lunedì, 19 maggio 2008
SI PUO’ LEGGERE UN LIBRO SENZA SAPERE A QUALE GENERE APPARTIENE?
Marco Minghetti mi segnala un post pubblicato sul suo blog.
L’argomento è intrigante e credo che i termini della discussione possano essere racchiusi nelle seguenti domande:
Si può leggere bene un libro senza sapere a quale genere appartiene?
Il lettore ideale (badate, non quello qualunque) deve preoccuparsi dei generi letterari?
Ha ragione Alaistar Fowler quando sostiene che “il genere è molto più un uccello che la sua gabbia”?
Vi invito a partecipare alla discussione dopo aver letto il testo di Minghetti e le opinioni contrapposte di Alberto Manguel e Umberto Eco. E poi a rispondere alle domande proposte dallo stesso Minghetti:
A che genere appartiene Alice nel Paese delle Meraviglie, a quello dei libri per l’infanzia?
E gli Esercizi di stile di Queneau è un mero manuale di retorica?
E i romanzi di Chandler sono riducibili al canone del giallo “hard boiled”?
E le Città Invisibili di Calvino sono dei semplici racconti brevi?
A voi.
Massimo Maugeri
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di Marco Minghetti
Che cosa è 1984 ? Un romanzo di fantascienza? Una (anti)utopia? Una storia d’amore? Un racconto sado-maso? La perfetta rappresentazione della vita reale che si svolge oggi in Nazioni come la Birmania? Questa domanda mi frullava in capo mentre ieri sera ascoltavo Hitchens alla Scala presentare il suo ultimo libro La vittoria di Orwell.
Mi si era accesa una sinapsi con quanto avevo ascoltato un paio di giorni prima alla presentazione di un altro libro, Al tavolo del cappellaio matto di Alberto Manguel. In quel caso il relatore era Umberto Eco che, in particolare, si era soffermato su uno dei capitoli del libro, quello dedicato al lettore ideale (ripreso anche in larga parte sul Domenicale de Il Sole 24-ore). Si tratta in effetti di una delle parti più deliziose del testo, di stampo chiaramente borgesiano, in cui si trovano affermazioni del tipo: ” Il lettore ideale non ricostruisce una storia: la ricrea”; “Bisogna essere inventori per leggere bene”; “Il lettore ideale sovverte il testo. Il lettore ideale non dà per scontata la parola dello scrittore”; “Il lettore ideale è un lettore cumulativo: ogni volta che legge un libro aggiunge un nuovo strato di memoria alla narrazione”; “Ogni lettore ideale è un lettore associativo. Legge come se tutti i libri fossero opera di un unico autore eterno e fecondo”.
Eco leggeva e commentava, concordando con l’autore su queste idee, mentre io pensavo a come Manguel avesse perfettamente descritto il lettore ideale del nostro romanzo Le Aziende InVisibili. Ma poi Eco è giunto ad una frase, che ha ritenuto di contestare: “Il lettore ideale non si preoccupa dei generi letterari”. Sbagliatissimo, ha argomentato Eco: è impossibile leggere bene un libro senza sapere a quale genere appartiene. Un giallo è un giallo, una storia d’amore è una storia d’amore, un racconto epico è un racconto epico: se non si conoscono le “regole del gioco” cui ogni testo è sottoposto, le regole cioè del genere cui è stato iscritto dal suo autore, non si può comprenderlo a fondo.
A mio parere Eco qui si inganna: e mi sono permesso di esprimere pubblicamente questa opinione. Prendiamo l’Amleto. Se ci poniamo dal punto di vista di Eco dovremmo leggerlo come se fosse una tragedia, ed un particolare genere di tragedia: la “tragedia di vendetta”, un genere molto praticato ai tempi di Shakespeare. Tuttavia molti critici vedono in Hamlet la prima “detective story” dell’età moderna (Amleto in effetti investiga sulla morte del padre e vuole scoprire l’assassino); Harold Bloom ritiene che Shakespeare (a differenza del Kafka di Borges, che crea i suoi predecessori) abbia plasmato tutti i suoi successori ed in particolare Freud e dunque vede in Amleto una sorta di dramma psicanalitico; ma naturalmente Amleto è anche una ghost story per eccellenza, è una storia d’amore, è un racconto filosofico. Tom Stoppard ha persino trasformato genialmente la tragedia in una commedia (Rosenkrantz e Guilderstern sono morti).
In sintesi: a me sembra che non solo i grandi libri non possano essere ridotti ad un unico genere letterario, ma che, al contrario, potenzialmente li contengano tutti. Potremmo forse azzardare una sorta di formula: più generi letterari scopriamo in un testo, più è probabile che siamo di fronte ad un capolavoro.
Alcune domande di prova: A che genere appartiene Alice nel Paese delle Meraviglie, a quello dei libri per l’infanzia? E gli Esercizi di stile di Queneau è un mero manuale di retorica? E i romanzi di Chandler sono riducibili al canone del giallo “hard boiled”? E le Città Invisibili di Calvino sono dei semplici racconti brevi?
Dal che si potrebbe forse evincere un’ultima conclusione: ogni grande libro “crea” il suo proprio genere letterario, diventando oggetto di emulazione per schiere di scrittori successivi.
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EXTRAPOST
1. Ringrazio di cuore Valerio Evangelisti per aver pubblicato su Carmilla on line il mio racconto “Mind games”. Vi invito a leggerlo (cliccando qui) e a commentarlo, se vi va, su La camera accanto (4° appuntamento).
Ringrazio Valerio anche per le belle parole spese su “Identità distorte” e su Letteratitudine.
2. Avete un noir o un giallo nel cassetto? Vi ricordo Il Fante di picche, iniziativa segnalata da Enrico Gregori.
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