mercoledì, 5 marzo 2008
I CENT’ANNI DI ANNA MAGNANI
Se fosse ancora viva, tra un paio di giorni (il 7 marzo) Anna Magnani compirebbe cent’anni. Dedichiamo questo post a lei: una delle più grandi attrici italiane di tutti i tempi, un’icona del nostro cinema.
Nel post vi presenterò un libro edito da Minimum Fax e scritto da Giancarlo Governi, che uscirà per l’appunto giorno 7 marzo in occasione del centenario.
Giancarlo Governi, scrittore e giornalista (tra i fondatori del secondo canale Rai), è autore e presentatore di trasmissioni di successo come Supergulp!, Il pianeta Totò, Ritratti, Laurel & Hardy: due teste senza cervello, e ha pubblicato una ventina di libri tra biografie e romanzi.
Il titolo del libro è “Nannarella”(pag. 250, euro 16), il sottotitolo è “Il romanzo di Anna Magnani”.
Seguirà un scheda del libro, un brano estratto dal capitolo dedicato alla realizzazione del film “Roma città aperta” e un articolo sulla figura della Magnani pubblicato su La Stampa e firmato da Masolino D’Amico.
Troverete inoltre un paio di video: il primo offre alcune scene del film citato sopra, il secondo è un omaggio musicale per la Magnani che vede come protagonisti Celentano e la mia concittadina Carmen Consoli.
Giancarlo Governi parteciperà al dibattito e sarà a vostra disposizione per rispondere a domande e curiosità su Nannarella (libro e attrice).
Lancio un paio di domande per avviare il dibattito.
La Magnani ha avuto mai una vera erede?
A vostro avviso che cos’è che ha reso (e rende) questa attrice così speciale?
Ritenete che tra le attrici italiane di oggi ce ne sia qualcuna che, in un modo o nell’altro, faccia pensare alla Magnani?
(Massimo Maugeri)
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Perché dopo tanti anni si parla ancora di Anna Magnani? Perché è stata l’attrice simbolo del cinema italiano del dopoguerra, il cinema della ricostruzione e del riscatto, e una delle più grandi attrici di tutti i tempi, capace di comicità sfrenata e di profonda drammaticità. Di lei gli italiani, da più di cinquant’anni, hanno nella mente, negli occhi e nel cuore quella corsa disperata dietro il camion tedesco che metteva la parola fine al suo più grande personaggio, ma anche la sua risata ora irridente, ora canzonatoria, ora gioiosa: la risata di Nannarella.
Questa biografia – uscita con grande successo nel 1981, ora riveduta e integrata da nuovi documenti e testimonianze – narra i suoi amori drammatici, esclusivi, travolgenti; i suoi dolori laceranti, le sue gioie sfrenate, le sue improvvise voglie di giocare e il suo drammatico disincanto.
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Brano estratto dal cap. 5 : UN FILM PARTORITO CON DOLORE (Roma città aperta, n.d.r.)
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Mancano i generi alimentari, mancano i trasporti (i romani viaggiano aggrappati a sgangherate camionette) e manca anche la pellicola. La gente della troupe viene sguinzagliata per Roma alla ricerca di qualche spezzone. Rossellini è costretto a risparmiare, molte scene vengono girate una sola volta e non vengono stampati i «giornalieri», non c’è possibilità di controllare ciò che è stato girato giorno per giorno. Il rischio è molto grosso, perché se una scena non è venuta bene non può essere più girata, anche perché non c’è la possibilità di ricostruire la situazione su cui si basa.A un certo punto cominciano a scarseggiare anche i soldi. Rossellini ha iniziato a girare perché sa, per esperienza, che spesso nel cinema l’importante è dare inizio alle riprese e poi, quasi sempre, tutto si aggiusta. Jone Tuzzi, che di Roma città aperta fu la segretaria di produzione, racconta: «Roberto era sempre attaccato al telefono della latteria vicina a cercare soldi. Ogni tanto finivano i soldi e si smetteva, poi ne arrivavano un po’ e si girava qualcosa… Una volta aveva cinquantamila lire e le aveva messe in banca, e poi aveva fatto quasi duecentomila lire di assegni… C’era ancora il coprifuoco.
Giravamo a via Rasella, dov’era successo quello che era successo, e dove eravamo vicinissimi a un casino, quello degli Avignonesi. Al primo piano di dove lavoravamo c’erano delle ragazze, delle ragazze un po’ passate, delle “segnorine” che andavano coi negri. Quando giravamo, anche la notte, veniva sempre gente, venivano questi militari che vedevano le luci, e venivano lì, perché volevano scopare, ci avevano presi per il casino! Allora gli indicavamo il casino vero e li mandavamo da queste ragazze. Bisogna dirlo, fino a quel momento Rossellini era considerato uno di serie b, per cui facendo il film io non l’ho fatto neanche con la stessa passione con cui lavoravo di solito, l’ho fatto perché non ci avevo altro da fare, ero convinta che il film non sarebbe mai finito. Tant’è vero che, prima che finisse, io lasciai la lavorazione per tornarmene con Soldati, che stava preparando un’altra cosa. Chi avrebbe immaginato il film che ne è venuto fuori?»
Lo scetticismo nei confronti del film di cui parla Jone Tuzzi lentamente comincia a serpeggiare in tutta la troupe, un po’ perché il film è fatto veramente in condizioni miserevoli e frammentarie che non permettono di prevedere il risultato finale; ma anche perché è veramente un film diverso, molto lontano da quelli che il cinema italiano ha prodotto prima e durante la guerra.
Molte scene, talvolta le più importanti, quelle che rimarranno impresse nella mente degli spettatori di tutto il mondo, nascono per caso. Come la scena dell’uccisione del personaggio interpretato da Anna Magnani: la donna che viene falciata dai mitra tedeschi mentre si getta all’inseguimento del camion che porta via il suo promesso sposo.
Sergio Amidei racconta che la scena, non prevista dal copione con questa dinamica, gli fu suggerita da un’ennesima lite – una delle ultime – fra Anna e Massimo Serato, che era andato a trovarla sul set.
«Una volta che avevamo girato una scena», racconta Amidei, «con la Magnani, Fabrizi e un tedesco, grazie a un prete trafficone che ci aveva fatto girare di notte, dietro la caserma dei carabinieri a Trastevere, la Magnani aveva litigato con Serato, che era il suo uomo di allora, e Serato era scappato di corsa, saltando su una camionetta della produzione che aveva fatto mettere subito in moto. La Magnani corse appresso a questa camionetta, gridando i peggiori insulti di cui era capace, frocio, magnaccio, roba del genere! È stato questo il complemento del primo episodio: la Magnani dietro il camion dei tedeschi che le portano via il suo uomo». È, comunque, una scena che Anna vive con una passione e una verità inedite nel cinema di tutti i tempi.
Anna, nonostante le difficoltà, si appassiona al film, lo capisce e sente che la farà uscire dal bozzettismo popolaresco e farà scoprire agli spettatori e al cinema che, sotto quella potentissima maschera comica, c’è una maschera drammatica altrettanto potente. E poi laguerra, perlomeno l’ultima parte, quella terribile dell’occupazione nazista, Anna l’ha vissuta con rabbioso orrore.
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Anna Magnani non ritirò l’Oscar per “La rosa tatuata”
Articolo di Masolino D’Amico, pubblicato su La Stampa del 23 febbraio 2008
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L’Oscar che Hollywood assegnò ad Anna Magnani nel 1955 per La rosa tatuata non fu solo l’omaggio a un’icona del neorealismo italiano, la cui rivelazione, subito dopo la guerra, era ancora recente, ma anche e soprattutto il tributo a un modo di recitare che solo allora il cinema americano si stava attrezzando per accogliere. Non che i seguaci della spontaneità fossero sconosciuti, ma gli attori del cosiddetto «Metodo» erano ancora confinati in teatro – il clamoroso esordio di Marlon Brando a Broadway è della fine degli Anni 40 – e il grande schermo fu lento a dar loro spazio. Questo, anche per ragioni tecniche. La presa diretta imponeva agli attori movimenti molto rigidi per non allontanarsi dai microfoni piazzati in alto (nel suo primo film Orson Welles inquadrò provocatoriamente i soffitti delle stanze, cosa che non si faceva mai), il che dava alle loro prestazioni, quasi sempre, un carattere freddo, solido, manierato. In Italia invece si doppiava, cosa allora enormemente meno costosa, quindi l’attore era libero di muoversi e anche di improvvisare: la voce veniva aggiunta in un secondo tempo, da lui o se necessario da un altro più bravo di lui. Questo era particolarmente congeniale ad Anna Magnani (di cui ricorre il 7 marzo il centenario della nascita, celebrato in questi giorni a Hollywood in occasione dell’Oscar), attrice nata per il cinema se mai altra ve ne fu, e non soltanto per ragioni di fotogenia – occhi enormi, carnagione pallida che la luce accarezzava – ma anche di temperamento. Artisticamente era una tigre o una leonessa, animali che dormono tutto il tempo ma poi di colpo si svegliano e sfoggiano riflessi micidiali; e l’attore di cinema passa tutto il tempo aspettando sul set quei 30, 40 secondi in cui è chiamato a dare il massimo. Sto parlando di indole, beninteso, non di mestiere (esistono anche i grandi attori solo di cinema), perché naturalmente
la Magnani veniva dal teatro, dove aveva fatto tutto, accademia e gavetta, e quindi la sua preparazione tecnica era impeccabile. È solo che non amava la routine, la monotonia del teatro: non a caso sulle scene diede il meglio di sé nelle esplosioni della rivista, dove negli «ad libitum» tenne testa perfino a un mostro come Totò. Spinta da Tennessee Williams, che venerava Anna e scrisse tre o quattro commedie pensando a lei senza mai riuscire a convincerla a recitarle dal vivo, Hollywood importò la diva ma non riuscì a annettersela, proprio per le ragioni caratteriali di cui sopra. Diventare una star del cinema americano avrebbe comportato una disciplina che Anna non si sentiva di affrontare: studiare l’inglese come si deve, prendere molti aerei, adeguarsi alle scelte della casa di produzione, e via dicendo. Non andò nemmeno a ritirare l’Oscar. Per fare simili violenze al suo carattere ci voleva un’ambizione che Anna non possedeva, a differenza di colei che avrebbe raccolto il testimone di ambasciatrice del nostro cinema negli Usa e alla quale proprio lei idealmente lo consegnò. Quando Carlo Ponti, che aveva comprato La ciociara di Moravia, la incalzava perché voleva produrlo per gli americani con lei come la madre e Sophia Loren nella parte della figlia, Anna finalmente (d’accordo, giocò anche il fatto che si sentiva ancora troppo giovane, perlomeno sullo schermo, per una figliolona grande e grossa come quella) gli disse: «Ma perché non fai fare la madre a Sophia, e le prendi una bambina vera?». Il resto, come si dice, è storia. Non che gli americani rinunciassero mai del tutto all’attrice. Due anni dopo l’Oscar, Anna ebbe un’altra nomination con Selvaggio è il vento di George Cukor, e in seguito ci fu un secondo Tennessee Williams, diretto da Sidney Lumet, e proprio con Marlon Brando: Pelle di serpente, in cui le due star ormai viziatissime e in cagnesco reciproco fecero a gara di capricci e manierismi, dando vita a un’antologia di imitazioni di loro stessi che fu vinta da quello che giocava in casa e che, finito il film, poco cavallerescamente dichiarò: «Ne farei un altro con lei solo a condizione di avere in mano un sasso e poterglielo dare in testa ogni tanto». Finirono così i faticosi spostamenti in piroscafo e treno per guadagnare i set di Los Angeles. Ma il cinema statunitense le affidò ancora almeno una parte di popolana italiana in un kolossal, Il mistero di Santa Vittoria, un film post-post neorealista all’americana su un immaginario paesino che si coalizza per impedire ai tedeschi occupanti di mettere le mani sul suo prezioso vino. Quando l’Oscar arrivò, Anna era ancora un grande e rispettato nome nel cinema italiano, ma in patria non aveva più molte occasioni – Bellissima di Visconti non era stato un successo, Rossellini era passato alla Bergman, il pubblico chiedeva intrattenimento e non drammi, e molta comicità, monopolio (ancora) degli interpreti maschili. E voleva le maggiorate. Alla notizia io e un mio amico quindicenne e cinéphile come me le mandammo un telegramma di congratulazioni che diceva tra l’altro: «Abbasso le bone». Lei ci rispose con un altro: «Grazie ragazzi, ma alla vostra età ci vogliono anche quelle».
Il video qui sopra (tratto dalla trasmissione di Rai Uno "La situazione di mia sorella non è buona") ha come protagonisti Carmen Consoli e Adriano Celentano. Insieme cantano "Anna Magnani", scritta dalla "cantantessa" per il nuovo disco del "molleggiato" su testo di Vincenzo Cerami.
Pubblicato in OMAGGI, RICORRENZE, ANNIVERSARI E CELEBRAZIONI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI 130 commenti »
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