontare la trama: leggete o rileggete da soli Le affinità elettive, a scelta tra le due traduzioni migliori, di Paola Capriolo e Ada Vigliani) i due innamorati giovani, romantici e dissennati, muoiono, e non sono nemmeno riusciti a fare l’amore: come invece faranno, o forse hanno fatto, i più ragionevoli Carlotta e il Capitano. Allora Goethe punisce chi viola il matrimonio? Punisce la passione amorosa? Punisce gli innamorati eternamente giovani? Sì. Forse. No. Le ultime parole del romanzo dicono che Ottilia e Edoardo si risveglieranno un giorno per congiungersi in carne e anima, e quel giorno la loro felicità sarà indicibile. La resurrezione dei corpi del Cristianesimo viene piegata da Goethe a rappresentare il potere di Eros, l’amore che trionfa contro la morte e contro la legge: la promessa fatta dal vecchio Goethe a Ottilia è che deve per forza esserci un mondo nel quale l’amore non viene messo a morte dalla società. Dove sarà questo mondo? Quando comincerà questo mondo? Per il tardo Goethe il dove e il quando non importano più: lui sa che il mondo sperato nella disperazione, il mondo in cui gli amanti “vegliati da angeli affini” si uniranno, deve per forza esistere perché esista una vita vera. Ciò che importa, e che molti interpreti non hanno avuto il coraggio di vedere, è che non c’è nessuna religione della rinuncia in Goethe. Nelle Affinità elettive la rinuncia è forzata, non è una scelta; nel tardo Goethe non c’è nessuna passione spenta, nessuna olimpica freddezza, e nessuna pace fasulla è arrivata; ciò che in lui sembra conciliato, lo è solo nell’impossibile desiderio di sciogliere le contraddizioni senza annullarle. Con la ferocia che il Maestro in un’arte deve sempre avere, con l’infinita tenerezza di chi conservò fino all’ultimo una scheggia di paradisiaca infanzia erotica in sé, con lo sguardo stoico che non chiude gli occhi di fronte al male e al disordine se anche li odia, Goethe strinse nelle Affinità elettiva un nodo che ancora toglie il fiato, un sogno che ancora implacabilmente parla della nostra mancanza di sogni.

—————–

MALOMBRA
di Francesco Costa

Quante parole si sono scritte sull’insoddisfazione delle donne, quanta indignazione ha suscitato questo tema, quante lacrime ha fatto versare. La donna guarda oltre, vede cose lontane, scalpita perché si avverino i sogni, freme di rabbia per l’impossibilità di intrecciare da sola i fili del suo destino. Guardava oltre, guardava cose invisibili agli altri anche Cassandra, figlia di un re destinato alla rovina, amata e compatita da Omero, e condannata dal crudele Apollo a vedere scetticismo e derisione addensarsi intorno alle sue profezie, e in un finale purtroppo modernissimo (basta chinarsi sui recenti, abominevoli fatti di cronaca in Italia) le tocca di essere violentata proprio sull’altare che fa da fondamento alla sua vocazione di profetessa inascoltata, e si può non trovare struggente il suo ultimo viaggio, quell’andare incontro ai pugnali che la trafiggeranno in Grecia, quando si pensa che neppure sulla nave che solca l’Egeo e l’avvicina inesorabilmente ai suoi carnefici sarà dato credito alla sua profezia di una morte violenta che attende sia lei che il suo carceriere?
Perché l’insoddisfazione delle donne ha ispirato gli artisti nel corso dei millenni?
Perché da sempre l’artista spartisce non poco con la condizione femminile (e non a caso Virginia Woolf afferma perentoria che l’artista non ha sesso), essendo condannato a far delle sue visioni uno spasso per ricchi in cambio di una minestra o di un tetto sulla testa e a pazientare perché esseri non di rado insensibili decidano quanto profitto si può trarre dalla sua ispirazione…
Ed eccoci allora a Marina di Malombra, che di Cassandra è una riconoscibile discendente, perché guarda a sua volta molto lontano, si perde in fantasticherie che danno le vertigini, e per sua sfortuna vive in un’epoca in cui questo dono si chiama nevrosi.
Insoddisfatta, fremente, furiosa, è così Marina. E’ una parente non tanto alla lontana di Anna (Karenina) e di Emma (Bovary), delle quali spartisce una vocazione all’autodistruttività che in queste ultime settimane, grazie al successo del film Revolutionary Road, tormenta e angoscia anche April Wheeler, casalinga statunitense di smisurate (e purtroppo mal riposte) ambizioni artistiche, inventata dallo scrittore Richard Yates con precisi riferimenti alla Bovary.
Come Emma, Marina vuole danzare, stordirsi a banchetti e feste, viaggiare verso lidi remoti, innamorarsi, sfuggire all’uggia della vita di provincia, trovare lenimento a un martellante fantasticare senza costrutto che alla fine la condurrà alla follia.
Per erodere alla base piramidi di noia che le si ergono davanti in tante giornate uguali a se stesse, in uno stato d’animo febbrile e prossimo al delirio che autorizza le più ardite fantasmagorie, Marina racconta a se stessa di essere la reincarnazione di un’ava, Cecilia, condannata come adultera a seppellirsi viva nello stesso maniero in cui, anni dopo, lei si vede ridotta a far la stessa fine, e senza neanche essersi macchiata di adulterio, visto che non le va di sposarsi con nessuno.
E’ breve il passo da lì a vedere nell’odiato zio che le lesina denaro e svaghi il doppio, il sosia dell’antenato che ha fatto morire la sventurata Cecilia. In una vita che non è vita, trapunta di ore in cui tutto è spento, Marina tramuta se stessa e gli altri in tanti revenants, ombre di esseri passati anni prima su questo pianeta, ed ecco che finalmente tutto acquista un senso, il cuore si gonfia di sensazioni eroiche, e la noia viene infine bandita perché la giovane s’è data un compito: quello di vendicare se stessa e la sua antenata.
In comune con le Affinità elettive c’è la decisione di Fogazzaro di mettere in scena un quartetto di personaggi che, come nel libro di Goethe, sono due donne e due uomini, e di stabilire fra loro delle interrelazioni magnetiche che porteranno tre di loro a tragica sorte.
Come in Goethe, le figure sono contrapposte per età, per lignaggio e per tonalità cromatiche: se Marina è l’oscurità (come lo è Fosca, l’eroina di un bel racconto di Ugo Igino Tarchetti, che è però brutta a livelli inimmaginabili, mentre la nostra Malombra è decisamente avvenente), la giovane tedesca Edith, bionda e celestiale, è la luce e appartiene alla categoria di quelli che devono sudare per buscarsi il pane. In modo analogo si fronteggiano i due uomini, lo zio di Marina e lo scrittore che s’innamora di lei, che sono l’uno attempato e molto abbiente, e l’altro giovane e squattrinato.
L’idea della reincarnazione, l’evenienza di poter tornare più volte sulla terra, i sussurri nel buio, la paura delle vendette femminili (agitata da Shakespeare quando catapulta sulla scena la sua Lady Macbeth), i castelli e le foreste, il lago e il delitto, l’anatema e il perdono: quest’armamentario messo in piedi da Antonio Fogazzaro nella seconda metà dell’Ottocento (1881) svela il suo amore per il romanzo gotico e l’amore per gli amici della Scapigliatura, sempre ubriachi e persi dietro le loro donne fatali, la passione per i rapporti morbosi e l’adesione a una visione che si potrebbe definire fumettistica della vita, e che oggi è universalmente vincente e molto apprezzata, se si considera il successo dei film di Tim Burton e di David Lynch, o dei romanzi di Anne Rice, con le loro atmosfere sarcastiche e opprimenti, il gusto del bizzarro e l’attenzione alle perversioni (sessuali e non), ma che all’epoca non poteva non attirare sull’incauto scrittore lo scherno dei critici. Non bastò a consolarlo il plauso dei lettori che fecero esaurire a tambur battente il tenebroso Malombra e neanche quello di un collega del peso di Giovanni Verga che, pur avendo scelto d’intraprendere altre strade dopo il comune assenso ai moduli della Scapigliatura, gli mandò per posta i suoi più vivi complimenti.
Il peggio, però, fu che su Antonio Fogazzaro piombò senza appello la condanna del Santo Uffizio: la sua ispirazione febbricitante, un po’ ingenua ma neanche tanto lontana dai notturni berlinesi narrati da Hoffmann, destava sospetti, autorizzava l’infierire dei censori, e storture nel giudizio, prevenzioni, prepotenze, abiezioni, finché un libro dello sventurato fu successivamente posto all’indice.
Questo spiega a sufficienza perché Malombra che avrebbe potuto aprire in Italia la strada al romanzo gotico, sul modello inglese che Jane Austen osa prendere amabilmente in giro in L’abbazia di Northanger, resta invece un caso decisamente isolato, che una cultura punitiva, di tono plumbeo e straordinariamente compiaciuta di se stessa si tolse il capriccio di mettere al bando.
Rimane però, in ogni caso, nella mente di chi l’ha letta la suprema capacità di seduzione di Marina di Malombra che condivide con la consanguinea Emma Bovary l’attrazione e l’amore quasi fisico in cui il suo autore l’avvolge. Se Flaubert amava talmente Emma da indossarne l’identità perfino in tribunale con quell’urlo doloroso che gli attira l’affetto degli artisti di ogni tempo (“Madame Bovary c’est moi!”), non è da meno Antonio Fogazzaro che accarezza, precede e segue l’affascinante Marina verso il baratro che l’attende al varco, descrivendone gli sdegni e il dolore, gli abiti fruscianti e le chiome biondo scuro, le collere e le lacrime, le passeggiate in barca e l’apparente pacificazione di attimi fugaci, ma soprattutto la voglia di perdersi in una passione che la incenerisca. Fogazzaro è davvero innamorato della sua eroina, e ci si chiede quante sorelle avrebbe potuto darle in opere successive che non sono mai nate. Con la punta di rimpianto che coglie il lettore all’idea delle tante eroine che sarebbero potute scaturire dalla sua immaginazione e si sono invece dileguate in aria, può consolare il fatto che almeno Marina di Malombra, continuamente ristampata, si configge nella mente di chi condivide le sue pene e non se ne distacca più. La prova del suo quasi diabolico potere di suggestione sono, per citare le opere migliori tratte dal romanzo, un magnifico film di Mario Soldati (con Isa Miranda) e un decoroso sceneggiato televisivo (con Marina Malfatti, casualmente omonima della sciagurata contessina). A dispetto dell’atmosfera sinistra che crea intorno a sé con la sola forza delle sue apparizioni, o forse proprio grazie a quella, un fatto rimane accertato: di Marina di Malombra finiscono con l’innamorarsi tutti.


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Scritto lunedì, 2 marzo 2009 alle 00:02 nella categoria L'OMBRA E LA PENNA (con il contributo di Antonella Cilento). Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

139 commenti a “STRANE COPPIE n. 2: GOETHE, FOGAZZARO”

Mi preme intanto ringraziare Antonella Cilento, Francesco Costa e Giuseppe Montesano per i contributi che costituiscono il corpo di questo post.
Credo che l’iniziativa “Strane coppie” ideata e lanciata da Antonella stia avendo un gran successo a Napoli.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 00:14 da Massimo Maugeri


Gli autori messi a confronto sono Goethe e Fogazzaro.
I libri: “Le affinità elettive” e Malombra”.
Come prima cosa, dunque, vi chiedo di esprimere pareri sui suddetti autori e sulle due opere citate.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 00:16 da Massimo Maugeri


Seguono le altre domande (al fine di favorire la discussione):
A vostro giudizio esistono davvero le affinità elettive, o si tratta solo di un mito?

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 00:18 da Massimo Maugeri


Ritenete che questo capolavoro di Goethe (Le affinità elettive) sia ancora “attuale”?

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 00:19 da Massimo Maugeri


Che relazione c’è tra “amore” e “senso di responsabilità”?

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 00:20 da Massimo Maugeri


(riprendendo una frase di Montesano), esiste un mondo – o una dimensione – in cui l’amore non viene messo a morte dalla società?

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 00:20 da Massimo Maugeri


Marina, protagonista di Malombra, è definita da Francesco Costa come “insoddisfatta, fremente, furiosa, (…) una parente non tanto alla lontana di Anna (Karenina) e di Emma (Bovary), delle quali spartisce una vocazione all’autodistruttività”.
Vi propongo una domanda che troverete nel testo di Costa.
Perché l’insoddisfazione delle donne ha ispirato gli artisti nel corso dei millenni?

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 00:21 da Massimo Maugeri


Chi, tra uomo e donna, riesce a sopportare meglio il peso – talvolta insostenibile – dell’insoddisfazione, della frustrazione?

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 00:22 da Massimo Maugeri


Insomma… un post che offre diversi spunti per una discussione e per un confronto.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 00:22 da Massimo Maugeri


Che bel post!!!
Non avevao mai pensato a una possibile connessione tra “le affinità elettive” e “malombra”. Bravi Montesano e Costa nei loro interventi.
le domande………….
—-A vostro giudizio esistono davvero le affinità elettive, o si tratta solo di un mito?—
secondo me esistono, anche se sono un pò mitizzate

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 11:52 da Vale


—Ritenete che questo capolavoro di Goethe (Le affinità elettive) sia ancora “attuale”?—
assolutamente si. Infatti mi vien voglia di rileggerlo. Sono anni che non lo rileggo.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 11:53 da Vale


Per ora dico solo che Le affinità elettive è un grandissimo romanzo di un grande scrittore e lo ricordo molto bene in certi passaggi. La bellissima recensione di Giuseppe Montesano mi fa desiderare di rileggerlo immediatamente.

Io credo sia ancora “attuale”. Altra epoca e modo di vivere, ma i sentimenti e le situazioni non perdono mai d’attualità. Anzi, credo che storie simili si vivano spesso anche oggi, anche se non con lo stesso finale.
E sì, io credo nelle “affinità elettive”. Esistono davvero.

Su Malombra non dico nulla perché non lo ricordo.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 11:53 da morena fanti


—Che relazione c’è tra “amore” e “senso di responsabilità”?—
l’amore vero non può prescindere dal senso di responsabilità. ma quante volte è amore vero? e quante egoismo?
.
—esiste un mondo – o una dimensione – in cui l’amore non viene messo a morte dalla società?—
mi piace pensare di si

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 11:54 da Vale


—Perché l’insoddisfazione delle donne ha ispirato gli artisti nel corso dei millenni?—
Perché l’insoddisfazione ha interessato più le donne che gli uomini. ed a causa loro, molto spesso. Le donne dosno state insoddisfatte, gli artisti (uomini) le hanno raccontate. Oggi è un po’ diverso

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 11:56 da Vale


—Chi, tra uomo e donna, riesce a sopportare meglio il peso – talvolta insostenibile – dell’insoddisfazione, della frustrazione?—
la donna, senza dubbio

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 11:56 da Vale


Prima di tutto devo dire che questo incontro è stato bellissimo,grazie ad Antonella che mette insieme i pezzi per proporci occasioni di riflessione,poi grazie a G.Montesano e F.Costa simpatici e preparatissimi che invogliano alla lettura e al al dialogo.
Le affinità elettive lo considero un capolavoro,ma da rileggere perchè letto in età in cui non sapevo cogliere appieno le sfumature,Malombra non l’ho letto,mi ripropongo di farlo presto.
Le affinità elettive esistono,sono incontri alchemici di spirito e corpo che non sempre sfociano nell’amore compiuto e vissuto,attraversano diversi generi di relazioni umane, si colgono nell’immediato ma si affinano e si coltivano con la conoscenza e la vicinanza d’animo.Rappresentano quella magia dell’incontro che non è data a tutti di vivere,un pò per predisposizione d’animo un pò per destino.
Questo testo è molto attuale,sia per struttura narrativa sia per tema,l’aspirazione alla bellezza esteriore e interiore è molto moderna,la discussione sull’attrazione pure,forse oggi un Goethe odierno avrebbe dato un altro finale.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 12:13 da francesca giulia


Nemmeno io ho letto Malombra. Lo confesso :)

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 12:15 da Vale


L’amore vissuto non può prescindere dal senso di responsabilità,l’immaginato o la passione è tutt’altra storia.
…………

Seppure la società talvolta riesce a vincere sull’amore,la forza del sentimento se è tale vince anche sulla morte,come ci suggerisce Goethe.
Se muore nella società è perchè esso stesso non ha dimostrato abbastanza la sua forza,l’amore si nutre anche della fede che riponiamo in esso.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 12:20 da francesca giulia


L’insoddisfazione è legata ad un contatto più intimo con se stessi e la donna negli anni ha avuto ,purtroppo o per fortuna,più tempo e spazio mentale e fisico di occuparsi di sè, di ripiegarsi in sè,di interrogarsi nel segreto di una vita spesso non scelta,erciò l’artista ,inquieto per natura, si è sempre interessato allo stato d’inquitudine femmnile. Oggi credo sia molto differente,siamo tutti più inquieti,ma talvolta distratti dalla vita dimentichi della capacità di sognare e di immaginare,ingabbiati in un fare continuo e frenetico.
Se ci passasse accanto un’affinità elettiva siamo certi di essere in grado di riconoscerla e di afferrarla?Non in molti,credo.
un caro saluto

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 12:25 da francesca giulia


Premetto che l’accostamento fra Le affinità elettive e Malombra stride un po’, vista l’indiscussa qualità letteraria di Goethe a fronte della quale la capacità narrativa di Fogazzaro vacilla. Uno, il tedesco, è un genio nel suo campo, l’altro, invece, ha le ambizioni da genio, ma senza esserlo.
Le affinità elettive poteva scadere nel cosiddetto romanzo popolare, ma l’abilità dell’autore l’ha impedito; l’altro, invece, Malombra, è più greve, improntato a un’atmosfera di occultismo, di sensualità estrema e di morte, come anche a suo tempo ho scritto in un breve saggio sullo scrittore vicentino, intitolato, non a caso, Antonio Fogazzario l’incompiuto.
Passo quindi a rispondere agli altri quesiti posti da Massimo Maugeri.
Sono dell’idea che esistano, come sono sempre esistite, le affinità elettive; l’amore quasi sempre non è razionalità, ma che si possano trovare due che hanno tantissimo in comune non è poi così raro ed è per questo che ritengo il romanzo di Goethe ancora attuale, perchè quando si scrive di passioni e sentimenti, rimasti pressochè immutati dalle origini dell’uomo, l’opera risulta sempre senza tempo e, per la sua stessa natura di capolavoro, fruibile anche in epoche successive.
Per l’eventuale relazione fra amore e responsabilità ho già accennato prima alla natura irrazionale dell’amore, che va oltre ogni limite e soffoca addirittura anche la coscienza, risultando l’eventuale rimorso un semplice espediente per dimostrare la propria incapacità a resistere a questa forza travolgente che s’impossessa addirittura dei soggetti interessati. Tanto per fare un esempio, cito il professor Rath del bellissimo “L’angelo azzurro” di Heinrich Mann, più conosciuto per l’omonimo film di Josef von Stenberg, romanzo in cui c’è un uomo integerrimo che perde letteralmente la testa.
Esiste un mondo – o una dimensione – in cui l’amore non viene messo a morte dalla società? In genere l’amore non viene messo a morte, ma sono gli innamorati a pagare le conseguenze di pregiudizi, di una morale locale. Non è possibile pensare che un sentimento comune come l’amore sia una negazione, ma eventualmente è il tipo di amore che viene condannato ed esecrato.
Il fatto che l’insoddisfazione femminile sia stata oggetto di numerose opere rientra un po’ in una logica maschilista, che tende a vedere la donna come fonte d’amore, come colei che lo scatena e il povero uomo che viene quasi suo malgrado coinvolto è una vittima. Allora, se sulla base di questo, la donna è fonte del piacere, si reputa che invece lei estrinsechi i suoi sensi nella dominazione dell’uomo. In buona sostanza il piacere come inteso dagli uomini non dovrebbe esistere nelle femmine e da qui deriva anche un concetto di insoddisfazione che finisce con il determinare nella donna una reale insoddisfazione. Trattata come un oggetto non può ovviamente sentirsi realizzata e, credetemi, ancor oggi non sono infrequenti rapporti fra uomo e donna che vedano solo, nel maschio, il raggiungimento della sua soddisfazione.
Per questo motivo, è proprio la donna a sopportare meglio la frustrazione, perchè quasi si convince che rientri nella logica naturale e anche perchè abituata da millenni a dare più di quel che riceve.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 12:30 da Renzo Montagnoli


Questo post è be-lli-ssi-mo. Mi riservo di intervenire con calma prossimamente. Intanto complimenti ad Antonella, Giuseppe Montesano e Francesco Costa. ho letto i loro articoli. ed a Massimo per le domandone.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 13:10 da Martina


Le affnità elettive esistono e vanno ricercate in una mancanza originaria e lontana, in una sete implacabile e perduta come un deserto.
In un vagare senza sosta e senza ragione, finchè non si scopre, con meraviglia, che quella parte mancante esisteva.
Lo si scopre come giocatori stanchi e quasi sempre in ritardo.
Come viandanti senza bisaccia e senza ritorno.
La gioia – se è già troppo tardi per i meccanismi del mondo, per le promesse già pronunciate, per gli anelli già fusi – è una sola.
Sapere che quella parte esiste ed era sempre esistita. Che non c’è altro da attendere nè da sperare.
Se non può essere della terra (dei suoi disegni già tramati, dei figli già avuti) un’appartenenza simile può essere del cielo.
Ma perchè ciò avvenga bisogna credere.
Credere non solo che ciò che muore non finisce, ma anche che ciò che non è ancora nato ha un destino.
Ha un destinatario.
L’opporsi di Ottilia all’unione terrena vuol dire proprio questo.
Affidarsi a quel prima.
E a quel dopo.
A una completezza che non è solo fuori di noi. Ma dentro di noi.
“La fede, dice Goethe, è amore dell’invisibile, fiducia nell’impossibile e nell’inverosimile”

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 13:13 da simona lo iacono


La parola AMORE si compone così: alfa privativo+ la parola mors (latino mors, mortis). Quindi la parola AMORE è vita, la parola AMORE scaccia la morte, ribadisce il principio di creazione e “l’edificare”.
Tutto quello che contribuisce alla non eliminazione degli esseri è AMORE.
e da questo ne nasce il senso del procedere.
In effetti ci sono tante Madame Bovary che credono di poter “amare” in maniera sublime ed invece il loro tornaconto prevale, così come esistono tanti Faust che nell’ombra accompagnano gli altrettanto innumerevoli Goethe e che con quest’ultimo nome si presentano al prossimo, illustri e con nobili principi, proclamata a gran voce la responsabilità verso il prossimo, non voglia venir meno la loro fama di egregi governanti o di integerrimi capi famiglia!

Ma poi: che te ne frega ?

Una donna frustrata (ma anche un uomo), coloro che non sono riusciti a realizzare i propri desideri in genere, fanno ridere, sono dei perdenti, poco importa se l’indifferenza nei loro confronti o le utopie di cui sono stati nutriti li ha ulteriormente condotti in questo stato,

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 13:21 da Rossella


Rossella, dici che chi non riesce a realizzare i propri desideri è un perdente. Ma i desideri non possono essere trasformati? Il seme che muore dà frutto. Un amore non consumato, come quello che traccia Goethe, non può diventare seme di se stesso? Lo chiedo a te ed a tutti i forumisti.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 13:25 da Beth


@ Beth:
sì, se il seme è un seme, parte di sè; altrimenti è solo materia morta che rilascia i propri umori.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 13:55 da miriam ravasio


Mi trovo d’accordo con Renzo Montagnoli, credo che non ci sia grande “affinità” tra i due autori.
Goethe per me rimane un punto fermo nella mia cultura personale. Trovo che l’aver definito “elettive” alcune qualità che accomunano gli esseri umani sia una delle trovate geniali della letteratura.
Abbiamo appreso, in una locuzione, tutta la complessità che avvicina o allontana una mente dall’altra.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 14:48 da cristina bove


Certo che le affinità elettive esistono.
Anche se non le cerchiamo coscientemente, accade d’improvviso d’incontrare un lei o un lui che ci colpisce particolarmente. L’inconscio che esce dal suo guscio dormiente e mobilita il conscio, con il quale poi bisogna ragionare, confrontarsi.
Non sempre siamo disposti a prenderlo in considerazione quando siamo presi da altri problemi che richiedono una soluzione immediata, o quando viviamo nell’indifferenza assoluta richiedente in sordina una soluzione desiderata nel nostro intimo ma sempre differita al domani. Viviamo e agiamo solitamente sempre in attesa che accada un qualcosa di particolare e quando arriva non siamo neanche preparati, ma se voluto dal destino, allora sì che accade, anche contro la nostra pigrizia, volontà e indifferenza.
Queste esperienze sono intese come volute dal destino, inconscio, nel quale tutto si deposita e ritorna per condurci là dove crediamo che un piano superiore ci voglia.
Il tema è molto interessante, ma anche difficile da trattare, perché evidenzia le necessità emotive dell’uomo al confronto con l’ordine reggente nella società seguente determinate leggi morali ed etiche prestabilite.
Accade, così, che per rispetto delle norme si rinunci a un amore sempre cercato e finalmente trovato, quindi pretendente, la cui superazione lascia un vuoto emotivo con conflitti psichici anche gravi. Non si rinuncia mai a quest’amore, al più si rimanda alla prossima volta, quando di nuovo emergerà sempre più forte.
Amore e ragione non concordano, se non riusciamo a controllare i nostri sentimenti, ma cosa fare quando un loro concordare non è della nostra natura, che sempre pretende di nuovo di essere riattivata, mai soddisfatta di ciò che ha raggiunto.
Come su un’altalena, cerchiamo di soddisfare il richiamo delle nostre aspirazioni verso l’alto, verso il massimo, ma sempre ricadiamo verso terra. Amore e ragione si abbisognano come il male e il bene, creare un equilibrio tra di loro è il compito dell’homo sapiens. È lui che deve imparare a governarsi senza rinunciare del tutto, e qui credo che fungi da mediatrice la funzione di riconoscere e perdonare sempre di nuovo chi ne è colpito maggiormente, quando riconosca che sia possibile continuare.
I personaggi in causa cambiano, ma il conflitto rimane sempre lo stesso, perché è un prodotto della nostra natura che seguente l’andamento nel Creato, abbisogna costantemente della sua mutazione, per essere rilevata, esaminata e infine vissuta sempre di nuovo, a parte i pochi casi d’eccezione.
Nell’intenzione di opporsi alle sue debolezze, ma anche disperazione, l’uomo fa ricorso alla fede nella salvezza finale, una forza capace di regolare la sua vita, che appare così a volte benevole, come condanna negli altri casi.

Saluti
Lorenzo

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 15:02 da lorenzerrimo


So di andare controcorrente ma io preferisco Fogazzaro a Goethe, e non solo perché è un autore italiano. Se è stato in parte accantonato la colpa è di certi accademici che non sono stati abbastanza bravi da farlo uscire fuori delle aule. Malombra è un libro che mi ha sempre affascinato e che non ha nulla da invidiare ai grandi romanzi europei.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 15:53 da Angela


Le “affinità elettive” esistono?
No. O solo nella mente dei sognatori, forse. Io parlerei di “compatibilità”, piuttosto……….

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 15:55 da Angela


Fogazzaro ha dato il meglio di sé in “Piccolo mondo antico”, ma in “Malombra” ha tentato la strada del gotico italiano, purtroppo incompiuta. A me piacque tanto quando lo lessi proprio per le atmosfere… adesso sto rileggendo le “Storie del castello di Trezza” di Verga, in cui si analizzano gli intrecci tra amore-passione e perdizione, passato che ti trascina all’acqua fonda (titolo originario di “Malombra”), luoghi e coazione a ripetere… L’accoppiamento tra i due libri è insolito ma felice, perché in entrambi si indaga sui meccanismi dell’amore (chimica o destino filato nel passato? ineluttabilità o responsabilità?).
A Francesco Costa: Jane Austen c’entra sempre! Per lei amore era sense and sensibility, ragione e sentimento al di là di ogni pride and prejudice, ma Pemberley non è la realtà… i desideri sono spesso frustrati ma a volte è un bene. Protect me from what I want, recita una preghiera protestante. E chi perde non è detto che sia da deridere o compiangere. L’importante è lottare. Amare comunque.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 15:56 da Maria Lucia Riccioli


Anche secondo me i due libri e i due autori sono diversissimi, ma trovo geniale e riuscito il collegamento. Bravi!
I capolavori sono e saranno sempre attuali.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 16:05 da Amedeo V.


@ Maria Luisa Riccioli: “Fogazzaro ha dato il meglio di sé in “Piccolo mondo antico”, ma in “Malombra” ha tentato la strada del gotico italiano, purtroppo incompiuta”.
Conconcordo totalmente. Del resto Malombra fu accolto piuttosto freddamente dalla critica e solo Giacosa lo incensò, definendolo il più bel romanzo italiano dopo I promessi sposi. Poi in Piccolo mondo antico, più sfumati, meno grevi, si notano degli elementi già presenti in Malombra, romanzo questo che ritengo non equilibrato, con un parossismo eccessivo.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 16:38 da Renzo Montagnoli


Gli incroci tra i personaggi delle Affinità elettive sono quanto di più riuscito nella letteratura mondiale di tutti i tempi.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 17:26 da Ric


Dove trovate un italiano bastantemente colto che vi parli come vi parlo io dell’arte? La grande maggioranza degli uomini educati non ne capisce niente, ma si guarda molto bene del confessarlo. È curioso di star ad ascoltare un gruppo di questi sciocconi ipocriti davanti ad un quadro o a una statua, quando fanno una fatica del diavolo per metter fuori dell’ammirazione, credendo ciascuno di aver a che fare con degli intelligenti. Se potessero levarsi la maschera tutti ad un tratto, udreste che risata! (da Malombra)

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 20:03 da da Malombra


Vi ringrazio tutti per i vostri commenti.
Vi esorto a continuare e a interagire.
Questo post ci farà compagnia per qualche giorno.

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 21:30 da Massimo Maugeri


Da una prima occhiata ai commenti mi pare di capire che preferite Goethe a Fogazzaro, “Le affinità elettive” a “Malombra”…

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 21:31 da Massimo Maugeri


Qualcuno non pare molto convinto dell’accoppiata.
Ma qui siamo a “strane coppie”, amici… ;)
È giusto che sia così!

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 21:32 da Massimo Maugeri


Ne approfitto anora per ringraziare Antonella Cilento, Giuseppe Montesano e Francesco Costa.
Vi invito a intervenire, naturalmente…
Magari potreste raccontare l’esperienza del convegno da vostro punto di vista… o inserire nuove considerazioni…

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 21:34 da Massimo Maugeri


Per il momento mi fermo qui. Spero, domani sera, di poter “riprendere” qualcuno dei vostri interessantissimi commenti.
Una buona serata a tutti!

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 21:35 da Massimo Maugeri


a me affinità sembra una parola grossa. fa pensare (anche) a una analogia tra i livelli di creatività. e, per quanto mi riguarda, tra Goethe e Fogazzaro c’è la stessa differenza che c’è tra l’oceano e un pittoresco laghetto. Goethe spazia nell’animo umano e fuori da esse mettendo l’uomo al cospetto del “tutto”. Fogazzaro è senza dubbio un bravo narratore di sentimenti e atmosfere. “Piccolo mondo antico” è pregevole, ma oltre non si va

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 22:07 da enrico gregori


Io non sono amico di certe mollezze sentimentali moderne; io credo che è molto bene per l’uomo di ripassare ogni tanto le lezioni e i precetti ch’egli ha avuto, direttamente o indirettamente, dalla sventura, e di non lasciarne estinguere, di rinnovarne il dolore, perché è il dolore che li conserva. E poi il dolore è un gran ricostituente dell’uomo, credete; e in certi casi è un confortante indizio di vitalità morale, perché dove non vi è dolore, vi è cancrena.
……
citazione di Fogazzaro da “Malombra”

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 22:28 da Marvin


Forza Fogazzaro…..
Fo-ga-zza-ro! Fo-ga-zza-ro!
:)

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 22:29 da Marvin


Sono l’unico che non ha letto nè l’uno nè tantomeno l’altro? Probabilmente sì, mi pongo da solo sulla pubblica gogna.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 00:01 da Gianfranco Bussalai


A proposito delle “affinità elettive” di Goethe, vi propongo un paio di traduzione degli incipit. Secondo voi qual è il più efficace?

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 00:04 da Mariano


INCIPIT 1
[Johann Wolfgang von Goethe, Le affinità elettive, traduzione di Ada Vigliani, A. Mondadori.]
.

Edoardo – daremo questo nome a un ricco barone nel fiore dell’età virile – aveva trascorso l’ora più bella di un pomeriggio d’aprile nel suo vivaio, per innestare su giovani tronchi delle marze ricevute da poco. Il lavoro era appena terminato. Egli riunì gli attrezzi e li ripose nella custodia. Mentre osservava soddisfatto la propria opera, arrivò il giardiniere, che sorrise compiaciuto per la collaborazione e lo zelo del padrone.
“Hai per caso visto mia moglie?” domandò Edoardo mentre s’accingeva ad andarsene.
“Laggiù nell’area nuova” rispose il giardiniere. “Finiranno oggi la capanna di muschio che la signora ha fatto costruire a ridosso della parete di roccia, di fronte al castello. È riuscito tutto molto bene e piacerà senz’altro a Sua Grazia. C’è una vista stupenda: sotto il paese, un po’ a destra la chiesa – e si riesce quasi a vedere al di là del campanile –, di fronte il castello e i giardini.”
“È proprio vero” disse Edoardo. “A pochi passi da qui riuscivo a vedere gli uomini al lavoro.”

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 00:05 da Mariano


INCIPIT 2
[Johann Wolfgang von Goethe, Le affinità elettive, traduzione di Henry Furst, Rusconi Editore, 1967.]
.
Eduard – così chiameremo un ricco barone, nel fiore dell’età virile – Eduard aveva passato l’ora più bella d’un pomeriggio d’aprile nel suo vivaio d’alberi; per innestare sui giovani fusti le fresche marze. Aveva appena terminato e riponeva gli arnesi nella custodia, compiaciuto del proprio lavoro, quando entrò il giardiniere che si rallegrò nel vedere il padrone prendere parte alle sue fatiche.
«Hai veduto mia moglie?», domandò Eduard preparandosi ad andare via.
«È lassù nel terreno nuovo», rispose il giardiniere. «La capanna di musco che ha fatto costruire sotto la parete di roccia, di fronte alla villa, sarà terminata oggi. Tutto è riuscito molto bene, e piacerà a Vostra Signoria. Di lì si gode una bellissima vista: sotto, il paese, un poco a destra, la chiesa, dal campanile lo sguardo liberamente spazia; di fronte, la villa e i giardini».
«Infatti», rispose Eduard; «a pochi passi da qui potevo vedere gli uomini al lavoro».

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 00:06 da Mariano


Io credo invece che tra i due testi ci sia un legame.
Ed è il rapporto, intimo, inesplicabile, tra desideri e possibilità di appagarli.
La radice latina di desiderio è DE-SIDERA, dalle stelle.
Ed è forse per questo che i desideri – e la loro astrale potenza – ci dominano dall’alto. Ci afferrano di spalle.
La radice di un’affinità – la felicità di adempierla – è piantata nei nostri desideri, nel sogno che infondono.
I desideri, a ben guardare, dicono molto di noi. Della nostra storia.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 07:49 da simona lo iacono


Con tutto il dovuto rispetto per Fogazzaro – che pure apprezzo e stimo – mi sembra che scomodare il genio di Goethe crei un paragone alquanto artificioso e forzato, addirittura un po’ claudicante.
Sarei del parere, in questi raffronti, di prendere scrittori se non di uguale, almeno simile statura (cfr. Tolstoj e Dostoevskij; Pirandello e Giuseppe Tomasi di Lampedusa; Emily Bronte e sua sorella Charlotte o altri grandi che collimino un po’ di più nelle dimensioni).
Naturalmente, è solo una mia opinabile convinzione.
Grazia
http://curiosa.splinder.com

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 09:09 da Grazia


questo confronto tra goethe e fogazzaro, tra affinità elettive e malombra è molto stimolante. sinceri complimenti per l’ottima iniziativa.
amelia

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 09:31 da amelia


@grazia
signora grazia,invece io trovo interessante proprio perchè trattasi di due autori di diverso spessore,ma non lontani nel tema affrontato,fra l’altro dandoci la possibilità di una rilettura di un romanzo italiano poco antologizzato anche nelle scuole e che è un esempio raro di romanzo gotico italiano,perciò molto moderno. Pensi a quanti ragazzi leggono e si invaghiscono di storie fantasmagoriche di amori impossibili e vampirismo. Io sono grata all’idea di Antonella Cilento perchè un pò fuori dagli schemi classici di proposte culturali,mi è da stimolo per letture che altrimenti avrei difficilmente riaffrontato e guardato con occhio critico-Malombra-.Del resto se avessero messo a confronto le due sorelle Bronte,la terza si sarebbe sentita esclusa… e non si sarebbero chiamate “strane coppie”.
Naturalmente anche questa è la mia modestissima openione.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 09:41 da francesca giulia


@mariano è molto interessante il confronto fra i due incipit che hai riportato,però bisognerebbe vedere anche il testo originale per apprezzare o meno l’una o l’altra-e io personalmente non conosco il tedesco!-,posso dire che in generale apprezzo molto quando i nomi dei protagonisti vengono lasciati in lingua madre e d anche altri termini,per quanto sia possibile, conservino il sapore originale,perciò d’istinto ti direi l’incipit II, mi pare anche un pò più lirico nella scelta dei termini.
grazie saluti

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 10:07 da francesca giulia


Sono perfettamente d’accordo con Francesca giulia”trattasi di due autori di diverso spessore,ma non lontani nel tema affrontato,fra l’altro dandoci la possibilità di una rilettura di un romanzo italiano poco antologizzato anche nelle scuole e che è un esempio raro di romanzo gotico italiano,perciò molto moderno”

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 10:12 da Martina


Ancora grazie alla Cilento ed a Massimo. E poi si, le affinità elettive esistono.eccome

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 10:13 da Martina


vi scrivo un brano preso dalle Affinità elettive che fa molto riflettere

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 12:53 da giorgio


« Abbiamo commesso una pazzia: ora lo vedo fin troppo bene. Chi, giunto ad una certa età, vuole realizzare sogni e speranze di gioventù, si inganna sempre, giacché nell’uomo ogni dieci anni cambia il concetto delle felicità, cambiano le speranze e le prospettive. Guai a colui che, dalle circostanze o dall’illusione, viene indotto ad aggrapparsi al futuro o al passato! Abbiamo commesso una pazzia. Dovremmo, per una sorta di scrupolo, rinunciare a ciò che i costumi del nostro tempo non ci vietano? In quante cose l’uomo ritorna sui suoi propositi, sulle sue azioni, e non dovrebbe farlo qui, dov’è in gioco tutto e non un dettaglio, dove si tratta non di questa o di quella condizione di vita, bensì della vita in tutto il suo complesso? »
da LE AFFINITA’ ELETTIVE DI GOETHE

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 12:54 da giorgio


Che Goethe sia un genio non è da porre in discussione: io personalmente ne seguo trafelato le tracce come un detective e ho visitato la sua casa natale a Francoforte, l’appartamento da lui occupato a Roma, i palazzi da lui visitati a Napoli e perfino la Villa Patagonia di Bagheria da lui percepita con un pizzico di sgomento in “Viaggio in Italia” e in cui è stata girata (ancora mi batte forte il cuore) una scena di un film di Alfonso Arau, tratto dal mio romanzo “L’imbroglio nel lenzuolo” e interpretato da Maria Grazia Cucinotta, Anne Parillaud e Geraldine Chaplin. Non ho ancora esplorato la sua ultima dimora, quella di Weimar, e un giorno certamente lo farò. Non c’è però alcun motivo di dare addosso al povero Antonio Fogazzaro che è scrittore febbricitante e interessantissimo. Il legame fra lui e Goethe? Intanto Corrado, il protagonista maschile di “Malombra”, studia l’autore de “I dolori del giovane Werther” anche per apprenderne la lingua. E sono fermamente convinto che se Fogazzaro fosse stato di lingua inglese, Tim Burton o David Lynch avrebbero ricavato un film grandioso da “Malombra”: l’ostracismo del clero e una certa supponenza con cui giudichiamo le opere che trattano di temi fantastici (oltre Tommaso Landolfi, quanti altri autori possiamo vantare come campioni del fantastico?) hanno determinato la marginalità di Fogazzaro e del genere con cui amava confrontarsi. Quando però affolliamo le platee di film angloamericani, quasi tutti appartenenti al filone irrealistico (si pensi allo Steven Spielberg di “Poltergeist”), perdiamo la spocchia e sbaviamo estatici. Quello che voglio dire è in sostanza di non snobbare Fogazzaro, perché non ce n’è motivo, e leggetevi “Fosca” di Igino Ugo Tarchetti, romanzo che con “Malombra” ha qualche affinità: è un romanzo eccellente. Approfitto di questa mia incursione per ringraziare Antonella Cilento del bel regalo che mi ha fatto con quella magnifica serata al Goethe Institut di Napoli (un palazzo di sbalorditiva magnificenza), in cui mi sono sentito un attore brillantissimo e molto amato, e che dire del partner che indegnamente affiancavo su quella scena? Giunto in ritardo a causa del traffico partenopeo, Giuseppe Montesano ha conquistato in pochi minuti e senza sforzo una platea che apprendeva le peripezie editoriali del povero Fogazzaro e ci ha fatti volare con la sua esposizione di “Le affinità elettive”. Niente di paludato, però. Sense of humour in abbondanza, e molte risate, e un indiscutibile affiatamento fra lui e il sottoscritto, quasi avessimo calcato insieme le scene per decenni, e applausi a scena aperta. E peccato per chi non c’era. Grazie anche all’amico Massimo per aver pubblicato l’intervista su “Presto ti sveglierai” e complimenti per questo blog che è ormai un punto di riferimento imprescindibile per chi ama le patrie lettere. Abbracci a chi scrive e soprattutto (of course) a chi legge, Francesco Costa

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 13:25 da francesco costa


@francesco concordo in pieno con te,e ti rinnovo i complimenti per la serata- ero nel gruppone di Antonella!- oltre alle tematiche affrontate è stato piacevole proprio partecipare con “leggerezza”, che non è mai superficialità,ma capacità di parlare di grandi temi senza essere per forza di cose accademici e noiosi!peccato per chi non c’era,bravi e frizzanti tu e Montesano.
cari saluti

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 13:43 da francesca giulia


Bravissimo Francesco Costa. Approvo ogni parola.
Fo-ga-zza-ro! Fo-ga-zza-ro!
:)

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 14:02 da Marvin


- A vostro giudizio esistono davvero le affinità elettive, o si tratta solo di un mito?
(Certo che esistono! Il dramma è che le affinità elettive si incontrano assai di rado. In molti casi si pensa siano affinità elettive, ma – ahimé – son solo abbagli. I libri di Goethe rimangono tutti attuali).

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 15:16 da Margherita


- Che relazione c’è tra “amore” e “senso di responsabilità”?
(Una relazione spesso sofferta, quando la responsabilità va in direzione diversa dall’amore).

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 15:18 da Margherita


- Perché l’insoddisfazione delle donne ha ispirato gli artisti nel corso dei millenni?
(Forse perché le donne, in passato, si sono accontentate della *denuncia* della loro insoddisfazione ad opera di artisti maschi?)

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 15:21 da Margherita


- Chi, tra uomo e donna, riesce a sopportare meglio il peso – talvolta insostenibile – dell’insoddisfazione, della frustrazione?
(Quanti uomini conosci in grado di sopportare il peso dell’insoddisfazione e della frustrazione).

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 15:22 da Margherita


Mancava il punto interrogativo *?*

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 15:22 da Margherita


Carissimi/e,
la seconda serata di Strane Coppie è stata frizzantissima e questo ormai, anche dal dibattito nato qui, sia pur indirettamente, è chiaro. La coppia è strana, certo, ma occorre considerare l’obbligo di trovare paralleli fra autori italiani e stranieri: magari la vera coppia, lo scrivevo pochi giorni fa a Giuseppe Montesano, sarebbe stata Goethe / Kundera. La direttrice del Goethe desiderava invece Goethe/Soldati (Lettere da Capri). Io credo infine che – benché l’importanza di Goethe sia scontata se paragonata al povero Fogazzaro – l’accoppiata funzionasse e funzioni a molti livelli subliminali: le affinità cercate e mai trovate, la censura subita da entrambi i testi parlano di vicende simili in scrittura, non importa quanto diverse nei generi o nei risultati. Il nostro paese stenta sempre a considerare l’importanza dei propri autori, nel passato come nel presente. Corre dietro alle mode (adesso torna di moda Marinetti e tutti sono futuristi) e poco alla sostanza dei libri che si scrivono. Fogazzaro è stato uno scrittore finissimo, un grande poeta, un narratore di rara bravura che l’accademia e il luogo comune ha relegato in un canone sentimentale ed esotico. Come ha ragione Francesco circa il pregiudizio sul fantastico in Italia: non dimenticherò mai un’intervista fattami da una celebre giornalista a proposito del mio terzo libro che aveva per tema la reincarnazione. Mi chiedeva se ci credessi: ma non era questo il punto! Le risposi: forse che Svevo “credeva” nella psicanalisi? Scrivo una storia, il resto che conta? Qualcuno lo chiese al Mishima della Tetralogia del mare della fertilità? Suppongo di no, essendo Mishima giapponese…
Il fantastico che osanniamo nelle letterature inglese, tedesca e russa è considerato una scemenza in questo paese più realista del re. E invece. Invece Fogazzaro risponde alle tensioni della sua epoca, scrive come Poe o come il Nievo più buio, anticipa Landolfi.
Ciò detto: una serata bellissima, sospesa sullo scalone di palazzo Ruffo della Scaletta (altro che scaletta: un ingresso munumentale, pre liberty e spettacolare per cui il proprietario si rovinò e solo perché re Ferdinando gli aveva fatto i complimenti per il palazzo, bellissimo ma che a suo avviso mancava di una scala…). Nella sala dipinta e con le appliques in stile antico siamo stati per un po’ nell’ombrosa compagnia di Marina, di Eduard, di Ottilie…
Alla prossima!
Antonella

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 15:38 da antonella cilento


Grazie Antonella per il tuo resoconto fedele e poetico…
Verissimo, c’è una pregiudiziale fortissima degli Italiani nei confronti del fantastico, praticato quasi con vergogna dagli stessi autori e pochissimo considerato. Un genere bellissimo che ci ha dato un Buzzati, un Calvino -rileggiamo l’antologia dei racconti fantastici compilata proprio da Italo Calvino! – per tacer degli altri…
Fogazzaro è uno scrittore misconosciuto che meriterebbe una riscoperta!

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 16:27 da Maria Lucia Riccioli


Ciao Francesco! Non ho dubbi che tu e Montesano abbiate fatto faville…
Lucy Steele

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 16:31 da Maria Lucia Riccioli


Mariano, hai fatto benissimo a presentare due traduzioni diverse dell’incipit. Io ad istinto preferisco la seconda, come Francesca Giulia. Nulla togliendo alla prima, però questa è più poetica, almeno per me. Goethe rimane di un’attualità sconcertante, ma Malombra gioca con il sotterraneo, l’indicibile, il mistero e conserva il suo fascino.
W Fogazzaro!
Da premettere che il nostro dovette lottare – lui cattolico sincero e convintissimo – contro una sorta di “persecuzione” perché venne tacciato di modernismo, mentre noi lo consideriamo un po’ da antiquariato… leggetelo!!!
Penso anche a “Piccolo mondo moderno” e a “Il Santo”, in cui c’è il contrasto tra fede, politica, arte, ragione. Questioni quanto mai attuali.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 16:41 da Maria Lucia Riccioli


Brava Antonella. Brava Maria Lucia. Rivalutiamo Fogazzaro. Facciamolo uscire dalle aule cupe e polverose di certe università………………..

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 16:45 da Marvin


Senza nulla togliere a Goethe, ovvio

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 16:45 da Marvin


Cara Miss Lucy Steele,
nel folto pubblico dei plaudenti al Goethe Institut ho provato un sincero rimpianto che non ci fossi anche tu che rechi, dovunque vai, buonumore e allegria. Ti mando un bacio e ti riconfermo, anzi ti raddoppio il mio affetto. E’ stata una gran bella serata, sì, e la fastosa cornice si adeguava a perfezione ai due romanzi di cui parlavamo, risalendo infatti la sua costruzione approssimativamente all’epoca in cui sono stati scritti. Sono contento che Antonella Cilento abbia messo in rilievo un dettaglio che nella fretta non avevo reso noto: entrambi i romanzi, sia quello di Goethe che quello di Fogazzaro, hanno avuti seri problemi con la censura e sono stati ritenuti immorali dai soliti codini. Li considero sotto quest’aspetto, al di là delle possibili differenze di valore, libri militanti e attenti al percorso evolutivo dell’umanità. Entrambi pongono l’accento sull’insopprimibilità dell’istinto (o della chimica, se vogliamo chiamarla così) e dell’oppressione che sulla nostra natura più intima esercitano le convenzioni sociali (allora come oggi), per cui il suicidio di Emma Bovary o quello di Marina di Malombra appaiono come un atto dettato non tanto dal senso di rinuncia quanto da un profondo desiderio di libertà, se non addirittura un gesto rivoluzionario. Le affinità elettive esistono nella realtà, certamente, anche se è più frequente verificarle nella forma della repulsione che in quella dell’attrazione. Ovviamente incontriamo più spesso individui che ci respingono che figure magneticamente attraenti. Se fosse il contrario, questo pianeta non sarebbe la valle di lacrime che è, squassata da continue guerre e governata da svariati lestofanti, e noi saremmo tutti più felici. E ho da aggiungere un particolare sul favore che il nostro “repertorio” gotico o fantastico incontra anche all’estero: forse non tutti sanno che “Fosca”, capolavoro della Scapigliatura, è stato talmente amato da un musicista statunitense da ispirargli un musical che è stato rappresentato per anni con grande successo a Broadway. Tanto per dire… Risaluto tutti, schiocco un bacio sulle guance di Francesca Giulia, mi faccio tutto rosso per il plauso di Marvin (eri presente al Goethe Institut?), e ri-ringrazio Antonella Cilento e lo scoppiettante (oltre che gentilissimo) Montesano. Ce ne saranno altre, di serate così, perché ce le meritiamo… Francesco Costa

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 17:04 da francesco costa


Sigh, no. Non c’ero. Abito da tutt’altra parte. Ma grazie a voi è come se ci fossi stato.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 17:10 da Marvin


@gli assenti per la prossima volta : fate un bus gran turismo e venite tutti a Napoli!Non ve ne pentirete, e non è una minaccia! :-)

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 17:15 da francesca giulia


Carissimo Massimo,
nell’attesa di rileggere il testo di Goethe e di leggere quello di Fogazzaro, rispondo alla tua domanda sull’esistenza delle “affinità elettive”: sì, certo, esistono sempre. Se Goethe non fosse il grande scrittore che è, avrebbe fatto “divorziare” Edoardo e Carlotta; però, siccome non è certo banale, egli racconta di come nella vita a queste “affinità” si debba rinunciare ed è nella natura delle cose, perché se nella nostra epoca tutto diventa plausibile pur di “soddisfare” ogni tipo di “bisogno”( sia esso l’amore o l’attrazione fisica o il desideri di possesso di qualcosa ecc), all’epoca di Goethe, in cui i “costumi” erano più “morigerati” o perlomeno le persone erano meno portate ad assecondare i propri deideri se non altro spinti da un sentimento di “buona creanza”( non necessariamente legato alla morale suggerita dalla fede), questo non succedeva tanto spesso. Io credo di saper bene, se mi sforzo perché mi torni alla mente un periodo particolare della mia vita di sedici anni fa, cosa significa rinunciare a una “affinità” per buona “creanza”.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 20:02 da roberta


Chiedo scusa: DESIDERI, non deideri.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 20:04 da roberta


E a proposito di desideri…”Il destino esaudisce i nostri desideri, ma a modo suo, per poterci dare qualche cosa che oltrepassa i nostri desideri…” (Goethe, le affinità elettive, cap. 10)

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 20:21 da simona lo iacono


E della paura che fanno i desideri….”Una porta segreta gli si era spalancata davanti improvvisamente; non vi si vedeva che ombra; ma ne spirava un’aria fredda, piena di calma. Godere, soffrire, amare, quanto durano? Ove finiscono? E, sovra tutto, cosa ne resta? …”(Fogazzaro, Malombra, capitolo 4)

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 20:23 da simona lo iacono


@ Mariano: il secondo, indubitabilmente.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 20:42 da Gianfranco Bussalai


Cari amici, vi ringrazio tutti di cuore per i bellissimi commenti.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 21:42 da Massimo Maugeri


Dai vostri commenti è emersa una sorta di sfida tra Goethe e Fogazzaro che mi ha fatto sorridere.
Goethe è uno dei “massimi scrittori” (su questo non ci piove) e la maggior parte dei grandi scrittori rischierebbero di essere oscurati dalla sua ombra.
Eppure questo post segna pure (si evince dai vostri commenti) la rivalsa di Fogazzaro. Non pensavo che Fogazzaro potesse contare sul sostegno di fan dotati di così tanta… foga (pregasi notare il gioco di parole):-)

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 21:45 da Massimo Maugeri


Scherzi a parte, iniziative come queste – portate avanti da Antonella – (e di conseguenza post come questi), servono a togliere un po’ di polvere dal ricordo e dalle pagine di alcune meritevoli opere.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 21:50 da Massimo Maugeri


Ho trovato molto interessanti le connessioni tra le due opere che alcuni di voi hanno trovato…

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 21:51 da Massimo Maugeri


Ovviamente non posso non ringraziare in maniera speciale Antonella Cilento e Francesco Costa per i loro ulteriori commenti (che ci hanno aiutato a essere ancora “più presenti” all’evento napoletano del 19 febbraio.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 21:52 da Massimo Maugeri


“…iniziative come queste servono a togliere polvere dal ricordo e dalle pagine di alcune meritevoli opere…”
Verissimo, Massi.
E a ricordarci che:
“L’arte si occupa di quel che è difficile e buono” (Goethe, le affinità elettive, cap 5)

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 21:53 da simona lo iacono


Francesco Costa scrive: “complimenti per questo blog che è ormai un punto di riferimento imprescindibile per chi ama le patrie lettere”.
Grazie, Francesco… le tue sono le parole di un amico (ma non farmi arrossire!).
-
Francesco faceva riferimento a una intervista che mi ha rilasciato… la trovate qui:
http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2009/03/03/presto-ti-sveglierai-intervista-a-francesco-costa/#comments
E’ riferita al suo libro “Presto ti sveglierai” (Salani) di cui abbiamo già parlato in questa sede.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 21:57 da Massimo Maugeri


Brava, Simo!
Un’ulteriore connessione…:-)

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 22:01 da Massimo Maugeri


Goethe, dice lui stesso, parla di affinità elettive in riferimento alla chimica: due sostanze che si combinano e nel frattempo cambiano cambiandosi.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 22:22 da giulio


È vero, Giulio. Poi però il principio delle “affinità elettive” (che può esser visto anche come metafora) è traslato su alcuni personaggi.
Secondo te, nella vita, le “affinità elettive” esistono o no?
Qual è la tua esperienza?

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 22:45 da Massimo Maugeri


….è anche una questione di ricettività,nel senso che se esistono non siamo tutti predisposti a coglierle….
pardon mi sono intromessa.
felice notte

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 22:53 da francesca giulia


Adoro le tue intromissioni, Francesca Giulia:-)
Auguro buonanotte a te e a tutti.

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 22:54 da Massimo Maugeri


questa sì che è una…affinità intromissiva.
:-) ))))))))))grazie bon nuit

Postato martedì, 3 marzo 2009 alle 22:58 da francesca giulia


Le affinità elettive esistono. Io sto ancora cercando la mia……….. non mi stancherò di cercarla fin quando avrò un filo di vita.

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 00:21 da Alba


@ Goethe- Fogazzaro
sulle affinità ho già scritto sopra con accenni generali, ritenendole proprie di ogni essere umano.
Sulle persone desidero aggiungere, che sono senz’altro due personalità elevate del genio letterario.
Goethe intelligente, discepolo di Mefisto per raggiungere veggenza, a scapito delle sue qualità di uomo, perché presuntuoso e invidioso dei suoi contemporanei celebri che tentò di sfruttare e infine anche inaffidabile e sfruttatore nei suoi vari amori.
Fogazzaro, anche lui intelligente, passionale perché italico, è di certo più umano e per me più sostenibile e comprensibile.
Scusate, ma io giudico le persone prima dalle sue qualità etiche e solo dopo da quello che hanno creato.
Esistono tantissime persone che posseggono la veggenza buona, non comprata ma conquistata con il dolore e la sofferenza, e non sono neanche conosciute come i due signori, a loro gli allori e la riconoscenza, perché di loro ha più bisogno questo mondo.
Saluti
Lorenzo

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 00:52 da lorenzerrimo


Certo che accostare Goethe a Fogazzaro! … E lo dico da vicentino. Tuttavia, Fogazzaro non è un romanziere da sottovalutare. Anzi. Sebbene la critica militante non sia stata molto entusiasta nei confronti suoi e, specialmente, di Malombra (il suo primo romanzo). Mi sovviene, fra i tanti, il giudizio – secondo me comunque calibrato – di Mario Pazzaglia, il quale tende a sottolineare come in Malombra – e nell’arte fogazzariana in genere – emergano il senso del mistero, l’abbandono alle suggestioni dell’inconscio, l’auscultazione delle voci arcane della natura, la sensualità mescolata in modo alquanto contraddittorio alla coscienza religiosa e risolta in un brivido di sensazioni raffinate e compiaciute. Insomma, un romanzo (Malombra) di atmosfere piuttosto che di fatti, in cui vengono esaltate le cadenze e le suggestioni musicali della prosa, sulla scia di un ultraromanticismo già vicino al decadentismo.
Riguardo – poi – all’esistenza delle affinità elettive, beh, rispondo che queste affinità sono una costruzione del pensiero, forgiata dai condizionamenti dell’inconscio, ricettacolo di ardori, fuochi e desideri sentimentali vivificanti. Anche se votati – magari – a rimanere celati o inappagati.
Affinità che Goethe ha reso “eterne”, nel senso che rimarranno sempre attuali non solo negli ambiti letterari o poetici, bensì anche nel confronto tra razionale e irrazione, conscio e inconscio che ciascuno di noi consapevolmente o no, effettua durante il dipanarsi delle situazioni individuali o collettive in cui viene coinvolto quotidianamente.
Altra domanda: c’è relazione tra amore e senso di responsabilità?
Sì, ma nell’ipotesi in cui l’amore venga inteso e accettato nella sua dimensione o peculiarità essenzialmente sociale. Prima viene l’innamoramento, che brucia l’anima e il corpo degli amanti, poi l’amore, che potrebbe sfociare in un rapporto, in una convivenza solida, proiettata nel futuro e nelle sue molteplici incognite da fronteggiare. Dicendola per certi versi con Francesco Alberoni.
Ultima domanda: esiste un mondo – o una dimensione – in cui l’amore non viene messo a morte dalla società?
Esiste, esiste. Ma solamente nell’arte o nei sogni, per i più. Dal momento che qualsiasi società poggia su regole e convenzioni codificate, più o meno rigide, comunque “rigide”, che escludono o bollano le eccentricità e le “devianze”, soprattutto nei confronti delle pulsioni (sessuali e sensuali) che potrebbero intaccare la coesione o la sopravvivenza della società medesima.
Grazie, Ausilio Bertoli

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 02:28 da giuseppe ausilio bertoli


Non vorrei essere frainteso nel mio giudizio su Antonio Fogazzaro. Accostato a Goethe ne esce senz’altro inferiore, ma di per se stesso l’autore vicentino è un ottimo scrittore, dotato di un bagaglio tecnico di indubbia qualità.
A Fogazzaro manca quella determinazione che invece è ben presente nel romanziere tedesco. E’ una caratteristica, che segnerà la sua vita. Già a tre anni sapeva leggere, eppure a scuola non andò bene, laureandosi con difficoltà in giurisprudenza. Anche come poeta gli manca quell’applicazione, quello studio che può migliorare la sua produzione e di questa mancanza di determinazione un chiaro esempio è la famosa vicenda del suo sostegno alla teoria darwiniana dell’evoluzione. E’ convinto di quello che ha concepito lo scienziato inglese e tiene conferenze, entrando in contrasto con la Chiesa e finendo poi con il chinare il capo, come avverrà poi con Il santo, messo all’indice, con Fogazzaro che obbedisce senza fiatare, non consentendo traduzioni e ristampe.
Nei suoi scritti, al contrario, i personaggi vanno fino in fondo, in una sorta di esasperazione che non trova facilmente riscontri nella letteratura italiana. E’ evidentemente una reazione al suo carattere debole, con la creazione di protagonisti decisi ad ogni costo.
Malombra ha tutte quelle caratteristiche che connotano un romanzo gotico, nato in Inghilterra per merito di Horace Walpole (Il castello di Otranto) e poi consacrato da Mary Shelley con Frankestein e da Bram Stoker con Dracula.
Il gotico italiano del 1800 è più realistico di quello inglese, nel senso che non ci sono creature mostruose, ma riprende l’atmosfera misteriosa, anche decadente, ricorrendo a volte anche al paranormale.
Sotto questo punto di vista Malombra è una primizia per l’epoca e di ciò deve essere riconosciuto il merito a Fogazzaro.
Buona giornata.

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 08:47 da Renzo Montagnoli


L’accostamento tra Goethe e Fogazzaro è più che stimolante. Ottima idea. Più tardi leggerò i commenti, poi dirò la mia. Grazie per l’invito e complimenti.

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 10:03 da Renato


una vita soltanto a disposizione,eppure c’è chi, in questa vita,riesce a trovare anche il tempo per leggere Fogazzaro. Incredibile!

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 13:04 da filippo 2


@ Filippo 2
Fo-ga-zza-ro! Fo-ga-zza-ro!
:)

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 13:11 da Marvin


Io non sono amico di certe mollezze sentimentali moderne; io credo che è molto bene per l’uomo di ripassare ogni tanto le lezioni e i precetti ch’egli ha avuto, direttamente o indirettamente, dalla sventura, e di non lasciarne estinguere, di rinnovarne il dolore, perché è il dolore che li conserva. E poi il dolore è un gran ricostituente dell’uomo, credete; e in certi casi è un confortante indizio di vitalità morale, perché dove non vi è dolore, vi è cancrena. (da Malombra)

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 13:21 da Fogazzaro


A Goethe preferisco Foscolo, anche se è un suo epigono. Di Fogazzaro ho letto Piccolo mondo antico. Su Malombra ho letto questa recensione di Sabina Marchesi. Metto il link http://www.kultunderground.org/archivio.asp?art=7184

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 13:32 da Alex


Apprezzo e condivido pienamente le puntualizzazioni di Renzo Montagnoli riguardo alla figura e all’indole di Antonio Fogazzaro e alle caratteristiche formali e contestuali del romanzo Malombra.
Buon pomeriggio, A. Bertoli

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 14:04 da giuseppe ausilio bertoli


Nella libreria di mio padre ho trovato ‘Le affinità elettive’ e ‘Malombra’. Le ho prese e messe sul mio tavolino. ih ih ih:)
da dove comincio?

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 14:35 da Fabiola


@fabiola dipende dal tuo stato d’animo del momento,il libro deve essere un piacere prima che un approfondimento culturale,bisogna che si venga a creare un magico incontro tra il lettore e il libro,certe volte non è nemmeno casuale questo incontro,io penso che affinando la tua sensibilità sarà il libro a sceglierti…
con simpatia

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 15:01 da francesca giulia


Fabiola, te la butto lì: ogni tanto mi capita di leggere due libri (o anche più) contestualmente…
-
Marvin, secondo me di Fogazzaro hai pure la sciarpa da tifoso… :)

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 16:50 da Massimo Maugeri


…anche io faccio così,solo che una volta cercavo disperatamente un personaggio di simenon in una poesia di neruda e il peggio è che l’ho trovato nelle novelle orientali della yourcenar!però mica è detto che faccia male??
saluti e baci, a più tardi,forse.

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 16:56 da francesca giulia


“A vostro giudizio esistono davvero le affinità elettive, o si tratta solo di un mito? ”
“esiste un mondo – o una dimensione – in cui l’amore non viene messo a morte dalla società? “-
-
“Affinitàelettive”, “etica”, “spazio”, “tempo”, “morali”, “società”, “religioni”…
servono solo a limitare il desiderio e rinchiudero in saldi clichè dove custodire le nostre paure. E’ la tendenza umana. Per questo, non esiste un mondo o una dimensione in cui l’amore non viene messo a morte dalla società : cioè da noi.
-
Il desiderio è come un mezzo che ha inserito il pilota automatico.
All’inizio è un aereo : che sembra volare spedito verso un obiettivo. Poi diviene una nave : che naviga ad andatura da crociera; chè capisce di essere sospesa tra l’immensità del cielo e la culla del mare; di percepirsi lontani dal punto da cui si è partiti e diretti verso quell’orizzonte che vedi avvicinarsi ma non raggiungi mai.
Noi siamo solo passeggeri incantati, di questo sentimento più grande di noi.
E molto spesso ci fa paura. Allora meglio “att(r)accarsi” a qualcosa di più sicuro e che crediamo di conoscere. Ma poi viene la noia.
E allora torna la voglia di navigare…
-
Carina, questa me la segno (Quanti regali che vi sto facendo…)
-
Un saluto a tutti

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 17:21 da Gianni Parlato


“Perché l’insoddisfazione delle donne ha ispirato gli artisti nel corso dei millenni?”-
-
La Psicologia cita che esiste la “schizofrenia dell’artista”; non è mera malattia, state tranquilli.
La sensibiltà creativa dell’artista, transmuta nei soggetti o addirittura gli oggetti che osserva. Allora ci penetra, s’immerge, ci trova anima, forme, corpo e ’sangue’. Diviene egli stesso il soggetto o l’oggetto che ‘naviga’. Respirandone la dimensione, l’identità. Non perdendo mai completamente la propria.
Gli uomini, si addentrano nell’universo da cui più si sentono attratti ma perdendosi : la donna. O meglio, il femminile.
Guidati dal contrasto insito nell’attrazione, che spesso in alcuni è mero conflitto, scoprono lentamente di ataviche colpe verso questo “essere” tanto vicino quanto lontano : la mamma, la moglie, la compagna, la figlia, la suora, l’amante, la nipote, la puttana…
Con un briciolo di coscienza, alcuni riescono a riconoscere almeno una cosa : quante zavorre, gabbie e roghi, abbiamo costruito intorno a questo essere che tanto ci attrae, tanto ci fa paura, soltanto perchè a lei appartiene il senso della vita.

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 17:42 da Gianni Parlato


@ gianni parlato

aggiungi anche la femminilità che esiste nell’uomo, che lo attrae più alla femmina-mamma o al maschio-femmina.
Sono tutte ipotesi, naturalmente, create dall’uomo. Il principio è quello che ha diviso l’entità assoluta, creandone due volti, quelli visti da noi esseri umani, per uno scopo superiore alle nostre conoscenze.
Solo nell’amore, forza evolutiva, riusciamo a ripristinare per un momento questa entità originaria. Ma o lui si oppone tutta la nostra dimensione umana delle identità distorte o sconosciute per difetti irreparabili nel breve tempo che ci è concesso.
Saluti
lorenzo

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 19:47 da lorenzerrimo


Grazie per i nuovi commenti.
-
Lorenzo, ma come… parli di “identità distorte” senza avermi prima interpellato?
:)

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 21:06 da Massimo Maugeri


@Lorenzo: Massimo ha ragione, ha il copyright sulle identità distorte…

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 21:11 da Renzo Montagnoli


Direi, Renzo… mi pare giusto, no?
;)

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 21:15 da Massimo Maugeri


@Massimo: si possono usare però dei termini equivalenti, tipo personalità contorte…

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 21:19 da Renzo Montagnoli


Sì, Renzo. Credo che questo posso concederlo:-)

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 21:25 da Massimo Maugeri


Ci siamo dimenticati di osservare che fra Goethe e Fogazzaro c’è una differenza di circa un secolo, che non è poco e in letteratura è tanto.

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 21:31 da Renzo Montagnoli


Filippo 2: Fogazzaro non è un minore, intendiamoci, ma provo simpatia per i perdenti, per gli scrittori non osannati, più periferici, che magari di un’epoca ci dicono tanto e ce ne danno una visione inattesa.
Per esempio: ho letto da poco “Demetrio Pianelli” di De Marchi. Una scoperta…

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 22:07 da Maria Lucia Riccioli


come ho anche scritto, dimentichiamo una cosa importante: Goethe muore nel 1832 e Fogazzaro nasce nel 1842. Se l’epoca di Goethe ha visto la rivoluzione francese, per Fogazzaro c’è il periodo risorgimentale, due eventi completamente diversi, ma specialmente per Goethe c’è uno stacco culturale dagli autori della sua epoca, sia per tecnica narrativa, sia soprattutto per le tematiche. In buona sostanza Goethe non può aver letto Fogazzaro, ma Fogazzaro ha sicuramente letto Goethe, da cui a modo suo ha tratto anche ispirazione.

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 22:10 da Renzo Montagnoli


@ Maria Lucia
Giusta considerazione!
Peraltro, come forse ricorderai, di De Marchi abbiamo avuto modo di parlarne qui:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/09/17/il-cappello-del-diavolo-%e2%80%93-ricordando-emilio-de-marchi-e-il-suo-primo-grande-successo-narrativo-di-sergio-sozi/

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 22:13 da Massimo Maugeri


@ Renzo
È interessante quello che scrivi:
“In buona sostanza Goethe non può aver letto Fogazzaro, ma Fogazzaro ha sicuramente letto Goethe, da cui a modo suo ha tratto anche ispirazione”.
Immagino Fogazzaro con in mano “Le affinità elettive”… non avrebbe mai immaginato che un giorno (nel lontano 19 febbraio 2009) sarebbe stato affiancato a Goethe in questa splendida iniziativa organizzata da Antonella:-)

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 22:15 da Massimo Maugeri


Per il momento chiudo qui e auguro a tutti una serena notte.

p.s. ricordo agli amici siculi l’appuntamento di domani:
LIBRERIA CAVALLOTTO
-
Il 5 Marzo ore 17,00 in Corso Sicilia 91
Elvira Seminara e Sabina Corsaro presenteranno i libri
“Letteratitudine, il libro” (Azimut) di Massimo Maugeri e
“Tu non dici parole” (Perrone) di Simona Lo Iacono.

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 22:17 da Massimo Maugeri


@Maria Luisa Riccioli: beh, De Marchi è altra cosa, direi che è un autore che cerca di moralizzare il romanzo popolare e scrive anche bene.

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 22:17 da Renzo Montagnoli


@ Massimo
non ho fatto alcun riferimento al tuo scritto. Ho pensato semplicemente alla situazione dell’uomo, in difficoltà a trovare la sua identificazione, che vedo sempre soggetta a mutazioni nel suo confronto con il mondo esterno.
Ma dimmi dove poter acquisire il tuo scritto e mi sarà un piacere leggerlo e fare confronti con il mio modo di intenderlo.
Cari saluti.
Lorenzo

Postato mercoledì, 4 marzo 2009 alle 23:17 da lorenzerrimo


“…iniziative come queste servono a togliere polvere dal ricordo e dalle pagine di alcune meritevoli opere…”
Sì, anch’io concordo con Massimo su questo punto. Sono andata a comprare anche un’altra edizione de “Le affinità elettive”, perché mi mancava. Riporto qui di seguito un brano dalla lettera che Ottilia scrive ai suoi amici ( nella traduzione di Massimo Mila):
” Perché debbo pronunciare esplicitamente ciò che si capisce da sé? Sono uscita dal mio cammino, e non vi devo più rientrare. Sembra che un demone nemico si sia impadronito di me e mi trattenga, dall’esterno, quand’anche interiormente io avessi ritrovato il mio equilibrio.
Schietto era il mio proposito di rinunciare a Edoardo, di allontanarmi da lui. (…) Casualmente, sotto la spinta del sentimento, mi sono assunta un rigoroso voto monastico, tale che forse sgomenta duramente chi lo compie meditatamente. Lasciate ch’io vi insista, finché il cuore me lo comanda.(…)”

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 01:14 da roberta


Auguro una buona giornata a tutti.

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 08:47 da Massimo Maugeri


@ Roberta
Cara Roberta, grazie per aver inserito questo brano de “Le affinità elettive” (traduzione di Massimo Mila). Davvero bello e… indicativo.
Scrive Ottilia:
“Casualmente, sotto la spinta del sentimento, mi sono assunta un rigoroso voto monastico, tale che forse sgomenta duramente chi lo compie meditatamente. Lasciate ch’io vi insista, finché il cuore me lo comanda”.
Sì… lasciamo alla Ottilia di Goethe e a tutte le Ottilia di questo mondo la possibilità di compiere scelte difficili, controcorrente.

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 08:52 da Massimo Maugeri


@ Lorenzo
Il riferimento al mio romanzo “Identità distorte” era solo una battuta, ovviamente. Al momento è di difficile reperibilità (anche quella di Marina di “Malombra” è una identità distorta). Ma prima o poi, questo romanzo, lo ri-pubblicherò.
Grazie Lorenzo.

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 08:54 da Massimo Maugeri


Ma le affinità elettive è anche un’analisi lucidissima della complessità e fragilità dell’amore…
“…temevano di ferirsi e proprio questo timore era il più esposto alle ferite e feriva per primo…”(cap. 15)

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 09:55 da simona lo iacono


@simona è vero le affinità elettive rappresenta un’analisi del sentimento,ma secondo te non ci pone anche il quesito della scelta?Elementi che vanno a scompaginare gli equilibri che credevamo inattacabili ci pongono la domanda:fino a che punto posso sentirmi libero di scegliere in amore?e fino a che punto è l’amore che sceglie per me?
buona giornata a tutti

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 10:16 da francesca giulia


Mia carissima Francesca Giulia,
io sono convinta che l’amore ci sceglie.
E che ci prende di “spalle”, come un creditore che venga a riscuotere un pedaggio, un debito.
E tuttavia…l’amore è anche responsabilità, non solo emozione.
Anzi, direi che l’amore autentico è quello che sa andare oltre la passione, oltre i sensi accecati e tesi, oltre la carnalità e le sue imperiose domande. Oltre l’innamoramento.
Non è facile.
E non è infatti una via che tutti scelgono, perchè la rinuncia di Ottilia, in realtà, è adempimento, non perdita.
Ma per comprenderlo, per sapere quanto il dolore di una mancanza e di un’assenza svolga una funzione nel nostro destino – e in quello degli altri – bisogna metterci di mezzo il cielo.
Percepirsi piccolissimi innanzi ad esso, farsi arrotolare dal mistero che promana e dirsi che siamo stati creati per vivere una dimensione di gratuità e di dono.
Solo in quest’ottica la rinuncia diventa offerta.
E l’offerta è l’amore più grande.
Grazie per questa bellissima domanda.

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 11:43 da simona lo iacono


@Lorenzo…
non sono sicuro di aver capito bene quello che vuoi dirmi…
Un saluto.

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 13:30 da Gianni Parlato


@Maugeri…
Massimone, è motivo d’orgoglio e prestigio se qualcuno ti cita. Pensa alla strada che ha fatto il Berlusca, con tutte le volte che è stato citato in tribunale…
-
Un care saluto

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 13:43 da Gianni Parlato


accostare Goethe a Fogazzaro non è facile, anche perchè il periodo storico ispirava differenti vedute della vita.
Goethe oltree che scriuttore è anche un grande illuminato ricercatore delle verità della natura, a lui è dovuta tutta la teoria dei colori e soprattutto anche di quella filosofia trascendentale che si nasconde dietro le parole(ermetismo)

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 14:45 da Raffaele


@Maugeri…

- Dettagliato!…:

” LIBRERIA CAVALLOTTO
Il 5 Marzo ore 17,00 in Corso Sicilia 91 “-
inviti i tuoi amici ma dimentichi di mettere la città…e già, la sicilia è così piccola!…
( “nojo, volevam, savuer…per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?…Sa, è una semplice informazione!…”).
e meno male che almeno lì non c’è la nebbia…( o no!?…).

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 16:27 da Gianni Parlato


l’avevo notato anch’io e stavo per dirtelo….mannaggia arrivo dopo quello svelto di gianni parlato! ma a mauger si può perdonare perchè inconsciamente lui sa di essere internazionale! :-)

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 16:49 da francesca giulia


@ Gianni
rispondo ai tuoi commenti, premettendo che sono opinioni mie personali: l’amore è per me la forza della sopravvivenza (forza spirituale) che ci aiuta a sopportare ogni male, soprattutto quelli causati da noi stessi. Esso viene messo a morte ipoteticamente abbagliandoci nel momento di compiere un male l’uscita verso la resurrezione, ma poi rinasce sempre di nuovo e lo farà fino a quando la vita terrena stessa finirà, essendo la sua forza stessa.
Le affinità elettive sono per me quelle che noi riscontriamo nell’avvicinarsi al prossimo, fatto indispensabile se vogliamo vivere questa vita per esplorarla, comprenderla e realizzarci.
Dal confronto nascono diverse identificazioni che variano continuamente, come noi stessi mutiamo attraverso la cultura acquisita ma non finita, cioè lo stato d’istruzione, gli errori che continuamente facciamo, la religione che ci influisce fortemente, l’etica, la morale, il potere sotto il quale stiamo, quindi tutto sommato il tempo in cui viviamo e le condizioni di vita che segnano i confini delle nostre possibilità.
Chi vuole uscire dal giogo, diventa un eletto, per finire poi probabilmente come martire.

A mio parere il femminile non va perso mai, essendo la forza che nutre questa vita e la genera di nuovo.
Femminile e maschile sono due generi riscontrabili in ogni essere umano, insieme danno origine a nuova vita nelle coppie nelle quali si uniscono nella passione. Nelle altre agisce la promiscuità senza dare frutto nuovo di vita.
Saluti.
Lorenzo

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 20:08 da lorenzerrimo


@ Simona
una spiegazione bellissima perché sublime. Una forza che ci rende eroi in un mare di mostri, nel loro intento di impossessarsi dello spirito dell’amore.
Grazie anche a te non ci riusciranno mai, e questa è una dota che ti eleva e onora.
Cari saluti
lorenzo

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 20:13 da lorenzerrimo


@ Francesca Giulia
fino a che punto posso sentirmi libero di scegliere in amore?e fino a che punto è l’amore che sceglie per me?
buona giornata a tutti

Postato Giovedì, 5 Marzo 2009 alle 10:16 am da francesca giulia

Cara Francesca Giulia,
penso che arrivi il punto nel quale le due domande si annullano, sarà il punto dove si capisce di dover agire e basta, perché tutto è unito e dovuto.
Cari saluti
lorenzo

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 20:18 da lorenzerrimo


@ Gianni e Francesca Giulia (off topic)
Avete ragione (sono una vera volpe)! Ho dimenticato la città (era Catania, nautralmente). Poco male. C’era il pienone comunque. Bellissimo pomeriggio. Ora sono proprio stanco. Vi racconterò domani sera nella camera accanto:-)
-
Grazie per i nuovi commenti

Postato giovedì, 5 marzo 2009 alle 22:40 da Massimo Maugeri


Grazie a voi sto leggendo Le affinità elettive di Goethe. Non avevo mai letto questo libro. Mi sta piacendo molto e non mi sembra per nulla fuori dal tempo.

Postato venerdì, 6 marzo 2009 alle 15:59 da Sonia


Grazie a te, Sonia. Facci conoscere gli esiti finali della tua lettura!

Postato sabato, 7 marzo 2009 alle 01:14 da Massimo Maugeri


C’è tanto da contemplare in quell’espressiva trascendentale poetica espressiva che il GOETHER mostra al nostro interiore percepire.

Lieta, or son molt’anni, Impegnata era la mente A scoprire come vive La natura nel creare. Ed è sempre l’Uno eterno Che in più forme si disvela, Parvo il grande, grande il parvo, Tutti al modo loro proprio. Sempre vario, sempre quello, Presso e lungi, lungi e presso, Così forma Egli e trasforma. Per stupirne io sono qui
(J.W. Goethe, Parabase )

Postato venerdì, 20 marzo 2009 alle 12:05 da Raffaele



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