sabato, 21 settembre 2019
DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA di Miguel de Cervantes (Leggerenza n. 10)
Nel proposito di beffeggiare e irridere i libri di cavalleria, Cervantes ne rilanciò in realtà il gusto sostenendone anche il successo a teatro, dove l’epopea dei cavalieri erranti riebbe nel Seicento vigore soprattutto in Spagna. Contrario a quella vena letteraria che dal dodicesimo secolo e almeno per quattro secoli fino all’Orlando furioso aveva soggiogato il pubblico europeo con uno smisurato profluvio di opere su celate e velate, Cervantes si rivelò piuttosto il più accanito lettore del genere post-stilnovistico in un’epoca in cui quella svenevolezza per la cavalleria medievale era però cessata e da almeno centocinquant’anni non si vedevano cavalieri armati e ancor meno erranti: ciò dopo la diffusione delle armi da fuoco il cui uso in battaglia metteva fine al coraggio e all’ardore del singolo combattente, tale che don Chisciotte, come lo stesso Orlando ariostesco, trova che possa essere abbattuto anche da una palla sparata da un codardo e biasima il proprio tempo per «la spaventevole furia di queste indemoniate macchine dell’artiglieria».
Occorre partire da qui per guardare alle suggestioni del Don Chisciotte: il cavaliere “dalla Triste figura”, poi ribattezzato “dei Leoni”, che depreca il presente e si vanta di aver riportato in vita «l’esercizio della cavalleria di ventura ormai dimenticato» e il suo autore che condanna il lungo passato credulo e ingenuo ma dà un’opera che infiamma il tempo in cui vive proprio della seduzione per un genere letterario che con lui risorge anziché tramontare. Tuttavia il trasporto di Cervantes per le storie di fantasia, picaresche e di cappa e spada, non è tanto rivolto a un genere quanto alla letteratura in sé nel cui spirito parteggia dunque per le ragioni di don Chisciotte che, rendendo vera e reale l’epica romanzesca, si dichiara convinto della storicità dei cavalieri erranti esaltati nei libri di cavalleria e perciò della verità della letteratura. In un vertiginoso gioco combinatorio, in sostanza, Cervantes dà credito e fondamento alla letteratura, come mimesi aristotelica e fonte di riproduzione della realtà, immaginando un personaggio convinto dell’esistenza dei cavalieri romanzeschi di ventura, da Lancillotto ad Amadigi di Gaula, e quindi pazzo: di quella pazzia che è però epifanica della verità. (continua…)
Pubblicato in LEGGERENZA (a cura di Gianni Bonina) Commenti disabilitati
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