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venerdì, 8 aprile 2016

STORIE (IN) SERIE n. 7 – Il gioco si fa semplice: House of Cards

Storie (In) Serie

Storie (in) Serie # 7

(Qui, l’introduzione di Massimo Maugeri)

Il settimo appuntamento dello spazio di Letteratitudine incentrato sulle Serie Tv è dedicato alla quarta stagione di “House of Cards (con Kevin Spacey nel ruolo di Frank Underwood e Robin Wright nel ruolo di Claire Underwood).

* * *

di Carlotta Susca

C’è un nuovo gioco che vediamo nella quarta stagione di House of Cards, un gioco che continua la serie metaforica delle strategie di Frank Underwood (di cui si è già parlato qui). L’antieroe al potere passa dai videogiochi sparatutto al modellismo strategico, fino ad approdare, nella terza stagione, a Monument Valley, una app basata sulle geometrie di Escher: le sue strategie si fanno via via più raffinate, la scalata al vertice degli USA richiede la capacità di immaginare percorsi apparentemente impossibili, di raggiungere punti che sembrano inaccessibili. Ma poi la necessità di mantenere il potere, di proteggere la posizione conquistata e difendere la fortezza rendendola impenetrabile alla democrazia riporta la strategia a un livello metaforico più semplice, rappresentato dalla app a cui gioca il candidato alla presidenza diretto avversario di Frank Underwood: William “Will” Conway. Il governatore di New York mostra a Frank Agar.io, un gioco che consiste nell’inglobare i pallini più piccoli e nell’evitare di farsi inglobare dai più grandi: non importa quanto imponente sia il proprio diametro, potrebbe sempre comparire un nemico di rango superiore – come sempre, nella vita e nei videogiochi.

È inevitabile che l’avanzamento di una serie televisiva porti la narrazione su livelli differenti e costringa gli sceneggiatori ad allargare l’universo narrativo: per Frank Underwood, già leader della nazione più potente della terra (della sua versione finzionale e distopica), si è optato per la comparsa di un avversario di pari diametro. Non solo: Agar.io consente anche la divisione del proprio avatar circolare in unità più piccole e più agili; è quello che accade con l’equa distribuzione del potere tra Frank e la first lady Claire, candidata alla vicepresidenza. Il protagonista si raddoppia e la narrazione si apre a possibilità che contemplino l’analisi di una diarchia, mentre un nuovo nemico compare a rilanciare la sfida su un livello basico: chi ingloberà chi? (continua…)

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sabato, 23 maggio 2015

STORIE (IN) SERIE n. 1 – Nessun potere è legittimo – Le ascese politiche in “House of Cards” e “Game of Thrones”

Storie (In) SerieStorie (in) Serie #1

(Qui, l’introduzione di Massimo Maugeri)

Nessun potere è legittimo – Le ascese politiche in House of Cards e Game of Thrones

a cura di Carlotta Susca

C’è chi sostiene che Game of Thrones sia più realistico di House of Cards nel mostrare i meccanismi della presa del potere (e del suo mantenimento): Frank Underwood rischierebbe di sembrare bidimensionale nella sua cattiveria senza cedimenti. Lo abbiamo visto piangere, è vero, abbiamo assistito a un momento di debolezza, alla fine della seconda stagione, quando, come sempre gli accade, si infila in quello che ha tutta l’apparenza di un vicolo cieco da cui neanche lui, un supereroe con il potere di manipolare gli altri, sembra in grado di trovare una scappatoia. Magari un’uscita laterale predisposta da tempo, costruita senza che nessuno se ne accorgesse, un cunicolo stretto e tortuoso ma che conducesse al livello successivo, come nei videogiochi.

Nella terza stagione vediamo Frank – le cui iniziali, F. U., sembrano l’ennesima allocuzione allo spettatore e al mondo, l’ennesima beffa – alle prese con una app che rappresenta perfettamente il modo di agire di questo antieroe della politica: Monument Valley. Si tratta di un gioco nei cui livelli il personaggio (una principessa senza memoria, Ida) si muove solo se in grado di creare delle strade dove non sembra ce ne siano, dove solo applicando le costruzioni prospettiche di Escher è possibile spostarsi da un punto all’altro, avanzare e raggiungere l’obiettivo. Questa capacità immaginativa in grado di piegare la realtà al proprio volere è perfettamente in linea con Underwood (un politico da sottobosco, nomen omen), un uomo la cui logica è impeccabile e implacabile, soggetta a regole proprie.

Ma la carriera politica richiede una raccolta di consensi. Se il percorso escheriano porta Frank nel punto più alto, non basta a farvelo rimanere. Alla fine della prima stagione, nel bel mezzo del giuramento da vicepresidente degli Stati Uniti, la sua sicumera è tale che, guardando in camera, rimarca l’ironia insita nell’essere arrivato a quel punto senza essere stato votato («la democrazia è così sopravvalutata») (fa effetto che nella rappresentazione delle alte cariche statunitensi venga espressa in maniera così netta la componente arrivista, egoistica, malvagia del potere).

Come mantenere quel ruolo così duramente e freddamente conquistato? Quale legittimazione, se non quella democratica, può garantire continuità alla carica?

Game of Thrones fornisce un campionario di forme di legittimazione possibili. In quella che si configura come una quête cavalleresca, ciascun contendente cerca una motivazione per rivendicare il proprio diritto al trono: il sangue, il possesso di creature magiche, il volere dell’unico dio, l’abilità diplomatica, il matrimonio. E nessuna di queste carte è valida in maniera assoluta, basti pensare alla rivendicazione di sangue: il fratello di Robert Baratheon, Stannis, sarebbe il legittimo erede perché nessuno dei figli del re defunto è davvero suo, né una eventuale discendenza naturale al di fuori del matrimonio riuscirebbe ad essere vista come qualcosa di diverso da un errore. Ma Robert aveva a sua volta usurpato il trono dei Targaryen, e questo farebbe di Daenerys la legittima erede. Insomma: ogni fonte di legittimazione è opinabile, e in qualsiasi momento inizi la storia raccontata c’è sempre un prima con le sue dinamiche e le ragioni dei suoi protagonisti. Ai popoli vessati viene solo imposto di inchinarsi al nuovo sovrano, pena la morte, e se è pur vero che alcuni sudditi non dimenticano, quanto in là dovranno andare con la memoria nel rintracciare la famiglia meritevole della propria lealtà? Ed è poi sulla lealtà che si fondano i regni?

Frank Underwood deve ancora trovare la fonte della legittimazione nel suo potere, il suo tempo è poco e di leali sostenitori non è rimasto forse più nessuno. Neanche Claire.

(continua…)

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