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La libertà individuale, anche di espressione, trova argini nel rispetto altrui. Commenti fuori argomento, o considerati offensivi o irrispettosi nei confronti di persone e opinioni potrebbero essere tagliati, modificati o rimossi. Nell’eventualità siete pregati di non prendervela. Si invitano i frequentatori del blog a prendere visione della "nota legale" indicata nella colonna di destra del sito, sotto "Categorie", alla voce "Nota legale, responsabilità, netiquette".

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lunedì, 13 maggio 2013

LA RETE E LA LIBERTÀ RESPONSABILE (Le nostre vite tra diritto e web n. 20)

diritto-e-web-2LE NOSTRE VITE TRA DIRITTO E WEB – N. 20 –

Leggi L’introduzione di Massimo Maugeri e Simona Lo Iacono

* * *

LA RETE E LA LIBERTÀ RESPONSABILE

La libertà assoluta non può esistere, nemmeno sul web

di Massimo Maugeri

Intesa in senso stretto, la libertà assoluta non è mai esistita né può esistere. Il motivo è semplice: la libertà di ciascuno di noi deve trovare un limite laddove si relaziona con quella altrui. Questo vale nella (cosiddetta) vita reale, così come nel web.
Dopo qualche mese dall’apertura del mio blog Letteratitudine, decisi di inserire sulla colonna di sinistra del sito questa sorta di “avvertenza”: «la libertà individuale, anche di espressione, trova argini nel rispetto altrui. Commenti fuori argomento, o considerati offensivi o irrispettosi nei confronti di persone e opinioni potrebbero essere tagliati, modificati o rimossi». Avevo ben chiaro già da allora che la rivoluzione Internet, così come qualunque altra rivoluzione, conteneva al suo interno elementi positivi ed elementi negativi. Ho sempre sostenuto (e lo ribadisco) che i pro di tale rivoluzione superano di gran lunga i contro, senza dimenticare che però il cosiddetto “rovescio della medaglia” esiste anche in questo caso.
Partiamo da un presupposto: stiamo parlando di una delle più radicali, dirompenti e repentine rivoluzioni che abbiano mai interessato la storia dell’umanità per quanto concerne la comunicazione. Ed è proprio la velocità del cambiamento che ha reso difficile la gestione delle problematiche inerenti la crescita del web (e l’inevitabile contaminazione delle nostre “vite reali” con quelle online).
L’idea errata dell’esistenza di una libertà assoluta di espressione, priva cioè di regole, non poteva che alimentare (così come in parte è stato) alcuni aspetti deleteri della comunicazione e alcune distorsioni latenti.
In questi anni ho cercato di fare la mia parte per contribuire a far crescere la consapevolezza dell’esistenza di queste problematiche. Ricordo, in particolare, un post del 2009, volto a stigmatizzare il proliferare della pedofilia e della pornografia online con il coinvolgimento, nell’ambito del dibattito che ne seguì, di don Fortunato Di Noto che da tanti anni, con l’associazione Meter, spende la sua attività pastorale in difesa dei diritti dei bambini lottando strenuamente contro i pedofili e gli “imprenditori” pedopornografici che agiscono spesso indisturbati sul web. Fu una discussione importante e utile, condotta con la collaborazione dell’amica scrittrice e magistrato Simona Lo Iacono e con la partecipazione del dottor Marcello La Bella (dirigente della polizia postale di Catania). Ma ricordo, soprattutto, un altro post pubblicato l’anno precedente – nel 2008 – intitolato: “La responsabilità legale della scrittura in Rete”. Quel post mirava a sensibilizzare i frequentatori di Internet circa il concetto di libertà espressiva sul web. «Troppo spesso», scrivevo, «si interviene in Rete con l’errata convinzione di poter scrivere qualunque cosa, dimenticando che accanto ai diritti figurano… “responsabilità”. Ebbene sì. Scrivere in Rete implica anche responsabilità di natura legale». Ne seguì, anche in quel caso, un lungo dibattito portato avanti insieme alla citata Simona Lo Iacono. Già allora si evidenziava il fatto che la normativa vigente nella “vita reale” trovava analoghe applicazioni nella “vita online”. Si sottolineò che anche in Rete – anzi, soprattutto in Rete – deve essere riconosciuto il pieno rispetto dei diritti della persona (il diritto al nome, all’immagine, all’onore, alla reputazione, alla riservatezza e all’identità personale). Si fece inoltre notare il fatto che, se da un lato Internet è, per eccellenza, il luogo della democraticità e della libertà, di contro possiede caratteristiche peculiari quali la aterritorialità e la velocità che consentono una maggiore lesività (rispetto ai mezzi tradizionali) sull’onore e la reputazione altrui.
Cosa è cambiato in questi cinque anni? È cresciuto (e questo è un bene) il numero degli utilizzatori del web, c’è stata l’esplosione dei social network (facebook e twitter in testa), si è riversata – anche e soprattutto in Rete – una sorta di rabbia e di frustrazione derivanti dalla crisi (economica, politica e sociale) in atto. Peraltro, soprattutto in questi ultimi anni, si è colpevolmente sostenuto e divulgato il concetto che la cultura e gli incentivi alla lettura fossero un optional (con la cultura non si mangia, si è detto), facendo finta di non sapere che laddove la cultura e la lettura trovano più spazio è maggiore il tasso di civiltà e di rispetto dell’altro. Non credo sia un caso che, proprio in questi anni, siamo costretti a registrare nel nostro Paese una crescita delle pulsioni xenofobe, razziste e sessiste (che comunque covavano sotto le ceneri) con conseguenti e inevitabili ripercussioni sul web e sulle nostre vite online.
Nei giorni scorsi, sulle pagine del quotidiano la Repubblica del 3 maggio, in un articolo di Concita De Gregorio, abbiamo letto lo sfogo e la denuncia dell’on. Laura Boldrini, Presidente della Camera dei Deputati, in relazione alle terribili minacce da lei subite via Internet: «Sono minacce di morte, di stupro, di sodomia, di tortura. Accanto al testo spesso ci sono immagini. Fotomontaggi: il suo volto sorridente sul corpo di una donna violentata da un uomo di colore, il suo viso sul corpo di una donna sgozzata, il sangue che riempie un catino a terra. Centinaia di pagine stampate, migliaia di messaggi. A ciascuna minaccia corrisponde un nome e un cognome, un profilo Facebook, l’indirizzo di una pagina Internet. Le minacce – tutte a sfondo sessuale, promesse di morte violenta – si sono moltiplicate nel giro di due settimane con il tipico effetto valanga che la Rete produce».
Ne approfitto per ribadire la mia solidarietà a Laura Boldrini e a tutte le donne che subiscono violenza (per inciso: la mia posizione sulla “questione femminicidio” è chiara e nota e sono tra i firmatari della petizione a favore degli Stati Generali contro la violenza; ne riparleremo presto, anche qui). Ma ne approfitto altresì (in questo spazio dedicato al rapporto tra “diritto e web”) per condividere qualche mio pensiero su alcune delle conseguenze dello sviluppo di Internet. (continua…)

Pubblicato in LE NOSTRE VITE TRA DIRITTO E WEB (con la collaborazione di Simona Lo Iacono)   Commenti disabilitati

lunedì, 18 aprile 2011

LIBERTÀ di Jonathan Franzen

La parola “libertà” è insita nel Dna e nell’immaginario collettivo degli Stati Uniti d’America. Basti pensare a uno dei più noti simboli nazionali americani e, per certi versi, del mondo intero: La libertà che illumina il mondo (in inglese, Liberty enlightening the world), ovvero la “Statua della Libertà”.
Ed è proprio sul concetto di libertà che vorrei ragionare, partendo dalla formulazione di alcune domande.

Cosa deve intendersi esattamente per libertà?

Il concetto di libertà è uguale ovunque e in ogni tempo?

Essere liberi, equivale a essere felici?

Esiste una relazione tra libertà e responsabilità?

Il concetto di libertà coincide più con un’esigenza realizzabile o con un’utopia a cui tendere?

È più punto d’arrivo o punto di partenza?

Quali sono i suoi pro e contro?

Fino a che punto la libertà può essere circoscrivibile, comprimibile… e continuare a ritenersi tale?

E ancora… Esistono schiavitù mascherate da libertà? Fino a che punto ci si può ritenere davvero liberi?

Sono queste le domande del post (a cui vi invito a rispondere).
L’input ce lo fornisce il nuovo romanzo dello scrittore americano Jonathan Franzen, intitolato – appunto – “Libertà” (Einaudi, 2011, traduzione di Silvia Pareschi).
Vi propongo il seguente brano estrapolato dal libro, a supporto del tema oggetto della discussione.

“La gente è venuta in questo Paese o per il denaro o per la libertà. Se non hai denaro, ti aggrappi ancora più furiosamente alle tue libertà. Anche se il fumo ti uccide, anche se non hai i mezzi per mantenere i tuoi figli, anche se i tuoi figli vengono ammazzati da maniaci armati di fucile. Puoi essere povero, ma l’unica cosa che nessuno ti può togliere è la libertà di rovinarti la vita nel modo che preferisci.”

Quella che segue, invece, è la scheda del romanzo (la riporto che capire meglio di cosa stiamo parlando). Walter e Patty erano arrivati a Ramsey Hill come i giovani pionieri di una nuova borghesia urbana: colti, educati, progressisti, benestanti e adeguatamente simpatici. Fuggivano dalla generazione dei padri e dai loro quartieri residenziali, dalle nevrosi e dalle scelte sbagliate in mezzo a cui erano cresciuti: Ramsey Hill (pur con certe residue sacche di resistenza rappresentate, ai loro occhi, dai vicini poveri, volgari e conservatori) era per i Berglund una frontiera da colonizzare, la possibilità di rinnovare quel mito dell’America come terra di libertà “dove un figlio poteva ancora sentirsi speciale”. Avevano dimenticato però che “niente disturba questa sensazione quanto la presenza di altri esseri umani che si sentono speciali”. E infatti qualcosa dev’essere andato storto se, dopo qualche anno, scopriamo che Joey, il figlio sedicenne, è andato a vivere con la sua ragazza a casa degli odiati vicini, Patty è un po’ troppo spesso in compagnia di Richard Katz, amico di infanzia del marito e musicista rock, mentre Walter, il timido e gentile devoto della raccolta differenziata e del cibo a impatto zero, viene bollato dai giornali come “arrogante, tirannico ed eticamente compromesso”. Siamo negli anni Duemila, anni in cui negli Stati Uniti (e non solo…) la libertà è stata come non mai il campo di battaglia e la posta in gioco di uno scontro il cui fronte attraversa tanto il dibattito pubblico quanto le vite delle famiglie”.

Vi invito a discutere del concetto di libertà, dunque; ma anche ad approfondire la conoscenza di Jonathan Franzen e di questo suo nuovo romanzo, che è stato da più parti additato come il caso letterario del decennio.
Lo sto iniziando a leggere solo adesso, per cui – per il momento – non posso esprimere un parere. Non ho alcuna difficoltà, però, nel dire che il precedente romanzo (“Le correzioni”) mi ha entusiasmato.
In America, a Franzen, è stato offerto il trono riservato ai grandissimi. Come ci ha ricordato Antonio Monda (sulle pagine di Repubblica), Il Time ha dedicato a Franzen la copertina (privilegio riservato in passato solo ad autori del calibro di Joyce, Nabokov, Updike, Salinger e Toni Morrison) con il titolo “Great American Novelist”; il New York Magazine ha parlato dell’”opera di un genio”, e il New York Times Book Review lo ha definito “un capolavoro”. Persino la temutissima Michiko Kakutani – ci ricorda Monda – lo ha definito “indimenticabile”, e Obama lo ha indicato come propria lettura estiva. L’unica eccezione autorevole è rappresentata da Harold Bloom, che ha parlato di un autore sopravvalutato dalla critica.
Capolavoro assoluto, dunque?
In Italia non sono mancate le lodi, ma nemmeno le perplessità. Nel corso del dibattito vi segnalerò – per par condicio – le opinioni positive del già citato Antonio Monda (la Repubblica), Paolo Giordano (Corriere della Sera), Masolino D’Amico (La Stampa – Tuttolibri); e quelle negative di Tim Parks (“Domenica” del Sole24Ore), Nicola Lagioia (“Domenica” del Sole24Ore), Gian Paolo Serino (“Il Giornale”).

Francesco Pacifico invece (“Domenica” del Sole24Ore) ha cercato di trovare un punto di equilibrio tra sostenitori e detrattori.

Sul concetto di libertà segnalerò inoltre il pezzo di Sandra Bardotti pubblicato su Wuz.

Coinvolgerò nella discussione anche la citata Silvia Pareschi (la brava traduttrice di Franzen), che interverrà da San Francisco.

Qui di seguito, a fine post, trovate un video: è un estratto della chiacchierata tra Jonathan Franzen e Fabio Fazio a “Che tempo che fa”.

A voi, cari amici, il compito di riempire questa pagina di ulteriori contenuti con le vostre risposte, le vostre opinioni e contributi di vario genere.
Grazie in anticipo.

Massimo Maugeri

Pubblicato in Senza categoria   173 commenti »

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