lunedì, 2 settembre 2019
ROBINSON CRUSOE di Daniel Defoe (Leggerenza n. 9)
Il naufragio di Robinson Crusoe è il più desiderabile, tale da poter essere considerato l’antecedente storico delle odierne trasmissioni Tv di survival dove i concorrenti sono chiamati ad affrontare prove di sopravvivenza nella certezza di ogni comfort. Robinson capita in un’isola lussureggiante, ricca di acqua e di risorse, priva di belve feroci e di ogni tipo di insidia naturale, dotata di un clima tropicale che la preserva dal freddo, tanto grande da potere essere percorsa a piedi e comodissima per le numerose opportunità che offre, compreso un terreno dove coltivare addirittura il grano. Non solo: ha l’impagabile fortuna che la nave naufragata si areni con tutto il suo carico a portata di zattera e che una seconda nave faccia la stessa fine e gli consenta così nuovi approvvigionamenti. Ha armi e polveri con cui cacciare, derrate alimentari, conserve, liquori, utensili, tessuti, vestiti e ogni altro mezzo necessario a chi debba vivere in un luogo non antropizzato: ciò che non riesce ai naufraghi spagnoli finiti in un’isola vicina e, perché privi di tutto, soggetti al dominio dei selvaggi in un impronosticato rovesciamento di poteri.
Un naufragio tipicamente inglese quello di Robinson che piacque infatti molto ai connazionali di Daniel Defoe, determinato a mettere i lettori di fronte alla natura meno minacciosa e oscura, anzi la più irenica ed edenica, testimoniale della creazione divina. L’autore che, esattamente trecento anni fa, inaugurò il romanzo moderno come oggi lo conosciamo intese non terrorizzare i lettori britannici rappresentando l’incubo di una morte lenta e inesorabile che giungesse per le privazioni indotte dalla forza primordiale della natura, ma al contrario volle dimostrare loro quanto la stessa natura risulti benigna all’uomo che si affidi alla Provvidenza. Il tema al centro del dibattito filosofico settecentesco circa lo “stato di natura” nel quale l’uomo sia visto agire senza i condizionamenti moderni viene da Defoe affrontato con un romanzo che, indulgendo a un tono a volte predicatorio e un po’ quaresimalista, più esattamente intriso di quel puritanesimo che l’autore professò in atteggiamento anti-cattolico, dà una risposta soterica nella prospettiva di una salvezza celeste e di una regolazione cosmica del destino umano che guarda non allo stato di natura illuministico come esperimento teista delle qualità innate nell’uomo, ma alla natura dell’uomo nel rapporto di scambio con Dio. «Invocami nel giorno del dolore e io ti libererò e tu mi glorificherai» è il passo biblico che Robinson assume come un credo nelle proprie azioni e motivo della sua condizione.
(continua…)
Pubblicato in LEGGERENZA (a cura di Gianni Bonina) Commenti disabilitati
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