martedì, 13 agosto 2019
IL GRANDE GATSBY di Francis Scott Fitzgerald (Leggerenza n. 8)
Considerato, secondo i diversi aspetti, un romanzo sentimentale (dell’amore inesausto e inappagato), utilitaristico (del bene individuale che si ottiene col successo economico), fatalistico (del caso che decide il destino comune), sociale (degli scontri di classe in un tempo di insorgenza del socialismo), oblomoviano (dell’inettitudine esistenziale), libertario (della licenza dei costumi e della permissività etica), Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald è tutto questo insieme, ma la sua vera natura letteraria rimane un rebus. Trattandosi anche di un poliziesco, giacché conta un suicidio, due morti ammazzati e qualche altro solo ipotizzato (l’omicidio misterioso imputato a Gatsby), il romanzo uscito nel 1925 – con un modesto riscontro di pubblico invero, a motivo forse della sua poliedricità – sembra echeggiare un genere americano, l’hard boiled, che è di largo seguito negli anni Venti, e nello stesso tempo evoca il gusto per l’introspezione interiore, retaggio del Primo Novecento europeo e modello portato alla massima espressione da Henry James, del quale infatti Fitzgerald è ritenuto il legittimo successore, anche per la sua vita divisa tra un continente e l’altro.
Sospeso perciò tra psicologismo e crudo realismo, Il grande Gatsby si serve di un fondo evanescente e ancipite che è forse il suo elemento costitutivo e nel quale si riconoscono, in un’epoca che ha appena superato i traumi della Grande guerra, da un lato l’amor fati proprio della coscienza europea di inizio secolo e da un altro, in un ben diverso spirito, l’età del jazz e dei telefoni bianchi, del benessere sociale e del banausismo sfrenato di un’America che corre ignara verso la crisi del ’29. Il romanzo si situa a metà e sembra tenersi come in bilico tra due crinali, sottendendo uno stato di precarietà nel quale va anzichenò visto un miracolo di equilibrismo. (continua…)
Pubblicato in LEGGERENZA (a cura di Gianni Bonina) Commenti disabilitati
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