mercoledì, 15 aprile 2015
Felisberto Hernández
In collegamento con il forum di Letteratitudine dedicato a “LETTERATURA E MUSICA“
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La memoria della musica (o la musica della memoria): Felisberto Hernández
a cura di Claudio Morandini
Chi ama la musica e quella particolare musica che risuona nelle pagine di un libro farà bene a dedicarsi alla lettura di Felisberto Hernández (Montevideo, 1902-1964), di cui La Nuova Frontiera sta pubblicando i racconti e i romanzi nella bella traduzione di Francesca Lazzarato. Hernández era quasi dimenticato in Italia, prima di queste provvidenziali pubblicazioni: si erano perse da anni le tracce della precedente edizione di “Nessuno accendeva le lampade” (Einaudi, 1974, traduzione di U. Bonetti), mai più ristampata.
Hernández era pianista e scrittore; prima pianista, poi scrittore dalla sconcertante sensibilità. I racconti, sia quelli più corti sia quelli che ambiscono a uno statuto quasi di romanzo breve, sono qualcosa di diverso, di non catalogabile (se ne era ben accorto Italo Calvino, che nel presentare la prima edizione italiana di “Nessuno accendeva le lampade” scriveva che l’autore “non somiglia a nessuno… è un irregolare che sfugge a ogni classificazione e inquadramento ma si presenta ad apertura di pagina come inconfondibile”): procedono ambigui e spaesanti come sogni a cui certe ricorrenze concedono una parvenza di articolazione narrativa, sono assecondati più che scritti, osservati mentre crescono come piante più che articolati secondo una struttura. Hernández e i suoi personaggi si aggirano come sonnambuli (“sonnambulo di fiducia” è definito il narrante in “La casa allagata”, del 1960, in “Le ortensie”, La Nuova Frontiera, 2014), come fantasmi che non hanno dimenticato la cortesia, in un mondo in cui si affastellano oggetti, mobilia, figure femminili di tutte le dimensioni e età (e tutto ciò, oggetti e figure femminili, al centro di persistenti pulsioni e desideri). A volte i luoghi assumono significati nuovi: in uno dei racconti più sorprendenti, un palazzo viene allagato e diventa mare da navigare, disseminato di isole (“La casa allagata”, in “Le ortensie”).
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