giovedì, 21 febbraio 2013
CINQUANT’ANNI DALLA MORTE DI BEPPE FENOGLIO
Cinquant’anni fa – per l’esattezza il 18 febbraio 1963 – , a Torino, moriva lo scrittore italiano Beppe Fenoglio.
Era nato ad Alba il 1° marzo 1922. Nel corso della seconda guerra mondiale, combatté come partigiano. Quell’esperienza segnò in maniera determinante la sua scrittura e la sua produzione artistica. La sua opera più nota “Il Partigiano Johnny” (romanzo pubblicato postumo, nel 1968), ne è un valido esempio.
A cinquant’anni dalla scomparsa, nella tradizione di Letteratitudine, mi piacerebbe ricordare questo nostro scrittore con il vostro indispensabile contributo. Dedico dunque questo “spazio” alla memoria di Beppe Fenoglio con l’auspicio di contribuire a far conoscere questo autore a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.
Chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Beppe Fenoglio e la sua produzione letteraria. Seguono alcune domande volte a favorire la discussione.
1. Che rapporto avete con le opere di Fenoglio?
2. Qual è quella che avete amato di più?
3. A parte “Il Partigiano Johnny” (l’opera più celebre di Fenoglio) qual è quella che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
4. Tra le varie “citazione” di Fenoglio di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
5. A cinquant’anni dalla morte, qual è l’eredità che Fenoglio ha lasciato nella letteratura italiana?
Propongo, di seguito, l’articolo di Gianni Riotta pubblicato su La Stampa del 17 febbraio 2013.
Massimo Maugeri
* * *
ITANGLISH: COSÌ PARLÒ IL PARTIGIANO (da La Stampa)
di Gianni Riotta
Insegnando cultura italiana all’estero si ha talvolta l’impressione che per tanti studenti la nostra sia una lingua morta, classica, ma spenta come il greco di Omero e il latino di Orazio. Che l’italiano sia invece vivo, in trasformazione continua e mai, come in questo XXI secolo, letto, parlato, studiato e innovato, si dimentica, schiacciati dalla grandezza di Dante, Machiavelli, Manzoni. A volte ho ricordato la citazione del De Mauro, meno del 2% dei cittadini parlava italiano al momento dell’Unità, 150 anni or sono, e una letteratura viva, scritta nella lingua della gente, nasce solo nel Novecento. E per interessare i ragazzi a Princeton ho citato Pavese, che scrive in inglese le sue ultime poesie, tenere e struggenti, Vittorini, a cui Hemingway dedica di pugno una prefazione all’edizione Usa di Conversazione in Sicilia, ma soprattutto Beppe Fenoglio. (continua…)
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