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domenica, 4 settembre 2016

THE YOUNG POPE (dal Festival Cinema Venezia 2016)

Dalla 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia pubblichiamo un nuovo articolo di Ornella Sgroi (curatrice della rubrica Letteratitudine Cinema).

Venezia73 – Fuori Concorso

The Young Pope – episodi 1 e 2

di Paolo Sorrentino

con Jude Law, Diane Keaton, Silvio Orlando, Javier Cámara, Cecile De France, Gianluca Guidi

di Ornella Sgroi

(Venezia, 4 settembre 2016)

Paolo Sorrentino non si è posto il problema di quale potrebbe essere la reazione del Vaticano alla sua nuova impresa artistica, “The Young Pope”, serie in dieci puntate prodotta da Sky, HBO e Canal+ presentata in anteprima con i primi due episodi Fuori Concorso alla 73ª Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
Lo ha dichiarato il regista napoletano, con grande disinvoltura, in conferenza stampa. E dopo avere visto le prime due puntate non c’è dubbio che sia così. Perché se ci avesse pensato anche solo per un attimo, probabilmente, molta dell’originalità vivace e sfrontata della sceneggiatura e della messa in scena ne avrebbe risentito. Laddove invece l’inizio di “The Young Pope” risulta irriverente e critico, brillante e grottesco, divertente e pieno di spunti di riflessione. Come non erano riusciti ad essere nella loro immobile solennità “La Grande Bellezza” e “Youth”. Per quanto l’equilibrio funambolico di questa nuova avventura non permetta, in soli due episodi, di capire dove e come Sorrentino affonderà il colpo. «Con un lavoro che affronta con curiosità e onestà, senza pregiudizi, le contraddizioni, le difficoltà e gli aspetti più affascinanti del clero».
Parola del regista. Che si imbatte in questa nuova esplorazione raccontando le gesta del primo Papa americano della storia, Pio XIII, un papa che fuma, mangia pochissimo, inneggia all’anonimato mediatico e beve solo coca cola alla ciliegia. Eccentrico, arrogante e ironico, capriccioso e un po’ folle. Ma anche ingenuo, dubbioso, dolente e vacillante. Con un piglio tutto da capire, incarnato abilmente da un Jude Law istrionico che si presta a giocare a sua volta con l’ossessione di Sorrentino per i dettagli e le sfumature e che, ammirato dal «linguaggio meraviglioso di Paolo», ha definito «un onore essere stato un colore sulla sua tavolozza».
Già dalle prime sequenze, oniriche e spiazzanti, risulta subito chiaro che non c’è niente di ordinario né di già visto nel giovane Papa di Sorrentino, che in una scena si definisce intransigente e vendicativo e che nasconde invece molte fragilità. Un Papa che sullo schermo diventa presto personaggio e che a sua volta inizia ad emergere come ruolo pubblico interpretato a sua volta da un orfano dal carattere incontrollabile che di nome fa Lanny Belardo. «In fondo anche lui non è altro che un attore» a sentire Jude Law e sembrerebbe proprio così. Una mina vagante, eletto in calcio d’angolo da un conclave che ben presto capirà di avere forse commesso uno sbaglio.
In che direzione non è dato saperlo, almeno non prima di avere visto la serie completa. Tenendo bene a mente però quanto dichiarato da Sorrentino al Lido per fugare possibili riferimenti a Papa Francesco: «Nulla esclude che dopo il Papa attuale non ne venga eletto un altro diametralmente opposto. È illusorio credere che la Chiesa abbia avviato un vero percorso duraturo di liberalità».
In un prodotto seriale concepito per la televisione ma scritto e girato con i canoni del grande cinema, ad incarnare gli aspetti manipolatori e politici della Chiesa ci pensa il nostro Silvio Orlando, nelle vesti porporate del Cardinale Voiello, che rincorre la fede calcistica più che quella in Dio. Accanto a lui, un cast di comprimari d’eccellenza, da Diane Keaton a Javier Cámara, da Scott Shepherd a Cécile de France, passando per un superlativo Gianluca Guidi, che si distingue per ironia e sberleffo anche solo nel movimento di un sopracciglio. Mentre osserva di sottecchi la spregiudicatezza con cui il nuovo papa potrebbe usare il proprio potere. Se poi lo farà davvero, chissà. Bisognerà aspettare il resto della storia per saperlo, quindi il 21 ottobre con la messa in onda della serie completa su Sky Atlantic in Italia e in contemporanea in Germania, Regno Unito, Irlanda, Austria e Francia. (continua…)

Pubblicato in LETTERATITUDINE CINEMA   Commenti disabilitati

martedì, 4 marzo 2014

ROMA SPROFONDA IN ITALIA, MA VINCE NEL MONDO

La nuova puntata de “Il sottosuolo”di Ferdinando Camon riguarda il film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, fresco vincitore dell’Oscar come miglior film straniero (qui, l’omaggio di Letteratitudine) e…
…la città di Roma.

Di seguito, l’opinione di Camon.

Massimo Maugeri

* * *

ferdinando-camonROMA SPROFONDA IN ITALIA, MA VINCE NEL MONDO

di Ferdinando Camon

Romano-napoletano al 100 per 100, “La Grande Bellezza” ha vinto il più mondiale dei premi, l’Oscar, e adesso tutti quelli che non l’han visto correranno a vederlo. E questa è decadenza, ignoranza artistica, mancanza di autonomia culturale, di cervello. Proprio quello che il film denuncia. Non si va a vedere un film perché ha vinto un premio, ma perché è un grande film o tratta un grande tema. “La Grande Bellezza” non è un grande film, ma tratta un grande tema, e il grande tema è Roma. Non è il film che ha vinto l’Oscar, è Roma. La capitale più gloriosa e corrotta, splendida e lurida, mistica e postribolare, piena di storia e di miseria ad ogni metro. Esci dalla stazione Termini e dopo 80 metri t’imbatti nelle mura di Tarquinio e Servio, sei secoli prima di Cristo, ma se non stai attento sbatti le scarpe sulla testa dei barboni insaccati dentro i cartoni, gli sbucci il cranio e loro non protestano, non sanno neanche se sono vivi o morti. L’umanità variopinta che incontri dalla stazione Termini al Colosseo o a San Pietro riunisce tutto il peggio e una particella del meglio dell’umanità. Ricchi sfondati che non hanno mai lavorato per nessuno e hanno sempre fregato tutti, puttane moleste che si offrono di sera e di mattina, politici che sono razzialmente diversi dagli umani, lavoratori dei ministeri e delle partecipate, dipendenti o impiegati che non hanno mai visto un padrone, una fabbrica, un orario, un cartellino da timbrare. Per questa umanità che sembra discesa pari pari dalla decadenza di un impero mondiale morto 1500 anni fa, tutto ciò per cui il resto dell’umanità vive soffre o gode è diverso, da Dio al sesso, dal denaro alla morte, dalla santità al puttanesimo. La vita è “dolce” se è senza etica, senza Dio, senza valori, se tu uomo animato vivi come un animale senz’anima: lo sapeva Fellini e la sua “Dolce vita” è un film disperato e straziante, un pianto o un urlo, lo sa Sorrentino e la sua “Grande Bellezza” è un film cinico e irridente, ateo e miscredente, bello di una bellezza di plastica, che oggi è l’unica vera natura. Perfino Sabrina Ferilli sembra di plastica, (continua…)

Pubblicato in IL SOTTOSUOLO (di Ferdinando Camon)   Un commento »

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