mercoledì, 30 novembre 2016
RAVEL di Jean Echenoz
Il nuovo appuntamento del forum di Letteratitudine intitolato “LETTERATURA E MUSICA” è dedicato al romanzo “Ravel” di Jean Echenoz (Adelphi – Traduzione di Giorgio Pinotti)
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(Adelphi, 2007 - Traduzione di Giorgio Pinotti)
recensione di Claudio Morandini
Jean Echenoz è riuscito, con il breve romanzo “Ravel”, a creare un’ingegnosa opera à la Ravel: nel senso che con precisione da compositore-orologiaio, con distacco, nonchalance, una facilità ingannevole, un calibrato rispetto di tempi e forme, ha costruito un libro in cui sembra davvero di ascoltare, convertite in parole, le musiche del compositore francese. La fine traduzione di Giorgio Pinotti per Adelphi preserva l’eleganza mai fatua e spesso tendente all’eccentrico dello stile raveliano di Echenoz.
Ravel ci è restituito innanzitutto attraverso gli oggetti, i vestiti, i feticci di cui si circonda nella angusta e impossibile casetta di Montfort e con cui riempie le numerose valigie e bauli che lo accompagnano in tournée o in villeggiatura. L’omino Maurice, sotto quell’armatura di originale eleganza che lo protegge dalle insidie del mondo, è sempre inappuntabile, anche quando è in ritardo (cioè, sempre), e lo sarà anche negli anni del declino, quando perderà memoria e facoltà fisiche e intellettive e si aggirerà per concerti e vernissage scortato dagli amici più fidati che terranno lontani i cacciatori di autografi (ignari che il celebre compositore non sa nemmeno più scrivere il suo nome). È un mondo protettivo, di ninnoli, abitudini consolidate, sofisticati automatismi, squisitezze varie, una boîte à musique in cui anche il tormento dell’insonnia è sopportabile, anche le smemoratezze sembrano accettabili. Pare di sentir risuonare, in questo mondo ovattato e un po’ fuori dal tempo, le armonie raffinate e fintamente algide del “Tombeau de Couperin”, le fantasticherie rassicuranti e inquiete di “Ma mère l’Oye”.
A proposito: il sospetto di fatuità, di jeu un po’ fine a se stesso, di meccanismo alla fine disumano, che può cogliere il lettore alle prime pagine (o l’ascoltatore alle prime battute) svanisce ben presto: il romanzo di Echenoz, seguendo i movimenti di Ravel, da commedia brillante (la tournée negli Stati Uniti, la spossatezza caricaturale che coglie il compositore dinanzi a spostamenti in carrozze di lusso, gli entusiasmi iperbolici del pubblico di amateurs) si tramuta progressivamente in descrizione degli ultimi anni di vita, quelli della malattia, rimasta misteriosa, e dei vani tentativi di cura. Diventa, cioè, un vero e proprio tombeau, in cui l’imperturbabile, clinica precisione risulta paradossalmente toccante (e sfido chiunque a leggere l’ultima parte senza magone). (continua…)
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