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sabato, 1 novembre 2014

JOHN SCALZI scrive a Letteratitudine (per “L’ultima colonia”)

Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è  lo scrittore e giornalista americano John Scalzi.

Molti di voi, lettrici e lettori di Letteratitudine, mi avete chiesto più volte di dare spazio ai romanzi di fantascienza. Eccovi accontentati, dunque. John Scalzi, infatti, tra le altre cose, ha vinto il John W. Camp­bell Award (importante premio letterario dedicato, appunto, ai romanzi di fantascienza).

In occasione della pubblicazione di questo post, John Scalzi ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa sul suo nuovo romanzo “L’ultima colonia“  (edito da Gargoyle Books, traduzione di Benedetta Tavani). E ne ha anche approfittato per ragionare sulla fantascienza come genere letterario e sulla relazione tra personaggi e lettore. Questa è la scheda di presentazione del libro…

Dopo anni passati a combattere per le Forze di Difesa Coloniale come soldato artificialmente potenziato, John Perry ha infine trovato un’oasi di pace in un universo violento. Un piccolo pianeta periferico dove vive con moglie e figlia servendo l’Unione Coloniale come semplice difensore civico.
Un giorno però il passato bussa alla porta della sua fattoria: John e Jane, anche lei ex soldato delle FDC, sono stati scelti per guidare la colonizzazione di un nuovo pianeta in un’operazione che si prospetta da subito di grande importanza strategica per il futuro dell’Unione.
I due non ci impiegheranno molto a capire che nulla è come sembra e che la nuova colonia è solo una pedina in un gioco di potere interstellare fra la razza umana e gli alieni, in bilico fra diplomazia e azioni di rappresaglia militare. John Perry dovrà districare una fitta rete di menzogne per salvare se stesso e la gente di cui è responsabile, impedendo che la loro finisca per essere l’ultima colonia del genere umano.

Ringraziamo John per averci inviato questo suo contributo, che pubblichiamo di seguito (anche in lingua originale). E ringraziamo Costanza Ciminelli per la traduzione in italiano.

Massimo Maugeri

P.s. Nelle precedenti puntate abbiamo ospitato: Glenn Cooper, Ildefonso FalconesJoe R. Lansdale, Amélie Nothomb, Clara Sánchez, Gabrielle Zevin, Caroline Vermalle.

* * *

john-scalziL’UMANITÀ DELLA FANTASCIENZA

di John Scalzi

I miei non possono dirsi dei romanzi completamente o soltanto di fantascienza; il tema centrale che affronto è piuttosto l’evoluzione dell’individuo e le scelte che compie. L’evoluzione individuale e le scelte conseguenti sono la risposta agli eventi che caratterizzano la vita di ognuno di noi e hanno lo scopo di lasciare la nostra personale impronta nel mondo che abitiamo. Ciò potrebbe essere percepito sia come una sorpresa sia come una delusione per coloro che guardano alla fantascienza fondamentalmente come il luogo per antonomasia dove impazzano laser, alieni e astronavi – tutti elementi che comunque non mancano nella serie dei miei romanzi “Old Man’s War”, di cui L’ultima colonia costituisce il terzo volume.

Cominciamo con l’osservare un semplice fatto, ovvero che mentre la fantascienza ha luogo in un futuro lontano, i lettori che la leggono stanno vivendo qui e ora, e gli esseri umani che popolano la Storia sono gli stessi animali – gli stessi umani – che esistono da centinaia di migliaia di anni. Questo per dire che non importa quanto diventerà ancora più incredibile la nostra tecnologia, non importa se arriveremo al punto di conficcarci il computer nel cervello e viaggeremo tra i pianeti, saremo comunque le stesse persone che siamo ora, e che eravamo nell’età della pietra, quando guardavamo le stelle chiedendoci cosa fossero e come fossero arrivate sin là.

Eravamo, siamo e saremo esseri umani. Questo significa che le preoccupazioni che ci rendono umani continueranno a esistere. Ciò che ci rende umani è dato principalmente dalle le scelte che facciamo per noi stessi, per i nostri cari e per le nostre comunità. Ne L’ultima colonia, John Perry, l’eroe della serie “Old Man’s War”, prende le distanze dall’azione militare che è, invece, al centro di Morire per vivere, primo libro del ciclo, per ricoprire il ruolo di Amministratore di una delle tante colonie umane che ho immaginato popolino lo spazio. Ma, così come in guerra, le scelte compiute da Perry condizioneranno lui e avranno un contraccolpo sulla colonia che lui e sua moglie, Jane Sagan, sono stati invitati ad amministrare. Alcune scelte di Perry si riveleranno buone, altre no. Buone o cattive, tutte le scelte avranno un peso nella storia.

Quello che la fantascienza ci permette di fare è di mettere gli esseri umani in situazioni in cui diversamente non potrebbero trovarsi, mettendo anche i lettori in quelle medesime situazioni. Nel caso de L’ultima colonia, al centro di tutto c’è la brama di colonizzare un mondo nuovo di zecca. Ciò avviene, da un lato, attraverso alcune sfide che sono familiari alla storia individuale di ognuno di noi, se non al nostro mondo attuale, dall’altro, attraverso parecchie sfide che, invece, non ci sono affatto consone, perché non appartengono al mondo umano.

Che cosa vogliamo, come lettori, da queste situazioni? Vogliamo che i personaggi siano umani perché vogliamo vedere noi stessi in loro, identificarci con loro. Conoscere il percorso compiuto dai personaggi nella risoluzione dei loro conflitti è un aspetto che comprendiamo, pure quando non concordiamo con le loro azioni.

Anche se L’ultima colonia è il terzo titolo del ciclo “Old Man’s War”, ciascun romanzo è narrativamente autonomo, da un lato perché l’obiettivo di realizzare una serie di storie compiute c’è stato sin dall’inizio, dall’altro perché non è detto che tutti i libri del ciclo si trovino in circolazione (così vanno le cose nel mercato editoriale). In ogni romanzo c’è una crisi e i personaggi agiscono per fronteggiarla. Non importa a che punto si comincia a leggere la serie, il lettore familiarizzerà subito con l’umanità dei personaggi. L’umanità dei personaggi è la costante di tutti i romanzi dell’intero ciclo: a volte si tratta di esseri ingenui, altre di esseri frustrati e suscettibili di errore, in ogni caso si tratta sempre di qualcuno che potrebbe essere uno di noi.

Penso che avvicinare i personaggi delle storie di fantascienza a noi umani sia il modo migliore per scriverla e divulgarla e spero che, leggendo L’ultima colonia, arriverete anche voi a questa conclusione.

[traduzione dall'inglese di Costanza Ciminelli]

(Riproduzione riservata)

© John Scalzi

© Gargoyle Books

* * *

John Scalzi (1969) è un giornalista e scrittore americano. Con il suo primo romanzo Morire per vivere (Gargoyle 2012) ha vinto il John W. Camp­bell Award 2006 come miglior scrittore esordiente e lo stesso libro è stato anche finalista al Hugo Award come miglior romanzo dell’anno. Ha pubblicato inoltre Le Brigate Fantasma (Gargoyle 2013), Zoe’s Tale e The Human Division. Con Redshirts ha vinto il Hugo Award per il miglior romanzo e il Locus Award per il miglior romanzo di fantascienza. È autore inoltre di saggi e racconti. È stato consulente creativo per la popolare serie televisiva di fantascienza Stargate Universe e fino al 2013 è stato presidente della Science Fiction and Fantasy Writers of America.

(continua…)

Pubblicato in L'AUTORE STRANIERO RACCONTA IL LIBRO   Commenti disabilitati

giovedì, 14 ottobre 2010

TECNICHE DI RESURREZIONE, di Gianfranco Manfredi

Sul precedente libro di Gianfranco Manfredi – “Ho freddo” – sulle pagine di Tuttolibri de La Stampa, Sergio Pent ha scritto: “Un romanzo che avvince e instilla dubbi sul fascino dei miti popolari, sulle suggestioni esercitate dai potenti, sui tentativi della medicina di risolvere mali che nascono dal profondo di psicologie ataviche, radicate nel dolore e nella paura. Davvero, se Stephen King avesse occasione di leggerlo, potrebbe sicuramente esclamare «ma perché non l’ho scritto io?»”.

Per Ernesto Ferrero, invece, “con verve divertita e provocatoria, Manfredi mescola temi, ambienti, linguaggi, reinventa documenti e carteggi, incrocia personaggi autentici con le fantasie più arrischiate del romanzo gotico e della horror story, miti industriali e dimore di fantasmi, culti arcaici […]e sperimentazioni […], effetti da Grand Guignol e fenomeni extrasensoriali”.

tecniche_di_resurr-cover-bisGianfranco Manfredi è tornato di recente in libreria con un nuovo romanzo, anche questo pubblicato da Gargoyle, intitolato “Tecniche di resurrezione” (dove riprende le vicissitudini dei tre personaggi che animavano il precedente “Ho freddo”, pur mantenendo una struttura narrativa del tutto autonoma).
I riscontri positivi non mancano nemmeno per questo libro. Ranieri Polese, sulle pagine culturali de Il Corriere della sera del 26 settembre 2010 scrive: “Manfredi alterna la riproposta dei suoi titoli di ieri con una nuova produzione di «romanzi filosofici» in cui personaggi e storie d’invenzione si mescolano a fatti e figure storiche e rigorosamente documentate”.

Nell’introduzione al libro, Carlo Bordoni scrive: “Tecniche di resurrezione è un vero capolavoro settecentesco ricreato al giorno d’oggi: del romanzo gotico riprende il tema e la morbosa attenzione per la vita dopo la morte; del romanzo filosofico mette in evidenza i problemi morali, la vivace discussione intellettuale e le contraddizioni del tempo; del romanzo storico ha l’attenzione puntuale per gli eventi narrati e la ricostruzione dei personaggi reali; del romanzo fantastico ha il fascino dell’orrido e il richiamo agli elementi insondabili che sono alla base del mistero della vita”.

I temi affrontati e gli spunti di riflessione offerti da Tecniche di resurrezione sono molteplici, tra cui quello della ossessiva attenzione per la vita dopo la morte e quello dell’ansia di progresso della scienza che, talvolta, trascura remore morali e rispetto per gli uomini (nel romanzo si stigmatizza l’uso spropositato da parte di medici dei cadaveri della povera gente fatta morire in anticipo negli ospedali per poterne studiare il corpo).
Troverete maggiori informazioni nel corso del dibattito, a cui parteciperà anche l’autore (che, oltre a essere “figura carismatica” della letteratura gotica italiana, è animatore instancabile del dibattito sulla letteratura dei vampiri e di altri orrori proposto su questo blog).

Discuteremo del romanzo e dei temi da esso affrontati. Per favorire la discussione, pongo le seguenti domande.

- Avete mai letto il romanzo “Frankenstein” di Mary Wollstonecraft, sposa del poeta romantico Percy Bysshe Shelley? Se sì, cosa ne pensate? Che sensazioni ha suscitato in voi?

- Se grazie a una sorta di sperimentazione tecnologica vi venisse offerta la possibilità di “vivere per sempre” (a voi e solo a voi)… accettereste?  Se sì, a quali condizioni?
A prescindere da qualunque considerazione di natura religiosa… sarebbe “morale” accettare?

- Ci sono limiti oltre i quali la scienza medica non dovrebbe spingersi?

Di seguito: il booktrailer del libro, l’articolo di Luciano Comida (che mi darà una mano a animare e a moderare la discussione) e l’introduzione al volume firmata da Carlo Bordoni.

Massimo Maugeri

P.s. Ne approfitto per segnalare su La poesia e lo spirito l’intervista a Claudio Vergnani su “Il 36° giusto” (Gargoyle, 2010)

(continua…)

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI   232 commenti »

lunedì, 1 marzo 2010

DIBATTITO SULLA LETTERATURA DEI VAMPIRI… E DI ALTRI ORRORI

Aggiorno questo post dedicato al dibattito sulla “letteratura dei vampiri” (che nel frattempo si è trasformato in dibattito sulla “letteratura dei vampiri… e di altri orrori“), inserendo il contributo alla discussione fornitomi da Sergio Altieri (in arte Alan D. Altieri): scrittore, traduttore e direttore editoriale delle collane Mondadori distribuite in edicola. Ne approfitto per ringraziarlo. Segue il post originario pubblicato il 1° marzo 2010.
Massimo Maugeri

* * *

Il (nuovo) giorno del vampiro
Alan D. Altieri

ovvero

Il fascino (indiscreto & eterno)
dell’immortalita’ malefica

* * *

sergio-altieriWhat the hell! Proprio quando ricominciavamo a sperare nella validità dei vecchi metodi. Ma sì, ya all know what I mean: anzitutto santo martello & saKro piKKetto. Più crocefissi assortiti, aglio a grappoli, acqua pura (really? we still got that?) a damigiane, specchi possibilmente non incrinati, etc etc etc. Insomma, tutta l’attrezzatura obbligata e obbligatoria del piccolo vampirista perfetto, tale da sbarazzarci di quegli invadenti salassatori.
Giusto?
Tutto sbagliato.
Guess what: della lista di cui sopra – e senza, almeno per ora, ricorrere agli strabilianti trucchetti post-techno degli ultimi tempi, tipo proiettili di luce & affini – non funziona più un accidenti di niente. Di certo non funziona più un accidenti di niente nel “nuovo giorno del vampiro”.
Difatti, chi non muore – e questi mai che tirino veramente cuoia – si rivede. Per cui una nuova, radiosa alba popolata da orde si sukkiasangue è sorta su questo nostro pianetucolo dolente in attesa del catartico, liberatorio 2012. E non è affatto detto che non siano proprio loro, i vampiri, a mettere la parola fine al nostro inquinato, sovrappopolato, tormentato destino di bipedi imperfetti ormai decisamente e miseramente slittati nell’(in)umano.
Discutibili facezie a parte – pressoché in ogni forma della comunicazione scritta e iconografica – l’intera mitologia vampirica sta vivendo una inedita (ennesima) eterna giovinezza.
Francamente, e passatemi la notazione personale, allo scrivente la cosa va alla grande. Leggendo da ragazzo l’immortale – in senso di capolavoro letterario – “Dracula” di Bram Stoker, nella fenomenale traduzione dell’ugualmente immortale Francesco Saba Sardi, mi schieravo tutto dalla parte del Principe delle Tenebre. Già eretico nell’adolescenza, quindi? Peggio: eretico, blasfemo, nonché politikamente scorrettissimo. E vi argomento anche perché:
- Dracula è solo, ma proprio solo, (R.M. Renfield non è nemmeno il suo garzone di bottega) in lotta per sopravvivere contro un intero universo: sopravvissuto suo malgrado a un passato di orrori, costretto a fare i conti con un amore disperato e impossibile, condannato a coesistere con la propria mostruosità endogena. Ditemi voi se non è questo IL vero eroe romantico di tutti i tempi, letteralmente…;
- gli avversari di Dracula sono l’orgia degli scornacchiati: abbiamo il moscio rimbecillito (Jonathan Harker), il mandriano da trivio (Quincey Morris), il demente tossico (Dr. Jack Seward), e, dulcis-in-fundo, il vittoriano scassapalle sessualmente frustrato (Abraham Van Helsing). Come on, guys, get a life… No, even better: get a death!;
- le ganze di Dracula sono il meglio sulla piazza: a partire dalle tre sexy vampirelle su nella nera fortezza dei Karpazi (okay, ladies, let’s rock!), per passare alla spumeggiante Lucy Westenra (ready to jugular, old boy!), chiudendo in bellezza con la delicata (ma non troppo) Mina Harker (just suck me dry, my Prince!).
Insomma, Dracula Forever.
A tutti gli effetti, il forever di cui sopra continua a funzionare. Ormai da quasi due secoli l’oscuro eppure tormentato, truculento eppure fascinoso, Conte Dracula – e pressoché tutte le sue incarnazioni/deviazioni/ rivisitazioni/approssimazioni successive – rimangono una dominante primaria dell’immaginario individuale e collettivo.
A parere dello scrivente, è il fascino inevitabile dell’immortalità.
Esatto: transitare attraverso lo spazio e il tempo senza tutte quelle menate mistico-messianiche stile Highlander, osservando e studiando, testimoni occulti dell’umana fallacità senza peraltro farne parte. Al di sopra di tutto e al di là di tutti. In sostanza, quanto di più vicino si riesca ad arrivare alla divinità. D’accordo, c’è un prezzo da pagare: no immagini riflesse, no luce del sole, no cenette gourmet (che non siano emoglobiniche), no un po’ di altre inutili frescacce della vita diurna. Ma in definitiva, what the hell, right?
Senza nemmeno osare di ripercorrere l’intera epopea dei vampiri dalla carta stampata, al grande & piccolo schermo, tutta la strada fino ai fumetti e ai videogame, lo scrivente si limiterà a tentare di analizzare i trend più recenti di un filone narrativo (inteso nel senso più lato possibile) che si è già guadagnato l’immortalità’:

vampiritrend #1) vampiri “classic”: non a volte ma sempre ritornano, un po’ come quel buon barolo invecchiato al punto giusto. Profetessa indiscussa di questa rivisitazione rimane la grande Ann Rice. Nei primi anni ’80, con il vampirismo erroneamente considerato materiale da biblioteca, il Lestat creato da Ann Rice – e la sua intera saga susseguente delle “Vampire Chronicles” – riporta in primo piano queste creature ambigue e minacciose, efemeriche e seducenti. In film, abbiamo la riuscita trasposizione di “Interview with the Vampire”, magistralmente diretta da Stephen Frears, seguita purtroppo della bufala – al di là della presenza della meravigliosa e compianta Aliyah – tratta da “Queen of the Damned”. In ogni caso, l’universo estetizzante e diabolico creato da Ann Rice rende tuttora in modo fenomenale. In questa direzione, il vampiro classico, non va dimenticata l’opera della valida narratrice Chelsea Quinn Yarbro con la sua saga del Conte Saint-Germain, pubblicata integralmente in Italia della eccellente casa editrice Gargoyle. Così come non va trascurata l’ultimissima incursione meta-vampirica a opera niente meno che del nipote del divino Bram. Ecco quindi “Dracula the Undead”, a firma Dacre Stoker & Jan Holt (Undead, gli Immortali, PiEmme, 2010), ottima resurrezione del “Divin Conte” quasi in salsa steampunk, con la partecipazione straordinaria di Jack the Ripper, la Contessa Batory e via smembrando.
Insomma, quei volti lividi e affilati, quelle marsine con svolazzante jabeau appena chiazzato di rosso, continuano a tirare al massimo dei giri… Oops, dei kanini;

trend #2) vampiri “stylè”: o anche “vampiri Prada”. Difatti: alti ma non eccessivi, belli ma non sbracati, palestrati ma non ipertrofici, eleganti ma non azzimati, seducenti ma non ambigui, insomma dalla loro le hanno proprio tutte, inclusa una millenaria società parallela nemmeno troppo sotterranea rispetto alla strafottuta società umana. Avete presente? Ma sì, sono loro: la gang cromaticamente virata all’azzurrino di “Underworld”. Ipnotico okkione glauco-livido modello Ice 9 (Kurt Vonnegut for President!), magnifici spolverini di cuoio liscio e abbastanza volume di fuoco full-automatic da livellare Manhattan.
Da un punto di vista visuale, quella del vampiro “stylè” è diventata una proposta dalla quale è ormai difficile discostarsi. Sarebbe un po’ come fare vedere astronavi a forma di sigaro con le grandi ali (pure pulp anni ’50) al posto delle maestosamente lente strutture ipercomplesse inaugurate da Stanley Kubruck (2001), portate poi all’estremo da Ridley Scott (Alien).
Dalla orgiastica e sanguinaria proposta botti & spari, sesso & krudeltà della serie “Anita Blake: Vampire Hunter” a firma della dura & pura Laurell Hamilton, passando per i new gothic “Southern Vampire Mysteries” di Sherrilyn Kanyon, fino alla primariamente romantica (addirittura “vegetariana”) ninna-nanna adolescenziale di “Twilight”, con l’abile Stephanie Mayer al timone, il vampiro “stylè” domina ampiamente la scena. Sarà quindi interessante osservare quale sarà la prossima evoluzione di questo trend. Come on, boys & girls, non potremo avere kanini in salsa Dolce&Gabbana e Moccia per sempre… o no?;

trend #3) vampiri “monstre”: qui si fa addirittura un passo evolutivo all’indietro rispetto a Dracula, eterno vate. Il vampiro mostruoso è solamente una belva infame assetata di sangue. Troppi dentoni e troppo poco cervello, brutto come una qualsiasi sessione parlamentare itaGLiana e aggressivo come l’ultimo cretino analfabeta appena espulso dalla casa/casino di “pikkolo fratello scemo”. Il vampiro “mostre” è buono per una sola cosa: essere fatto fuori, se possibile nel modo più orrido & splatter immaginabile.
Decisamente spostati sul “monstre” sono i puzzosi e fetidi vampiri di “Midnight Mass”, non indifferente ritorno letterario del sempre azzannante F. Paul (“The Keep”) Wilson, pubblicato in Italia parimenti da Gargoyle con il titolo di “Messa di mezzanotte”. Nella loro cannibalica invasione del mondo, i vampiri di Wilson sono molto più attirati dai sanguinacci trucidi che non dalle pulzelle. Beh, a opera degli umani che non mollano, mal gliene incoglierà: come get it, sucka!
Piccolo grande trionfo di come si affrontano i vampiri “mostre” rimane “30 days of night”, trasgressivo fumetto ideato da Steve Niles & Nigel Templesmith, diventato poi un inaspettato successo cinematografico da quasi ottanta milioni di dollari d’incassi diretto dall’abile David Slade. L’idea di base è tanto semplice quanto sinistra: Barrow, Alaska, l’ultimo avamposto civilizzato del Nord AmeriKa, è alle soglie di un intero mese di notte artica. Da chissà dove (citazione diretta della nave dei topi di Dracula) arriva un tetro cargo maledetto. Dal cargo maledetto sbarca l’orda dei vampiri “monstre”, a cui frega solamente di aprire carotidi. Welcome to Barrow, suckers! Mai realmente scadendo nel clichè ma dando ampio spazio al mattatoio, il lavoro di Slade è la quintessenza di tutti i claustrofobici film d’assedio, un “Precinct 13” con i sukkiasangue al posto dei gangstar (o degli sbirri marci). Eppure, c’è almeno un passaggio magistrale. Marlowe, un nome una garanzia letale – interpretato da un irriconoscibile Danny Houston, figlio del compianto maestro John Houston – sta per cibarsi dell’ennesima vittima implorante la grazia di dio. Quasi con rassegnata tristezza, Marlowe indica verso in cielo, scuote il capo: “No god”. Dopo di che, slurp! Insomma, finalmente anche all’inferno ci siamo accorti che dio è morto;

trend #4) vampiri “epidemic”: per i quali il vampirismo è generato da un virus (in senso lato). Tante zanne, ecchissenefrega delle ali da pipistrello, potenziale capacità di affrontare la luce solare. In sostanza, il “virus vampirico” muta, distorce e inghiotte l’umano.
Fino a oggi, un unico, straordinario precursore di questa inevitabile variazione sul tema: Richard Matheson con il suo capolavoro della SF apocalittica “I am legend”. Portato in film ben tre volte – “L’ultimo uomo della terra” (1964, diretto da Sidney Salkow) “The Omega Man” (1971, diretto da Boris Sagal), “I am Legend” (2008, diretto da Francis Lawrence) – “I am Legend” affronta con incredibile maestria tutte le paure dell’uomo: solitudine, vuoto, alienazione, distruzione, autodistruzione… Non una sola sfumatura dello spettro emotivo è lasciata fuori da questo prodigioso apologo del lato oscuro. Sono davvero vampiri, le creature di “I am Legend”, o sono forse la prossima evoluzione di una razza già estinta? Nel suo libro, Matheson si limita a suggerire una risposta, lasciando al lettore le scelta interpretativa cruciale.
Meno riusciti i film: troppo datato il primo, troppo patriottico il secondo, troppo incompiuto il terzo. Pur con il valido Will Smith protagonista in un inaspettato ruolo duramente drammatico, pur con una fenomenale prima metà nella New York svuotata e spettrale, il terzo “I am Legend” si affloscia nel finale, anzi nei due finali, area dove più la narrazione discosta dal testo di Matheson.
Per contro, quello dei vampiri “epidemic” è il trend che contende ai vampiri “stylè” la supremazia del genere. In questo senso, un contributo determinante – sia visuale che scritto – viene dal fuoriclasse Guillermo Del Toro, sceneggiatore e regista iberico ormai solidamente trapiantato a Holly-weird. Imbattibile artista delle creature insettiformi – straordinari gli effetti dal crepuscolare “Cronos” (1993) fino all’estetizzante “Il labirinto del fauno” (2006) passando per il feroce “Mimic” (1997) – Del Toro inserisce nel tema vampirico una sua personalissima svolta già in “Blade II” (2002). Sta sorgendo una razza di vampiri “infetti”, meglio sterminarli o… modificarli geneticamente in vista della irresistibile ascesa del prossimo vampire empire?
Temeraria tematica biochimica che Del Toro riprende letterariamente in “The Strain” – “La Progenie”, Mondadori, 2009 – primo volume di ambizioso progetto trilogico scritto a quattro mani con Chuck Hogan. Anche qui, il vampiro è l’untore principe di New York.
Per molti versi, il vampiro “epidemic” potrebbe essere la saldatura di contaminazione – oh, come on, THAT again? – con il genere zombi. Emblematici in questa sanguinaria terra di mezzo i due non indifferenti film “28”, giorni e settimane dopo. Quelle orde assatanate e urlanti sono zombi, sono vampiri, o sono qualcosa d’altro?

Well, qualsiasi cosa siano le creature di cui sopra, qualsiasi validità vogliate dare ai trend di cui sopra, almeno su un punto possiamo concordare. Eh, già, proprio come il rock & roll:

Vampire is here to stay, vampire will never die!

————

Post del 1° marzo 2010

vampiroSono molto lieto di poter avviare questo dibattito sulla “letteratura dei vampiri”… [intendendo per letteratura dei vampiri quella che ha (e che ha avuto) come protagonisti il conte Dracula and friends...]
Per discutere di questo tema ho invitato alcuni ospiti speciali:
- Simonetta Santamaria (altresì nota con l’appellativo di Simonoir), scrittrice di romanzi horror, la quale ha di recente pubblicato un sanguigno saggio edito da Gremese e intitolato, appunto, “Vampiri. Da Dracula a Twilight
- Laura Costantini, scrittrice e giornalista, la quale ha dichiarato pubblicamente il suo amore per le storie di Stephanie Meyer
- Flavio Santi, autore del romanzo “L’ eterna notte dei Bosconero” (Rizzoli)
- Danilo Arona (autore, tra gli altri, del romanzo “L’estate di Montebuio”, nonché di un contributo sulla nuova edizione di “Io credo nei vampiri” di Emilio de’ Rossignoli), Gianfranco Manfredi (che – tra le altre cose – ha predisposto la bella antologia “Ultimi vampiri”) e Claudio Vergnani (autore di “Il diciottesimo vampiro”)… tutti e tre della scuderia Gargoyle.
Ho poi esteso l’invito a Paolo De Crescenzo (uno dei massimi conoscitori di cultura horror in Italia, nonché editore della Gargoyle), Franco Pezzini (uno dei più preparati tra gli intellettuali specializzati in “letteratura terrifica”).

Premesso che il dibattito è aperto a tutti… altri ospiti potranno essere “invitati” nel corso della discussione.

Di seguito leggerete: la recensione di Francesco Di Domenico al saggio “Vampiri” di Simonetta Santamaria, un articolo sul caso “Twilight” firmato da Laura Costantini, le schede dei libri di Flavio Santi, Danilo Arona, Gianfranco Manfredi e Claudio Vergnani, Franco Pezzini. Nel corso della discussione avrò modo di fornire ulteriori notizie sui suddetti romanzi e sugli ospiti invitati.

Per favorire la discussione ho pensato di porre le seguenti domande:

- Perché la figura del vampiro è così prepotentemente entrata a far parte nell’immaginario collettivo mondiale?

- Il sentimento suscitato dal vampiro è più vicino alla paura o al fascino? E perché?

- Che scarto esiste tra la figura storica del vampiro e quella “trasfigurata” nella fiction letteraria, cinematografica e fumettistica? L’esistenza di questo scarto (ammesso che ci sia) è nota? È importante che lo sia? Che percezione avete, in proposito?

- Cosa è cambiato nella “letteratura vampirica” (ammesso che qualcosa sia cambiato) da Bram Stoker a oggi?

- La letteratura italiana che si “occupa” dei vampiri è all’altezza di quella espressa in altre parti del mondo (quella anglosassone, per esempio)?

- C’è un pregiudizio, da parte dei lettori italiani, a favore dei romanzi sui vampiri di matrice angloamericana (e a svantaggio di quelli scritti in Italia)?

- Avete mai letto “Le notti di Salem” di Stephen King? Che posizione occupa, questo romanzo di King, nella storia della “letteratura vampirica”?

- A cosa è dovuto il successo planetario della saga Twilight della Meyer?

- Rispetto all’età dei lettori: il successo di Twilight è generalizzato o è più generazionale? Rispetto al sesso dei lettori: è un successo “di genere” o è indistinto? Che percezione avete, in proposito?

- In generale: l’horror può esercitare una funzione “esorcizzante” delle paure legate alla quotidianità e alla vita reale?

Altre domande potrebbero essere formulate nel corso della discussione che sarà più che mai improntata sullo scambio, sull’arricchimento reciproco e sulla interattività.

Massimo Maugeri

(continua…)

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