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lunedì, 13 settembre 2010

RISPETTO, ONORE, CORAGGIO, PAURA… PORTAMI RISPETTO di Vins Gallico

Vorrei approfittare della recente uscita del bel romanzo d’esordio di Vins Gallico, intitolato “Portami rispetto” (Rizzoli), per discutere di alcune delle tematiche che emergono dalla storia narrata e che sono legate alle quattro seguenti parole: rispetto, onore, coraggio e paura.
Ovviamente avremo la possibilità di approfondire la conoscenza del libro approfittando della presenza dello stesso autore.

Per introdurvi al romanzo vi trascrivo il breve testo riportato in quarta di copertina:
“Questa non è una terra normale. In Calabria la paura ha avvolto qualsiasi emozione. È un tiranno che non ha bisogno neppure di nascondersi. Magari tra di noi c’è ancora qualche eroe, ma non sarà lui a risolvere la situazione”.
Un testo che contiene una nota di pessimismo – o forse di disilluso realismo (ne parleremo con l’autore) – e che comunque lascia ben intendere quali sono le problematiche incrociate dal romanzo.

Veniamo alla scheda del libro…

Notte infuocata d’agosto. Due uomini d’onore si muovono nel buio delle colline aspromontane. Nel bagagliaio della loro Croma, un cane ringhia e cerca di scappare. Fuori, i due criminali armeggiano con dei pezzi di stoffa e un secchio pieno di benzina. Gli ordini di Don Rocco, capobastone latitante, sono stati chiari: «Date fuoco al cane e fatelo correre nel bosco sopra Agatea, in pochi minuti le fiamme avvolgeranno tutto». Ma i due piromani non sono gli unici a nascondersi nell’oscurità e qualcosa, nel loro piano in apparenza semplice, è destinato ad andare storto. Così qualche giorno dopo, mentre le forze dell’ordine quantificano i danni dell’incendio, tra le ceneri vengono scoperti i cadaveri carbonizzati di due sconosciuti. Tina Romeo, la giornalista sportiva che un quotidiano di provincia ha spedito a seguire il caso, arriva sul posto convinta che si tratti dell’ennesimo tragico incidente. Non può immaginare che in un batter d’occhio si troverà al centro di una faida tra antichi rivali, di un intrigo di potere destinato a stravolgere la sua vita e quella di chi le sta intorno. L’anima nera della Calabria, dove oggi più che mai vige il diritto del più forte, trova finalmente voce in un romanzo crudele e ironico, che racconta una società senza coraggio e senza anticorpi alla mafia, in cui soltanto le parole possono ancora cambiare le cose. E forse neanche quelle.

Una storia di ’Ndrangheta ben raccontata, questa di Vins Gallico: linguaggio scorrevole, trama forte, personaggi ben caratterizzati e una contrapposizione tra bene e male, tra buoni e cattivi, che è assai meno netta di come è spesso rappresentata in molti romanzi che hanno a che fare con le organizzazioni criminali.

A proposito del coraggio, vi segnalo la seguente citazione di Hemingway riportata in epigrafe:

Il coraggio percorre una distanza breve;
dal cuore alla testa, ma quando se ne va
non si può sapere dove si ferma;
in un’emorragia, forse, o in una donna,
ed è un guaio essere nella corrida quando se n’è andato
dovunque sia andato.
Ernest Hemingway, “Morte nel pomeriggio”

Nel corso della discussione, tra i commenti, vi proporrò altre citazioni sul rispetto, sull’onore, sul coraggio e sulla paura. Vi chiedo fin d’ora di scegliere le vostre preferite (e quelle che invece non vi convincono), spiegandone le ragioni.

Per avviare la discussione… ecco alcune domande (ringrazio anticipatamente chi avrà la possibilità di rispondere).

1. Cosa significa oggi “avere (e/o portare) rispetto”?

2. Un tempo, il senso del rispetto era più forte… più sentito.
Siete d’accordo con questa affermazione?

3. Se così fosse, il rispetto di “un tempo” era reale… o intriso di una sorta di velo ipocrita?

4. In cosa si differiscono onore e rispetto?

5. Che relazione c’è tra paura e rispetto?

6. E tra coraggio e rispetto?

7. Quali sono le caratteristiche del coraggio?

8. Il senso del rispetto viene indotto più dalla paura o dal coraggio? Dall’autorità o dalla autorevolezza?

A voi…

Massimo Maugeri

Pubblicato in EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI   216 commenti »

lunedì, 6 luglio 2009

L’ESTATE CHE PERDEMMO DIO, di Rosella Postorino

lestate-che-perdemmo-dioChe vuol dire avere colpa, quando sono proprio le tue radici la causa del tuo male, ed è così difficile liberarsene?

Qual è il confine tra colpa e innocenza?

Sono queste alcune delle domande che aleggiano sulle pagine del nuovo romanzo di Rosella Postorino, giovane scrittrice già segnalatasi con il precedente “La stanza di sopra” (Neri Pozza, 2007) molto apprezzato dalla critica e vincitore del Premio Rapallo Carige Opera Prima.
Questo nuovo libro si intitola “L’estate che perdemmo Dio” (Einaudi, € 19, p. 230). Un titolo forte, accompagnato da un incipit graffiante. Una frase urlata che segna l’inizio di un’irreversibile tragedia familiare.
I temi affrontati sono quelli dell’esilio e della forza dei sentimenti. L’esilio di chi è dovuto fuggire dalle spire ferali della ‘ndrangheta; i sentimenti di chi prova a reinventarsi dentro e fuori di sé per continuare a vivere.
Comincia tutto con quella frase: “Chi focu chi ‘ndi vinni”. Caterina aveva otto anni quando la zia la pronunciò. Adesso ne ha dodici, ma quelle parole le sono rimaste addosso. Parole di sciagura. Solo che certe sciagure non possono essere combattute. Bisogna andarsene, scappare; ché la ‘ndrangheta uccide. Quattro, i fuggiaschi verso l’Altitalia: Salvatore, il padre; Laura, la madre; Caterina, la figlia maggiore; Margherita, la piú piccola. Quattro esseri umani costretti a voltare le spalle alle proprie radici e a cercare salvezza e libertà in luoghi distanti, che non sono i loro. Ma poi Salvatore deve tornare indietro. E nella vicenda si aprono nuovi squarci.
La Postorino consegna una storia dura, dolente; resa al lettore con stile sferzante e linguaggio fluviale, dal quale emerge la “voce” di una ragazzina che è dovuta crescere troppo in fretta.
Nonostante la giovanissima età, Caterina percepisce il peso delle proprie origini; ne sente quasi il marchio sulla pelle. Eppure non si rassegna: «Piú di tutti, di tutti quanti loro, di tutta la loro famiglia messa assieme, piú di chiunque altro, Caterina lo ha preteso. Il diritto di essere felice. Loro no, non ci avevano mai pensato. Come se la felicità includesse anche un prezzo da pagare, un prezzo raddoppiato, lì dove è nato il padre si vive nel solco di una disgrazia sempre in agguato, non per paura, non per senso di minaccia, per fatalismo piuttosto, non si è altro che pedine nelle mani di Dio, non si può osare chiedere di piú, non si può scegliere».
Vorrei approfondire la conoscenza di questo libro insieme a voi e all’autrice (che parteciperà al dibattito). E contestualmente vorrei discutere dei temi che esso tratta.
Per favorire la discussione, come al solito, tento di porre qualche domanda ripartendo da quelle che hanno aperto il post:

Che vuol dire avere colpa, quando sono proprio le tue radici la causa del tuo male, ed è così difficile liberarsene?

Qual è il confine tra colpa e innocenza?

E poi… fino a che punto è possibile liberarsi delle proprie radici, pur essendo radici malefiche?

Viceversa… è sempre giusto mantenere saldi i legami con la propria famiglia, a prescindere da tutto?

Che tipo di responsabilità ha la società (se c’è l’ha) nei confronti dei bambini appartenenti a famiglie legate alla criminalità organizzata?

Per una ragazzina che vive una situazione simile a quella della protagonista di questo romanzo è davvero possibile raggiungere la felicità? E in che modo?

Di seguito, la recensione di Sergio Pent apparsa su Tuttolibri de La Stampa.

Massimo Maugeri
(continua…)

Pubblicato in SEGNALAZIONI E RECENSIONI   149 commenti »

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