sabato, 20 dicembre 2008
ROLAND BARTHES E ETICA DI UN AMORE IMPURO, Alessandro Savona
Roland Barthes (Cherbourg 1915 – Parigi 1980) è stato uno dei maggiori esponenti della nuova critica francese di orientamento strutturalista (approfondimenti qui e qui).
Ce ne parla Alessandro Savona nel suo articolo “L’altro Barthes”.
Savona, peraltro, è autore del romanzo “Etica di un amore impuro” (Perrone, 2008), libro che presenta connessioni con Barthes e che, di seguito, è recensito da Simona Lo Iacono e Maria Rita Pennisi.
Propongo un dibattito sulla figura di Barthes e su questo romanzo di Alessandro Savona.
Simona Lo Iacono, Maria Rita Pennisi e lo stesso Savona mi aiuteranno a coordinarlo e a moderarlo.
Partendo dal bellissimo – e ossimorico – titolo del libro di Alessandro Savona, ne approfitto per porvi una domanda: quand’è che, a vostro avviso, un amore può definirsi… impuro?
Infine vi lascio questa citazione: la letteratura non permette di camminare ma permette di respirare. (Roland Barthes: da Letteratura e significazione, in Saggi critici)
Massimo Maugeri
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L’altro Barthes
di Alessandro Savona
Due dita sfiorano la tastiera del pianoforte verticale, probabilmente un Ibach degli anni ’20 oppure uno Stein, verniciato di nero. Le prime note del Traumerei di Schumann si liberano nell’aria, nitide, indecise. L’uomo è in piedi, con indosso il paletot e la musica che viene fuori dal suo indice incerto. Sull’eco di una nota spezzata l’uomo lascia la stanza, spegne la luce ed esce. Cammina ora verso St. Sulpice, percorrendo rue Servandoni.
Parigi di notte sembra trattenere ancora le emozioni di quel lontano maggio, seppure siano trascorsi più di dieci anni. Forse accostando l’orecchio ad un muro si possono sentire le urla di protesta degli universitari, il rumore delle selci lanciate con rabbia, i colpi dei manganelli delle CRS sui corpi in fermento: voci e suoni trattenuti nelle connessure dei conci, nelle crepe sfarinate degli intonaci. Forse si sentono i passi di uno di quei giovani, che corre affannato, sudato di paura, nudo di disistima in cerca di lui. Quel giovane tanto amato e perduto per sempre.
L’uomo si accende una sigaretta. Il suo appuntamento è di trent’anni più giovane, è un sudafricano, è lì che lo aspetta, seduto sul bordo di un marciapiede di un vicolo del Quartiere Latino. Il calore di quel corpo ha un prezzo, una tariffa stabilita che segna il confine tra il desiderio e l’amore.
- Quale sarà per me lo spettacolo del mondo? – forse una domanda viene fuori a voce bassa dalle labbra dell’uomo. Forse.
La stessa domanda la ritroviamo nelle pagine di un diario che Roland Barthes scriverà tra il 24 agosto e il 17 settembre 1979. Pagine intime, cariche di dolore che in forma di testo e col titolo Incidents, saranno pubblicate dalle Editions du Seuil nel 1987, sette anni dopo la morte dell’autore. Il 25 febbraio 1980 Roland Barthes, uscendo dal College de France, è investito dal furgoncino di una lavanderia; a seguito di complicazioni polmonari morirà un mese dopo nell’ospedale Salpetrière. Aveva 65 anni.
Fu uno dei più importanti animatori dell’avventura strutturalista francese insieme a personaggi come Foucault, Lacan, Greimas, Althusser, Lévi-Strauss. Con il suo Elementi di semiologia, pubblicato nel 1964, Roland Barthes può essere considerato erede a tutti gli effetti di una delle due “anime” della semiotica: quella strutturale elaborata da Ferdinand de Saussure a cavallo tra Ottocento e Novecento. L’altra sarà quella interpretativa, che muove dal lavoro di Charles Sanders Peirce. Merito di Roland Barthes sarà di andare oltre gli studi di de Saurrure, considerando non già la linguistica come figlia della semiotica ma viceversa comprendere che si devono studiare i sistemi di significazione solo in virtù di una traduzione linguistica. Da qui, secondo Umberto Eco, la sua grande lezione: l’interessamento per qualsiasi evento capace di produrre significato.
- Il semiologo è colui che quando va in giro, – ripeteva Barthes – fiuta e scorge significazione dove gli altri vedono fatti ed eventi -.
Amato, ma anche odiato da quei detrattori che gli rimproveravano una mancanza di rigore e di scientificità nella costruzione della semiologia, Roland Barthes applicherà le sue riflessioni argute e raffinate con la stessa spontaneità di un osservatore curioso della vita e di ogni sua manifestazione, interessandosi di letteratura, moda, teatro, musica, fotografia e tanto altro. Scriverà libri preziosi come Il grado zero della scrittura (1953), Miti d’oggi (1957), Il sistema della moda (1967), S/Z (1970), Sade, Fourier, Loyola (1971), Il piacere del testo (1973), Frammenti di un discorso amoroso (1977), La camera chiara (1980).
E Incidents, il libro che svela un Roland Barthes intimo, dove trova collocazione?
Fra le innumerevoli accuse a suo discredito una probabilmente pesa più delle altre, perché svela la più profonda fragilità della vita di R. B.: la taciuta omosessualità.
- (…) Gli ho chiesto di avvicinarsi a me, sul letto. Lo ha fatto con gentilezza, si è seduto sul bordo, ha sfogliato un libro di fotografie, il suo corpo era lontano; se allungavo il braccio verso di lui, lui non si muoveva: nessun compiacimento. E’ subito andato in un’altra stanza. Sono stato assalito da una specie di disperazione, avevo voglia di piangere. Era evidente che dovessi rinunciare ai ragazzi, perché non ero desiderato. (…) L’ho invitato ad andarsene, dicendo che avevo da lavorare, sapendo che era finita, e che al di là di lui qualcosa era finita: l’amore di un ragazzo. – Incidents, Parigi 1987, pagg. 115-116.
Queste parole sembrerebbero la descrizione, oltre l’immagine, di un quadro di Lucian Freud, Two men (vedi immagine in alto, n.d.r.): la distanza muta, l’incomunicabilità, il tocco leggero di una carezza.
La chiave di tutto sta nell’interpretazione. Durante un’intervista sui preconcetti R. B. dirà – Non possiamo pensare noi stessi in termini di aggettivi, ma anche gli aggettivi che ci vengono applicati non possiamo mai autenticarli: ci lasciano muti – Questo perché interpretare significa capire, capire significa rimandare ad altro, porsi domande, fermarsi a riflettere, ricominciare di nuovo. Quando scrisse Frammenti di un discorso amoroso affermò che l’amore, nell’ambiente intellettuale, fosse fuori moda. Ma al di fuori di esso era un sentimento universale, indipendentemente dal sesso di chi ama. Il desiderio di amare è come dragare, cercare senza sosta l’oggetto delle nostre attenzioni e instaurare un rapporto che, lo si voglia o no, resterà sempre all’orizzonte, al margine di una comprensione totale. Quindi l’emarginazione, evidente nei toni disperati di Incidents, è la realtà della “solitudine” che accomuna ogni essere umano che, quando ama, si rende fragile, esposto, cerca conferme, esita, vacilla.
A ben guardare tutta l’opera di Roland Barthes può essere scandagliata attraverso quest’altra ottica. Nei Frammenti non si parla mai di un uomo e di una donna, ma di esseri che si amano, indipendentemente dal loro sesso, si evidenzia il ruolo dell’oggetto amato e l’incisività del soggetto che ama, siano essi eterosessuali o omosessuali. Barthes combatteva le etichette, l’impuro che la borghesia aveva instillato nella vita quotidiana con un perbenismo che spacciava come naturale. Lo ha fatto per tutta la vita, attraverso le parole che ha detto o scritto. Da acuto osservatore con un’anima pacata, di un poeta dei segni, non alzava mai il tono della voce, non prevaricava, non imponeva, ma induceva a riflettere. Così, in letteratura come nella vita quotidiana, si interessava di tutto ciò che potesse rimandare a un modello narrativo universale, ma sempre a piccoli passi, osservando un cartellone pubblicitario, le basole della strada, il gesto di un bambino, una frase di Proust, gli occhi di un ragazzo. Tutto è narrazione, e la narrazione è anche attesa, sospensione, rimando, desiderio. Come nel libro di Renaud Camus, dapprima suo discepolo e poi scrittore di Tricks (1978), libro che parla di omosessualità e che Roland Barthes ha recensito senza esitazioni.
- (…) L’omosessualità sciocca meno, ma continua a interessare; è ancora in uno stadio di eccitazione in cui provoca ciò che potremmo chiamare prodezze del discorso. Parlare di essa permette a coloro “che non lo sono” (espressione già appuntata da Proust) di mostrarsi aperti, liberali, moderni; e a coloro “che lo sono”, di testimoniare, rivendicare, militare. Ognuno si impiega, in modi diversi, a gonfiare l’argomento. Pertanto, proclamarsi qualcosa, è un parlare sotto l’istanza di un altro vendicatore, entrare nei suoi discorsi, discutere con lui, domandargli un briciolo di identità: – Lei è?… – Si, lo sono… -. In fondo poco importa l’attributo: ciò che la società non tollererebbe è che io non sia niente, o, per essere più precisi, che il qualcosa che io sono, sia dato apertamente per passare, revocabile, insignificante, inessenziale, in una parola: impertinente. Dite soltanto sono e sarete socialmente salvi. Rifiutare l’ingiunzione sociale lo si può fare attraverso questa forma di silenzio, che consiste nel dire le cose con semplicità. (…) –
Di questa semplicità, da sempre cercata, Roland Barthes è stato un assoluto assertore, un infaticabile sostenitore. Avrebbe voluto scrivere un libro di narrativa, ha inseguito il sogno per tutta la vita, gli ha dato perfino un titolo, Vita nova. Non potrà mai farlo, ma della letteratura, grande amica e amante di tutta una vita, ha scritto una frase esaustiva:
La letteratura è là per donare un supplemento di gioia, non di decenza.
Alessandro Savona
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Il ponte. Una recensione al libro di Alessandro Savona: “Etica di un amore impuro” (Perrone Editore, € 10,00).
di Simona Lo Iacono
Siamo ponti senza saperlo.
Annodiamo esistenze. Solitudini. Mani tese.
Siamo ponti quando sussurriamo in una notte come tante: non lasciarmi. Quando balocchiamo dal fumo di un desiderio. Quando – vivi o morti, dentro – ci ostiniamo a percorrere una strada sospesa nel vuoto.
Questo è un ponte: una speranza nella precarietà.
Un punto d’appoggio tra due rive. Un modo per allungare una mano, per trattenere qualcuno.
Non sempre ci riusciamo. Non sempre il ponte ci avvicina. A volte frappone un inciampo, un impensabile ostacolo: noi. La nostra stessa fragilità.
Tuttavia, accade.
E il ponte sfreccia tra due destini, o tra tre, o tra mille. Balza su stagioni. Miracolosamente restituisce un senso.
È una struttura, dicono alcuni. E forse lo direbbe anche Marco, aspirante architetto e protagonista di questa storia.
Ma Roland Barthes direbbe: no. Non è una struttura. È un segno.
E lo direbbe a ragione, perché anche lui è protagonista di questa storia. Anche lui è tra Marco e un libro.
E tra un libro e Olivier.
Olivier vi si imbatte per caso, in una Parigi che risuona della voce rauca di Edith Piaf. Che si snoda tra le vie del quartiere latino. Che si inerpica verso il cielo, maglia dopo maglia. Svettando dalla Tour Eiffel. Rimandando l’illusione a cui – almeno una volta, a Parigi – vogliamo credere: la vie en rose.
Ne porta addosso ancora il calore quando – dopo molti anni – incrocerà anche Marco. Quando, come Barthes, avrà finalmente appreso la lezione dei segni.
Ma nel 1982 è ancora presto.
In quegli anni Olivier ignora i codici misteriosi che trafiggono l’esistenza. Che sta a noi decifrare pur nel travolgente spettacolo del mondo. Oltre la coltre che lo spalanca ai nostri occhi.
Ignora che persino in ciò che sembra impuro si annida un senso.
È ancora presto.
Nel 1982 Barthes è appena morto, Marco è un embrione nel corpo di una donna che attraversa il ponte Alexandre e questa storia non esisteva ancora.
O forse no: le storie nascono da prima di quando riusciamo a comprenderle. Da prima di noi e dopo di noi.
Il vero ponte sono le storie.
Simona Lo Iacono
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“Etica di un amore impuro” di Alessandro Savona (Perrone Editore, € 10,00)
recensione di Maria Rita Pennisi
Prova di grande destrezza letteraria è questa seconda fatica di Alessandro Savona, “Etica di un amore impuro”, dopo “Corpi contro”. Storia di un’anima tormentata alla ricerca della redenzione.
Teatro di un amore disperato è una Parigi tutta interiore, le cui strade coincidono con i canali dell’anima e le larghe piazze con i profondi laghi del cuore. Quindi nulla di topografico, se non in apparenza, ma un getto d’inchiostro continuo, che si espande a macchia d’olio sui sentimenti fino agli anfratti più segreti di un’esistenza violata, che cerca una via d’uscita nell’amore e nel perdono. Atmosfere rarefatte che si snodano a Saint-Germain-des-Près e alimentano le vite sospese di Olivier e di Marco, protagonisti di due storie diverse, collegate da un misterioso biglietto. Olivier, appena arrivato a Parigi dalla tranquilla Provenza, si trova suo malgrado coinvolto in una guerriglia sessantottina. A salvarlo è un professore. Un uomo tranquillo che si nutre dei suoi studi e che sembra vivere ai margini della sua anima, forse per paura di se stesso. Olivier ne viene attratto, come la falena dalla luce e se ne innamora perdutamente. Il professore non si fa coinvolgere e mantiene la distanza da quell’amore disperato e inappagato. L’elemento perturbante si presenta nei panni del medico Jean Greimas, che soccorre Olivier in preda a un attacco epilettico, che sembra anticipare l’inferno che dilanierà la sua anima da lì a poco. Il medico, ben presto, svelerà il suo lato mefistofelico. Sarà lui a far precipitare Olivier in una voragine infernale. Olivier non riuscirà a confidare al professore l’abisso in cui è caduto, per la disperazione del suo muto rifiuto. Dal canto suo Marco, a distanza di anni da questi avvenimenti, vive in una Palermo marginale nella speranza che qualcosa possa cambiare.
Un destino ineluttabile lo porta a Parigi, per ripercorrere Saint-Germain-des- Près, tante volte percorsa da Olivier e dal professore. Un destino che ha origine tra le pagine di un libro di Roland Barthes, che contiene un segreto, che vuole venire alla luce.
Maria Rita Pennisi
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Scritto sabato, 20 dicembre 2008 alle 23:38 nella categoria EVENTI, INTERVENTI E APPROFONDIMENTI, SEGNALAZIONI E RECENSIONI. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. I commenti e i pings sono disabilitati.
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