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domenica, 30 marzo 2008

IL RIBELLE IN GUANTI ROSA. CHARLES BAUDELAIRE di Giuseppe Montesano

Parliamo di Charles Baudelaire. E parliamo di uno dei libri più interessanti pubblicati nel 2007 in Italia: “Il ribelle in guanti rosa” di Giuseppe Montesano.
Il fondatore della poesia moderna, il poeta maledetto, il critico della borghesia, il più celebrato cantore degli eccessi (il sesso, gli alcol, le droghe) nella modernità: non è facile scrivere di Baudelaire, raccontarne la strepitosa parabola letteraria e umana senza incorrere nei luoghi comuni da una parte e nelle sofisticate distinzioni degli specialisti dall’altra. Il libro di Montesano cerca questa terza via, conducendo il lettore in una Parigi brulicante di teorie, di rêveries, allucinazioni oscure e illuminazioni abbaglianti, incontra una folla di personaggi insigni e oscuri. E soprattutto, se Baudelaire è il poeta che “si è consegnato a molte maschere”, Montesano cerca di indentificarle tutte, di registrarle minuziosamente per poi strapparle, svelandone ora il sovrapporsi al volto ora il confondersi con la carne e il sangue dell’uomo che vi sta sotto”.
Giuseppe Montesano – che è romanziere, ma si occupa anche di letteratura francese (tra le altre cose è curatore con Raboni dei Meridiani Mondadori su Baudelaire) – sceglie di parlare del “poeta maledetto” attraverso un saggio-romanzo frutto, peraltro, di un lavoro decennale.
Credo che questo post possa essere una buona occasione per discutere di Baudelaire e approfondire la conoscenza (o fare la conoscenza) di questo poeta (ma anche scrittore, critico letterario e traduttore) francese.
Ovviamente siete invitati a dire la vostra.
Di seguito potrete leggere la recensione di Andrea Di Consoli, che pubblichiamo all’interno della sua rubrica “La stanza dello scirocco”.
(Massimo Maugeri)

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recensione di Andrea Di Consoli (nella foto) 

Adesso diranno semplicemente che è uno studioso – “un critico”, per giunta – ma Il ribelle in guanti rosa (Mondadori, 441 pagine, 19,00 euro) di Giuseppe Montesano (Napoli, 1959), autore di fortunati romanzi come Nel corpo di Napoli (1999) e Di questa vita menzognera (2003), è davvero un libro sorprendente e unico, forse uno dei pochissimi grandi romanzi critici degli ultimi anni – un libro che conosce e racchiude tutte le forme e tutti i metodi di camminamento e di discendimento “nel corpo” di un autore e del suo tempo. Come tutti i grandi scrittori novecenteschi, Montesano ha usato, nella sua intensa vita letteraria, più generi espressivi: il racconto, il romanzo, il teatro, la critica letteraria, il romanzo a puntate, la critica musicale e la traduzione (ha tradotto Baudelaire, Villiers de L’Isle-Adam, Flaubert, Gautier), e ha così riconfermato (felicemente) l’assunto che il romanzo è solo la punta di un iceberg in un oceano di cultura e di curiosità.   Saggio, certamente; sicuramente critica stilistica, storica, morale e filosofica; biografia, senza dubbio; ma, infine, e sia detto senza nessun ordine di valore, il grande romanzo di un uomo inafferrabile, di un poeta chiuso nella morsa delle sue contraddizioni: Charles Baudelaire (1821-1867), cantore e nemico di Parigi, demone celestiale e infernale, poeta classico e assolutamente moderno, unione di opposti d’inesauribile complessità.

Il romanzo critico di Montesano è un viaggio teso e inquirente in una selva di segni (poesie, lettere e testimonianze) in cui è impigliata e invischiata la tumultuosa vita di Baudelaire, il re dei “maledetti”; anzi, è una specie di “basso” napoletano colmo di vicoli e sotterranei segreti, in cui Montesano ha camminato in tanti anni di oscura “ossessione”, come un pensoso flâneur, un “amante” assetato con la lente d’ingrandimento, un filosofo che sa svelare i segreti sublimi della lirica, senza perdere mai di vista il duro reale, le strade lerce, i vizi, (“l’erotìa e l’interesse”, direbbe Gadda), l’oro del tempo storico che, sotto un luccichio sfavillante, nasconde il “duro metallo della violenza”.  E, a proposito di “erotìa”, Montesano cerca anche di sfondare il muro misterioso che ci nasconde la bella Jeanne Duval: “[...] Era bellissima. Non abbiamo fotografie, e l’unico ritratto che la raffigura è un quadro di Manet che la dipinse forse a memoria, atrocemente devastata dalla malattia: ma Jeanne era bellissima”. Il Baudelaire di Montesano è un uomo che si diverte a “dare il cattivo esempio”. E’ un poeta malinconico e irascibile, tormentato dai debiti, dalle cambiali, dalle scadenze e dalla gestione controllata del suo patrimonio (tutti sanno l’odio che provava nei confronti del patrigno Aupick). Scrive Baudelaire alla madre: “Quando si ha un figlio come me non ci si risposa”. E’, Baudelaire, un poeta che vive la sua breve esistenza sotto l’ombra dello spleen. Scrive Montesano: “Lo spleen era l’esperienza della distruzione non definitiva, quel calarsi nella ferita della ragione resistendo in essa [...]“. La sua umanità era fatta di prostitute, illuminati, idealisti, ermetici, ubriaconi, artisti e rivoluzionari (“Baudelaire era attratto dai mistici di ogni genere che affollavano mansarde e abbaini delle vie più povere di Parigi”; e ancora: “
La Parigi per la quale si aggirava il giovane Baudelaire con la curiosità di chi cerca l’eccesso pullulava di mistici da baraccone, di insofferenti al pensiero logico e di rivoluzionari pronti ad appiccare il fuoco all’intera società [...]“). E Montesano si cala totalmente con Baudelaire in quest’inferno paradisiaco, e ingrandisce dettagli, svela segreti (l’Ennui non è altro che Napoleone III), sporca le sue mani con il materiale vischioso dell’esistenza del suo poeta e, abitando interamente l’universo baudeleriano, non può fare a meno di diventare anch’egli (in absentia) un personaggio di quella Parigi lì, restituendoci l’immagine di un detective neoplatonico e barocco, irrazionale e sapienzale, rivoluzionario e apocalittico.Il Baudelaire di Montesano è un barricadiero, un rivoluzionario, (non un “democratico da caffè”), uno che ha sposato la causa della rivolta operaia del 1848, solo in apparenza per ragioni “private” (colpire il suo patrigno-generale). In realtà Montesano ci svela che Baudelaire aveva una salda conoscenza “tecnica” del socialismo: “Negli anni in cui non aveva disdegnato la lettura dei mistici del socialismo, Baudelaire aveva letto attentamente un filosofo che non era un mistico ma si vantava di essere un tecnico dell’amara scienza, che per lui come per Marx aveva in Ricardo il suo vero fondatore: quella scienza era l’economia politica, e quel filosofo si chiamava Pierre-Joseph Proudhon”. Scrive Montesano: “Solo chi scende al livello della strada e abbandona l’egoismo può sposare le folle di Febbraio e di Giugno [...]“. E’ strano scoprire questa “faccia” di Baudelaire, un poeta che “traffica” con Blanqui, Proudhon e il socialismo cristiano, e che non è soltanto (o non è più) un parnassiano, il cantore della modernità della città di Parigi, o il restauratore del classicismo e, al contempo, colui che ha minato dall’interno, con la dissonanza, e con l’asimmetria, la perfezione della poesia. Il poeta sublime attacca l’art pour l’art, e si dichiara commosso dalla poesia “vera” di Dupont. Ma, probabilmente, il “socialismo cristiano” di Baudelaire, come scrisse Walter Benjamin a proposito di Blanqui, non presupponeva affatto la fede nel progresso, ma solo la decisione di farla finita con l’ingiustizia del presente. Delacroix, nel 1849, a un anno dai moti del ‘48, annota sarcastico nel suo diario: “Venuto il signor Baudelaire [...] Le sue idee mi sembrano modernissime e davvero sulla via del progresso. Uscito lui [...] Stato d’animo molto triste”. Era troppo difficile capire il sogno di Baudelaire: unire “i pezzi rotti dell’umanità” non nella purezza astratta dello spirito, “ma nella carne e nel sangue, e contro gli idealisti che escludevano l’eros dall’amore”. Tutto sembra perduto: la malattia, i debiti, le sconfitte del ‘48 (e del ‘52). E la pulsione sovversiva non è altro che il ghigno smorfioso dello spleen. “La catastrofe è che tutto continui come prima”, scrive Baudelaire. Ma la vera catastrofe è l’uomo che aspira all’assoluto, al segreto inafferrabile del tempo e dei simboli del mondo; pure, il senso di estraneità che il poeta prova nella sua Parigi. Scrive Benjamin: “Nessuno si è mai sentito così poco a casa propria a Parigi quanto Baudelaire”. Il povero dandy cambiava continuamente domicilio, dormiva su letti “di fortuna” (“Dentro Parigi, il suo deserto vivente, senza fuoco né luogo”, scrive). E’ quasi una premonizione di quei “non-luoghi” teorizzati, molti anni dopo, dall’antropologo Marc Augé. Le Fleurs du mal Montesano le scandaglia con l’ultravista della dimestichezza: “Le grandi liriche delle Fleurs du mal sono scritte in una lingua doppia, una lingua che nasconde sotto la corazza abbagliante delle immagini le verità che non si possono pronunciare”. Non piacevano, le poesie di Baudelaire; anzi, offendevano, indignavano, inducevano alla censura (la storia dell’immediata [non] ricezione delle poesie baudeleriane viene affrontato in apertura di libro, nel capitolo dal feroce titolo Dategli una lezione, a questo poeta infame). Il clima in cui sorsero le fleurs fu impossibile. Ancora nel 1868, a un anno dalla morte, sua madre scriveva a Charles Asselinau: “Vi chiedo di sopprimere la poesia intitolata Le Reniement de saint Pierre. Come cristiana io non posso, io non devo lasciar ristampare questa cosa. Se mio figlio vivesse, sicuramente oggi non la scriverebbe, avendo avuto, negli ultimi anni, simpatie religiose”. L’attraversamento che Montesano fa dei versi di Baudelaire è impressionante; procede per intuizioni, per collegamenti, per rimandi alla più importante Weltliteratur. Scopriamo, per esempio, il legame con Sade, in specie nella pulsione all’oltraggio della natura (nei versi di A’ celle qui est trop gaie).

Ovviamente è impossibile dare minimamente conto di ciò che accade in questo romanzo-mondo, in questa fitta selva di dettagli, di atmosfere, di “fatti”. E’ sicuramente interessante – prima del capitolo finale: il capitolo della paralisi e della morte – accennare al periodo belga di Baudelaire. Già qualche anno fa Montesano aveva curato e tradotto per Mondadori Il paese delle scimmie, “diario” impietoso e risentito contro il Belgio piccolo-borghese, bigotto, senza grazia. Ma perché Baudelaire, nel 1864, andò in Belgio? Scrive Montesano: “[A Parigi] i debiti crescevano, avere soldi in prestito era sempre più difficile, i giornali non lo pubblicavano, Parigi era un carcere, Jeanne paralizzata: bisognava fare qualcosa, spostarsi, agire. E disperatamente, come un animale notturno intimidito dal frastuono, infastidito dai fuochi d’artificio delle feste di regime, sbattendo le palpebre nella luce che cancellava allegra le vittime, Baudelaire partì per il Belgio”. Come molti grandi poeti, Baudelaire è stato un esiliato, in conflitto con il proprio tempo, dilaniato dalle contraddizioni, continuamente richiamato dalla “strada” (dalla vita) e continuamente respinto. E’ stato l’anima di un paese e di una città e, allo stesso tempo, “cittadino” estraneo, espulso, deriso, rifiutato. In Baudelaire vita e letteratura, sovversione politica ed estasi mistica, “alto” e “basso”, verità e menzogna, erotismo e amore, sensualità e razionalità, inferno e paradiso, ordine e disordine convivono come segni tangibili della massima apertura che un’anima terrena possa raggiungere. Perché solo nella contraddizione lacerante è possibile la grandezza (sfiorare il grande segreto del mondo), solo così è possibile durare in eterno, nonostante la paralisi, nonostante la morte che tutto polverizza. Baudelaire era ossessionato che tutto venisse dimenticato. Anche grazie a libri come Il ribelle in guanti rosa la sua stella lucente indica ancora una rotta precisa nel firmamento della letteratura mondiale.

Andrea Di Consoli

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Brano estratto da Il ribelle in guanti rosa. Charles Baudelaire (Mondadori, 2007) di Giuseppe Montesano. Per gentile concessione dell’autore.

Lui era stato gabbato fino in fondo dalla speranza, lui aveva creduto che fosse possibile un’altra vita, lui aveva creduto che fosse possibile ringiovanire, lui aveva creduto che potesse arrivare il nuovo che capovolge i giorni e li fa risplendere: e il dandy che si voleva straniero al mondo aveva dovuto riconoscere nel corpo della paria la fraternità possibile. Ma quando? E dove? Non poteva essere pronunciato né il dove né il quando, ma il possibile brillava come gli occhi delle ragazzine e i seni radiosi della mendicante, e la salvezza della realtà tutta intera era affidata come una visione, in uno specchio e enigmaticamente, alla poesia: “La poesia è ciò che vi è di più reale, ciò che non è completamente vero che in un altro mondo.” La violenza della morte evocata da Baudelaire deve passare, come passa nella Scrittura la figura di questo mondo, il nuovo non può essere pronunciato finché la vittima è inestricabile dal carnefice, il nuovo non arriverà se non quando tutte le lacrime dei massacrati di Giugno e di ogni tempo che gli stanno ancora piantate nella carne non saranno asciugate, il nuovo sarà solo quando il circolo vizioso dell’eterno ritorno dell’uguale si spezzerà: “E Dio stesso sarà con loro e asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e la morte non esisterà più, né lutto, né grida, né sofferenza esisteranno più, perché le cose di prima sono scomparse.” Allora la voce di colui che nell’Apocalisse può dire Ecco, io faccio nuova ogni cosa, pronuncerà la parola tornata materna, la lingua finalmente natale, e dall’abisso “interdetto alle nostre sonde” sorgerà la vita vera: “A chi ha sete darò gratuitamente dell’acqua della vita.”

Ma questo non sarà ora, e non qui. A ritmo di galop come nelle detestate operette, l’enigmatica commedia finale è cominciata, la vita non si lascia dire. Rimprovera la madre per aver scritto “inquieta” con due t, piange sulle privazioni come un bambino, il 26 febbraio la sgrida perché ha dimenticato la sua età: “Altro errore: e questo da parte di una mamma è troppo forte: tuo figlio non ha quarantasei anni. Ne avrà quarantacinque solo fra un mese e qualche giorno.” Ma tra quel mese e qualche giorno lui sarà muto, l’afasia lo avrà ingoiato: ci saranno solo le parole della madre che vuole tenerselo “come un bambino piccolo”, che dichiara che dopo gli attacchi di collera il figlio “ha a volte dei lunghi scoppi di risa che mi terrorizzano”, la madre che ancora gli rimprovera “una cura eccessiva della toilette”, che tacendo le bestemmie rabbiose del figlio lo loda perché quando le suore vogliono fargli fare il segno della croce lui si comporta “con una pazienza ammirevole, chiude gli occhi, o volta la testa dall’altra parte senza infastidirsi”, ma che poi afferma: “Ha una sola idea fissa: non essere dominato…” Allora, nel suo mutismo e nei sorrisi da bestia ferita, ci sarà tempo solo per l’eccitazione di sentire ancora una volta la musica che canta l’indistruttibile Venere, per lo stupore che lo coglie nello scoprirsi vivo. Contro la religione della morte è rimasto sempre sveglio, e l’amore è stato la sua misteriosa protezione. E anche se nei giorni prima della paralisi si muove a fatica, per sentire ancora il profumo dell’altro mondo, il profumo del femminile, la lentezza, l’indugio, il non arrivare, lo spreco, la dolcezza, ritorna nella chiesa di Saint-Loup. E nel ventre accogliente del grande catafalco “ricamato in nero, rosa e argento”, dentro l’ultima figura terrena del “gioiello rosa e nero” che conserva la vita, nel rifugio in cui alita il piacere che spinge gli amanti “mollemente bilanciati sull’ala del turbine intelligente” verso il paradiso, in un freddo profumo d’incenso, tornano le immagini della salvezza: sono i piedi di Jeanne che lui ha cullato come bambini facendoli addormentare tra le sue mani “fraterne”, sono gli occhi della passante in cui “fiorisce l’uragano” e il cui sguardo lo ha fatto “improvvisamente rinascere”, è il corpo di Sarah che il ventenne figlio di famiglia ha leccato “con più fervore che la Maddalena i piedi del Salvatore”, sono i seni della mendicante che si intravedono tra gli stracci “radiosi come occhi”, sono i capelli di Jeanne in cui tuffava le mani per respirare “il vino del ricordo” di una vita anteriore. Troppo tardi? All’uscita da Saint-Loup inciampa su un gradino e sviene, la paralisi comincia a diffondersi, detta ancora una lettera dove corregge una poesia che si intitola Bien loin d’ici, pochi versi in cui nella grana della pelle di Jeanne odorosa di olio e di benzoino compare l’altra vita, poi ammutolisce, come un animale. Esiste davvero questo luogo molto lontano da qui? Il 31 Agosto del 1867, Baudelaire muore. Due giorni dopo  è inumato nel cimitero di Montparnasse, a fianco del generale Aupick. Fa caldo, Parigi è vuota, gli scrittori e gli editori sono in campagna per il fine settimana. Il Ministero non ha mandato nessuno, la Société des gens des lettres non ha mandato nessuno. Niente sembra cambiare, e fino a quando ci sarà l’eterno ritorno dell’ingiustizia, nemmeno i fantasmi troveranno pace. Più d’uno non verrà più a cercare la zuppa profumata, all’angolo del fuoco, la sera, vicino a un’anima amata. Deve essere sempre così? È sempre troppo tardi per qualsiasi cosa? E’ così, e non è vero. I ragazzi di vent’anni ancora sognano di portare rose rosse sulla sua tomba, e vogliono sputare su quella del generale Aupick. Da qualche parte, in una prigione, in un sotterraneo, la voce dell’insurgé, stanca ma non arresa, mormora: il faut recommencer, bisogna ricominciare. C’è tutta la vita che aspetta di essere risvegliata, chiede di essere sciolta dalle bende sacrificali, vuole parlare nella sua lingua natale. Ci sarà davvero quest’altra vita, molto lontano da qui? Lui aveva ripetuto che la bellezza è la promessa della felicità. E’ vero? Non adesso, non in questa realtà, ma adesso, in questa realtà, non ce ne sono altre, la promessa brilla ancora in tutto il suo splendore.


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Scritto domenica, 30 marzo 2008 alle 22:03 nella categoria SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.

119 commenti a “IL RIBELLE IN GUANTI ROSA. CHARLES BAUDELAIRE di Giuseppe Montesano”

Questo è un libro che mi sento di consigliare caldamente sia a chi non conosce Baudelaire, sia a chi ha già avuto modo di approcciarsi al “poeta maledetto” (definizione un po’ stereotipata, quest’ultima… lo so).

Postato domenica, 30 marzo 2008 alle 22:06 da Massimo Maugeri


E poi mi piacerebbe conoscere le vostre impressioni proprio su Baudelaire. Lo avete mai letto?

Postato domenica, 30 marzo 2008 alle 22:07 da Massimo Maugeri


E qualcuno di voi ha già letto “Il ribelle in guanti rosa” di Montesano?
A me il titolo piace molto.
Ribelle in guanti rosa. Mi sembra quasi un ossimoro.
Del resto credo che la figura e la vita stessa di Baudelaire presentino delle contraddizioni.
Avremo modo di parlarne (con la serietà che merita l’argomento, spero).

Postato domenica, 30 marzo 2008 alle 22:12 da Massimo Maugeri


Vi riporto la nota pubblicata su BOL.
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Se Baudelaire è il poeta che – come viene detto subito, in apertura di questo libro – “si è consegnato a molte maschere”, il compito che Montesano sembra essersi assunto è quello di identificarle tutte, queste maschere, di registrarle descrivendole minuziosamente e poi di strapparle, svelandone ora il sovrapporsi al volto ora il confondersi con la carne e il sangue dell’uomo che vi sta sotto. Anni di frequentazione assidua e di interrogazione inesausta dei testi baudelairiani, uniti a una conoscenza ramificata e profondissima di tutto il contesto – il ‘milieu’ storico, umano e intellettuale in cui prese forma la più eccezionale esperienza di tutta la poesia moderna – hanno prodotto questo grande affresco in cui l’interpretazione delle prose e delle singole poesie delle “Fleurs du mal” diventa la chiave interpretativa per ricostruire un mondo. È sempre a partire dalle parole di Baudelaire che Montesano si mette sulle tracce della vita di un figlio mantenuto sotto tutela dalla madre fino all’ultimo dei suoi giorni, di un giovane segnato per sempre dal massacro dei rivoltosi del Quarantotto, di un cittadino umiliato dalla restaurazione borghese di Napoleone III, di un uomo affascinato dall’Eros più sotterraneo e inebriante, di un intellettuale cresciuto tra utopisti, rivoluzionari, esoteristi, ‘femmes galantes’, geni e pazzi delle più svariate e bizzarre specie. Montesano ci conduce in una Parigi brulicante di teorie, ‘reveries’, allucinazioni oscure e illuminazioni abbaglianti, incontra una folla di personaggi insigni o oscuri restituendo a ciascuno una figura resa viva da un gesto cauto o insano, da una parola ispirata o delirante, da un pensiero miserabile o assoluto, in un andirivieni frenetico che non perde mai la direzione del viaggio: il cuore di tenebra appassionata del ribelle in guanti rosa. E accanto a un’intelligenza ermeneutica affinata negli anni, accanto a una devozione al poeta che dura da una vita, il lettore attento non potrà che riconoscere in queste pagine alcune rutilanti ossessioni del Montesano romanziere, la materia magmatica cara al cantore dei giovani sempre in rivolta, degli innamorati della bellezza, degli irregolari del desiderio, di coloro che chiedono all’amore di trasformare la vita, di tutti quelli che ancora sognano di portare rose rosse sulla tomba di Baudelaire, a Montparnasse, e di sputare sulla tomba del patrigno, quel generale Aupick simbolo, per l’eternità, del buon senso ottuso e della ragione cieca che opprimono lo slancio della passione e della poesia.

Postato domenica, 30 marzo 2008 alle 22:41 da Massimo Maugeri


Ho letto il libro e la definizione saggio/romanzo mi pare molto azzeccata. Non è una biografia, o un libro di critica inteso in senso asettica. Montesano racconta Baudelaire in una maniera nuova e originale. D’accordo con la recensione di Di Consoli. Bel libro.

Postato domenica, 30 marzo 2008 alle 23:08 da Anonimo


L’anomimo di prima si chiama Milena. Scusate, è la prima volta che provo a commentare.

Postato domenica, 30 marzo 2008 alle 23:10 da Milena


Sperando che Montesano – di cui ho letto ed apprezzato solo ”Di questa vita menzognera” – possa intervenire in questo dibattito, ottimamente introdotto dalla raffinata penna di Andrea Di Consoli, sottolineo che, vivendo all’estero, non posso purtroppo leggere tutto quel che vorrei (di librerie italiane non ce ne sono, in Slovenia). Fra le (poche) belle cose che si pubblicano in Italia, dunque, mi deve esser sfuggito anche questo ”romanzo critico” d’autore. Un autore, Giuseppe Montesano, che sta nel ristretto numero dei miei autenticamente stimati scrittori viventi (Pazzi, Magris, Consolo, Niffoi, il primo Camilleri non-montalbaniano, De Luca, Tabucchi, Benni) e che sicuramente come francesista varra’ almeno quanto narratore – o almeno questo io spero, non conoscendone altro di saggistico od extranarrativo.
Pero’ spero sinceramente che questa forma di ‘’saggistica narrativa” (adottata a volte anche da Vassalli, altro mio stimatissimo), per via della sua intrinseca difficolta’ sia stata efficacemente posta in essere da Montesano. Un dubbio, questo, che esprimo perche’ troppe volte ho visto pessimi saggi molto sperimentali ed ottimi saggi estremamente classici. Le biografie romanzate, poi, non mi piacciono per niente. Dunque mi auguro sinceramente che Montesano sia, qui, riuscito nell’arduo tentativo di coniugare la lingua tipica della sua scrittura narrativa con l’intento di entrare nell’anima del ”maudit” francese, pertanto ottenendo qualcosa che non assomigli per nulla ad una ”fantabiografia” o similari.
Operazioni delicate, quelle come la Sua, Montesano!
Cordiali Saluti
Sergio Sozi

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 00:15 da Sergio Sozi


Che bella la recensione di Andrea Di Consoli!
Di Baudelaire lessi tempo fa Le Fleurs du mal. Per il resto non è che ne sappia granché. Forse come dici tu Massimo, questo libro è un’occasione per conoscere meglio questo celebre autore attraverso la scrittura di Montesano.
Sì, seguirò il tuo consiglio Massimo.
Saluti a tutti.
Smile

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 08:48 da Elektra


Assai più che la Vita ci tiene la Morte con i suoi legami sottili. (da Semper eadem, I Fiori del male)
Plus encore que la Vie,
La Mort nous tient souvent par des liens subtils.
Charles Baudelaire.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 09:45 da Renoir


“un uomo inafferrabile, di un poeta chiuso nella morsa delle sue contraddizioni: Charles Baudelaire (1821-1867), cantore e nemico di Parigi, demone celestiale e infernale, poeta classico e assolutamente moderno, unione di opposti d’inesauribile complessità.”
E’tutta qui, in effetti, una scheggia dell’essenza di un uomo tormentato quanto lucido.
Ricordo che ne scrissi per la tesi della maturità, l’evoluzioni della malinconia in letteratura tra l”800 e il ‘900- o qualcosa del genere.
Boudelaire mi ha sempre catturato.
E spiegarne i motivi mi diventa complicato.
C’è qualcosa in quello che ha lasciato, nelle sue tracce disseminate tra scritti e gesti, che arriva forse (o quanto meno per me) a sfiorare alcune di quelle ‘essenze del vivere’ che di solito si temono o nascondono o comunque rinnegano.

.
Tratto da ‘L’Heautontimoroumenos’.
In questi versi qui, per esempio, mi sono sempre ’specchiata’ molto. Il che la dice lunga (su di me a livello umano ma soprattutto sulla potenza espressiva e comunicativa di Baudelaire).
.
Barbara

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 10:03 da Barbara Gozzi


ciao massimo, sarebbe bello leggere qualcosa del testo così come è stato nel post su alajmo.
è possibile?
buona settimana

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 10:04 da luisa


(FR)
« Le Poëte est semblable au prince des nuées
Qui hante la tempête et se rit de l’archer;
Exilé sur le sol au milieu des huées,
Ses ailes de géant l’empechent de marcher. »
(IT)
« Come il principe dei nembi
è il Poeta che, avvezzo alla tempesta,
si ride dell’arciere ma esiliato
sulla terra, fra scherni, camminare
non può per le sue ali di gigante. »
(L’albatro, in I fiori del male, traduzione di De Nardis)

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 10:16 da Renoir


La recensione mi ha incuriosita molto, amo Baudelaire con una certa moderazione (lo so che è paradossale ma si può) ma sono attratta dall’idea di un libro che mi restituisca lo spessore di un tempo, la carta di un epoca, i pensieri di una città che adoro – Parigi, magari mi prendo il libro e me lo porto laggiù quando ci tornerò fra un paio di settimane.
Ma prima, siccome che sono ignorante e purtroppo non conosco Giuseppe Montesano, rassicuratemi che non è il genere di biografia romanzata tipo Pietro Citati, di cui ho letto disgraziatamente parte della “colomba pugnalata” e parte della biografia su Kafka. ditemi che qui c’è più documentazione, più raffinatezza ermeneutica e meno romanzettitudine. Perchè quel genere di biografia romanzata mi irrita.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 10:16 da zauberei


Dimenticavo: complimenti ad Andrea Di Consoli per la recensione ‘viva’ e un augurio a Giuseppe Montesano per questo libro-scavo.
B

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 10:19 da Barbara Gozzi


.
Scusate.
I versi a cui mi riferivo qualche commento fa tratti da ‘L’Heautontimoroumenos’ erano questi… non so come nel post precedente sono scomparsi…

Barbara

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 10:27 da Barbara Gozzi


Ok. Sbaglio qualcosa di sicuro per cui non insisto.
Vedi tu Massimo se riesci a capire.
Io provo a inserire undici righe per l’esattezza ma non complete (essendo versi) e dopo aver premuto invio, quando controllo la visualizzazione ne resta solo il punto.
Non è che kataweb magari non ha simpatia per l’autore in questione (meglio non usare il nome proprio a questo punto)…
° o °

B

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 10:30 da Barbara Gozzi


Benché si lavori di lena, l’Arte è lunga, il Tempo breve. (da La sfortuna, I fiori del male).
Bien qu’on ait due coeur à l’ouvrage,
L’Art est long et le Temps est court.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 10:50 da Renoir


Molto bella la recensione di Andrea Di Consoli, e sicuramente il libro di Giuseppe Montesano vale tutto ciò che è stato scritto.
Penso che non sia stato facile rievocare opere e vita del poeta delle grandi solitudini e degli abissi interiori, vista la complessità e l’originalità in cui si sono svolte. Accostarsi a quel mondo vuol dire intessere con il Poeta il bene e il male, in una commistione inscindibile.
Così come pure riferirsi alle sue esperienze di navigazione, quelle che gli portarono il senso del volo ma anche della caduta, e le sue riflessioni sull’albatro ne sono larga testimonianza: così come il grande uccello delle tempeste può sembrare goffo e impacciato nella realtà quotidiana, allo stesso modo il poeta può dominare agevolmente il suo mondo onirico e fantastico, ma nella quotidianità, invece, è quasi incapace di rapportarsi ai suoi simili e il risultato è che spesso riceve incomprensione ed irrisione, proprio come accade all’albatro sulla terra ferma.
Eppure a me piace ricordarlo nei suoi versi più solari:

Les poètes devant mes grandes attitudes,
Qu’on dirait que j’emprunte aux plus fiers monuments,
Consumeront leurs jours en d’austères études ;

.
Car j’ai pour fasciner ces dociles amants
De purs miroirs qui font les étoiles plus belles :
Mes yeux, mes larges yeux aux clartés éternelles !”

cri

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 11:09 da cristinabove


La mia giovinezza non fu che un’oscura tempesta, traversata qua e là da soli risplendenti: tuono e pioggia l’hanno talmente devastata che non rimane nel mio giardino altro che qualche fiore vermiglio. (da Il Nemico, I fiori del male).
Ma jeunesse ne fut qu’un ténébreux orage,
Traversé çà et là par de brillant soleils;
Le tonnerre et la pluie on fait un tel ravage,
Qu’il reste en mon jardin bien peu de fruits vermeils.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 11:51 da Renoir


@ Massi: non ho letto il libro, ma mi pare un tipo di saggistica simile a quella di Pietro Citati, per esempio con “La Colomba pugnalata” su Marcel Proust. E’ così?

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 13:51 da Simona


Vi ringrazio per i commenti pervenuti fino a questo commento.
E ne approfitto per dare il benvenuto a Milena.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 13:56 da Massimo Maugeri


@ Sergio
Non si tratta di una mera biografia romanzata. Secondo me è qualcosa di più. L’ho definito saggio-romanzo, proprio perché Montesano coniuga – a mio avviso con ottimi risultati – la sua abilità di narratore con i suoi studi e le approfondite conoscenza di Baudelaire.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 14:03 da Massimo Maugeri


Mi ripromettevo di leggere il libro di Montesano, ne ho sfogliato qualche pagina in libreria e mi sembra notevole. Bisogna lavorare sulla realtà, sulla storia, sulla biografia, sui dati reali. All’interno di questi argomenti si aprono panorami splendidi e occasioni irripetibili.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 14:05 da filippo tuena


Un saluto a Elektra e un ringraziamento a Renoir per le citazioni.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 14:05 da Massimo Maugeri


@ Filippo Tuena
Ehi Filippo, come stai? Abbiamo pubblicato i commenti in contemporanea. Neanche a farlo apposta.
Grazie per essere intervenuto.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 14:06 da Massimo Maugeri


@ Barbara Gozzi
Intanto, Barbara, grazie per essere intervenuta. Secondo me non sei riuscita a postare i versi perché probabilmente erano preceduti (e seguiti) da simboli che wordpress non accetta (immagino quella specie di virgolette a punta di freccia). Prova a sostituirli inserendo queste: “

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 14:09 da Massimo Maugeri


@ Zauberei e Simona
Non avendo letto “La Colomba pugnalata” di Citati, non mi sento di fare paragoni.
-
Zau, bentornata dalla campagna. Bella l’idea di portarsi il libro a Parigi.
-
Simo, un bacio a te.
-

Ripeto: non è una biografia e non è un saggio inteso in senso tradizionale. Però, dato che molto gentilmente Giuseppe Montesano mi ha mandato per email un brano estratto dal libro credo proprio che tra un po’ potrete farvi un’idea.
Secondo me è un’opera davvero notevole. Poi, com’è ovvio, ognuno ha i suoi gusti. Di certo c’è molto lavoro dietro questo libro. In un commento precedente parlavo di lavoro decennale.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 14:15 da Massimo Maugeri


@ Cristina Bove
Hai scritto: “Penso che non sia stato facile rievocare opere e vita del poeta delle grandi solitudini e degli abissi interiori, vista la complessità e l’originalità in cui si sono svolte. Accostarsi a quel mondo vuol dire intessere con il Poeta il bene e il male, in una commistione inscindibile.”
-
Sono perfettamente d’accordo con te, Cristina.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 14:16 da Massimo Maugeri


Ho appena pubblicato sul post (aggiornandolo) un brano estrapolato da “Il ribelle in guanti rosa”.
Ringrazio Giuseppe Montesano per avermelo inviato.
Aggiungo un’ulteriore considerazione. In quest’opera Montesano ha cercato di mettere in risalto alcuni aspetti un po’ trascurati della figura di Baudelaire. Tra cui – appunto – la figura del poeta ribelle, rivoluzionario.
Ma non solo.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 14:27 da Massimo Maugeri


Non so se stasera avrò la possibilità di intervenire ancora.
Ne approfitto per salutarvi affettuosamente.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 14:27 da Massimo Maugeri


Cari amici, sono Nina.
Vi aspetto sulla Camera 2. E’ MOLTO IMPORTANTE!!!
Un saluto a Giuseppe Montesano e un doverosissimo COMPLIMENTI! per il libro.
A risentirci presto, caro Giuseppe, con qualche mia annotazione su questo importante testo letterario.
Un saluto affettuoso,
Nina

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 14:48 da Nina Maroccolo


La Natura è un tempio ove pilastri viventi lasciano sfuggire a tratti confuse parole. (da Corrispondenze, I fiori del male).
La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 15:07 da Renoir


Amo Baudelaire, perchè avvertì in pieno la crisi del suo tempo, la traspose in maniera romantica senza per questo rifarsi ai canoni classici del romanticismo. La sua vita piena di difficoltà vibra in ogni parola, nella sua poesia che è pura “matematica musicale”, umana in quel suo costante raffontarsi con la natura.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 15:57 da Silvia Leonardi


Vorrei postare tutta la poesia di cui Renoir ha inserito uno stralcio, a mio avviso è una delle più belle ( e la dedico a una persona speciale, sapendo che la leggerà e saprà che è per lei)

CORRISPONDENZE
La Natura è un tempio ove pilastri viventi
lasciano sfuggire a tratti confuse parole;
l’uomo vi attraversa foreste di simboli,
che l’osservano con sguardi familiari.

Come lunghi echi che da lungi si confondono
in una tenebrosa e profonda unità,
vasta come la notte e il chiarore del giorno,
profumi, colori e suoni si rispondono.

Vi sono profumi freschi come carni di bimbo,
dolci come oboi, verdi come prati,
altri, corrotti, ricchi e trionfanti,

che posseggono il respiro delle cose infinite:
come l’ambra, il muschio, il benzoino e l’incenso;
e cantano i moti dell’anima e dei sensi.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 16:00 da Silvia Leonardi


Baudelaire mi piace poco e poco mi piacciono tutti i poeti francesi. Fuori dall’Italia mi piacciono gli anglosassoni, forse perché di questi riesco a leggere anche le liriche in lingua originale.
Quindi il limite è mio, ovviamente, e non dei poeti.
Personalmente ritengo che la traduzione sia un lavoro massacrante. Nei romanzi, per esempio, chi traduce deve in qualche modo essere qualcosa in più che scrittore. E, comunque, l’infedeltà della traduzione è sempre in agguato. Il rischio che sia così nella prosa, a mio avviso si amplifica nella poesia.
Certo, la soluzione sarebbe conoscere tutte le lingue del mondo. Il che è impossibile. Per cui leggo, per esempio, le poesie di Cristina Bove. Qualcosa provo e qualcosa imparo.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 16:30 da Enrico Gregori


Ah ecco, grazie Massimo!
Non la sapevo la questione dei simboli antipatici a Wordpress.
Allora.
Il brano a cui mi riferivo è questo:
.
Ed è tutto sangue mio, questo nero veleno!
Io sono sinistro specchio
in cui la megera si contempla.
.
Sono la piaga e il coltello,
lo schiaffo e la guancia;
sono le membra e la ruota,
la vittima e il carnefice!
.
Sono il vampiro del mio cuore,
uno di quei grandi derelitti
condannati al riso eterno
e incapaci di sorridere!
.
Sempre da ‘ L’heautontimoroumenos ‘.
Ce la farò a postare….
^ _ °

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 16:40 da Barbara Gozzi


Non è una biografia, non è un saggio, non è un romanzo. È l’insieme di queste tre cose, embricate e stemperate in una dimensione che le trascende. Un libro dai lembi foderati di petali rosa e dai battiti extrasistolici di cielo capovolto. Più che leggerlo, ascoltatelo respirare e fluttuare nel silenzio di una pigrizia feconda, custodita in una stanza dorata di luce vivida e livida: i ricordi riaffioreranno e i sogni riemergeranno dal fondo di bottiglia, colata nel cristallo magico di uno stile penetrato da soffi di poesia e intarsiato di citazioni arroventate da barricate interiori. Stiamo parlando de “Il ribelle in guanti rosa – Charles Baudelaire” (Mondadori, pp. 444, €.19,00) di Giuseppe Montesano, che «utilizzando sapientemente analisi del testo e biografia, documento e racconto, ha scritto non solo un libro illuminante su quella che rimane una delle figure chiave della Modernità, ma un’opera di originalissima struttura destinata ad occupare un posto di rilievo non solo nella sua bibliografia, ma nella storia letteraria di questi anni, pur così stolidamente ostili a tutto ciò che non è ripetitivo e banale». Il ribelle in guanti rosa è «animato da una passione, da un’empatìa che non offuscano la ragione critica, e anzi la sostanziano e la vivificano […] ci si trova di fronte a un’opera di ampiezza oggi inconsueta e nella quale non c’è un solo attimo di cedimento, di caduta di tensione» (Felice Piemontese). Un libro come «un viaggio teso e inquirente in una selva di segni (poesie, lettere e testimonianze) in cui è impigliata e invischiata la tumultuosa vita di Baudelaire, il re dei “maledetti”; anzi, è una specie di “basso” napoletano colmo di vicoli e sotterranei segreti, in cui Montesano ha camminato in tanti anni di oscura “ossessione”, come un pensoso flâneur, un “amante” assetato con la lente d’ingrandimento, un filosofo che sa svelare i segreti sublimi della lirica, senza perdere mai di vista il duro reale, le strade lerce, i vizi, (“l’erotìa e l’interesse”, direbbe Gadda), l’oro del tempo storico che, sotto un luccichìo sfavillante, nasconde il “duro metallo delle cose”» (Andrea Di Consoli). Montesano lettore accanito (di fiuto e di fiato) di Charles per consolidarne il possesso; per metterlo a nudo e coprirlo della sua stessa carne ustòria di nervi, di fibre, di cellule scintillanti e sanguinanti, dove il pensiero si cela mostrandosi in molteplici vite, in multiformi emozioni, in mostruose patologie. Il 3 agosto del 1838 lo scrittore francese scrive alla madre-madame Aupick :«Sono completamente disgustato dalla letteratura, e, a dire il vero, da quando ho imparato a leggere, non ho ancora trovato un’opera che mi sia piaciuta, che io abbia potuto amare dall’inizio alla fine, così non leggo più. Sono esausto, non parlo più. Penso a te, almeno tu sei un libro perpetuo». Ecco: un libro perpetuo dagli occhi cerùlei è Montesano; un temporale con i lampi rosa, che non ti lascia inzuppato e infreddolito davanti allo specchio rifrangente e infrangibile della scrittura, ma ti scalda e ti sveltisce il cuore, come una donna che ti trattiene fra i suoi seni radiosi e infiniti, per farti rinascere. Leggetelo, leggetelo ascoltandolo al più presto! Non lasciatevi sfuggire un’esperienza rinchiusa nel vorticoso labirinto di ombre e di voci, annodato e sciolto nel groviglio avviluppante di una prosa che sboccia e sprigiona in cespi di rose: bagliori di parole.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 17:58 da Arturo Olibano


questa è per tutti noi, lettori e scrittori.
tradotta. non da me.
-

Epigrafe per un libro condannato

Non scrissi, o lettore innocente,
pacifico e buon cittadino,
per te questo mio saturnino
volume, carnale e dolente.
-
Se ancora non hai del sapiente
Don Satana appreso il latino,
non farti dal mio sibillino
delirio turbare la mente!
-
Ma leggimi e sappimi amare,
se osi nel gorgo profondo
discendere senza tremare.
.
O triste fratello errabondo
che cerchi il tuo cielo diletto,
compiangimi, o sii maledetto!

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 19:28 da gea


Hypocrite lecteur, — mon semblable, — mon frère!

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 20:00 da gea


A me interessa, prima di tutto, la connessione storica di quest’autore, perché credo che essi siano il frutto dello svolgimento storico nei suoi momenti di mutamento radicale.
Assistiamo alla fine di un’epoca d’oppressione e umiliazione del popolo che durò troppo a lungo, alla conquista di una forma nuova di libertà, che poi risultò una nuova schiavitù, non più di una classe imperante da secoli, ma di sé stessi per la mancanza di maturità nel governare il dopo, diventato proprio senza possedere le necessarie esperienze pratiche. È così che gli alti ideali verso il nuovo rimangono senza timone che li giustifichi e regoli.
Paralleli ne esistono molti nel corso della storia umana, e sono tutti sorti da una necessità imperante di restaurare l’equilibrio in favore di una classe usurpata dei suoi diritti e sottomessa dall’arbitrio della classe del potere.
La necessità ha creato la rivoluzione, è quindi un ideale di libertà, che poi svanì nel non saper governare la libertà acquisita.
Gli invasi dallo spirito rivoluzionario non sono maturi per la sua amministrazione.
Una volta raggiunta, devono imparare a governarla, e di solito lo fanno servendosi ancora della classe che li aveva soppressi e umiliati, e che hanno combattuto per la propria liberazione.
Baudelaire è il rappresentante marcante del “Nuovo” che non riuscì a regolarsi da solo, e vagabondando nella dimensione degli eccessi, cerca il proprio equilibrio senza poterlo trovare.
Anzi, per lui è necessario arrivare fino in fondo, per poi, finalmente liberato dalla pressione eccessiva che lo tormentava, ritrovare il proprio equilibrio e potersi elevare verso l’altra meta, quella della serenità e armonia.
Assistiamo a un processo umano, caratterizzato da una creatività intensa e forte, perché eccessivi sono gli stimoli che lo guidano.
La vita è, spesso, troppo breve, per ritrovare la serenità prima del suo passare, ma io credo che il processo non finisca con questo personaggio, esso continuerà in un altro per lui e così fino alla sua fine, o altrove in una forma nuova e con migliori possibilità.
Saluti.
Lorenzo

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 20:17 da russo lorenzo


La traduzione non mi convince fino in fondo – e quale potrebbe? – ma ve la posto lo stesso. Questa poesia è uno dei fari della mia esperienza di lettrice, insegnante e “poetessa”.

L’albatro

Spesso, per divertirsi, i marinai
prendono degli albatri, grandi uccelli dei mari,
indolenti compagni di viaggio delle navi
in lieve corsa sugli abissi amari.

L’hanno appena posato sulla tolda
e già il re dell’abisso, maldestro e vergognoso,
pietosamente accanto a sé strascina
come fossero remi le grandi ali bianche.

Com’è fiacco e sinistro il viaggiatore alato!
E comico e brutto, lui prima così bello!
Chi gli mette una pipa sotto il becco,
chi imita, zoppicando, lo storpio che volava!

Il Poeta è come lui, principe delle nubi
che sta con l’uragano e ride degli arcieri;
esule in terra fra gli scherni, non lo lasciano
camminare le sue ali di gigante.

trad. di G. Raboni

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 21:33 da Maria Lucia Riccioli


@maria lucia
appunto, quale potrebbe?
e raboni alla fine è raboni. poco meglio di lui in giro.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 21:39 da gea


e mettiamola pure in originale, va’.
così chi può se la gode in pieno.

Souvent, pour s’amuser, les hommes d’équipage
prennent des albatros, vastes oiseaux des mers,
qui suivent, indolents compagnons de voyage,
le navire glissant sur les gouffres amers.
A peine les ont-ils déposés sur les planches,
que ces rois de l’azur, maladroits et honteux,
laissent piteusement leurs grandes ailes blanches
comme des avirons traîner à côté d’eux.
Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule!
Lui, naguère si beau, qu’il est comique et laid!
L’un agace son bec avec un brûle-gueule,
L’autre mime, en boitant, l’infirme qui volait!
Le Poëte est semblable au prince des nuées
Qui hante la tempête et se rit de l’archer;
exilé sur le sol au milieu des huées,
ses ailes de géant l’empêchent de marcher.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 21:42 da gea


Gea, grazie… brava!
Questa sera problemi a postare… mai a poetare!

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 22:04 da Maria Lucia Riccioli


Il libro sarà sicuramente molto interessante, del resto un genio della POESIA non può che stimolare simili scritture.
@Poeta mancata

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 22:26 da salvilina@gmail.com


Bravissima Gea! Le plaisir d’ être amies…:-)
Per Enrico, je te remercie beaucoup. :-)
Saluti cari a Massimo e a tutti gli amici.
cristinabove

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 23:21 da crisis


…poetessa magari…

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 23:22 da Sergio Sozi


Zauberei,
io ho posto la stessa domanda-dubbio, anche se in termini diversi dai tuoi molto espliciti e Massimo Maugger mi ha assicurato mettendo la mano sul fuoco che non si tratta di una biografia romanzata o simili. Chiedigli tu se non e’ vero.
Ciao!
Sergio

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 23:28 da Sergio Sozi


P.S.
Zauberei: come narratore Giuseppe Montesano e’ molto bravo. Leggi ”Di questa vita menzognera”. E fa’ attenzione da che pulpito viene questa raccomandazione… io amo gli autori di un ”certo tipo” e magari tu no. Ma la qualita’ di Montesano narratore e’ indiscutibile, a mio parere. Mio.

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 23:30 da Sergio Sozi


Lorenzo Russo,
anch’io vivo all’estero (a Lubiana/Ljubljana/Laibach) e ti faccio i miei complimenti per il tuo italiano scritto: continua a studiare, come deve fare chiunque voglia curare il nostro bell’idioma e dunque continuare ad essere se stesso. Infatti, come lasci intendere tu, le rivoluzioni vengono tradite spesso da chi le fa, perche’ riorganizzare una Nazione intera non e’ cosa facile per chi abbia sovvertito tutto impulsivamente. Ci resta cosi’ un’impegnativa meta: applicarci a conoscere la nostra identita’ storica e generalmente italiana, approfondire la nostra italianita’. Le rivoluzioni non le fanno i veri poeti, ma i piu’ miseri moralmente, gli idealisti o i pazzi – tipologie umane alle quali non mi sento di appartenere. I veri poeti sono sempre a meta’ strada fra rivoluzione e conservazione, nostalgia e distruzione del presente, sogno e realta’. Troppo per permettersi delle rivoluzioni pratiche, fatte di sangue e morti ammazzati, bracci di ferro e impietosita’. I veri poeti non fanno rivoluzioni ma suggeriscono agli uomini degli approfondimenti di se stessi. Ecco perche’ sono pochissimi, ’sti ”veri poeti”. E su Baudelaire non mi esprimo.
Ciao caro
Sergio

Postato lunedì, 31 marzo 2008 alle 23:47 da Sergio Sozi


Vi ringrazio per i nuovi commenti.
Interverrò in giornata con ulteriori considerazioni.
Intanto auguro a tutti voi una buona giornata!
(Qui a Catania piove).

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 06:45 da Massimo Maugeri


ottima segnalazione, appena posso mi procuro il libro!
baudelaire ha accompagnato gli anni della mia adolescenza con il suo caleidoscopio di immagini: Parigi…pittori…fotografi…donne…
grazie per il post!

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 07:32 da leucosia


Si Sergio siamo molto d’accordo. A me poi piacciono quasi tutti gli autori da te citati (arg! citati piccirillo non Citati grosso:)), in specie Niffoi Tabucchi e Magris. (Benni lo manderei a fare altro, ma so gusti ecco) però se tu lo affianchi a questi qui, vuol dire che non dovrebbe poter scivolare in certe idiozie.
Anche se boh, bellissima poesia, bellissimi i fiori del male, bellissime cose di prosa – ma Baudelaire è proprio il tipo d’omo che non tollererei per manco cinque minuti. Odio la puzzoneria della decadenza – ma magari questo libro me lo rende più simpatico.

qualora l’aveste dimenticato, enrico gregori ha 21 tibie che gli ciondolano a ogni gomito, è per quello che il messaggero nun ze po’ legge: quando scrive a macchina fa un gran baccano co sti ossi che tintinnano e si distraggono tutti.

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 07:58 da zauberei


impegno decennale.
Non pensavo ci fossero ancora autori che dedicano dieci anni della loro vita per scrivere un libro. Andrò a cercare questo libro, e a Montesano dico: chapeau!

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 09:41 da Marta


(tzk! Marta: mi’ marito quindicennale:) fra un po’ in tutte quelle carte ci usciva fori un campo di patate )

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 10:09 da zauberei


Noia.

Quando il cielo basso e greve pesa, come un coperchio
Sullo spirito che geme in preda ai lunghi tedii
E, dell’orizzonte abbracciando tutto il cerchio,
ci versa una luce nera più triste delle notti;

quando la terra è mutata in un’umida segreta
dove la Speranza, come un pipistrello,
va battendo i muri con l’ala timorosa
e picchiando la testa contro marci soffitti;

quando la pioggia sciorinando le sue immense strisce
imita le sbarre d’una vasta prigione,
e un popolo muto di infami ragni
viene a tendere le sue reti in fondo ai nostri cervelli,

campane a un tratto balzano su con furia
e lanciano verso il cielo un terribile urlìo,
come spiriti erranti e senza patria
che si mettano a gemere ostinatamente.

E lunghi carri funebri, senza tamburi né musica,
sfilano lenti nell’anima mia; la Speranza,
vinta, piange, e l’Angoscia atroce, dispotica,
sul mio cranio chino pianta il suo nero vessillo.

-
E’ in versi così che si coglie lo spirito più intimo di Baudelaire. La vita mozzata dal lutto, il precipizio che seguì la perdita del padre e il secondo matrimonio della madre.
E’ vero. E’ noto come un poeta maledetto e rivoluzionario.
Ma la ribellione nasce dalla mancanza. L’esaltazione dello spleen dalla ricerca di appagamento e dal tentativo di riempire i vuoti.
La facciata è quella di un dandy navigato. Ma sotto la bellezza dei versi ho sempre colto molta solitudine.

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 14:46 da Simona


zau, Enrico ha le tibie nei gomiti? E nelle gambe che c” ha, le ulne?…
:-) :-)

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 15:43 da cristinabove


zau, scusa…c’ho messo un pò …ma poi ho capito…appese, ai gomiti, come kalì la sanguinaria…

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 15:45 da cristinabove


Brava Simo!
Lo spleen, l’ennui dei decadenti stava nel fatto che erano figli di rivoluzionari incendiari diventati pompieri, di imborghesiti profittatori senza slanci ideali, figli del positivismo che è stato pure una gran cosa per la scienza ma un cancro per lo spirito.
Io sono stata baudeleiriana in qualche mia sortita “poetica” e lo apparento a Poe, che in narrativa porta questa immaginosa disperazione.

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 17:51 da Maria Lucia Riccioli


@ Maria Lucia
Baudelaire è stato un grande estimatore di Poe, nonché traduttore di alcune sue opere.

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 20:31 da Massimo Maugeri


@ Sergio
Hai scritto: “Massimo mi ha assicurato mettendo la mano sul fuoco che non si tratta di una biografia romanzata”.
-
Sergio, ho solo dato un mio parere. È difficile inquadrare questo libro… per questo l’ho definito romanzo-saggio (e credo che anche Giuseppe Montesano sia d’accordo con questa definizione).
Può essere che a te, leggendolo, sembri una biografia romanzata. Ognuno ha i suoi gusti e le sue idee.
In ogni caso, in generale, non mi piacciono le etichette per i libri. Vi ricordate della polemichetta di qualche tempo fa: meglio la “fiction” o la “faction”?
L’unica differenza da fare è tra libri buoni e meno buoni.
E “Il ribelle in guanti rosa” rientra senz’altro nella prima categoria.

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 21:43 da Massimo Maugeri


@ Leucosia
Grazie a te per essere intervenuta

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 21:44 da Massimo Maugeri


A me sembra che Baudelaire abbia procurato piu’ conseguenze nel campo della vita sociale che nell’attivita’ stricto sensu poetica. E’ stato largamente ‘’santificato” dagli adolescenti di tutta Europa perche’ sembrava dar loro una fratellanza ideale nel descrivere dei sentimenti, appunto, spesso adolescenziali, come la malinconia, l’angoscia, le estreme contrapposizioni interne dello spirito, in breve lo squilibrio mentale tipico di chi viva un periodo di forte ipersensibilita’.
Mi piaceva anni annorum fa. Oggi preferisco Orazio, Catullo, Ovidio. Sono le tematiche di Baudelaire che non mi appartengono piu’. La forma delle sue opere invece resta interessante per molte motivazioni, che sarebbe troppo lungo illustrare qui ed ora.

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 21:49 da Sergio Sozi


Massimo,
d’accordo, ma non mi mettere in bocca cose che non ho detto. Io mi chiedevo solo se si correva il pericolo di una biografia romanzata. Tu hai detto di no. Giusto? Ecco. Tant’e.

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 21:50 da Sergio Sozi


@ zaub:
non contesto il mio possesso di 21 tibie, ma l’uso della macchina da scrivere sì. questo strumento è andato in pensione da anni come il tuo cervello

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 21:51 da enrico gregori


Dunque io non ho asserito che fosse una biografia romanzata, ma mi sono solo CHIESTO se potesse esserlo, non avendo letto il libro – come ho specificato sin dal mio primo intervento. Siamo precisi, per favore. Una domanda e’ una domanda. Non retorica.
Ciao, Massi.

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 21:53 da Sergio Sozi


Riguardo le ”etichette”, ovvero i ”generi” e le ”classificazioni” letterarie. L’uomo per propria natura compie delle diversificazioni nel reale e nell’immaginario. Serve, questa operazione, per evitare la confusione, ed e’ secondo me, naturale. Se ne traggano le dovute conseguenze letterarie.

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 21:57 da Sergio Sozi


a proposito della rivoluzione o non rivoluzione dei poeti…
Il ns charles nel 1857- o giù di lì – dopo la prima pubblicazione dei Fiori del male, viene incriminato per oltraggio alla morale pubblica e religione- condannato a pagare una multa di 300 Franchi e la soppressione di alcuni testi. Lo stesso pubblico ministero che incriminò Flaubert. (certo, quì non si sparge sangue, però..)

@per il sig. sergio
“poeta” al femminile e non poetessa dicono che guarda a un rivendicazione di genere. i miei gatti concordano.

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 21:58 da Anonimo


Sergio, ma che dobbiamo fare Totò e Peppino?
:)
Non ho mai asserito che tu hai asserito che questo libro è una biografia romanzata.
Mi avevi posto una domanda. E io ti ho risposto.
Perdinci!

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 22:05 da Massimo Maugeri


…ossignur…
:-)

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 22:07 da gea


Sì, Anonimo.
E il pubblico ministero che citi si chiamava Ernest Pinard.

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 22:07 da Massimo Maugeri


ps. l’anomino
se llama ” Lina”

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 22:10 da Anonimo


Ciao Lina,
benvenuta a Letteratitudine. E grazie per il tuo commento.

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 22:12 da Massimo Maugeri


@ Gea e Maria Lucia
Qundo un’opera letteraria viene tradotta è normale che un po’ “perda”. Soprattutto quando si tratta di poesia. Tradurre è anche, inevitabilmente, un po’… tradire.
Ma Raboni è Raboni.

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 22:16 da Massimo Maugeri


E i gatti che consultano le grammatiche – non la politica – cosa dicono?

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 22:18 da Sergio Sozi


Massimo,
pacifico. Mi sembrava che mettessi le mani avanti. Invece non e’ cosi’. Dunque hai detto che tu la pensi cosi’. Ed io l’ho ripetuto a Zauberei, che aveva lo stesso mio dubbio. Pacifico e chiaro.
Ciaobbello
Sergio

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 22:22 da Sergio Sozi


i gatti sono persone serie.
-
Amis de la science et de la volupté,
ils cherchent le silence et l’horreur des ténèbres;
l’Érèbe les eût pris pour ses coursiers funèbre,
s’ils pouvaient au servage incliner leur fierté.
-

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 22:26 da gea


Tradurre in poesia e restare fedeli all’opera è cosa molto difficile. Ogni buona traduzione è quasi a una riscrittura dell’opera stessa- non c’entra solo la bravura in senso letterale. Il traduttore entra in gioco con tutto se stesso, semplificando, possiamo dire con tutta la propria sensibilità poetica, ma non solo.
Se leggete uno stesso autore tradotto da due soggetti differenti, noterete che anche la poesia accusa leggere variazioni, ma in poesia ogni variazione è FONDAMENTALE.
lina

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 22:27 da Lina


@Gea: Concordo. Miao.

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 22:33 da Simona


Sono piuttosto d’accordo con te, Lina. Chi ha la possibilità di leggere in lingua originale è fortunato.
-
Un saluto a Sergio e a Gea.
E pure ai gatti.
-
Ora vi auguro una buonanotte.
(vi anticipo che domani, se ce la faccio, pubblicherò un post dal titolo: “è piccola la letteratura della grande Rete”?)

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 22:34 da Massimo Maugeri


Una buonanotte “speciale” a Simona.
;)

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 22:35 da Massimo Maugeri


E a te, Massi.

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 22:36 da Simona


amanti di lussuria e di saggezza
cercan silenzio e tenebre orrende
l’ade li vorrebbe e non li prende
perchè non riesce a piegarne la fierezza.
-
traduzione al volo, mia.
vero che raboni è meglio?
:-)

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 22:44 da gea


Sergio,
Rivoluzione è uno sfogo violento, perché creato da una situazione diventata insopportabile per chi la subisce, ma infine anche liberatoria per chi l’ha causata, almeno per chi possiede ancora un po’ di sensibilità verso la sorte del prossimo.
In effetti, bisogna distinguere tra l’usurpatore violento e dispotico da quello colto e aperto al rinnovamento sociale.
Quest’ultimo si adatta a ogni sistema, nel quale riesce a mantenere il suo stato di benessere. Verso i deboli mostra di essere tollerante e comprensivo. In verità è un opportunista, ipocrita, falso, perché si nutre dei suoi ideali solamente per soddisfare la sua fama di cultura nella quale crede di essere buono e benefico, e di mostrarsi elevato e sapiente al confronto degli altri della sua casta che sono apertamente violenti e disprezzanti.
Non raramente sostiene la rivoluzione, ma lo fa per guadagnarsi di nuovo una posizione proficua nella nuova amministrazione, e nello stesso per immaginarsi di aver appagato i suoi ideali di uomo progredito e sociale.
In lui, l’apparenza e il vero si fondono in una forma che perdura ogni sistema politico e sociale esistente.
La forza rivoluzionaria è una forma d’energia irrazionale, vuol dire non dettata e controllata dalla ragione. Una volta in azione, diminuiscono le possibilità di frenarla, se non quando le parti in conflitto ne abbiano abbastanza della violenza e del sangue versato e si auspichino di nuovo la convivenza pacifica.
Conosco già la tua presa di posizione, che sostengo anch’io decisamente, mentre per altri è un abile, astuto, realista.
I veri poeti, ma anche scrittori e giornalisti, dovrebbero rappresentare e influire la voce della coscienza popolare, di modo che un cambiamento sia possibile senza l’uso della forza.
A loro è dato di sostenere un impegno di valore elevato che può comportare gravi rischi per loro stessi, secondo dei metodi di controllo e repressione usati dagli uomini del potere.
Mi sembra di aver letto che tu sia umbro. Io ho frequentato per ben nove anni il Convitto Nazionale di Assisi, dal 49 al 58.
Di origine sono siciliano, mio nonno era di Messina, ed emiliano, mia madre era di Reggio Emilia.
Saluti cari.
Lorenzo

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 22:46 da russo lorenzo


Sergio Sozi
Rivoluzione è uno sfogo violento, perché creato da una situazione diventata insopportabile per chi la subisce, ma infine anche liberatoria per chi l’ha causata, almeno per chi possiede ancora un po’ di sensibilità verso la sorte del prossimo.
In effetti, bisogna distinguere tra l’usurpatore violento e dispotico da quello colto e aperto al rinnovamento sociale.
Quest’ultimo si adatta a ogni sistema, nel quale riesce a mantenere il suo stato di benessere. Verso i deboli mostra di essere tollerante e comprensivo. In verità è un opportunista, ipocrita, falso, perché si nutre dei suoi ideali solamente per soddisfare la sua fama di cultura nella quale crede di essere buono e benefico, e di mostrarsi elevato e sapiente al confronto degli altri della sua casta che sono apertamente violenti e disprezzanti.
Non raramente sostiene la rivoluzione, ma lo fa per guadagnarsi di nuovo una posizione proficua nella nuova amministrazione, e nello stesso per immaginarsi di aver appagato i suoi ideali di uomo progredito e sociale.
In lui, l’apparenza e il vero si fondono in una forma che perdura ogni sistema politico e sociale esistente.
La forza rivoluzionaria è una forma d’energia irrazionale, vuol dire non dettata e controllata dalla ragione. Una volta in azione, diminuiscono le possibilità di frenarla, se non quando le parti in conflitto ne abbiano abbastanza della violenza e del sangue versato e si auspichino di nuovo la convivenza pacifica.
Conosco già la tua presa di posizione, che sostengo anch’io decisamente, mentre per altri è un abile, astuto, realista.
I veri poeti, ma anche scrittori e giornalisti, dovrebbero rappresentare e influire la voce della coscienza popolare, di modo che un cambiamento sia possibile senza l’uso della forza.
A loro è dato di sostenere un impegno di valore elevato che può comportare gravi rischi per loro stessi, secondo dei metodi di controllo e repressione usati dagli uomini del potere.
Mi sembra di aver letto che tu sia umbro. Io ho frequentato per ben nove anni il Convitto Nazionale di Assisi, dal 49 al 58.
Di origine sono siciliano, mio nonno era di Messina, ed emiliano, mia madre era di Reggio Emilia.
Saluti cari.
Lorenzo

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 22:50 da russo lorenzo


@Sergio Sozi:
Riposto il tuo intervento che condivido totalmente.
“A me sembra che Baudelaire abbia procurato piu’ conseguenze nel campo della vita sociale che nell’attivita’ stricto sensu poetica. E’ stato largamente ‘’santificato” dagli adolescenti di tutta Europa perche’ sembrava dar loro una fratellanza ideale nel descrivere dei sentimenti, appunto, spesso adolescenziali, come la malinconia, l’angoscia, le estreme contrapposizioni interne dello spirito, in breve lo squilibrio mentale tipico di chi viva un periodo di forte ipersensibilita’.”
Ciao, :-)

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 23:35 da miriam ravasio


Caro Lorenzo,
mi sembra pacifico, dunque, che ne’ la rivoluzione ne’ la tirannia siano nelle nostre corde. Limitiamoci pertanto a cercare di fare bene il nostro mestiere, di cittadini onesti, padri e mariti, nonche’ di operatori nelle nostre professioni – il mio ha a che vedere con la parola scritta e quindi studio questa ultima per cercare di esser chiaro ed efficace nella scrittura. La chiarezza e’ una cosa importante nell’esprimersi per iscritto, anche se e’ l’ultima cosa che la maggioranza di ‘’scrittori” sa mettere in pratica, visto che nove persone su dieci scrivono in modo confuso, ossia scrivono per come il loro confuso cervello detta. E’ un frutto dell’ignoranza degli pseudocolti. Sommo pericolo per tutte le persone che sanno quel che vogliono e hanno una mezza idea di chi siano.
Buonanotte caro
Sergio
(Umbro, anzi perugino, di cognome e lazial-marchigian-pugliese da parte di mamma. Italiano insomma. A pieno titolo, no? Eh! Eh! Eh!)

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 23:50 da Sergio Sozi


P.S.
Caro Lorenzo: e’ il popolo a dover crescere, leggendo e maturando. Gli intellettuali secondo me non dovrebbero condurre nessuna battaglia politica, ma starne rigorosamente fuori. Almeno i Letterati, intendo dire esattamente. I sociologi e gli altri non mi interessano punto. Unicuique suum.

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 23:54 da Sergio Sozi


Ciao, Miriam,
grazie per la condivisione – del tutto involontaria da parte di entrambi… eh! eh! eh!
Buonanotte, bella.

Postato martedì, 1 aprile 2008 alle 23:56 da Sergio Sozi


Gea,
non e’ vero: sono le persone ad essere dei gatti seri. E le nuvole delle serie lacrime. E via dicendo, divertendosi. Grammaticalmente.

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 00:01 da Sergio Sozi


Dimenticavo di sottoporre alla sig.ra Lina questa lettera grammaticalmente scevra di ammorbanti ”maschilismi”:
-
Egregio signor Lino (ex Lina),
sono contento che un avvocato dottore come Lui, poeta e assertore dell’uguaglianza fra il sesso maschile ed il sesso maschile numero due, possa apprezzare il mio modesto precisare (non ”lA miA modestA precisazione”, che e’ orrendamente femminile) che tutti debbono, oggi, esser considerati uguali anche nei generi grammaticali. Pertanto auspico che tutti siano, d’ora in poi, ”dottori”, ”professori”, ”mammi” e ”fratelli”, o tutt’al piu’ ‘’sorelli”.
Che e’ questo robo assurdo e diversificante come ‘’sorella”, ”femmina”, ”donna” e lo scandaloso ”mamma”?
Basta con il razzismo!
Mammi, fratelli del tipo due, donni, femmini! Uniamoci ed andiamo in un automobile luminoso e veloce sullo strado del ridente futuro del maschile.
Tuo
Sergio Francesco Mario (ex Maria) Quirino Sozi (da Civitello d’Arno, Perugio, Italio)

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 00:20 da Sergio Sozi


Dal momento che non conosco profondamente Baudelaire, mi soffermo brevemente sulla sua amiciazia con Eugene Delacroix e sul concetto di dandy, le sue mani rivestite da un accessorio color dell’incarnato che sostituiscono la realtà.
Qualche mese fa rivedendo i quadri di Delacroix mi accorsi che l’abilità di questo pittore consisteva nella rappresentazione del destino e delle sue forze contrastanti, le scene impostate su elementi contrapposti e pur sempre in equilibrio fra loro, siano essi tigri o cavalli, uomini guerrieri, tempeste marine la brutalità ed il selvatico che deve essere dominato dalla ragione illuminante, il furore degli istinti soppresso dall’intelletto. Egli fu definito dalla stesso Baudealire un pittore moralista: secondo me ebbe il talento di saper guardare i tempi e la storia anche come fatto scenico teatrale, incluse le passioni, le tempeste, i cieli cupi, le lance e gli occhi atterriti di quadrupedi e condottieri.
Un temperamento forte e virile dai pennelli usati come scimitarre e vicino per molti aspetti alla stessa cupa e nera poesia di Baudelaire, disincantato dinnanzi agli eventi del destino.
Allora sbuca il dandy, cultore del bello che mira a mantenere la freddezza sulle cose, come a volersene distaccare in quanto ne prova una sorta di disgusto. E’ importante capire se il dandy dell’epoca rimane solo un esteta di superficie al quale importa solo mettere la polvere di riso sulle gote oppure è colui che coltiva il culto dell’imbellettamento come ad incoronare l’idea del gusto in quanto “tutto ciò che è nobile è il risultato della ragione e della previdenza”.
Il dandy comunque rimane una figura un pò triste, uno che non ha saputo trovare la gioia nel profondo.
Lo chiedo soprattutto a Andrea di Consoli.

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 00:37 da Rossella


Dal tenore del dibattito comincio a sospettare che l’opera di Baudelaire gradita ai più sia “I paradisi artificiali”.
Persino un integerrimo magistrato come Simona si rivolge a tutti salutando con i “miao”.
Caro didò, io e te come scoppiati abbiamo fatto il nostro tempo. Ritiriamoci.
Simona fa miao, Gea parla solo in francese, Maria Lucia da del tu a Gesù Cristo chiamandolo Salvo (Zappula, pure tu c’hai speranze di finire in croce) e Zauberei è tornata alla grande vedendo tibie, scafoidi e tonsille dappertutto. Temo che si sia fatta qualche canna persino la poetessa Bove.
Il blog è loro, o lo sarà presto se io e te non iniziamo a giocare pesante. Lo porti tu l’acido?

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 00:51 da Enrico Gregori


Rossella cara,
per il momento ti risponderei io, sperando in un migliore intervento di Di Consoli. Tu contrapponi la carnalita’ di Delacroix all’estetismo del ”nobile” Baudelaire, se non ho mal compreso. Ma trovi anche delle affinita’ estetiche: la medesima voglia di immergersi nella realta’ fino in fondo, fino a volerne svelare i destini individuali di ciascuno. Solo che, dici tu ancora, mentre il pittore era uno che aveva con se la soluzione ”razionalistica”, il poeta non riusciva ad interpretare a fondo la disperazione umana, cosi’ fermandosi sulla lastra di ghiaccio del mare dell’inverno umano – il belletto, la polvere di riso sulle gote.
Ecco. Io dico che Baudelaire e Delacroix sono incomparabili. Giorno e notte. O meglio: moralita’ assente – anche per una condotta di vita che stravolge la mente – per il poeta; invece morale netta e ben definita – anche se non da me apprezzabile – per il pittore, che e’ lucido, simbolico ma non in maniera criptica, e ampiamente carnale.
Scusami per l’intervento, cara
‘Notte
Sergio

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 00:53 da Sergio Sozi


Stasera intervengo di nuovo.
Intanto vi ringrazio ancora per i commenti.
-
@ Enrico
Anch’io aspetto l’intervento di Didò.

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 07:47 da Massimo Maugeri


Aggiungo solo che non pensavo che su Baudelaire, e sul libro di Montesano, potesse svilupparsi un dibattito così interessante e variegato.
Bene.
Buona giornata a tutti!

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 07:48 da Massimo Maugeri


baudelaire è adolescenziale.
kafka è intorcinato.
shakespeare è violento razzista e contorto.
pasolini era omosessuale e comunista.
apollinaire perverso.
quenau inutilmente sperimentale.
perec chi era costui..
wow.
resta poco da leggere.
forse la bibbia.
ma anche lì..

“Come son belli i tuoi piedi
nei sandali, figlia di principe!
Le curve dei tuoi fianchi sono come monili,
opera di mani d’artista.
Il tuo ombelico è una coppa rotonda
che non manca mai di vino drogato.
Il tuo ventre è un mucchio di grano,
circondato da gigli.
I tuoi seni come due cerbiatti,
gemelli di gazzella.
Il tuo collo come una torre d’avorio;
i tuoi occhi sono come i laghetti di Chesbòn,
presso la porta di Bat-Rabbìm;
il tuo naso come la torre del Libano
che fa la guardia verso Damasco.
Il tuo capo si erge su di te come il Carmelo
e la chioma del tuo capo è come la porpora;
un re è stato preso dalle tue trecce”.
Quanto sei bella e quanto sei graziosa,
o amore, figlia di delizie!
La tua statura rassomiglia a una palma
e i tuoi seni ai grappoli.
Ho detto: “Salirò sulla palma,
coglierò i grappoli di datteri;
mi siano i tuoi seni come grappoli d’uva
e il profumo del tuo respiro come di pomi”.
‘Il tuo palato è come vino squisito,
che scorre dritto verso il mio diletto
e fluisce sulle labbra e sui denti!
Io sono per il mio diletto
e la sua brama è verso di me.

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 14:15 da gea


@ Sergio
Hai scritto: “Gli intellettuali secondo me non dovrebbero condurre nessuna battaglia politica, ma starne rigorosamente fuori. Almeno i Letterati, intendo dire esattamente.”
-
Opinione rispettabilissima, la tua.
Io credo che gli intellettuali e gli artisti debbano essere giudicati, in quanto tali, solo per le loro opere.
Sono molti i poeti che hanno scelto di impegnarsi anche in battaglie politiche. Per esempio, Sanguineti.
Ma pure Dante, il Sommo poeta, è stato un intellettuale “politico”. Le sue scelte di campo, politiche, sono del resto riscontrabili anche nella Commedia.

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 15:30 da Massimo Maugeri


Certo, Massimo. Ma forse non e’ propriamente l’aspetto politico quello per il quale la Commedia e’ famosa in tutto il mondo.

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 19:33 da Sergio Sozi


Ciao Enrico… parlerò a Salvo – non Zappulla che saluto, ma Turiddu di Nazareth :-) di te…
Gea, bella la tua traduzione. Sei brava! Proposta a Massi: perché non prendiamo una poesia di CB e la traduciamo reinterpretiamo ognuno come vuole sa e può? Oddio, i fucilano… dopo il libro dell’anno penso che Carlo Gea & company non giocheranno più manco a scopa per i prossimi 20 siècles…
Sergio, Miriam: condivido la vostra opinione, anche se Baudelaire non può essere ridotto solo a questo. Già comunque l’aver dato voce al calderone ribollente dei ragazzi è un merito…
Rossella: non sono un’esperta di pittura, ma a naso Delacroix mi piace, come Baudelaire e Poe. La figura del dandy, dell’esteta colto, raffinato e algido può ispirare antipatia in chi ama un maggiore coinvolgimento dell’artista nella produzione e nella fruizione di un’opera artistica, ma il dandismo non è che una delle tante facce del decadentismo, di cui Baudelaire rappresenta l’anima maledetta, splenica. Pensa a Wilde: sotto quella leggerezza svaporata e studiata c’è un travaglio personale notevole, un impegno intellettuale, un épater le bourgeois – detto bene, Gea? – che è stucchevole solo se fine a se stesso. Leggi le fiabe, leggi anche le cose sue all’apparenza più “fatue”, gli aforismi, e vedrai che profondità. A me piace da pazzi “Il fantasma di Canterville”…

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 21:04 da Maria Lucia Riccioli


Sergio: io apprezzo Dante anche per il suo coinvolgimento politico. Lui pensava di fare delle cose, di agire oltre che scrivere. Dopo di lui, con gente spesso pennivendola, la parola letterato ha assunto un significato dispregiativo. Certo la Commedia sarebbe quello che è anche se Dante fosse stato un tranquillo produttore di olio nella campagna toscana. O no?
Però via Farinata, via Ugolino… Le passioni politiche hanno tanta parte nella sua vita e nelle sue opere, non ne possiamo prescindere. Per lui, credo, essere scrittore e occuparsi di politica erano i modi – inscindibili – di stare al mondo. Non credi?

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 21:08 da Maria Lucia Riccioli


Simo: miaooo!
Ci vediamo da Alessandra sabato… Bacio a te a Nanni ai mici.

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 21:10 da Maria Lucia Riccioli


@ maria lucia
ma tu fai rìccioli (morbidi fluenti disordinati anarchici allegri) o ricciòli (molto milano da bere, ortopedici e stampatori)? a me, non so se si capisce, piace di più l’opzione a.
molto d’accordo sulla distinzione tra decadenti e dandy. non amo particolarmente nessuno dei due generi, ma ne riconosco gli sprazzi di genialità. e baudelaire, con poe, ne è magnifico precursore.
wilde sa essere splendido pur nell’affettazione (il teatro è godibilissimo) e les bourgeoises godono masochisticamente di essere epatée. dove è più umano (la ballata dal carcere di reading, per esempio) mostra anche i suoi limiti.
io amo molto rimbaud..

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 21:20 da gea


Esatto, la A!!!
Rìccioli, anche se tanta gente me lo sbaglia da quando avevo tre anni.
Maria Lucia è diventato Maria Luisa, Maria Grazia, Maria Teresa – tutti nomi bellissimi, per carità!
Mi sono ribellata solo a Mariangela – figlia del rag. Fantozzi Ugo.

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 22:02 da Maria Lucia Riccioli


uuuh..
io ho i capelli color topo come mariangela!
però i parrucchieri li chiamano pomposamente ‘biondo cenere scuro’, e le méches ci stanno da dio.
:-)

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 22:08 da gea


La mia mamma è brizzolata da quando aveva 15 anni per la felicità di mio padre e la nostra…
:-)
Io ho i riccioli ma mia sorella ha i boccoli alla greca…

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 22:40 da Maria Lucia Riccioli


Non e’ che vado di fretta,è che sono passata a vedere se tutto e’ nei limiti della consuera anormalità, e noto con piacere che. dalle firme e dai discorsi ,tutti sono presenti e allineati nei loro ranghi.
NOn rimane che esprimermi sul post,ma questa volta mi limitero’ a dire che sottoscrivo quanto detto da enrico,sia nella forma che nel contenuto.Ha il pregio di essere sintetico e simpatico,il piu’ lucido (!) e concreto,granitico,pur nella sua insostenibile leggerezza.e nonostante tutte le tibie,i nasi,e i malleoli…per fortuna che ce l’abbiamo!

Postato mercoledì, 2 aprile 2008 alle 23:08 da maria gemma


Volete sapere cosa pensa Giuseppe Montesano di questo suo libro?
Volete ascoltare la sua voce calma, pacata, con lieve accento napoletano?
Cliccate qui:
http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/un_libro/archivio_2007/audio/libro2007_09_04.ram
(Intervista audio: trasmissione “Fahrenheit”, di RadioRaiTre).

Postato giovedì, 3 aprile 2008 alle 00:28 da Massimo Maugeri


Intervengo per “postare”, qui di seguito, due interviste inedite rilasciate da Giuseppe Montesano.
La prima a Linnio Accorroni per Stilos (che chiuse una settimana dopo…), e l’altra a Francesco Mannoni mai uscita.
Ringrazio lo stesso Montesano per avermele inviate.

Postato giovedì, 3 aprile 2008 alle 13:56 da Massimo Maugeri


Linnio Accorroni intervista Giuseppe Montesano
—————-
1) Scrivere una ‘biografia letteraria’, anche se questa è definizione inadeguata per questo ‘Il ribelle in guanti rosa’, è pratica temeraria ed improvvida. Se poi l’oggetto preso in considerazione si chiama Charles Baudelaire, l’ardita spericolatezza di una scelta siffatta risalta ancora di più. Come mai lei è cosi tanto attratto dalla figura di Baudelaire ?
- Forse oggi vale la pena fare solo cose che siano “temerarie e improvvide”. La letteratura si avvia a essere sostituita da una forma nuova di uso del tempo libero che è un misto di cultura e pubblicità innocua e sedativa, e la poesia di Baudelaire è la negazione di questo sedativo. Baudelaire sta all’inizio di un’epoca nuova che dura ancora ed è in parte ancora la nostra, e questo lo fa diventare un antenato vicinissimo a noi. Dopo aver lavorato a lungo su Baudelaire e sulla enorme bibliografia critica che lo avvolge, non ero contento. Baudelaire era in gran parte stato mummificato ripetendo interpretazioni vecchie e soprattutto molto ideologiche, ed era diventato una specie di anfibio oscillante tra un De Maistre poetico e un dandy disinteressato alla realtà. Nonostante Macchia avesse smontato, alla sua maniera elegante e soft, l’interpretazione del Baudelaire cattolico, la figura del Baudelaire “grande reazionario” occupava e occupa tutto il campo visivo. Si trattava per me di ripartire dalle grandi intuizioni di Walter Benjamin per scrostare da Baudelaire tutta l’ideologia reazionaria e nichilista da cui era stato avvolto. Niente di più lontano dal nichilismo di un Baudelaire, che si era nutrito del cristianesimo socialista degli utopisti e di Proudhon, di Sade e di De Maistre, ma facendo di tutte le sue letture un uso assolutamente selvaggio, libero, originale.

2) Una parte notevole del libro è occupata dalla descrizione di uno snodo di fondamentale importanza per la storia francese ed europea. Mi riferisco, essenzialmente, alla rivolta del 1848, alla spietata repressione ed alla restaurazione conseguente che ne seguì. Perché tanta ossessiva insistenza su quella vicenda? Riguarda solo la vita del ‘biografato’ o ‘De nos fabula narratur’?
- La catastrofe del ’48, con la sconfitta delle speranze di liberazione collettiva affogate nel sangue dal dominio di Napoleone III, è un momento di assoluta modernità. Napoleone III inventò una forma di dittatura soft, basata sul controllo mediatico e travestita da democrazia populista che si sta ripetendo in forme mutate ma non troppo negli ultimi anni. In un certo senso oggi quel periodo storico è più attuale che negli anni ’30 o negli anni ’50, dove le dittature erano evidenti e apertamente totalitarie. Quello che è davvero interessante è in quella Parigi tra il 1840 e il 1870 è che un poeta, considerato il padre dell’art pour l’art, si sia, in modo tenace e ossessivo, opposto a quel regime: e lo abbia fatto come deve farlo uno scrittore, nella sua opera, riuscendo a fare grande poesia senza affatto trascurare la realtà ma senza lasciarsi dettare dalla realtà l’ordine del giorno. Oggi che molti scrittori e artisti tendono ad autocensurarsi prima ancora che li censuri il meccanismo sociale, la lezione di resistenza sotterranea di Baudelaire può insegnarci ancora molto.

3) Lei ha tradotto anche ex novo tutti i testi delle opere di B. citati nel testo. Perché? Non la soddisfano appieno le vecchie traduzioni?
- Il lavoro su Baudelaire è cominciato intorno al 1990. Con Raboni ho curato il meridiano delle Opere di Baudelaire che è uscito nel 1996, e quasi tutte le traduzioni di prosa del volume erano mie, come mie erano le introduzioni e le note. Restavano solo Les fleurs du mal e gli scritti sull’arte, e per questo libro avevo bisogno di dare al lettore una traduzione che fosse il più possibile letterale, fino a mimare la punteggiatura e la disposizione delle parole e persino la forma esteriore delle poesie di Baudelaire. Così ho ritradotto tutto. Del resto credo che ogni generazione abbia bisogno di rileggere i suoi classici e risentirli nel proprio linguaggio.

4) Nel titolo sono icasticamente scolpite due fra le tante ‘maschere’ possibili di una personalità brulicante di contraddizioni e di cambiamenti: il dandy ed il rivoltoso. È stata una sua scelta editoriale?
- Il titolo si è imposto da solo appena scritte le ultime frasi, e mi è sembrato racchiudere quella contraddizione che stringe come una morsa tutta la figura e l’opera di Baudelaire. L’idea centrale del libro è che tutte le maschere di Baudelaire fossero in parte vere, e che lui avesse adoperato la contraddizione come forma di protezione. Uno scrittore come lui, che ha vissuto sotto tutela giuridica fino alla morte, che doveva elemosinare i soldi a sua madre e al suo tutore-notaio a quarant’anni, che ha cambiato in poco più di vent’anni cinquanta volte casa, non aveva una vita facile. Per portare in fondo la sua opera doveva difendersi con le maschere: quella del dandy fu solo una delle più evidenti.

5) Ho trovato particolarmente ispirato il tono dell’ultima pagina: è come se lei, con tono profetico, abbandonasse le vesti del saggista-biografo per recuperare quelle del romanziere che vuole indicare una prospettiva che nasce da una personalità tanto complessa: rose rosse e sputi…
- Tutto Il ribelle in guanti rosa nasce dalle ultime e dalle prime pagine, e dalla necessità di fare un lavoro da scrittore usando degli strumenti da saggista. Sull’Unità lo scrittore Andrea Di Consoli ha parlato per questo libro di “romanzo critico”, è una definizione che mi piace molto. Io scrivo romanzi-romanzi, racconti, critiche musicali, teatrali, di libri: ma è sempre la stessa persona che cerca di dire in forme diverse ciò che gli sta a cuore, che gli sembra decisivo: la capacità dell’arte di essere una rivolta al mondo come è ma allo stesso tempo una forma di amore per il mondo in cui viviamo. Così nel Ribelle in guanti rosa sono confluite forme diverse tra loro: saggio, biografia, romanzo, critica letteraria, interpretazione testuale. Alla fine nessuna maschera è stata tolta, perché le maschere di uno scrittore sono la sua verità, e la verità di uno scrittore della grandezza primaria di Baudelaire rimane inesauribile. Alla fine delle mie interpretazioni di ogni singola poesia di Baudelaire la poesia resta lì intatta nello splendore delle sue immagini: ancora aperta per chiunque e ancora chiusa per chiunque. E’ il potere di ambiguità della poesia che chiama il lettore a decifrarla: ed è un potere che non ha limiti. Non siamo noi che giudichiamo i Baudelaire o Flaubert, sono Baudelaire e Flaubert che giudicano noi.

6) A più riprese, nonostante l’ampiezza dei richiami alla poetica di B., sentivo di leggere un saggio fortemente intriso di politica, una specie di spaccato storico non tanto della Francia del XIX secolo, quanto invece concernente lo stato di cose presente. È d’accordo con questa interpretazione?
- Il Ribelle in guanti rosa è una foto di gruppo con poeta, ma il poeta è decisamente al centro, e un poeta non può che essere contro la politica così come è fatta nella realtà miserabile di tutti i giorni. Del resto gran parte del libro è dedicata all’erotismo di Baudelaire, al suo essere una sorta di “gnostico” naturale, ai suoi legami con i mistici e gli scrittori eterodossi, al suo essere calato in pieno nell’ambiente letterario dell’epoca, alla sua vita. E’ sempre a partire da noi e dal nostro oggi che vale la pena scrivere sul passato, o no?

Intervista inedita rilasciata per la rivista Stilos poco prima che chiudesse.

Postato giovedì, 3 aprile 2008 alle 13:58 da Massimo Maugeri


Francesco Mannoni intervista Giuseppe Montesano
—————-
1) La maggior parte della poesia moderna non solo francese, è uscita dai Fiori del male. Lei è partito a studiare la biografia di Baudelaire per spiegarne la poesia, oppure dalla poesia è risalito alle sue mai abbastanza indagate origini?
- La vita di uno scrittore è inseparabile dalle cose che scrive: è per questo che quasi sempre le biografie letterarie sono deludenti. Se conosco infiniti dettagli sulla vita di Leopardi, ma conosco solo quelli, il poeta con la sua unicità scompare. E scompare anche il nostro interesse. Vogliamo ritrovare la vita nelle opere ma anche dare un senso alla vita di chi ha scritto quelle opere. Baudelaire pensava che gli scritti di Edgar Allan Poe fossero pieni della sua vita, bisognava solo decifrarli: mi sembra giustissimo. Ma la vita di uomini singolari come Baudelaire ci aiuta a capire più in profondità quello che hanno scritto. Nel Ribelle in guanti rosa ho cercato di raccontare Baudelaire passando dalle poesie alla vita e dalla vita alle poesie, continuamente. Ma se oggi ci interessiamo al fatto che amò per tutta la vita una donna di colore, è perché quella donna è apparsa in alcune delle poesie più belle della letteratura occidentale. Se ci interessa capire perché Baudelaire faceva uso di hascish e oppio, è perché ha scritto i Fiori del male. Io vorrei raccontare a partire dal luogo in cui ciò che si scrive è la vita, certo, ma non più la vita di tutti i giorni: piuttosto quella vita più piena che si realizza nella letteratura, nell’arte, nella poesia.

2) grandi filoni dietro alla poesia di Baudelaire, sono un erotismo che da sotterraneo esce continuamente e prepotentemente alla superficie, una posizione di rivolta assoluta e una altrettanto importante figurazione di Angelo caduto. E’ giusto vedere dietro alla sua opera la presenza inquietante del Marchese De Sade?
- Senza dubbio. Sade ha influenzato con la sua opera inquietante tutta la grande letteratura romantica francese, il secondo Ottocento e fino al Surrealismo. Il primo a vedere con chiarezza estrema che Sade entrava prepotentemente nell’opera di Baudelaire fu Praz nel suo La Carne, la morte e il diavolo. Ma nel Ribelle in guanti rosa ho provato a andare al di là dei possibili o certi prestiti da Sade, e soprattutto a staccarsi del tutto dall’idea che Baudelaire sia un poeta supinamente sadiano, o peggio, sadico. Nelle sue poesie Baudelaire ha coscientemente messo in scena il teatro del Male di Sade, ma senza soggiacere ad esso, e ha capovolto Sade contrapponendo al suo eros funebre e violentatore un Amore Erotico liberatorio e antisadico. Ma del resto Baudelaire ha usato in questo modo, da poeta, anche il cattolico reazionario De Maistre e l’anarchico socialista Proudhon, prendendo le loro idee e usandole come guanti rovesciati. Sade e gli altri interessavano a Baudelaire perché grandi conoscitori del Male, non perché ne sottoscrivesse le teorie: è come se Baudelaire avesse fatto entrare nella città della filosofia e dell’astrazione il Cavallo di Troia della sua poesia e della vita, e ha devastato quella città dall’interno. Tutta la poesia di Baudelaire è un appello alla liberazione dal Male che non eviti di guardare in faccia la sua mostruosità, la sua banalità immensa, distruttiva: per lui l’ignoranza non è una salvezza. L’amore che diventa fraternità erotica era per Baudelaire la negazione dell’idea che il male è ineliminabile dal mondo. Questa forza purificatrice dell’eros che scorre nei Fiori del male è ancora là, a portata di mano: chiunque abbia provato, sia pure anche una sola volta nella vita, il potere sconvolgente dell’amore la riconosce.

3) E’ giusto vedere altrettanto segreta ma non meno importante, la figura di Byron poeta ed eroe della propria vita?
- La poesia di Byron, come quella di molti suoi contemporanei non meno importanti è ormai museificata, e la sua importanza per la letteratura moderna è minima: l’importanza della poesia di Baudelaire è massima. Baudelaire ha accolto dentro di sé la Modernità e ne ha visto i caratteri fondamentali. Ha scoperto su se stesso la difficoltà di essere poeti in un mondo burocratizzato e amministrato, e ha reagito a questa difficoltà affrontandola. La sua poesia si è riempita così in modo intensissimo di tutto ciò che è storico, ma lo ha trasformato e nascosto in una materia preziosa, quella dei versi. Baudelaire è stato molto più eroico anche di un poeta come Rimbaud, diventato ormai una mitologia: Rimbaud alla fine si è arreso alla realtà delle cose, e ha sacrificato la poesia come se si evirasse. Baudelaire fino all’ultimo non è venuto meno all’idea che capire la bellezza vuol dire anche cercare di realizzarla nella realtà, fosse anche solo la realtà dei versi. Baudelaire non si è chiuso in una torre d’avorio, non ha fatto il mercante d’armi, e non ha tradito né la vita né la poesia.

4) Il rapporto di Baudelaire con la madre è stato sufficientemente indagato dagli analisti?
- Sicuramente sì. Ma è sempre necessario tornare su questo nodo della vita di Baudelaire: l’amore immenso e infantile per la madre sognata, e la delusione per la madre reale, accusata di essere meschinamente borghese. Anche se la sua stessa poesia in un certo senso va al di là, e molto al di là, di dove possono arrivare strumenti psicanalitici o medici. Un poeta cosciente come Baudelaire non può essere analizzato come se fosse un paziente col complesso di Edipo steso sul lettino. Il centro del dramma di Baudelaire con sua madre è sempre quello che torna nella sua poesia: l’amore che chiede qualcosa in cambio è falso, solo il dono amoroso ha dentro di sé la verità.

5) Una prefigurazione del mondo moderno in termini quasi urbanistici (la città tentacolare) è rintracciabile nell’immaginario baudelaeriano?
- Baudelaire ha visto arrivare la Modernità molto oltre la scoperta della metropoli moderna. L’ha vista arrivare nel proliferare dell’uomo trasformato in massa ottusa, guidato da una dittatura già mediatica e soft come quella di Napoleone III e dalla dittatura dello sfruttamento economico, la nuova schiavitù nella quale il salario o l’assenza di salario era il mezzo dell’asservimento. Ha ritrovato la tentacolarità del potere fin dentro le anime e i corpi dei contemporanei, accorgendosi che le idee erano ormai solo strumenti adoperabili da chiunque a scopo ideologico. Per lui invece la misura del valore delle idee era sempre e solo nella vita, nella carne reale: le idee da sole gli facevano orrore, perché sapeva che esse possono essere usate al contrario. E ha visto la spersonalizzazione degli individui che avanzava, l’eliminazione dell’originalità individuale e personale, il dilagare del conformismo: anche, o forse soprattutto, di quello intellettuale.

6) La maschera di Baudelaire, dopo il suo libro più che esaustivo, è da considerasi come definitivamente indagata se non caduta?
- Vuole scherzare, spero. L’intenzione del Ribelle in guanti rosa non è affatto quella di smascherare Baudelaire, ma di vedere nel loro insieme tutte le sue maschere, e capire perché le ha indossate. Baudelaire ha accettato di essere contraddittorio fin dall’inizio della sua vita di poeta, e per entrare nel suo mondo bisogna entrare nelle sue contraddizioni senza scioglierle. Del resto io penso che la poesia sia per sua essenza inesauribile, e che una quantità di ignoto in essa resista a ogni genere di indagine: in un certo senso è a partire da quell’ignoto indistruttibile che noi siamo affascinati da un poeta e ritorniamo sempre a lui, per cercare di esaurire quello che a ogni lettura ci appare aver cambiato faccia. Anche qui è come nell’amore: l’amore rende sempre diversa la persona amata, perché il suo desiderio di conoscerla e esaurirla non fa altro che accrescerla e renderla perpetuamente viva. Anche per l’arte è così.

7) Non l’ha spaventata il confronto con un personaggio così complesso, già oggetto di numerosi studi? Quali gli elementi letterari ma anche umani che più l’attraggono della figura di Baudelaire?
- Avevo lavorato all’immensa bibliografia baudelairiana quando preparavo il Meridiano delle Opere di Baudelaire con Giovanni Raboni. E mi rendevo conto che moltissima di quella bibliografia era morta, superata, un guscio secco. Le interpretazioni che erano davvero rivelatrici, da Benjamin a Starobinski, da Mauron a Sartre, da Macchia e dai suoi allievi a Orlando, fino ai più recenti Thélot e Oehler, e quelle ovviamente originali degli scrittori che avevano e hanno indagato alcuni luoghi particolari di Baudelaire: da Laforgue a Proust a Rivière, erano quelle che al loro apparire avevano suscitato spesso resistenze e discussioni, e che restavano idiosincratiche e personali, interessate e appassionate come lo stesso Baudelaire voleva la critica letteraria: ma proprio per questo rimanevano fondamentali e stimolanti. E poi Il ribelle in guanti rosa è alla fine il libro di uno scrittore, di qualcuno che in genere scrive romanzi o lavora attraverso l’immaginazione, e che è diventato saggista per la passione di conoscere: ma una conoscenza che non è anche la rivelazione di una emozione è davvero una conoscenza completa? Baudelaire è un oggetto di passione che risale ai miei quattordici anni, e con il tempo questa passione è solo cresciuta. Quello che in lui è straordinario è che in mezzo a un’esistenza spesso depressa, drammatica, avvilita, meschina, orribile, una vita che potrebbe essere la vita di tutti, Baudelaire ha sempre cercato quello che lui chiamava “il demone fuggitivo dei minuti felici”: il godimento condiviso in cui l’egoismo si spezza e ci si apre all’altro. Tutta la sua opera testimonia di questa capacità di trovare la bellezza e il bene nel cuore stesso della bruttezza e del male, e di testimoniare così un attaccamento alla vita delle creature che somiglia a tratti a un cristianesimo ereticissimo che veda nel corpo erotico la sola pietra di paragone della verità, la sola forma di verità in un mondo falsificato dall’ingiustizia. Nella letteratura niente, o pochissime cose, conservano in sé questo potere di prendere alla gola il lettore, di affascinarlo e di scuotere la sua vita fino alle lacrime: di dolore, di gioia, di liberazione. Io posso solo sperare che un po’ di questa forza sia passata nel Ribelle in guanti rosa.
————–

Intervista inedita

Postato giovedì, 3 aprile 2008 alle 14:29 da Massimo Maugeri


Caro Massimo,
davvero il libro di Giuseppe Montesano sembra anche a me uno dei più importanti usciti in Italia nel 2007.
Un libro, intanto, costruito con grande cura e perfettamente godibile, nonostante affronti la complessità del personaggio e dello scrittore Baudelaire. Confesso che credevo di conoscere abbastanza bene Buadelaire, il fondatore della poesia moderna, ma la ricostruzione di Montesano mi ha rivelato un Baudelaire sconosciuto.
La cosa più accattivante è che il racconto dettagliato, minuzioso, completo che il romanziere napioletano ne fa è scritta in modo chiaro, incisivo e meditato. Non l’ho ancora finito di leggere ma lo segnalo come un lavoro esemplare di racconto biografico, di ritratto di un personaggio inimitabile, che presenta motivi di interesse che vanno al di là della figura di Baudelaire. Il mondo interiore complesso, drammatico, sfaccettato di B. risulta analizzato al microscopio, in modo che il carrattere maledetto e demoniaco della sua personalità balza nitido, ma insieme viene illuminato dalle vicende storiche della Francia tra il 1830, la rivoluzione del ‘48 e l’impero di Napoleone III. Quelle vicende convulse – forse per mia ignoranza – non sapevo quanto fossero strettamente connesse con la poesia eversiva di Les fleurs du mal.
Non solo il mito romantico e napoleonico della Rvoluzione fu alla base delle scelte culturali e letterarie di B., ma proprio la sostanza più profonda della sua personalità risulta-dalle pagine di Montesano- acremente imbevuta delle idee eversive e trasgressive che tra il 1830 e il 1860 fiorirono impetuosamente in Francia.
Mi fermo qui, credo di avere esposto solo alcuni dei temi di grande interesse che IL RIBELLE IN GUANTI ROSA propone. Un caro saluto.
Leandro Piantini

Postato sabato, 5 aprile 2008 alle 09:34 da Leandro Piantini


Caro Sergio,
Baudelaire scrive nel suo “Le Arti Figurative” ( Saggi di critica estetica) su Delacroix
–L’opera di Delacroix mi appare talvolta come una specie di mnemotecnica della grandezza e della passione innata dell’uomo universale. Cotesto merito particolarissimo e del tutto nuovo di Delacroix, che gli ha permesso di esprimere, semplicemente con il contorno, il gesto dell’uomo, per violento che sia, e con il colore quella che potrebbe dirsi l’atmosfera del dramma umano, o il modo dell’anima del creatore –
Baudelaire è un ottimo critico d’arte e, spulciando fra i libri, ho anche trovato qualche china realizzata da lui, ritratti fatti alla sua esotica compagna: alla critica sulla pittura accompagna una sorta di affinità intellettuale con Delacroix, così come fece con molti altri artisti del suo tempo, per l’appunto Poe o Wagner, etc. Non vi è quindi contrapposizione fra estetismo e carnalità, antitesi fra gli artisti, ma piuttosto similitudine nell’imbattersi nella lotta fra le forze brute e la ragione proprio per cercarne una via d’uscita.
Entrambi si calano nella tempesta della battaglia che propone loro il destino, forse se Baudelaire trova essenziale percorrere le vie del ventre di Parigi o l’oscurità di quanto vuol scandagliare con piglio boehmiano, Delacroix lascia un autentico reportage della storia e dei suoi protagonisti.
Ma, cara Maria Lucia Riccioli, siamo lontani dal dandismo di Wilde, dal suo ritratto di Dorian Gray, o meglio gli unici elementi che possono metterli in relazione è la rivolta antiborghese, la voglia di stupire la società con quel loro carattere freddo, edulcorato, così come lo stesso Baudelaire scrive “ i dandys partecipano quasi tutti dello stesso carattere d’opposizione e di rivolta, sono tutti rappresentanti di ciò che v’ ha di meglio nell’orgoglio umano, del bisogno, troppo raro fra quelli d’oggi, di combattere e distruggere la trivialità”, come a voler riparare la propria sensibilità da ferite e coltelli, una sofferenza interiore che inizia con la rivolta contro la madre ed il rigido patrigno e continua fra le mille difficoltà che comporta la continua tensione fra la mistica propensione al Divino e l’opposta, attraente esperienza carnale dei sensi.
Forse se Delacroix dipingendo l’immagine è riuscito a distaccarsi ed a porsi al di sopra degli eventi, Baudelaire è rimasto intrappolato nei mali del ventre di Parigi…….

Postato lunedì, 7 aprile 2008 alle 22:08 da Rossella


@ Maria Lucia Riccioli
forse bisognerebbefare un ulteriore distinzione fra cicisbei e ricerca elegante dello spirito, capire quel che è autentico e quel che non lo è.
Ciao

Postato lunedì, 7 aprile 2008 alle 22:33 da Rossella


Rossella, ho trovato molto interessante il tuo intervento su Baudelaire / Delacroix.
Brava!
(Confesso di non conoscere granché Delacroix).
Buonanotte.

Postato lunedì, 7 aprile 2008 alle 23:28 da Massimo Maugeri


Auguri e complimenti a Giuseppe Montesano per l’attribuzione del Premio Vittorini.
Ho appreso la notizia da “Il Mattino”:
http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20080512&ediz=NAZIONALE&npag=17&file=BOX.xml&type=STANDARD
È Giuseppe Montesano, con il saggio biografico su Baudelaire dal titolo Il ribelle in guanti rosa, edito da Mondadori, il vincitore del premio Vittorini. Napoletano, classe 1959, residente a Sant’Arpino (Caserta) e insegnante, Montesano è uno scrittore poliedrico che ha esordito nella narrativa nel 1997, con il romanzo Nel corpo di Napoli, seguito da A capofitto nel 2001 e Di questa vita menzognera (2003). Collaboratore, con articoli e racconti, di diverse testate tra le quali «Il Mattino», «Diario della Settimana», «Lo Straniero», Montesano ha anche tradotto molti autori francesi tra i quali La Fontaine, Gautier, Flaubert e ha inoltre curato l’edizione de «I meridiani», dedicata a Baudelaire. E proprio al suo autore preferito, al centro del saggio, è valso a Montesano il premio Vittorini: «Dieci anni fa, quando lavoravo al Meridiano – ricorda lo scrittore – nacque l’idea di immergermi nella biografia baudeleriana. Fino ad allora mi ero interessato all’argomento ma non mi ero mai spinto nel mare magnum della bibliogtrafia dell’autore. E dopo la pubblicazione del Meridiano, mi erano rimaste alcune cose da dire, perché mi sembrava che Buadelaire fosse trattato troppo spesso in modo molto diverso da come io lo leggevo».

Postato lunedì, 12 maggio 2008 alle 16:58 da Massimo Maugeri


IL PREMIO VITTORINI 2008
A

GIUSEPPE MONTESANO
PER
“IL RIBELLE IN GUANTI ROSA”
(Mondadori 2007)

di

Saldan

Un ulteriore prestigioso riconoscimento a Giuseppe Montesano, autore di A Capofitto, Nel Corpo di Napoli, Di questa vita menzognera, Magic People, per il suo IL RIBELLE IN GUANTI ROSA, Mondadori 2007, scritto l’anno scorso, nel 150° anniversario delle Fleurs du Mal e nel 140° della morte di Baudelaire, il padre della poesia moderna.

Un libro bello e avvincente, che si legge come un romanzo, scritto in una lingua splendida, densa dei ritmi dell’andante e del maestoso, mai banale, avvincente, ricca di spunti interessanti.

Montesano offre una lettura “aggiornata” del padre dei dandies, incominciando col restituire alla definizione stessa di dandy il giusto significato rispetto a Baudelaire, che rischiava di essere definitivamente ingabbiato nello schema del vecchio snob, reazionario e un po’ andato.

Lo scrittore di Sant’Arpino – il più grande tra le generazioni di scrittori trentenni/cinquantenni per nitore di costruzione narrativa e densità di scrittura- ne ripercorre la vita , i tratti più qualificanti della poetica, proprio come se scrivesse un romanzo, badando a non cadere mai nel dejà vu della biografia e dei suoi luoghi comuni. Un ribelle attuale, molto prossimo alle disillusioni d’ oggigiorno.

A leggere il libro, che consiglio vivamente a chi ama la scrittura che va al di là del momento e che punta alla durata, si viene presi e ci si lascia andare alla musica , alle suggestioni del testo, del racconto:

la poetica clip d’ouverture, la domanda con cui GM introduce il lettore, in flash back, nell’enigma del ribelle in guanti rosa, nelle sue maschere, tema per tema :il tempo, il doppio, lo spleen, l’ideale, il trauma festoso della rivoluzione, il suo tradimento,la lunga notte conformistica del secondo impero, l’incomprensione, l’isolamento, per la forza visionaria di un’ arte troppo avanti per stile contenuti forma , non compresa fino in fondo perfino dagli amici più stretti (Teophile Gautier), che pur ne promossero l’edizione.

Ogni capitolo un movimento della costruzione musicale che è questo racconto-inchiesta, ove parlano gli amici, i persecutori, i familiari e lo stesso ribelle, attraverso le sue poesie, che vengono proposte sotto una luce nuova;

dalla festa sulle barricate del ’48 alla caduta sui gradini della chiesa di Saint Loup nelle ultime ore di vita, col ritmo dell’andante, del cantabile, del maestoso : i capitoli da Lo straniero misterioso a quello de Un assassino ubriaco confuta il Divino Marchese dove vengono chiariti i nodi più controversi della sua poetica, il modo in cui si nutriva, utilizzandolo, del cattolicesimo arcaico alla De Maistre, o il satanismo per “conficcare se stesso nella morsa della contraddizione, per sposare sempre più ciò che stava all’opposizione”

al pianissimo del décalage finale, in cui si scioglie la musica del racconto, in quel “Lui aveva ripetuto che la bellezza è la promessa della felicità. E vero? Non adesso, non in questa realtà, ma solo adesso, solo in questa realtà, non ce ne sono altre, la promessa brilla ancora in tutto il suo splendore”

che riporta il lettore all’enigma della domanda dell’’ouverture e gli lascia intatto il gusto di quel “sogno di una cosa” che ha nutrito la poesia del ribelle ( e di tutti i ribelli), perché una è la vita e mille le sue promesse.

Il sogno di una cosa, ma cos’è questo demone che accende i cuori, la visione, la poesia?..Da Baudelaire a Pasolini, attraverso Verlaine, Rimbaud, Artaud, tutti accomunati, nella loro diversità, dall’identico demone…la vita, il desiderio..o che?

Laing avrebbe parlato di “Io diviso” anche per loro, e quasi certamente avrebbe avuto ragione.. E con questo? Quella promessa è, rimane e rimarrà sempre lì, in tutto il suo splendore.

Beh, complimenti a Montesano.

E’ bello, il suo libro e c’azzecca proprio nel 151° delle Fleurs du Mal e nel 141° della morte del ribelle.

Sta proprio bene a fianco a quelli di Macchia, Sarte, Mauriac, Apollinaire, Pichois, Bonneville, Gide, Valéry, Jouve, che pur si sono occupati criticamente di Baudelaire.

Di più e meglio rispetto a loro, oso dire io, Montesano ha il dono di essere un grande narratore, e quel dono sa utilizzarlo anche per la forma del saggio: anzi, qui il saggio diventa testo narrativo, con i ritmi e i devices del romanzo.

Per gli amanti della grande letteratura è un libro che arriva direttamente al cuore, perchè Baudelaire, il ribelle, viene letto in filigrana, come dall’altra parte dello specchio, e con mimetico amore.

Sara stato sicuramente un fatto casuale, tuttavia Francesco Capasso, art designer, nel ritoccare al computer il quadro di Deroy riprodotto in copertina, ce lo presenta da sinistra, rispetto all’originale, come guardandolo dall’altra parte dello specchio, appunto.

Comunque sia, un libro che offre più di uno spunto a una lettura prima emozionale e poi critica.

Vi saluto con un personale omaggio a IL RIBELLE IN GUANTI ROSA: due acrostici scritti in seguito alla lettura emotiva del libro di Montesano.

CHIEDI ALLO SPECCHIO QUALE MASCHERA

Acrostico per “il ribelle in guanti rosa”
di Giuseppe Montesano

Chiedi allo specchio quale maschera
ha indossato quest’oggi il nostro dio,
a quale morte, o a quale schiera
rutilante ha venduto il nostro io;

lèvati in piedi, mio ipocrita
e critico lettore, mio simile
senza direzione nella tenebra!

Brinda al virtuale, al sapròfita
assassino! Su, brinda all’ignobile
uggia che ci tiene, che c’ottenebra!

domestici dell’idiozia, ottusi
ermafroditi di città defunte
lèvano in alto i loro musi,
a celebrare glorie ormai consunte!

Io senza bellezza non sopravvivo,
rèndile il tuo cuore messo a nudo,
estetico lettore, mio corrìvo!

(sonettessa a schema abab-cdc-cdc-efef-ghg)

S.D.A. , 11 – 12 . 9 . 2007

CHIAMATELA VITA O DESIDERIO

Acrostico (gemello) per “il ribelle in guanti rosa”
di Giuseppe Montesano

Chiamatela vita..o desiderio :
ha incendiato anima e notti
ai visionari!..Per quale criterio
rimuovono il presente, i motti

logori dell’ impero, o le mura
erette dai borghesi trionfanti?..
solitari soldati dell’ impura

Bellezza// inarrivabile?..pura
anarchìa del sublime?..lestofanti
ubriachi di visioni, d’avventura?..

diranno che la comune libertà
esige che non degeneri: così
liquideranno ancora la realtà..
attenti! Ora..e qui..pas loin d’ici!..

il faut recommencer! ricominciare
riafferrando la vita che ci spetta!
e fino alla fine!..e per amare!

(sonettessa a schema abab-cdc-cdc-efef-ghg)

S.D.A. , 18 . 9 . 2007

Postato venerdì, 12 settembre 2008 alle 11:54 da Salvatore D'Angelo


[...] Goethe e Fogazzaro. Accostiamo Le affinità elettive a Malombra grazie agli ottimi interventi di Giuseppe Montesano e Francesco Costa. Cosa hanno in comune questi due libri in apparenza diversi? Ce lo spiega [...]

Postato lunedì, 2 marzo 2009 alle 00:03 da Kataweb.it - Blog - LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri » Blog Archive » STRANE COPPIE n. 2: GOETHE, FOGAZZARO


Per favore, qualcuno corregga quel “De nos fabula narratur”, che leggo anche in Wu Ming, _La salvezza di Euridice_. Credo che “de” regga inderogabilmente l’ablativo.

Postato domenica, 28 agosto 2011 alle 23:11 da Alessandro



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