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lunedì, 18 febbraio 2013

ARRIVA LA FINE DEL MONDO (e ancora non sai cosa mettere)

Rimetto in primo piano questo post dedicato alla “fine del mondo” (secondo i Maya, ma non solo) per dare l’occasione alle autrici e agli autori dell’antologia ULTIME NOTIZIE: FINE DEL MONDO (Navarra editore) di dire la loro sull’argomento.

Massimo Maugeri

* * *

Post del 18 dicembre 2012
Arriva la fine del mondo (e ancora non sai cosa mettere)Cari amici, ci siamo. Secondo i Maya, la fine del mondo si verificherà il prossimo 21 dicembre. Se ciò dovesse essere vero, questo potrebbe essere l’ultimo post di Letteratitudine. Uso il condizionale perché, nel caso in cui la fine del mondo iniziasse di sera, farei in tempo – venerdì mattina – ad accogliere in radio Melania Mazzucco (prossima ospite di “Letteratitudine in Fm”) e a pubblicare il relativo post. Voi, naturalmente, fate il vostro dovere per disinnescare la profezia mayana (o mayese?). Toccate ferro, o “altrove” (se è il caso). Andate a caccia di cacche di cane sui marciapiedi e schiacciatele con coraggio. Insomma, impegnatevi al massimo per scongiurare la catastrofe.
Che poi, a pensarci bene, come dovrebbe verificarsi questa fine del mondo? Improvvisa inversione dei poli? Arresto della rotazione terrestre? Pandemia? Impatto con un asteroide? Esplosione di una supernova? Queste domande le ho prese in prestito dalla scheda del volume di Roberto Alajmo intitolato “Arriva la fine del mondo (e ancora non sai cosa metterti)” (Laterza, 2012).
La funesta profezia del 21 dicembre 2012 è solo un esempio”, ci dice Roberto Alajmo. “L’ultimo, se i Maya avevano ragione. Il fatto è che periodicamente l’umanità si prepara a sloggiare dal pianeta Terra. Millenarismi di ogni tipo per secoli hanno attirato la credulità popolare, e ogni scampato pericolo è sempre servito solo come carburante per la profezia successiva. In particolare, però, è la generazione di noi contemporanei quella che sta coltivando con maggiore convinzione l’idea di essere l’ultima della Storia del Mondo. Dopo di noi, il diluvio: e pazienza per i posteri. Potrà essere un collasso finanziario, oppure un drammatico stravolgimento climatico. Forse un’ondata migratoria devastante. Uno tsunami di spazzatura. Una guerra mondiale. La fine delle risorse petrolifere. Oppure tutte queste cose assieme, senza escludere i classici del cinema: impatto con un meteorite o invasione di extraterrestri. Se pure i Maya avessero torto, un’Apocalisse sembra davvero alle porte. Se non altro la fine del mondo così come siamo abituati a viverlo da qualche secolo a questa parte. Ecco lo specifico contemporaneo: ci sentiamo talmente sicuri di un’imminente Apocalisse che ci siamo convinti di non poter fare nulla per fermarla. Se ne ricava la più classica delle profezie che si autoverificano: siccome la fine del mondo ci sarà, ci sarà la fine del mondo”.
Troverete un approfondimento sul libro di Roberto Alajmo cliccando qui. Cliccando su LetteratitudineNews, invece, avrete la possibilità di leggere un testo messo a disposizione da Roberto appositamente per questo dibattito.

In ogni caso non c’è dubbio che la profezia dei Maya abbia fatto presa sull’immaginario collettivo del pianeta Terra. E che tale suggestione sia stata fonte di ispirazione anche nel mondo della fiction. Come te la immagini la fine del mondo? Questa, per esempio, è stata la domanda alla base del progetto editoriale delle “Cronache dalla fine del mondo”: un’antologia di racconti, curata da Laura Costantini per i tipi di Historica edizioni, che ha coinvolto ben 25 autori ai quali è stato chiesto – appunto – di “immaginare” la fine del mondo. Su LetteratitudineNews, avrete la possibilità di leggere la prefazione di Maurizio de Giovanni.

Vi propongo di approfondire la conoscenza dei due libri citati, approfittando della partecipazione al dibattito degli autori coinvolti. Per favorire la discussione, provo a formulare qualche domanda “in tema”.

1. Che tipo di emozione, o reazione, ha suscitato in voi l’apprendimento della notizia della “fine del mondo” profetizzata dai Maya?

2. La diffusione della notizia della profezia ha causato davvero una sorta di psicosi collettiva, oppure no? Qual è la vostra percezione?

3. La popolazione del 2012 è più “immune” dal rischio di “superstizione apocalittica” rispetto a quella delle generazioni dei secoli scorsi, oppure – paradossalmente – la facilità della circolazione delle notizie e la maggiore possibilità di interazione (anche online) rendono tale rischio ancora più alto?

4. Domanda/gioco a) – giusto per sdrammatizzare. Vi viene chiesto di scrivere un messaggio, un testo breve. In caso di “fine del mondo” solo il vostro messaggio potrà essere salvato dall’oblio a beneficio di ipotetici posteri o di eventuali extraterrestri curiosi. Cosa scrivereste?

5. Domanda/gioco b) – giusto per esorcizzare. Se dovesse arrivare la fine del mondo, che abito indossereste?

Grazie in anticipo per la partecipazione.

Massimo Maugeri

(continua…)

Pubblicato in A A - I FORUM APERTI DI LETTERATITUDINE, EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI   156 commenti »

martedì, 11 ottobre 2011

CRONACHE DI INIZIO MILLENNIO

cronache-di-inizio-millennioChe cosa rimane del decennio che ci stiamo lasciando alle spalle?

Qual è l’evento “caratterizzante” degli anni 2001-2011?

Se vi venisse chiesto di redigere una classifica degli eventi più importanti che si sono avvicendanti in questi dieci anni… come la stilereste? (per ordine di importanza…)

Quali eventi, a vostro giudizio, sono rimasti “in sordina” e meriterebbero, viceversa, maggiore risalto nella nostra memoria?

E come si differenzia il decennio che si sta per concludere da quelli che lo hanno preceduto?

Vi invito a rispondere a queste domande, ispirate dalla recentissima pubblicazione del volume “Cronache di inizio millennio” (Historica, 2011) curato dal duo letterario Laura Costantini e Loredana Falcone. Si tratta di una antologia che ha come sottotitolo “32 autori italiani raccontano gli anni 2001/2011” a cui ho partecipato anch’io con grande piacere, invogliato dallo scopo benefico del progetto (come meglio precisato di seguito).
Dalla scheda del libro: “Dieci anni densi di avvenimenti, cambiamenti, cataclismi climatici, politici e sociali che vale la pena raccontare per lasciarne traccia e, senza avere la pretesa di un’interpretazione sociale e antropologica, poter restituire il sapore degli anni che ci siamo trovati a vivere”.
Dicono le curatrici: “Quello che abbiamo chiesto agli autori che hanno aderito (32 tra famosi ed esordienti) è di raccontare uno di questi anni, di questi avvenimenti. Dalle Torri Gemelle all’avvento di Facebook, dallo Tsunami ai Mondiali di calcio 2006, dal G8 di Genova al terremoto dell’Aquila. Sono solo esempi nella massa di stimoli che il decennio ha potuto fornire a tutti noi che scriviamo esercitando la passione della memoria e della parola.”

Il ricavato delle vendite verrà devoluto all’A.V.S.I. per il progetto “Al lavoro! Attività di formazione professionale e avvio al lavoro per i giovani di Rio de Janeiro”.
Mi piacerebbe che partecipassero al dibattito tutti gli autori coinvolti nel progetto (magari potrebbero raccontarci perché hanno scelto proprio quella data e quell’evento).

Laura Costantini mi aiuterà ad animare e a moderare la discussione.
Di seguito, l’elenco degli autori che hanno aderito al progetto e la bella prefazione firmata da Marino Sinibaldi.

(Inutile aggiungere che siete tutti invitati a rispondere alle domande del post).

Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI   195 commenti »

lunedì, 1 marzo 2010

DIBATTITO SULLA LETTERATURA DEI VAMPIRI… E DI ALTRI ORRORI

Aggiorno questo post dedicato al dibattito sulla “letteratura dei vampiri” (che nel frattempo si è trasformato in dibattito sulla “letteratura dei vampiri… e di altri orrori“), inserendo il contributo alla discussione fornitomi da Sergio Altieri (in arte Alan D. Altieri): scrittore, traduttore e direttore editoriale delle collane Mondadori distribuite in edicola. Ne approfitto per ringraziarlo. Segue il post originario pubblicato il 1° marzo 2010.
Massimo Maugeri

* * *

Il (nuovo) giorno del vampiro
Alan D. Altieri

ovvero

Il fascino (indiscreto & eterno)
dell’immortalita’ malefica

* * *

sergio-altieriWhat the hell! Proprio quando ricominciavamo a sperare nella validità dei vecchi metodi. Ma sì, ya all know what I mean: anzitutto santo martello & saKro piKKetto. Più crocefissi assortiti, aglio a grappoli, acqua pura (really? we still got that?) a damigiane, specchi possibilmente non incrinati, etc etc etc. Insomma, tutta l’attrezzatura obbligata e obbligatoria del piccolo vampirista perfetto, tale da sbarazzarci di quegli invadenti salassatori.
Giusto?
Tutto sbagliato.
Guess what: della lista di cui sopra – e senza, almeno per ora, ricorrere agli strabilianti trucchetti post-techno degli ultimi tempi, tipo proiettili di luce & affini – non funziona più un accidenti di niente. Di certo non funziona più un accidenti di niente nel “nuovo giorno del vampiro”.
Difatti, chi non muore – e questi mai che tirino veramente cuoia – si rivede. Per cui una nuova, radiosa alba popolata da orde si sukkiasangue è sorta su questo nostro pianetucolo dolente in attesa del catartico, liberatorio 2012. E non è affatto detto che non siano proprio loro, i vampiri, a mettere la parola fine al nostro inquinato, sovrappopolato, tormentato destino di bipedi imperfetti ormai decisamente e miseramente slittati nell’(in)umano.
Discutibili facezie a parte – pressoché in ogni forma della comunicazione scritta e iconografica – l’intera mitologia vampirica sta vivendo una inedita (ennesima) eterna giovinezza.
Francamente, e passatemi la notazione personale, allo scrivente la cosa va alla grande. Leggendo da ragazzo l’immortale – in senso di capolavoro letterario – “Dracula” di Bram Stoker, nella fenomenale traduzione dell’ugualmente immortale Francesco Saba Sardi, mi schieravo tutto dalla parte del Principe delle Tenebre. Già eretico nell’adolescenza, quindi? Peggio: eretico, blasfemo, nonché politikamente scorrettissimo. E vi argomento anche perché:
- Dracula è solo, ma proprio solo, (R.M. Renfield non è nemmeno il suo garzone di bottega) in lotta per sopravvivere contro un intero universo: sopravvissuto suo malgrado a un passato di orrori, costretto a fare i conti con un amore disperato e impossibile, condannato a coesistere con la propria mostruosità endogena. Ditemi voi se non è questo IL vero eroe romantico di tutti i tempi, letteralmente…;
- gli avversari di Dracula sono l’orgia degli scornacchiati: abbiamo il moscio rimbecillito (Jonathan Harker), il mandriano da trivio (Quincey Morris), il demente tossico (Dr. Jack Seward), e, dulcis-in-fundo, il vittoriano scassapalle sessualmente frustrato (Abraham Van Helsing). Come on, guys, get a life… No, even better: get a death!;
- le ganze di Dracula sono il meglio sulla piazza: a partire dalle tre sexy vampirelle su nella nera fortezza dei Karpazi (okay, ladies, let’s rock!), per passare alla spumeggiante Lucy Westenra (ready to jugular, old boy!), chiudendo in bellezza con la delicata (ma non troppo) Mina Harker (just suck me dry, my Prince!).
Insomma, Dracula Forever.
A tutti gli effetti, il forever di cui sopra continua a funzionare. Ormai da quasi due secoli l’oscuro eppure tormentato, truculento eppure fascinoso, Conte Dracula – e pressoché tutte le sue incarnazioni/deviazioni/ rivisitazioni/approssimazioni successive – rimangono una dominante primaria dell’immaginario individuale e collettivo.
A parere dello scrivente, è il fascino inevitabile dell’immortalità.
Esatto: transitare attraverso lo spazio e il tempo senza tutte quelle menate mistico-messianiche stile Highlander, osservando e studiando, testimoni occulti dell’umana fallacità senza peraltro farne parte. Al di sopra di tutto e al di là di tutti. In sostanza, quanto di più vicino si riesca ad arrivare alla divinità. D’accordo, c’è un prezzo da pagare: no immagini riflesse, no luce del sole, no cenette gourmet (che non siano emoglobiniche), no un po’ di altre inutili frescacce della vita diurna. Ma in definitiva, what the hell, right?
Senza nemmeno osare di ripercorrere l’intera epopea dei vampiri dalla carta stampata, al grande & piccolo schermo, tutta la strada fino ai fumetti e ai videogame, lo scrivente si limiterà a tentare di analizzare i trend più recenti di un filone narrativo (inteso nel senso più lato possibile) che si è già guadagnato l’immortalità’:

vampiritrend #1) vampiri “classic”: non a volte ma sempre ritornano, un po’ come quel buon barolo invecchiato al punto giusto. Profetessa indiscussa di questa rivisitazione rimane la grande Ann Rice. Nei primi anni ’80, con il vampirismo erroneamente considerato materiale da biblioteca, il Lestat creato da Ann Rice – e la sua intera saga susseguente delle “Vampire Chronicles” – riporta in primo piano queste creature ambigue e minacciose, efemeriche e seducenti. In film, abbiamo la riuscita trasposizione di “Interview with the Vampire”, magistralmente diretta da Stephen Frears, seguita purtroppo della bufala – al di là della presenza della meravigliosa e compianta Aliyah – tratta da “Queen of the Damned”. In ogni caso, l’universo estetizzante e diabolico creato da Ann Rice rende tuttora in modo fenomenale. In questa direzione, il vampiro classico, non va dimenticata l’opera della valida narratrice Chelsea Quinn Yarbro con la sua saga del Conte Saint-Germain, pubblicata integralmente in Italia della eccellente casa editrice Gargoyle. Così come non va trascurata l’ultimissima incursione meta-vampirica a opera niente meno che del nipote del divino Bram. Ecco quindi “Dracula the Undead”, a firma Dacre Stoker & Jan Holt (Undead, gli Immortali, PiEmme, 2010), ottima resurrezione del “Divin Conte” quasi in salsa steampunk, con la partecipazione straordinaria di Jack the Ripper, la Contessa Batory e via smembrando.
Insomma, quei volti lividi e affilati, quelle marsine con svolazzante jabeau appena chiazzato di rosso, continuano a tirare al massimo dei giri… Oops, dei kanini;

trend #2) vampiri “stylè”: o anche “vampiri Prada”. Difatti: alti ma non eccessivi, belli ma non sbracati, palestrati ma non ipertrofici, eleganti ma non azzimati, seducenti ma non ambigui, insomma dalla loro le hanno proprio tutte, inclusa una millenaria società parallela nemmeno troppo sotterranea rispetto alla strafottuta società umana. Avete presente? Ma sì, sono loro: la gang cromaticamente virata all’azzurrino di “Underworld”. Ipnotico okkione glauco-livido modello Ice 9 (Kurt Vonnegut for President!), magnifici spolverini di cuoio liscio e abbastanza volume di fuoco full-automatic da livellare Manhattan.
Da un punto di vista visuale, quella del vampiro “stylè” è diventata una proposta dalla quale è ormai difficile discostarsi. Sarebbe un po’ come fare vedere astronavi a forma di sigaro con le grandi ali (pure pulp anni ’50) al posto delle maestosamente lente strutture ipercomplesse inaugurate da Stanley Kubruck (2001), portate poi all’estremo da Ridley Scott (Alien).
Dalla orgiastica e sanguinaria proposta botti & spari, sesso & krudeltà della serie “Anita Blake: Vampire Hunter” a firma della dura & pura Laurell Hamilton, passando per i new gothic “Southern Vampire Mysteries” di Sherrilyn Kanyon, fino alla primariamente romantica (addirittura “vegetariana”) ninna-nanna adolescenziale di “Twilight”, con l’abile Stephanie Mayer al timone, il vampiro “stylè” domina ampiamente la scena. Sarà quindi interessante osservare quale sarà la prossima evoluzione di questo trend. Come on, boys & girls, non potremo avere kanini in salsa Dolce&Gabbana e Moccia per sempre… o no?;

trend #3) vampiri “monstre”: qui si fa addirittura un passo evolutivo all’indietro rispetto a Dracula, eterno vate. Il vampiro mostruoso è solamente una belva infame assetata di sangue. Troppi dentoni e troppo poco cervello, brutto come una qualsiasi sessione parlamentare itaGLiana e aggressivo come l’ultimo cretino analfabeta appena espulso dalla casa/casino di “pikkolo fratello scemo”. Il vampiro “mostre” è buono per una sola cosa: essere fatto fuori, se possibile nel modo più orrido & splatter immaginabile.
Decisamente spostati sul “monstre” sono i puzzosi e fetidi vampiri di “Midnight Mass”, non indifferente ritorno letterario del sempre azzannante F. Paul (“The Keep”) Wilson, pubblicato in Italia parimenti da Gargoyle con il titolo di “Messa di mezzanotte”. Nella loro cannibalica invasione del mondo, i vampiri di Wilson sono molto più attirati dai sanguinacci trucidi che non dalle pulzelle. Beh, a opera degli umani che non mollano, mal gliene incoglierà: come get it, sucka!
Piccolo grande trionfo di come si affrontano i vampiri “mostre” rimane “30 days of night”, trasgressivo fumetto ideato da Steve Niles & Nigel Templesmith, diventato poi un inaspettato successo cinematografico da quasi ottanta milioni di dollari d’incassi diretto dall’abile David Slade. L’idea di base è tanto semplice quanto sinistra: Barrow, Alaska, l’ultimo avamposto civilizzato del Nord AmeriKa, è alle soglie di un intero mese di notte artica. Da chissà dove (citazione diretta della nave dei topi di Dracula) arriva un tetro cargo maledetto. Dal cargo maledetto sbarca l’orda dei vampiri “monstre”, a cui frega solamente di aprire carotidi. Welcome to Barrow, suckers! Mai realmente scadendo nel clichè ma dando ampio spazio al mattatoio, il lavoro di Slade è la quintessenza di tutti i claustrofobici film d’assedio, un “Precinct 13” con i sukkiasangue al posto dei gangstar (o degli sbirri marci). Eppure, c’è almeno un passaggio magistrale. Marlowe, un nome una garanzia letale – interpretato da un irriconoscibile Danny Houston, figlio del compianto maestro John Houston – sta per cibarsi dell’ennesima vittima implorante la grazia di dio. Quasi con rassegnata tristezza, Marlowe indica verso in cielo, scuote il capo: “No god”. Dopo di che, slurp! Insomma, finalmente anche all’inferno ci siamo accorti che dio è morto;

trend #4) vampiri “epidemic”: per i quali il vampirismo è generato da un virus (in senso lato). Tante zanne, ecchissenefrega delle ali da pipistrello, potenziale capacità di affrontare la luce solare. In sostanza, il “virus vampirico” muta, distorce e inghiotte l’umano.
Fino a oggi, un unico, straordinario precursore di questa inevitabile variazione sul tema: Richard Matheson con il suo capolavoro della SF apocalittica “I am legend”. Portato in film ben tre volte – “L’ultimo uomo della terra” (1964, diretto da Sidney Salkow) “The Omega Man” (1971, diretto da Boris Sagal), “I am Legend” (2008, diretto da Francis Lawrence) – “I am Legend” affronta con incredibile maestria tutte le paure dell’uomo: solitudine, vuoto, alienazione, distruzione, autodistruzione… Non una sola sfumatura dello spettro emotivo è lasciata fuori da questo prodigioso apologo del lato oscuro. Sono davvero vampiri, le creature di “I am Legend”, o sono forse la prossima evoluzione di una razza già estinta? Nel suo libro, Matheson si limita a suggerire una risposta, lasciando al lettore le scelta interpretativa cruciale.
Meno riusciti i film: troppo datato il primo, troppo patriottico il secondo, troppo incompiuto il terzo. Pur con il valido Will Smith protagonista in un inaspettato ruolo duramente drammatico, pur con una fenomenale prima metà nella New York svuotata e spettrale, il terzo “I am Legend” si affloscia nel finale, anzi nei due finali, area dove più la narrazione discosta dal testo di Matheson.
Per contro, quello dei vampiri “epidemic” è il trend che contende ai vampiri “stylè” la supremazia del genere. In questo senso, un contributo determinante – sia visuale che scritto – viene dal fuoriclasse Guillermo Del Toro, sceneggiatore e regista iberico ormai solidamente trapiantato a Holly-weird. Imbattibile artista delle creature insettiformi – straordinari gli effetti dal crepuscolare “Cronos” (1993) fino all’estetizzante “Il labirinto del fauno” (2006) passando per il feroce “Mimic” (1997) – Del Toro inserisce nel tema vampirico una sua personalissima svolta già in “Blade II” (2002). Sta sorgendo una razza di vampiri “infetti”, meglio sterminarli o… modificarli geneticamente in vista della irresistibile ascesa del prossimo vampire empire?
Temeraria tematica biochimica che Del Toro riprende letterariamente in “The Strain” – “La Progenie”, Mondadori, 2009 – primo volume di ambizioso progetto trilogico scritto a quattro mani con Chuck Hogan. Anche qui, il vampiro è l’untore principe di New York.
Per molti versi, il vampiro “epidemic” potrebbe essere la saldatura di contaminazione – oh, come on, THAT again? – con il genere zombi. Emblematici in questa sanguinaria terra di mezzo i due non indifferenti film “28”, giorni e settimane dopo. Quelle orde assatanate e urlanti sono zombi, sono vampiri, o sono qualcosa d’altro?

Well, qualsiasi cosa siano le creature di cui sopra, qualsiasi validità vogliate dare ai trend di cui sopra, almeno su un punto possiamo concordare. Eh, già, proprio come il rock & roll:

Vampire is here to stay, vampire will never die!

————

Post del 1° marzo 2010

vampiroSono molto lieto di poter avviare questo dibattito sulla “letteratura dei vampiri”… [intendendo per letteratura dei vampiri quella che ha (e che ha avuto) come protagonisti il conte Dracula and friends...]
Per discutere di questo tema ho invitato alcuni ospiti speciali:
- Simonetta Santamaria (altresì nota con l’appellativo di Simonoir), scrittrice di romanzi horror, la quale ha di recente pubblicato un sanguigno saggio edito da Gremese e intitolato, appunto, “Vampiri. Da Dracula a Twilight
- Laura Costantini, scrittrice e giornalista, la quale ha dichiarato pubblicamente il suo amore per le storie di Stephanie Meyer
- Flavio Santi, autore del romanzo “L’ eterna notte dei Bosconero” (Rizzoli)
- Danilo Arona (autore, tra gli altri, del romanzo “L’estate di Montebuio”, nonché di un contributo sulla nuova edizione di “Io credo nei vampiri” di Emilio de’ Rossignoli), Gianfranco Manfredi (che – tra le altre cose – ha predisposto la bella antologia “Ultimi vampiri”) e Claudio Vergnani (autore di “Il diciottesimo vampiro”)… tutti e tre della scuderia Gargoyle.
Ho poi esteso l’invito a Paolo De Crescenzo (uno dei massimi conoscitori di cultura horror in Italia, nonché editore della Gargoyle), Franco Pezzini (uno dei più preparati tra gli intellettuali specializzati in “letteratura terrifica”).

Premesso che il dibattito è aperto a tutti… altri ospiti potranno essere “invitati” nel corso della discussione.

Di seguito leggerete: la recensione di Francesco Di Domenico al saggio “Vampiri” di Simonetta Santamaria, un articolo sul caso “Twilight” firmato da Laura Costantini, le schede dei libri di Flavio Santi, Danilo Arona, Gianfranco Manfredi e Claudio Vergnani, Franco Pezzini. Nel corso della discussione avrò modo di fornire ulteriori notizie sui suddetti romanzi e sugli ospiti invitati.

Per favorire la discussione ho pensato di porre le seguenti domande:

- Perché la figura del vampiro è così prepotentemente entrata a far parte nell’immaginario collettivo mondiale?

- Il sentimento suscitato dal vampiro è più vicino alla paura o al fascino? E perché?

- Che scarto esiste tra la figura storica del vampiro e quella “trasfigurata” nella fiction letteraria, cinematografica e fumettistica? L’esistenza di questo scarto (ammesso che ci sia) è nota? È importante che lo sia? Che percezione avete, in proposito?

- Cosa è cambiato nella “letteratura vampirica” (ammesso che qualcosa sia cambiato) da Bram Stoker a oggi?

- La letteratura italiana che si “occupa” dei vampiri è all’altezza di quella espressa in altre parti del mondo (quella anglosassone, per esempio)?

- C’è un pregiudizio, da parte dei lettori italiani, a favore dei romanzi sui vampiri di matrice angloamericana (e a svantaggio di quelli scritti in Italia)?

- Avete mai letto “Le notti di Salem” di Stephen King? Che posizione occupa, questo romanzo di King, nella storia della “letteratura vampirica”?

- A cosa è dovuto il successo planetario della saga Twilight della Meyer?

- Rispetto all’età dei lettori: il successo di Twilight è generalizzato o è più generazionale? Rispetto al sesso dei lettori: è un successo “di genere” o è indistinto? Che percezione avete, in proposito?

- In generale: l’horror può esercitare una funzione “esorcizzante” delle paure legate alla quotidianità e alla vita reale?

Altre domande potrebbero essere formulate nel corso della discussione che sarà più che mai improntata sullo scambio, sull’arricchimento reciproco e sulla interattività.

Massimo Maugeri

(continua…)

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mercoledì, 3 dicembre 2008

I CUCCIOLI DELLA PICCOLA EDITORIA E HISTORICA di Francesco Giubilei

Esiste un’età giusta per diventare editori?
È questa la domanda che mi è venuta in mente pensando al caso di Francesco Giubilei.
Francesco ha appena sedici anni e dirige con passione una piccola casa editrice – Historica – nata con il supporto de Il Foglio letterario di Gordiano Lupi.

Di seguito potrete leggere: lo stralcio di un interessante articolo pubblicato l’11 ottobre da Mirella Serri su Tuttolibri (l’articolo per intero lo trovate qui), l’intervista che Francesco Giubilei ha rilasciato a Laura Costantini e la recensione della Costantini a un libro Historica firmato da Sabrina Campolongo (e intitolato “Il muro dell’apparenza”).
Ci tengo, però, a citare gli altri due libri pubblicati da Historica-Il Foglio:
Le colpe dei padri” di Lauraetlory,
La questione di Jekill e Hyde” di Barbara Gozzi

Laura Costantini mi aiuterà a animare e moderare il post.
Sono invitati a partecipare: lo stesso Francesco Giubilei, Sabrina Campolongo, Loredana Falcone, Barbara Gozzi e Gordiano Lupi.

Esiste un’età giusta per diventare editori?

Massimo Maugeri
(continua…)

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martedì, 30 settembre 2008

LA CONDANNA DEL SANGUE. La primavera del commissario Ricciardi, di Maurizio de Giovanni

ricciardi.JPGLuigi Alfredo Ricciardi, nato a Napoli nel 1900, è il trentenne commissario di polizia ideato da Maurizio de Giovanni. Avevamo già avuto modo di presentarlo in concomitanza con il primo libro della serie di quattro (una per ogni stagione) a lui dedicata: “Il senso del dolore”.
Ora Ricciardi ritorna con “La condanna del sangue”.

Ci parleranno di questo nuovo romanzo Laura Costantini e Francesco Di Domenico.

Io ricordo solo la peculiarità di questo malinconico commissario che si trova a operare nella Napoli degli anni Trenta del secolo scorso: Ricciardi ha il dono – o la maledizione – di vedere l’immagine di chi muore di morte violenta, e ascoltarne le ultime parole pronunciate.

Il Fatto, lo chiamava. E il pensiero che la morte, nella sua partenza improvvisa, non aveva avuto il tempo di chiudere i conti, gli arrivava addosso, a chiedere vendetta. Chi se ne andava così, se ne andava con lo sguardo rivolto all’indietro. E lasciava un messaggio che Ricciardi raccoglieva, ascoltando quell’ultimo pensiero ossessivamente ripetuto.” (da “La condanna del sangue”, pag. 21).
Ospite di questo post sarà l’autore del romanzo: Maurizio de Giovanni.
Ma non solo…
Avrete la possibilità di interloquire direttamente con il commissario Ricciardi.
Ponetegli domande, mi raccomando…
Vi offro uno spunto.
Ricciardi sostiene che i moventi che stanno alla base di ogni delitto sono fondamentalmente due: la fame e l’amore.
Siete d’accordo?
Naturalmente tutti coloro che hanno già letto il libro sono invitati a dire la loro.
Massimo Maugeri
(continua…)

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lunedì, 7 aprile 2008

RECENSIONI INCROCIATE. Laura et Lory, Sabrina Campolongo

Vi è mai capitato di leggere una recensione e pensare: “e se il critico è un amico dell’autore recensito”?

Vi è mai capitato di pensare: “va be’, magari si sono messi d’accordo”?

Potrebbe accadere.

Non sarebbe molto corretto, vero? Bene. Letteratitudine, va oltre.

Inauguro, oggi, una nuova rubrica che si intitolerà, per l’appunto, Recensioni incrociate. Di volta in volta chiederò a due autori di recensirsi reciprocamente. Nella maggior parte dei casi l’oggetto delle recensioni saranno i loro libri, in altri casi potrebbero essere “le loro rispettive… figure“.

Saranno credibili, queste recensioni?

Lo giudicherete voi!

Intanto, dopo quelle di Enrico Gregori e Vito Ferro, ho il piacere di presentarvi le recensioni incrociate di Sabrina Campolongo e Laura et Lory (Laura Costantini e Loredana Falcone).

Naturalmente siete tutti invitati a interagire con le “autrici/critiche”. Ponete domande sulle loro opere e sulle loro recensioni incrociate.Ovvero… tartassatele.

Massimo Maugeri

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Sabrina Campolongo, “Il cerchio imperfetto“, Edizioni Creativa, 2008, pagg. 182, euro 12
recensione di Laura et Lory

Un libro sulle donne, scritto da una donna e scelto da un’altra donna per una collana che si dichiara Declinata al Femminile. Sono caratteristiche, queste, salienti per analizzare Il cerchio imperfetto, eppure vorremmo evitare la catalogazione nella cosiddetta letteratura femminile perché il romanzo di Sabrina Campolongo è soprattutto un viaggio all’interno di un universo che ci riguarda tutti, uomini e donne. Si parla di paura di vivere, dei sensi di colpa, del sentirsi inadeguati. Di più, imperfetti.
Sabrina usa i suoi personaggi per tratteggiare la difficoltà di relazione che caratterizza il nostro mondo. Tra Marga, Francesca, Viola, Massimo, nessuno ha la capacità di gestire serenamente un rapporto con l’altro, sia esso d’amicizia o d’amore. Nessuno riesce a trovare il coraggio di accettare l’altro come un dono, perché troppo forte è la paura di doversi dare fino in fondo, fino al confine tra il donarsi e il perdersi. Eppure tutti, indistintamente, hanno un disperato bisogno di amore.
Ha bisogno d’amore Margherita, Marga per le amiche. Lei che colleziona scopate come alcune donne fanno con le scarpe, o con le borsette. E’ spinta verso il sesso da una fame compulsava, non molto diversa da quella che da ragazzina la trascinava in ginocchio, davanti al frigorifero aperto, nel cuore della notte, a ingollare tutto ciò che le capitava sotto tiro.
Marga che ha gli occhi come pozzi verde cupo quando nella sua bulimia erotica incappa in un uomo violento. Un uomo che non ha capito.
Di uomini che non hanno capito ce ne sono molti nelle pagine di Sabrina.
C’è il marito di Francesca, Carlo, che non riesce a capire il bisogno di una madre di macerarsi nel senso di colpa per un figlio imperfetto. Un figlio che l’ha abbandonata alla solitudine, come tutti coloro che sono stati importanti nella sua vita. Francesca è un’artista, ma il linguaggio dei colori non basta a dissipare il buio che si porta dentro quando la giornata si svuota di colpo. Davanti solo un deserto spaventoso, incolmabile. Poter tornare a letto… E’ impossibile dipingere, è impossibile uscire di casa, lavarmi i capelli. Impossibile sollevare il ricevitore del telefono, impossibile sostenere una qualunque conversazione.
E’ la depressione il demone di Francesca. Un’ombra scura che la insegue e la precede schiacciandola in devastanti crisi di panico. Eppure a sconfiggere il mostro basta poco.
- Ciao, ti ho svegliata?
La sua voce, la voce di Massimo.
Vuoto nello stomaco, cuore che sbatte contro le sbarre della sua gabbia d’ossa, cercando di schizzarne fuori. E quel nodo implacabile che si scioglie, restituendomi lo spazio per gonfiare i polmoni.

Le donne amano così.
Eppure Massimo, il ragazzo che ha aperto uno spiraglio nella vita sentimentalmente irrisolta di Francesca, non capisce. O meglio, non vuole capire. Perché anche qui il rischio è il passaggio tra ciò che si ha e ciò che si potrebbe avere.
Lo sa bene Viola, che è nata con il corpo di un uomo, si è venduta per rendere visibile al mondo la femminilità della sua anima, ma non può accettare un amore vero. Un amore da donna. Perché lui non capisce. Pensa solo di fare un grande gesto romantico, non capisce e non gli interessa nemmeno di capire. Non sa cosa ci succederà. Non può capire, come te. Te lo ripeto Francesca: non posso andare a vivere nelle case popolari. I poveri non hanno pietà per quelle come me.
La pietà, la capacità di accettarsi per ciò che si è, manca a tutti i protagonisti di questo cerchio imperfetto.
Il libro di Sabrina Campolongo ha il pregio di descrivere, con la naturalezza del vissuto, stati d’animo che difficilmente vengono raccontati da chi ha la sfortuna di provarli. E’ un libro che scava in zone buie e forse, proprio per questo, il quadro che ne esce racconta di un’umanità fragile e dolente. Un’umanità che non riesce a trovare una rivincita, che non lotta fino in fondo, che si accontenta di un non detto.
Ti amo. Potrei dirti.
Potrei dire ti amo e non cambierebbe nulla.
Non aggiungerebbe nulla.
Posso dirtelo, non credo che lo farò mai.

E’ la sanzione di una sconfitta. Accettata con la strana gioia di una saggezza che, ancora una volta, parla della nostra profonda incapacità.

Laura et Lory

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Laura Costantini e Loredana Falcone, “Roma 1944 – lo sposo di guerra“, Maprosti & Lisanti editore, 2007, pagg. 480, euro 15
recensione di Sabrina Campolongo

Due donne, al centro di questo romanzo, due sponde dello stesso fiume. Da una parte Camilla, ruspante ragazza del popolo, impegnata a tempo pieno a “risolversi la giornata” (vedi mettere assieme un pasto almeno al giorno), dall’altra Ottavia, la contessa Visconti-Parini, assediata nel suo stesso palazzo dalle truppe americane che ne hanno preso possesso, con suo malcelato fastidio.
Due binari, due destini, quello della popolana rimasta sola al mondo, e quello della nobildonna abbandonata da un marito fascista e puttaniere, che in un altro momento storico non si sarebbero mai incrociati, limitandosi a guardarsi dalle due opposte, seppur vicine, tribune: quella dei servi e quella dei padroni.
Ma, in questo particolare dove e quando, tutto, forse, può accadere: Roma, giugno 1944.
Siamo nel cuore di una “città eterna” ferita e umiliata, che deve piegare la testa e accogliere nella sua carne truppe straniere che la proteggano da se stessa, una città costretta ad accettare di farsi salvare a colpi di coprifuoco e restrizioni, siamo in una Roma alla fame, che piange i suoi morti e i suoi palazzi distrutti, e si interroga su un futuro ancora incerto.
In questo sbando totale, non sorprende che i ruoli diventino elastici. Attraverso le pareti sbrecciate, le cuciture che cedono, che si sfilacciano, ecco che Camilla e Ottavia si trovano a essere prima di tutto due donne sole, e poi, solo sullo sfondo, una serva e una padrona.
Pur nella paura del futuro, pur nelle difficoltà, queste due donne, fino ad allora chiuse dentro due vite cucite loro addosso, rigide come gabbie da cui non si può scappare, si trovano tra le mani, quasi loro malgrado, l’occasione unica e irripetibile di essere se stesse.
Non ci sono madri, mariti, o fratelli a controllarle da vicino, nella lotta per la quotidiana sopravvivenza come nelle notte solitarie nella roccaforte del palazzo, non ci sono uomini a imporre, a vietare, a proteggere, a salvare.
Sono sole, sole come si può esserlo quando si è sopravvissuto a una guerra, sole come dopo l’abbandono di tutti, sole come chi non ha più nulla, a parte se stesso, da perdere.
Sole, all’apparenza, finché si innamorano (eh già) di due uomini, due dei “salvatori” americani. Ma sole, mi sembra di poter dire, anche, e dolorosamente, dopo.
Perché, se Camilla e Ottavia sono cresciute, nella consapevolezza di sé, durante questi mesi di solitudine e lotta per la sopravvivenza (materiale e/o spirituale), lo stesso non si può dire degli uomini di questa storia, il giovane Michael che ama Camilla in buona fede, ma, alla fine come un bell’oggetto da possedere e riportarsi in patria intatto, e il colonnello Samuel Kilpatrick, che si concede il diritto di vivere con Ottavia quell’amore totale che il rispetto delle convenzioni gli ha fino ad allora negato, ma senza mai dubitare nel profondo che sarà di nuovo in quella direzione, in quella degli obblighi familiari, che i suoi piedi volgeranno, alla fine della guerra.
Nemmeno il finale (che non svelerò) se pur con un avvicinamento, riesce a sanare la frattura, tra queste donne che lottano per la propria integrità e il proprio diritto a essere se stesse, e questi uomini che non riescono ad amare alla pari, uomini mossi da onesto desiderio, ma anche da ansia di “salvare”, di controllare, di imporre le proprie decisioni.
Il che è indubbiamente coerente con il momento storico. Difficile credere nella possibilità di un vero rivolgimento, è corretto quanto inevitabile il finale “convenzionale” di queste storie. Alla fine, la libertà selvaggia e pericolosa sperimentata in quei giorni lascerà segni profondi, nelle vite dei protagonisti, ma non stravolgerà il paradigma.
Gli uomini continueranno a prendersi la libertà come un diritto sacrosanto, e le donne continueranno ad accettare gli addii, e ad accogliere, e a perdonare.
Eppure, si intuisce che la consapevolezza è diversa: le donne, le sopravvissute, quelle che hanno lavorato nelle fabbriche, quelle che hanno dato da mangiare ai figli quando i mariti erano al fronte, quelle che hanno preservato la propria anima sottraendola alle violenze del corpo, cominciano a mostrare insofferenza, verso quelle figure maschili che vorrebbero tornare a decidere delle loro vite. Ma i tempi, nel 1944, non sono ancora maturi. Forse di questo Laura Costantini e Loredana Falcone ci racconteranno in un prossimo romanzo.
Intanto, quello che resta, dopo la lettura di questo “Roma 1944”, al di là delle vicende individuali e sentimentali dei protagonisti, è l’affresco dolente ma anche vitale (a tratti decisamente divertente) di una città e dei suoi abitanti, sanguigni e beffardi, violenti e disarmanti, acciaccati, ma mai disposti a chinare la testa, ironici anche mentre si svendono, capaci, li si direbbe, di prendere in giro persino la morte.

Acconciarle i capelli in morbidi riccioli era sempre stato il compito di sua madre, fin dalla prima volta, il giorno della Prima Comunione. Sentì le lacrime pungerle gli occhi mentre la nostalgia per Assunta le scavava un dolore sordo nello stomaco, le sembrò quasi di vederla alle sue spalle, riflessa nello specchio della toeletta, con i suoi capelli grigi annodati in una crocchia sulla nuca, la sopravveste bianca quando andava a servizio da donna Matilde, la madre della contessa Ottavia. Le sembrò di sentire la carezza delle sue dita sui capelli e la sua voce che le sussurrava: “Sta’bbona fija mia, nun piagne…ce n’avrai de tempo pe’ disperatte nella vita…”

Sabrina Campolongo

Pubblicato in RECENSIONI INCROCIATE   182 commenti »

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