martedì, 12 maggio 2020
MICHELANGELO IN PARNASO di Gandolfo Cascio
Il nuovo appuntamento della rubrica di Letteratitudine chiamata “Saggistica Letteraria” è dedicato al volume “Michelangelo in Parnaso” di Gandolfo Cascio (Marsilio)
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Gandolfo Cascio insegna Letteratura italiana e Translation Studies all’università di Utrecht. Si occupa di poetica, ricezione estetica e filologia digitale. Ha pubblicato Un’idea di letteratura nella «Commedia», Società Editrice Dante Alighieri, 2015; Michelangelo in Parnaso. La ricezione delle «Rime» tra gli scrittori, Marsilio, 2019; Il mestiere della persuasione. Scritti sulla prosa, Giorgio Pozzi Editore, 2019. Per i suoi saggi ha vinto il premio Elsa Morante, il premio Proserpina e il premio G.A. Borgese.
Ho invitato Gandolfo Cascio a discutere del suo volume dedicato alle Rime di Michelangelo: “Michelangelo in Parnaso. La ricezione delle Rime tra gli scrittori” (Marsilio). A corredo dell’intervista pubblichiamo un paragrafo del libro che riguarda Stendhal.
Michelangelo scrisse le “Rime” per affrontare di petto temi su cui, come artista, non poté esprimersi come voleva, e per farlo scelse una lingua aspra, distante dalla limpidezza del Cinquecento. In genere la critica si è mostrata cauta, sovente scontrosa, verso questo suo “secondo mestiere”; mentre di tutt’altra qualità è stata la ricezione tra gli scrittori che ne intuirono la caratura. Questo volume indaga il rapporto tra diversi autori (Varchi, Aretino, Foscolo, Wordsworth, Stendhal, Mann, Montale, Morante e altri) e i versi buonarrotiani e, attraverso delle severe analisi dei testi, illustra perché Michelangelo occupi nel Parnaso un posto più nobile di quello che la storiografia ha tramandato.
- Gandolfo, quando e perché hai cominciato a interessarti alle Rime di Michelangelo?
Ricordo con una certa nostalgia che durante il primo esame di Letteratura italiana, all’università di Palermo, venni interrogato su Michelangelo poeta. È da quei lontani anni che le Rime continuano a girarmi in testa.
Quello che tuttora mi sorprende è che, nonostante Michelangelo fosse un uomo tutto d’un pezzo, era leggendaria la sua “terribilità”, nei versi pare che abbia potuto trovare lo spazio e il mezzo per esprimere le proprie inquietudini sull’esistenza, sull’amore, su Dio. L’ha fatto con una lingua aspra e difficile, sovente comica e, in non pochi casi, dolcissima, com’è nella rima 98 dove, audace e ardente, allude al nome dell’amato Tommaso de’ Cavalieri, con la consapevolezza che chiunque avrebbe riconosciuto l’amico romano:
maraviglia non è se nudo e solo
resto prigion d’un cavalier armato
Ecco, tutto ciò ha fatto sì che Michelangelo diventasse uno dei “miei” autori, cioè uno di quelli a cui ci si rivolge, sicuri di poterli interpellare per sentirsi dire qualcosa d’inaudito.
- Quando e perché è nata l’idea di questo libro? Quando, cioè, hai ritenuto di dover “rendere giustizia” all’opera poetica di Michelangelo? (continua…)
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