martedì, 28 aprile 2015
SICILIANI ULTIMI?
Il nuovo appuntamento della rubrica di Letteratitudine chiamata “Saggistica Letteraria” è dedicato al volume “Siciliani Ultimi? Tre studi su Sciascia, Bufalino, Consolo. E oltre” di Giuseppe Traina (Mucchi editore).
La prefazione del libro firmata da Giuliana Benvenuti è disponibile cliccando qui.
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Giuseppe Traina è professore associato di Letteratura Italiana presso l’Università di Catania e insegna nella Struttura Didattica Speciale di Ragusa, città dove vive. Ha studiato autori italiani fra Sette e Novecento, dedicando particolare attenzione a Sciascia (La soluzione del cruciverba, 1994; Leonardo Sciascia, 1999; In un destino di verità, 1999; Una problematica modernità, 2009), a Bufalino (“La felicità esiste, ne ho sentito parlare”. Gesualdo Bufalino narratore, 2012), a Consolo (Vincenzo Consolo, 2001). Si occupa attualmente di letteratura comica e satirica.
Per la collana Lettere Persiane di Mucchi ha pubblicato di recente il volume “Siciliani Ultimi? Tre studi su Sciascia, Bufalino, Consolo. E oltre“.
Ho avuto modo di incontrare Pippo Traina porprio per discutere di quest’ultimo libro.
- Giuseppe, partiamo dalle ragioni che ti hanno spinto a pubblicare “Siciliani Ultimi?”…
Le ragioni principali sono l’amore per la grande tradizione letteraria siciliana, di cui Sciascia, Bufalino e Consolo sono considerati gli ultimi autorevoli esponenti, e, d’altra parte, il fastidio per ogni ragionamento troppo pessimista sulle sorti della letteratura nel secolo ventunesimo.
Avevo in precedenza già scritto i saggi su “L’affaire Moro” di Sciascia, sull’attività di Bufalino come antologista e sul romanzo “Retablo” di Consolo: ho pensato che raccoglierli in un libro, dopo averli un po’ rivisti e aggiornati, poteva essere un modo per tornare ancora una volta su autori già studiati in passato e sui quali ho pubblicato diversi libri, per valorizzarne aspetti poco noti oppure per rivalutare opere meno considerate rispetto ad altre. Ma mi sembrava anche giusto capire che cosa della loro eredità è considerato ancora valido dagli scrittori siciliani di oggi e che cosa, invece, è cambiato – anche radicalmente – nella scrittura di questi ultimi.
- Il titolo del libro non passa inosservato. Perché questa scelta?
Perché Sciascia, Bufalino e Consolo sono davvero stati gli ultimi grandi esponenti di una tradizione letteraria siciliana che – pur nelle inevitabili diversità fra autore e autore, fra stile e stile – ha dimostrato di avere non pochi tratti in comune: per esempio, la coscienza scontrosa di un’alterità antropologica; un antistoricismo tenace; una predilezione per la grande cultura europea unita alla scelta della Sicilia e dei siciliani come oggetto d’analisi; la tentazione di scrivere un romanzo–cattedrale, che sia affresco sociale o saga familiare; una scrittura che procede sui sentieri sinuosi del barocco o della prosa lirica o su quelli, non meno sinuosi, del ragionamento analitico in stile scabro ed essenziale. Insomma, quel quadro mosso ma coerente che Massimo Onofri ha rubricato all’insegna della “modernità infelice”. Ma, come dicevo prima, nell’introduzione al libro ho provato a dimostrare che, dopo i risultati splendidi raggiunti da questi tre grandi scrittori non c’è il nulla, c’è invece un “oltre”: altre forme di scrittura che, seppure in buona parte lontane dalle loro, ci dicono cose tutt’altro che secondarie sulla Sicilia di oggi, sull’Italia di oggi.
- Sciascia, Bufalino, Consolo: tre pilastri, dunque, della letteratura siciliana (e non solo) del secondo Novecento. Quali sono gli elementi che li accomunano? E quali quelli che li dividono?
Ad accomunarli mi pare sia soprattutto la fiducia nella letteratura come mezzo per esprimere e testimoniare un’alternativa possibile alla massificazione culturale e all’indifferenza valoriale. Anche un elemento che apparentemente li divide – mi riferisco alle scelte linguistico-stilistiche – può rivelare, se studiato a fondo e senza pregiudizi, interessanti aspetti in comune: penso alla complessità del periodare, che poi, naturalmente, ognuno di loro riveste di una patina lessicale molto personale. A dividerli abbastanza nettamente, invece, mi pare ci sia l’atteggiamento verso il proprio mondo interiore: che Bufalino affrontava a viso aperto, anzi esibendo una quasi impudica attitudine ad auscultare le proprie ragioni del cuore, mentre Sciascia e Consolo si aggrappavano tenacemente alle ragioni della ragione per schermare al lettore l’accesso a un mondo che doveva rimanere il più recondito possibile.
- Se oggi avessi la possibilità di scrivere una lettera a uno di questi tre grandi scrittori (e di ricevere risposta), a chi scriveresti? E perché? (continua…)
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