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mercoledì, 19 luglio 2017

MARCELLO SIMONI con “L’eredità dell’abate nero” (Newton Compton) e CLAUDIO MORANDINI con “Le pietre” (Exorma) a “Letteratitudine in Fm”

MARCELLO SIMONI con “L’eredità dell’abate nero” (Newton Compton) e CLAUDIO MORANDINI con “Le pietre” (Exòrma) ospiti del programma radiofonico Letteratitudine in Fm di lunedì 17 luglio 2017 – h. 10 circa (e in replica nei seguenti 3 appuntamenti: giovedì alle h. 03:00 del mattino; venerdì alle h. 13:00; domenica alle h. 03:00 del mattino)

In Fm e in streaming su Radio Hinterland

trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

* * *

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

* * *

Nella prima parte della puntata abbiamo incontrato Marcello Simoni per discutere del suo nuovo romanzo intitolato “L’eredità dell’abate nero” (Newton Compton).

Nella seconda parte della puntata abbiamo incontrato Claudio Morandini per discutere del suo romanzo Le pietre” (Exòrma).

Di seguito, informazioni sui due libri protagonisti della puntata.

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L’eredità dell’abate nero” di Marcello Simoni (Newton Compton)

Firenze, 21 febbraio 1459.
Il banchiere Giannotto Bruni viene ucciso in circostanze misteriose nella cripta dell’abbazia di Santa Trìnita. L’unico testimone è Tigrinus, un giovane ladro di origini ignote, dai capelli neri striati di bianco, che paga caro l’avere assistito al delitto: immediatamente arrestato con l’accusa di omicidio, solo l’inspiegabile intervento di un uomo molto influente riesce a sottrarlo alla morte. Ma a quale prezzo? Da quel momento in poi Tigrinus sarà braccato e costretto a fronteggiare i tentativi di vendetta di Angelo e Bianca, il figlio e la nipote della vittima, convinti che meriti la forca. Mentre cerca di sfuggire ai parenti di Giannotto, il ladro scopre però qualcosa di decisivo per il proprio destino: la morte del banchiere è legata a un tesoro che si trova su una nave proveniente dall’Oriente. Per aver salva la vita, Tigrinus dovrà stringere un patto con il potente Cosimo de’ Medici e affrontare un incredibile viaggio per mare, alla ricerca di un uomo sfuggente e imprevedibile. Un uomo che pare conoscere tutto sul suo misterioso passato… Un uomo chiamato l’abate nero.

Marcello Simoni è nato a Comacchio nel 1975. Ex archeologo e bibliotecario, laureato in Lettere, ha pubblicato diversi saggi storici; con Il mercante di libri maledetti, romanzo d’esordio, è stato per oltre un anno in testa alle classifiche e ha vinto il 60° Premio Bancarella. I diritti di traduzione sono stati acquistati in diciotto Paesi. Con la Newton Compton ha pubblicato La biblioteca perduta dell’alchimista, Il labirinto ai confini del mondo, secondo e terzo capitolo della trilogia del famoso mercante; L’isola dei monaci senza nome, con il quale ha vinto il Premio Lizza d’Oro 2013; La cattedrale dei morti; la trilogia Codice Millenarius Saga (L’abbazia dei cento peccati, L’abbazia dei cento delitti e L’abbazia dei cento inganni).

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Le pietre” di Claudio Morandini (Exòrma)

Tutto è in movimento in questo romanzo: sono sempre in giro gli abitanti del villaggio alpino di Sostigno, che salgono alle baite di Testagno e subito dopo scendono, in transumanze sempre più frequenti e frenetiche; si agita il fiume, anzi il torrente, che «certe anse se le inventa la notte, e la mattina le scopriamo come un regalo di Natale al contrario». Soprattutto, si muovono le pietre.
Certo, la vallata si è formata su detriti, su instabile sfasciume: ma il dato geologico non basta a spiegare i bizzarri fenomeni che da decenni coinvolgono i paesani, quella specie di iperattività del mondo minerale che moltiplica le pietre nei campi, nelle case, ovunque. I sostignesi, però, non se ne lamentano troppo, anzi cercano di sfruttare l’esuberanza pietresca a loro vantaggio.
Gli eventi recenti si intrecciano con la storia passata dei coniugi Saponara, cittadini in pensione approdati in montagna: è proprio in una stanza della loro “Villa Agnese” che si sono materializzate dal nulla le prime pietre, accumulandosi giorno dopo giorno in un crescendo tra Ionesco e Buster Keaton.

Claudio Morandini, «uno dei romanzieri più competenti e spiazzanti nel nostro panorama letterario» secondo la rivista «Pulp», è nato ad Aosta nel 1960. Ha pubblicato diversi romanzi, tra cui Le larve (2008), Rapsodia su un solo tema (2010), A gran giornate (2012). Nel 2015 ha pubblicato Neve, cane, piede (Premio Procida – Isola di Arturo – Elsa Morante). Suoi racconti sono apparsi in antologie e riviste o sono disponibili in rete. Collabora con il blog Letteratitudine e con le riviste online «Fuori Asse», «Diacritica» e «Zibaldoni e altre meraviglie». Il suo sito è http://claudiomorandini.com.

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trasmissione curata e condotta da: Massimo Maugeri

regia: Federico Marin

LA PUNTATA È ASCOLTABILE ONLINE, CLICCANDO SUL PULSANTE AUDIO

La colonna sonora della puntata: …

(continua…)

Pubblicato in LETTERATITUDINE RADIO (trasmissione radiofonica curata e condotta da Massimo Maugeri)   Commenti disabilitati

venerdì, 3 marzo 2017

IL TEMPO TAGLIATO

letteratura-e-musicaIl nuovo appuntamento del forum di Letteratitudine intitolatoLETTERATURA E MUSICAè dedicato al romanzo “Il tempo tagliato” di Silvia Longo (Longanesi). Di seguito, l’autrice in una conversazione con Claudio Morandini.

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CONVERSAZIONE CON SILVIA LONGO: autrice de “IL TEMPO TAGLIATO” – (Longanesi, 2012)

A cura di Claudio Morandini

Con il romanzo “Il tempo tagliato”, uscito nella collana longanesiana “La gaja scienza” nel 2012, Silvia Longo racconta la storia di una donna, Viola, che di recente ha perduto il marito, celebre direttore d’orchestra dalla personalità insieme forte e fragile, del quale è stata per anni silenziosa vestale; e racconta della sua fuga imprevista, una sera, nel corso di un concerto in onore del coniuge, con un giovane tecnico del suono. Combattuta tra tentazione di abbandono all’avventura e desiderio di autocontrollo, Viola vive quella fuga, solo in parte sentimentale, come un allontanamento da tutto ciò che la tratteneva al ricordo ingombrante del marito, al suo bisogno perenne di ordine e equilibrio.
La musica c’è, a diversi livelli, in questo romanzo di grande finezza: è presente nella vita dei personaggi, che di musica vivono e si circondano, nei loro discorsi, addirittura nel loro modo di percepire il mondo; si intravede anche nella struttura del libro, nel titolo, perfino nella scelta del nome della protagonista. Sono motivi sufficienti per invitare Silvia Longo a una conversazione su un tema che ci sta a cuore, il rapporto tra scrittura e musica, tra parola e suono.

CM – La protagonista del tuo romanzo si chiama Viola. Una scelta che non mi suona casuale: la viola, tra gli archi, è lo strumento che di rado assume un ruolo di primo piano, e il più delle volte rinforza il tessuto armonico, lasciando liberi gli altri strumenti di fare i protagonisti. È uno strumento umile, ma indispensabile, senza il quale le altre parti perderebbero di significato. Anche tu lo hai inteso in questo modo?
SL – Hai centrato in pieno, Claudio. Presto molta attenzione quando si tratta di scegliere i nomi dei miei personaggi, seguendo gli insegnamenti dei Maestri: pensa al Manzoni, per esempio. Ne “I promessi sposi” i nomi dei personaggi rispecchiano il modo di essere e di agire, le qualità morali di ciascuno. Per la protagonista de “Il tempo tagliato” volevo un nome simbolico che ne rappresentasse l’umiltà (la viola è anche un fiore spontaneo che, quasi per pudore, cresce celandosi tra le foglie, alle radici di alberi maestosi), lo spirito di abnegazione per la buona riuscita di una causa, la capacità di adattamento alle necessità altrui. Come fa la viola in una orchestra: quasi mai è strumento solista e si può dire che lavori nell’ombra. Ma a un orecchio attento non sfugge quanto necessario sia il suo apporto.

CM – Sin dal titolo, “Il tempo tagliato”, il tuo romanzo è incentrato sul concetto di tempo, anzi sulle possibili declinazioni del concetto di tempo. Tecnicamente, “tempo tagliato” è la misura in 2/2, segnata con una C appunto tagliata, ma forse questo significato non mi pare determinante nel libro. Vi è invece, in senso più generale, il rapporto complesso con il passato (la vita con il marito direttore d’orchestra), il “taglio”, cioè la frattura determinata dalla morte di lui, il senso di spaesamento nel presente. Poi, sempre più insistente, si fa strada il tempo inteso come elemento centrale del linguaggio musicale: il marito, in quanto direttore, domina il tempo, lo scandisce, lo impone agli altri, ne ha bisogno in quanto gli garantisce controllo sul caos della vita, sulle sue paure più profonde. Il tempo si presenta a questo punto anche come ossessione, concretamente, nell’oggetto della sveglia dal ticchettio molesto. Liberarsi di quella sveglia, per Viola, diventerà un emanciparsi dal ruolo paziente e passivo messole addosso dal marito (e dalla famiglia di lui). (continua…)

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venerdì, 21 ottobre 2016

LETTERA A DINA di Grazia Verasani

letteratura-e-musica

Il nuovo appuntamento del forum di Letteratitudine intitolatoLETTERATURA E MUSICAè dedicato al nuovo libro di Grazia Verasani, intitolato “Lettera a Dina” e pubblicato da Giunti.

La puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” con Grazia Verasani dedicata al suo precedente romanzo “Mare d’inverno” (Giunti) è disponibile per l’ascolto qui.

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Lettera a Dinadi Grazia Verasani (Giunti, 2016)

recensione di Claudio Morandini

Nel nuovo romanzo di Grazia Verasani, “Lettera a Dina”, uscito quest’anno per Giunti come il precedente “Mare d’inverno”, due personaggi femminili si incontrano, misurano le proprie incompatibilità eppure si attraggono e si stringono in un’amicizia appassionata nella politicizzata Bologna degli anni Settanta, tra scuole medie e liceo; si abbandoneranno, a un certo punto, per seguire strade inconciliabili, ma finiranno per ritrovarsi uniti nella memoria: uno è l’io narrante, una ragazza curiosa, buona, inquieta il giusto, “comunista” da sempre ma incuriosita dal mondo della borghesia benestante, stabile pur nei cambiamenti dovuti alla crescita e alle dinamiche dell’esistenza; l’altro personaggio è appunto Dina, “fascista” più per sfizio e gusto della provocazione che per sentita vocazione ideologica, piuttosto spinta da una disperata voracità consumistica, affascinante proprio perché diversa e inafferrabile, in continua metamorfosi tra fasi di rapinosa bellezza e altre di abbrutimento.
La prima possiede la solidità necessaria per superare le crisi, per opporsi a derive autodistruttive, e rimane sincera con se stessa e gli altri; la seconda, invece, tra sbandate bulimiche e comportamenti compulsivi, finirà per perdersi nell’alcool e nelle droghe pesanti, in un crescendo di bugie e depistaggi sempre più goffi. La morte di Dina, la sua scomparsa rappresentano l’oggetto di quella ricerca che dicevamo, che però è un affaire personale, un fare i conti con un momento opaco del proprio passato più che con un mistero da risolvere.
Due figure così opposte eppure complementari – se vogliamo leggerli come fossero elementi musicali – potrebbero ricordare le dinamiche che si creano tra il tema A e il tema B di una forma sonata: diversi per natura, eppure destinati a legarsi in uno sviluppo che li concili. (continua…)

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giovedì, 29 settembre 2016

NOTTURNI di Kazuo Ishiguro

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Il nuovo appuntamento del forum di Letteratitudine intitolatoLETTERATURA E MUSICAè dedicato ai racconti “Notturni. Cinque storie di musica e crepuscolo” di Kazuo Ishiguro (volume pubblicato da Einaudi e tradotto da Susanna Basso).

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Notturni“Notturni. Cinque storie di musica e crepuscolo” di Kazuo Ishiguro (traduzione di Susanna Basso – Einaudi, 2009)

recensione di Claudio Morandini

Sceglie la via della commedia agrodolce, Kazuo Ishiguro, nei racconti di ispirazione musicale che Einaudi ha pubblicato nel 2009 nella limpida, spigliata traduzione di Susanna Basso con il titolo “Notturni. Cinque storie di musica e crepuscolo”.
L’effetto complessivo, piuttosto lontano dalle atmosfere sottilmente, inquietantemente mélo di romanzi come “Quel che resta del giorno” o “Non lasciarmi”, è quello di un mondo di passioni, illusioni (composte) e conseguenti delusioni (mai davvero dolorose), che può ricordare, quanto a ritmo e situazioni, certe canzoni dei bei tempi andati tra il sentimentale e l’ironico, diciamo tra Noël Coward e Cole Porter: brio up-tempo, svenevolezze virgolettate, arguzie british e sottintesi tenuti sotto controllo. Nei dialoghi, nella predilezione per musiche dell’età dell’oro della canzone e del jazz, sembra a volte di trovarsi dalle parti del Woody Allen migliore, quello in cui l’umorismo (anche la comicità più disarmata) non esclude scivolate verso il dramma (che però qui, in Ishiguro, è sempre solo accennato, o per meglio dire eluso).
Lo humour perfettamente british di Ishiguro predilige toni meno farseschi (con l’eccezione del racconto intitolato “Come Rain Or Come Shine”, vera e propria comica slapstick al rallentatore), conversazioni più composte, in cui il non detto finisce per essere più importante delle parole, paradossi meno compiaciuti. Non è cinema, in effetti, è piuttosto teatro, anche nel taglio delle scene, e poco importa che alcuni racconti siano ambientati in luoghi esterni come i rii e le piazze di Venezia o le campagne inglesi. (continua…)

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martedì, 7 giugno 2016

I SEGRETI DELLA GIARA

letteratura-e-musicaNell’ambito del forum di Letteratitudine dedicato a “LETTERATURA E MUSICA“, ci occupiamo del volume “I segreti della giara”, di Alfredo Casella (il Saggiatore).

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Recensione di Claudio Morandini

I segreti della GiaraSi legge assai volentieri “I segreti della giara”, l’autobiografia che Alfredo Casella ha terminato nel 1938 e che opportunamente il Saggiatore ripubblica quest’anno a cura di Cesare De Marchi e con illuminante postfazione di Giovanni Gavazzeni (“Il nostro debito con Alfredo Casella”). Casella, compositore di temperamento, dalla vocazione europeista e modernista, ha in letteratura il gusto delle descrizioni vivide di ambienti e personalità. Certo, il testo soffre qua e là delle intenzioni auto-apologetiche: con quest’opera Casella doveva difendersi dall’ostilità dei rivali, dalle cortigianerie degli invidiosi, e mettere al riparo se stesso e la seconda moglie ebrea dai pericoli di una denuncia – l’anno della stesura è lo stesso delle famigerate leggi razziali – ed è per questo che si sente spinto a sottolineare la propria italianità, l’ispirato cattolicesimo di famiglia, la granitica fedeltà al fascismo – in questo non era insincero –, a esaltare le virtù dell’”Italia Littoria” concedendosi financo qualche antipatica stoccata che oggi ci suona razzista (la “qualità inferiore” dei “metèques” che ingolfano la Parigi del dopoguerra, la “congrega” di “elementi israeliti medieuropei” che influenzano in senso “anti-latino” le scelte delle associazioni internazionali della musica contemporanea). (continua…)

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lunedì, 25 aprile 2016

PERCHÉ PRINCE?

La nuova puntata del forum di Letteratitudine dedicato a “LETTERATURA E MUSICA” la dedichiamo a PRINCE, scomparso il 21 aprile scorso.

Prince Rogers Nelson

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Perché Prince?

di Claudio Morandini

Nel parlare di Prince nei giorni successivi alla notizia della sua morte sarò costretto a essere – in qualche misura – autobiografico. Me ne scuso sin d’ora. In compenso, in questo intervento mi limiterò a parlare della musica di Prince, non del personaggio e nemmeno dei testi, e questo forse mi aiuterà a non suonare celebrativo o, peggio, agiografico.
A differenza degli snob e dei fan improvvisati che si fermano a “Purple Rain” e al massimo citano “Kiss”, posso dire di avere tutti i suoi dischi – tutti, compresi quelli mai usciti ufficialmente. Possiedo tutti i singoli, con quei meravigliosi lati B. I remix dei singoli in tutte le versioni possibili, tranne forse qualche edizione giapponese. I remix dei remix. Non ho mai assistito a un suo concerto dal vivo, ma ho raccolto bootleg su bootleg (in vinile, in cassetta, in CD) per tutti gli anni novanta e anche oltre: registrazioni delle esibizioni in teatro e negli stadi, anche di qualità inascoltabile; outtakes e prove in studio, carpite chissà come. Gli aftershow nei club. Ho collezionato le canzoni scritte per altri. I remix delle canzoni scritte per altri. Gli album prodotti per altri, compresi quelli mai pubblicati. Ho pure le canzoni attribuitegli, forse sue forse no – non si sa mai. Molti album di collaboratori, di amici, delle ex, di chi ha avuto a che fare con lui per un certo periodo della sua vita – hai visto mai che si nasconda qualche frammento della sua grandezza, in mezzo a tanti volonterosi compitini. Prince andava inseguito sempre, ovunque, anche quand’era distratto o stanco. Era Prince, che diamine. (continua…)

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mercoledì, 23 marzo 2016

IL NIPOTE DI BEETHOVEN

letteratura-e-musicaNell’ambito del forum di Letteratitudine dedicato a “LETTERATURA E MUSICA“, ci occupiamo del romanzo “Il nipote di Beethoven” di Luigi Magnani (Endemunde, 2015)

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Recensione di Claudio Morandini

Dobbiamo alla casa editrice Endemunde l’opportuna ristampa de “Il nipote di Beethoven”, romanzo di Luigi Magnani che nel 1972 ha conquistato il premio Strega. Magnani travasa nella forma del romanzo la sua fine competenza di studioso di musica colta e in particolare di Beethoven, ma sceglie di raccontare gli anni difficili e avvelenati del rapporto tra Ludwig e il nipote Karl attraverso la voce di quest’ultimo. E dunque di musica, nel senso più stretto del termine, ce n’è poca, in questo denso romanzo, perché Karl sembra indifferente ad essa, e quando coglie l’illustre zio alle prese con i dilemmi della composizione pare non capire, come se si trovasse dinanzi alle elucubrazioni di un pazzo o almeno di un eccentrico.
Beethoven ci è mostrato mentre martella come un fabbro sul pianoforte, con una violenza che può ricordare lo Stravinskij alle prese con le armonie del “Sacre du printemps”; o mentre, assorto, elucubra e canticchia ostinatamente un motivo scarabocchiato su un foglio, da cui cerca di estrarre una forma, uno sviluppo, e intanto batte il ritmo con i piedi, incurante del resto. È un ritratto assai poco indulgente del musicista, che combatte contro la sordità sempre più grave e cocciutamente rincorre un’idea di musica dietro la quale nessuno sembra volerlo seguire, fatta di cellule materiche, di ritmi tellurici che miracolosamente conducono alle vertigini del sublime. Analogamente, le sue passeggiate nella campagna lontano da Vienna seguono percorsi imprevisti, a un passo forsennato, con un’impazienza ferina – qui, come un Robert Walser rimuginante, si perde per ore, concentrato dietro a pensieri che nessuno potrà conoscere (certo non Karl, oscillante tra una pietà di maniera e un desiderio di emancipazione molto adolescenziale). (continua…)

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venerdì, 18 dicembre 2015

MEMORIALI SUL CASO SCHUMANN di Filippo Tuena

Memoriali sul caso SchumannNell’ambito del forum di Letteratitudine dedicato a “LETTERATURA E MUSICA“, ci occupiamo del nuovo romanzo di Filippo Tuena intitolato Memoriali sul caso Schumann” (Il Saggiatore, 2015).

Nei prossimi giorni, su LetteratitudineNews, pubblicheremo un estratto del libro…

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Recensione di Claudio Morandini

Tuena è oggi, per me, uno dei migliori costruttori di storie; è artefice – ambizioso, com’è giusto in letteratura – di romanzi che ora si stendono come partiture, ora come mappe, o diari di bordo, o alberi genealogici, a seconda del tema, dell’ambientazione, delle passioni che vi si agitano. La struttura, nel suo caso, è importante quanto il soggetto – anzi, “è” il soggetto, ne è l’estensione, la proiezione. Il suo ultimo romanzo, “Memoriali sul caso Schumann”, conferma questo assunto: attorno alla figura complessa dell’ultimo Robert Schumann, afflitto da deliri e demenza, Tuena raccoglie (cioè in parte trascrive, in parte immagina) con meticolosità le testimonianze di coloro che lo hanno conosciuto, che ne hanno condiviso sofferenza e passioni, e che ne sono stati toccati fino al logoramento. Sotterranea, intanto, scorre una sensibilità musicale, che compone le parti del romanzo come sezioni di una vasta opera – cameristica, più che sinfonica, direi, visto l’esiguo numero di personaggi in gioco – in cui a prevalere, ancora una volta, come nella saga familiare delle “Variazioni Reinach” (di recente riviste per la nuova edizione Beat), è la forma della variazione. Il romanzo diventa polifonia di voci attorno allo stesso tema (la follia di Schumann): che ognuno dei personaggi declina a suo modo, attraverso punti di vista differenti, differenti distanze e livelli di comprensione, girando attorno al tema secondo dinamiche e giochi timbrici propri. A tutto ciò si inframmezza – in un modo che mi ha ricordato le abissali “lamentazioni oltremondane” in “Rosso Floyd” di Michele Mari, dedicato non a caso anch’esso a un caso di alienazione musicale, quello di Syd Barrett – una voce estranea, sgrammaticata, petulante, angosciosa, demoniaca, che all’inizio sembra una delle voci “sentite” da Schumann, ma diventa ben presto, tragicamente, la sua voce.
La variazione non è solo il mezzo attraverso cui si sviluppa e si articola l’indagine di Tuena: è anche una declinazione, insinuante e pervasiva, una sorta di rielaborazione a specchio dello stesso tema, cioè la follia ossessiva: non a caso, risuona in tutto il romanzo l’opera misteriosa e postuma di Schumann, quelle Geistervariationen, o Variazioni del Fantasma il cui tema, di struggente semplicità, sarebbe stato suggerito in sogno dallo spettro di Schubert.
Ecco, gli spettri: come è già stato notato, questa è una ghost story alla vecchia maniera, cioè secondo ritmi e dinamiche ottocentesche, che puntano sull’attesa e sull’economia di effetti, e dilatano atmosfere. In questo gioco di ombre, lo stesso Schumann è rievocato – come un fantasma – da distanze irraggiungibili, sia per lo stato che lo aliena dalla realtà chiudendolo in un mondo di allucinazioni e ossessioni, sia per l’impossibilità oggettiva di raggiungerlo nella clinica in cui è subito ricoverato dopo un tentativo di suicidio.
I fantasmi agitano le visioni di Schumann: ma per Schumann sono presenze reali, vivide, con loro ha un dialogo anche fecondo. Per curioso ribaltamento, sono gli esseri reali, gli amici che si preoccupano per lui e lo seguono da lontano, che Robert prende – forse – per apparizioni. È la prassi, nella clinica in cui è ricoverato: solo nascondendosi, e spiando non visti, i visitatori possono intercettare in un paziente segni di uno sperato miglioramento o di un temuto declino. Il vedere da lontano non visti è per lo più insoddisfacente e ingannevole, ma talvolta l’incertezza coglie frammenti di verità. «Quel suo modo di essere frammentario, nella parola, nella musica, nel fumare. Chissà se anche i suoi pensieri si disperdono nel vuoto.» Così, parafrasando Brahms, scrive Elise Junge sul suo diario. Ma le apparizioni contagiano un po’ tutti, nel romanzo di Tuena, al punto che ogni personaggio che sia stato vicino a Schumann prima o poi scorge un’ombra, sente parlare un fanciullo con la voce di un vecchio, vede animarsi angoli bui di una stanza.
Anche i temi musicali appaiono come spettri, nelle testimonianze circa la fine delle Variazioni del Fantasma: riemergono dopo anni di oblio, se ne scovano le tracce là dove non ci si aspetterebbe, anche in composizioni altrui, tornano a scomparire… (continua…)

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lunedì, 16 novembre 2015

SENZA MUSICA

Nell’ambito del forum di Letteratitudine dedicato a “LETTERATURA E MUSICA“, ci occupiamo del volume “Senza musica”, di Bruno Canino (Passigli, 2015).


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Bruno Canino – “Senza musica” (Passigli, 2015)

Recensione di Claudio Morandini

La lettura del libro di Bruno Canino, dal titolo paradossale “Senza musica” (Passigli, 2015), mi ha fatto ragionare su quello che potremmo definire umorismo da musicisti, anzi proprio da pianisti: è un umorismo fatto di osservazione scrupolosa di tic di colleghi strumentisti, coltiva idiosincrasie e le perfeziona nel corso degli anni come fossero una sorta di repertorio parallelo a quello concertistico. Lo si può ritrovare anche nelle note di Alfred Brendel (“Abbecedario di un pianista”, Adelphi, 2014), così come nel precedente libro di Canino, “Vademecum del pianista da camera”, in fase di ristampa, di cui quest’ultimo si presenta con modestia come una sorta di appendice, di aggiornamento. È un umorismo che predilige la catalogazione alfabetica, non rinuncia a un intento didattico o pedagogico, o almeno morale, e sembra fare della musica (e della musica pianistica in particolare) un paradigma della condizione umana: ma lo fa senza darlo a vedere, senza calcare la mano, e probabilmente negherebbe di farlo, se glielo si chiedesse. (continua…)

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lunedì, 5 ottobre 2015

ALBERTO SPADOLINI

In collegamento con il forum di Letteratitudine dedicato a “LETTERATURA E MUSICA“, ci occupiamo del volume “Alberto Spadolinidi Ignazio Gori (Castelvecchi, 2015), con un’intervista all’autore a cura di Claudio Morandini.

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“Alberto Spadolini” di Ignazio Gori – Castelvecchi, 2015

Conversazione con l’autore a cura di Claudio Morandini

Chi era Alberto Spadolini e perché ci siamo dimenticati di lui? Ignazio Gori, nel ritratto del “Danzatore, pittore, agente segreto” Alberto Spadolini (Castelvecchi, 2015), risponde a queste domande scegliendo la via del resoconto amabile e scrupoloso – in cui però, sottilmente, la reinvenzione letteraria ha una parte preponderante.
Sin da adolescente Alberto Spadolini (nato nel 1907) ha ammaliato pittori, scultori, artisti, ai quali è apparso come un’epitome di bellezza maschile; il suo mondo, tra l’Italia e la Francia con diramazioni negli Stati Uniti e altrove, era frequentato da nomi come Bragaglia, D’Annunzio, de Chirico, Bontempelli, Cocteau, Joséphine Baker, Picasso, Marlene Dietrich, Maurice Chevalier e molti altri. Nessuno di loro si è mostrato indifferente al fascino (artistico e umano) di questo personaggio: eppure, nonostante la vastità dei suoi interessi e l’impressione che suscitò ai suoi tempi, Spadolini è stato rimosso dalla memoria collettiva e ridotto a culto di una ridotta nicchia.
Gori evidenzia bene il vorace amore di Spadolini per la vita, l’entusiasmo mai disgiunto dalla ricerca della perfezione. Ne fa un personaggio complesso e sfuggente nella sua complessità, non contraddittorio ma articolato, mai caricaturale, nemmeno nei momenti in cui l’eccesso o l’improvvisazione sembrano togliergli spessore trasformandolo in un semplice corpo perfetto.
Che l’interesse per questa figura eclettica ed eccentrica sia frutto di passione autentica è chiaro sin dalla Premessa, in cui Ignazio Gori confida la scoperta della «bellezza» e dell’«eleganza» di Spadolini attraverso la visione di un’antica foto di Dora Maar, Uomo nudo con sfera in mano. Questa confidenza mi ha ricordato quell’altro romanzo biografico, anch’esso sottile gioco di invenzione e documentazione, che è il Riefenstahl di Lilian Auzas, in Italia pubblicato nel 2013 da Elliot.
Talvolta, nella ricostruzione d’epoca, Gori si concede qualche pennellata stilistica d’antan: ed ecco che la partenza del giovane Spadolini viene descritta con queste parole: «si sente libero di sciogliersi i calzari materni, di riempirsi il petto di giovane sparviero e d’involarsi lontano dalla sua dolce Ancona». In altri punti, l’ispirazione dell’autore, nella descrizione di pose e movenze di personaggi, sembra essere certo cinema muto dei primi decenni, ancora teatrale: così è nelle scene delle visite da D’Annunzio, o (e qui il riferimento al cinema muto è esplicitato) nella partenza alla stazione dopo la chiusura degli Indipendenti di Bragaglia, o nelle numerose altre scene di interni – quelle in cui Spadolini, con la sua bellezza e prestanza, seduce qualcuno magari senza volerlo.
Insomma, c’è materia sufficiente per una conversazione con l’autore Ignazio Gori. (continua…)

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martedì, 28 luglio 2015

ACCORDI MINORI

In collegamento con il forum di Letteratitudine dedicato a “LETTERATURA E MUSICA“, ci occupiamo del volume “Accordi minori” di Grazia Verasani (Gallucci). Su LetteratitudineNews è disponibile uno stralcio del racconto su Kurt Cobain

[Ne approfittiamo per invitare i lettori ad ascoltare (o riascoltare) la puntata radiofonica di "Letteratitudine in Fm" con Grazia Verasani dedicata al suo romanzo "Mare d'inverno" (Giunti)]

***

ACCORDI MINORI,  di Grazia Verasani

Gallucci, 2013

a cura di Claudio Morandini

“Strano, più muoio più mi applaudono.”

Grazia Verasani, nei brevi racconti-monologhi di “Accordi minori” (Gallucci, 2013), esplora con sensibilità partecipe quel particolare settore della musica (per lo più pop, con qualche scantonamento nel jazz) che in questi ultimi cinquant’anni ha fatto surf sull’onda lunga del maledettismo – lo diciamo senza preoccuparci di suonare irriverenti. È un mondo insieme colorato e umbratile, notturno anzi, in cui artisti di talento hanno vissuto la loro dedizione alla musica fino in fondo, fino agli esiti tragici. Incapaci di gestire il successo, la pressione, la fama, oppure logorati da ruoli che sono stati ritagliati loro addosso e in cui non si riconoscono, i musicisti coinvolti in questa dolente via crucis sono quasi tutti cantanti – fa eccezione Chet Baker, in rappresentanza di tutti gli infelici morti per autocombustione di cui è costellata la storia del jazz. Certo, alcuni di loro, oltre che interpreti, sono stati anche autori delle canzoni che li hanno portati al successo: ma nei racconti di Verasani compaiono come icone, come animali da palcoscenico oggetto di culto (di massa o di nicchia), e non li vediamo seduti a tavolino a scribacchiare versi, o intenti a comporre alla chitarra o al pianoforte, ma esposti a riflettori che ne rivelano le drammatiche debolezze, la stanchezza insostenibile, la profonda solitudine, gli abusi e l’alterazione. La musica, si direbbe, non ha rappresentato per loro una via di salvezza, ma piuttosto un’accelerazione verso la perdizione. Alla fine, «a vincere è solo la musica», come si legge nella conclusione di “Born to be kings” (Freddie Mercury): il che significa che la musica resta, anche dopo la morte dell’artista, ma anche, se vogliamo, che la musica vince su tutto, compresa la vita dell’artista.

Sin dal primo racconto, che raccoglie le esternazioni vaneggianti di Janis Joplin, i personaggi sono colti nella fase finale della loro parabola, nel momento in cui, crudelmente, il delirio ha la meglio sulla razionalità, ogni cosa è alterata da droghe alcol o follia e la deriva fatale dello spirito dionisiaco ha raggiunto un punto di non ritorno – alcuni di loro anzi ci parlano da un post mortem che non sembra migliore della vita precedente. (continua…)

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lunedì, 13 luglio 2015

LE OPERE “BRUTTE” DI GIUSEPPE VERDI

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LE OPERE “BRUTTE” DI GIUSEPPE VERDI,  di Massimo Mila

Manni, 2015

a cura di Claudio Morandini

Massimo Mila (1910-1988) è stato, oltre che un musicologo importantissimo, uno scrittore valente. Il gusto della scrittura letteraria, mescolata in bell’equilibrio con la terminologia propria della disciplina, si sente nelle opere più celebri, nei vari saggi dedicati a Mozart come nelle pagine dedicate all’amico Bruno Maderna (Maderna musicista europeo, Einaudi 1999). Anche nella Breve storia della musica, consultato ancor oggi e periodicamente ristampato, capolavoro concentrato di sintesi di epoche e scuole, Mila riesce a evitare le trappole della sintesi e del sommario e inserisce momenti di puro gusto letterario, lo stesso sparso generosamente in L’arte di Béla Bartók (prima pubblicato da Einaudi, ristampato nel 2013 nella BUR) o in Compagno Strawinsky (Einaudi 1983, BUR 2012).

Potremmo continuare a citare titoli per un pezzo, perché Mila è lontano da ogni specializzazione, ha coltivato interessi che hanno attraversato ogni epoca della storia musicale, con un occhio di riguardo nei confronti della contemporaneità: con Nono, Berio, Maderna era in fitta corrispondenza e di loro sapeva intravedere inaspettate prolessi nelle opere di musicisti dei secoli passati, come se tutta la musica fosse un fitto dialogare di uomini e di opere.

Il gusto di Mila per la scrittura, al di là dell’oggettività puntigliosa della terminologia musicologica, si avverte forte anche nell’ultimo libro a suo nome, Le opere “brutte” di Giuseppe Verdi, che Manni ha da poco pubblicato nella collana Studi con la cura di Tito M. Tonietti, che di Mila è stato allievo. Si tratta di dispense scritte per un corso universitario di Storia della musica e rimaste inedite fino ad oggi. Sul compositore di Busseto Mila aveva già pubblicato altro: La giovinezza di Verdi (1974) e L’arte di Verdi (1980, entrambe ora raccolte sotto il titolo Verdi sempre dalla BUR) si soffermavano con pienezza di analisi sulla produzione matura e sulle opere maggiori, ed erano opere compiute, pensate per le stampe, lavorate fin nelle virgole – e, come dire, diplomaticamente levigate nei giudizi più severi proprio per l’ampia destinazione editoriale. Diverso (e proprio per questo interessantissimo) è il caso del libro edito da Manni: dal momento che i destinatari erano gli studenti del corso accademico del 1963-4 e non i frequentatori del teatro d’opera, Mila è stato assai poco cauto ai limiti della ferocia nelle osservazioni critiche. In più, non ha portato a termine il lavoro sui dettagli formali, lasciando qualche ripetizione, qualche tournure faticosa, qua e là anche qualche incongruenza (Tonietti ne propone, con discrezione, delle correzioni), perché lo scopo di questi scritti era pratico e immediato. Eppure, anche in questo testo che per forza di cose non ha ricevuto l’ultima revisione dell’autore, si apprezzano quelle formule stilistiche con cui Mila ha impreziosito i suoi saggi maggiori, quell’apparato di metafore e similitudini con cui ha reso comprensibili alla semplice lettura le opere musicali – con cui ha espresso, in questo caso, l’idea di “bruttezza” di quegli  “anni di galera” (tra il 1843 e il 1849) secondo lo stesso Verdi, fitti di frettolosi melodrammi scritti di malavoglia per onorare alla meno peggio gli impegni e perciò discontinui nella qualità, troppo ossequiosi nei confronti delle comode convenzioni dell’opera lirica, poco attenti a tradurre in musica con audacia di soluzioni i moti dell’animo.
(continua…)

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lunedì, 18 maggio 2015

Comporre. L’arte del romanzo e la musica

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AA VV – “Comporre. L’arte del romanzo e la musica”

A cura di Walter Nardon e Simona Carretta

Pubblicazione dell’Università degli Studi di Trento – Dipartimento di Lettere e Filosofia, 2014

Collana Labirinti, 156

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a cura di Claudio Morandini

La raccolta di saggi “Comporre. L’arte del romanzo e la musica” nasce dal Quinto Seminario Internazionale di Studi organizzato nel 2012-13 dal Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, che da anni esplora sistematicamente i diversi elementi costitutivi del romanzo. Curato da Simona Carretta e da Walter Nardon, che nell’Introduzione presenta e orchestra i contributi dei relatori, pubblicato nella collana Labirinti, il volume fa il punto con precisione e rigore sui legami più profondi e meno scontati tra la forma del romanzo e la musica ponendosi essenzialmente dalla parte del romanzo e da questa prospettiva guardando alla musica.

E proprio il romanzo (lo precisa Simona Carretta) viene privilegiato non come genere, ma come “arte indipendente”, con “obiettivi estetici e conoscitivi” suoi; questo spiega perché gli interventi non si limitino allo studio di una generica “musicalità” nella lingua o nello stile, aspetto predominante in altri campi letterari come la poesia – senza contare che i rapporti tra musica e poesia, fondati su interrelazioni millenarie, su comuni origini, sono più chiari e più frequentati, mentre è meno scontata, e anche assai più interessante, l’analisi della condivisione di strutture, del travaso di articolazioni complesse tra composizione musicale e romanzo.

1 – Secondo Simona Carretta, è soprattutto “sul piano delle strutture formali… che l’ispirazione musicale ha prodotto i risultati più interessanti”. Alla musica, “commistione perfetta di forma e contenuto”, possono attingere i romanzieri disposti a sperimentare forme inconsuete di organizzazione del testo, adatte a “sviluppare uno sguardo diverso sul mondo”.

Nel saggio “Alla scuola di Broch” Simona Carretta investiga nella produzione di alcuni autori (lo stesso Hermann Broch, Milan Kundera, che nel libro, per competenza musicale, ampiezza di riflessione sul tema e metodicità di applicazione, fa un po’ la parte del leone, e poi Huxley, Perec, Alejo Carpentier, Danilo Kiš) la possibilità di commistione tra forma musicale e forma-romanzo: si parla allora di “polifonia”, di “contrappunto”, di “fuga”, di “variazioni sul tema”. In Kundera, in particolare, quest’esigenza nasce da un’idea ambiziosa di romanzo, in cui la “mise en abyme” di una struttura musicale nell’articolazione narrativa consente di cogliere la complessità del mondo secondo diverse linee prospettiche, pluralità di voci, incastri di linee.

Massimo Rizzante è ancora più specifico nell’analisi di certe pagine di Kundera e in “La fuga romanzesca” rintraccia il procedimento imitativo della fuga (il più complesso, se vogliamo) nell’intercalarsi di voci, temi, situazioni, piani temporali di opere come “La lentezza” e “L’identità”. (continua…)

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sabato, 2 maggio 2015

CALISTO

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CALISTO, di Stefano Adami (Edizioni Effigi, 2015)

a cura di Claudio Morandini

Stefano Adami, nel breve romanzo “Calisto” (Edizioni Effigi, 2015), esplora le connessioni tra realtà e finzione, tra quotidianità e invenzione teatrale, e anche tra musica e parola. Lo fa con garbo, senza esagerare, senza rendere barocca a tutti i costi la vita quotidiana e senza forzare la contaminazione tra l’artificiosità del mondo del melodramma e le minuzie delle giornate dei diversi personaggi (con l’eccezione di un paio di momenti di cui parleremo più avanti).

L’occasione è data appunto da “La Calisto”, l’opera del veneziano Francesco Cavalli (1602-1676) del 1651 su libretto di Giovanni Faustini, ancor oggi riproposta a teatro. Cavalli, prolifico autore di melodrammi ispirati ai grandi miti greco-romani o agli eroi dell’antichità (citiamo un po’ a caso “La Didone” e “Gli amori di Apollo e Dafne”, entrambi su libretto del Busenello, “L’Elena” e “L’Egisto” su libretto dello stesso Faustini, “Il Giasone” su versi di Cicognini), è con Monteverdi il fondatore dell’opera barocca, e tra i primi a sperimentare certi stilemi che saranno sviluppati nei secoli successivi. “La Calisto”, ispirata a un episodio delle  Metamorfosi di Ovidio (II, 401-495), narra di amori di dei, ninfe e uomini. Calisto (Callisto, cioè) è appunto una ninfa seguace di Diana, vincolata al voto di castità, della quale però Giove s’incapriccia: per amoreggiare con lei il re degli dei si fingerà Diana, senza pensare troppo alle conseguenze. Quando Diana stessa e poi Giunone, moglie di Giove, scopriranno che Calisto è incinta, la ninfa sarà oggetto della vendetta di entrambe.

Travestimenti, equivoci, confusione di generi, lesbismo neanche tanto latente, voyeurismo: nella prima parte della versione ovidiana del mito compaiono tutti gli elementi che potevano rendere particolarmente perturbante l’episodio (elementi che solo in un’ambientazione precristiana era possibile preservare dalle censure), come è dimostrato anche dal dipinto di Tiziano “Diana e Callisto”, del 1556-59, conservato a Edimburgo, che è tutto un tripudio di nudità e promiscuità femminili.

Adami omaggia con discrezione la struttura del melodramma alternando movimentate scene d’assieme che potremmo equiparare a recitativi declamati, e pensosi e tormentosi monologhi che ricordano le arie, secondo un procedimento che proprio nelle opere di Cavalli si andava fissando.

Ma perché ispirarsi proprio a “La Calisto”? Che cos’ha di particolare quest’opera rispetto alle altre di Cavalli? Lo chiedo a Stefano Adami.

(continua…)

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mercoledì, 15 aprile 2015

Felisberto Hernández

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La memoria della musica (o la musica della memoria): Felisberto Hernández

a cura di Claudio Morandini

Chi ama la musica e quella particolare musica che risuona nelle pagine di un libro farà bene a dedicarsi alla lettura di Felisberto Hernández (Montevideo, 1902-1964), di cui La Nuova Frontiera sta pubblicando i racconti e i romanzi nella bella traduzione di Francesca Lazzarato. Hernández era quasi dimenticato in Italia, prima di queste provvidenziali pubblicazioni: si erano perse da anni le tracce della precedente edizione di “Nessuno accendeva le lampade” (Einaudi, 1974, traduzione di U. Bonetti), mai più ristampata.

Le OrtensieHernández era pianista e scrittore; prima pianista, poi scrittore dalla sconcertante sensibilità. I racconti, sia quelli più corti sia quelli che ambiscono a uno statuto quasi di romanzo breve, sono qualcosa di diverso, di non catalogabile (se ne era ben accorto Italo Calvino, che nel presentare la prima edizione italiana di “Nessuno accendeva le lampade” scriveva che l’autore “non somiglia a nessuno… è un irregolare che sfugge a ogni classificazione e inquadramento ma si presenta ad apertura di pagina come inconfondibile”): procedono ambigui e spaesanti come sogni a cui certe ricorrenze concedono una parvenza di articolazione narrativa, sono assecondati più che scritti, osservati mentre crescono come piante più che articolati secondo una struttura. Hernández e i suoi personaggi si aggirano come sonnambuli (“sonnambulo di fiducia” è definito il narrante in “La casa allagata”, del 1960, in “Le ortensie”, La Nuova Frontiera, 2014), come fantasmi che non hanno dimenticato la cortesia, in un mondo in cui si affastellano oggetti, mobilia, figure femminili di tutte le dimensioni e età (e tutto ciò, oggetti e figure femminili, al centro di persistenti pulsioni e desideri). A volte i luoghi assumono significati nuovi: in uno dei racconti più sorprendenti, un palazzo viene allagato e diventa mare da navigare, disseminato di isole (“La casa allagata”, in “Le ortensie”).

(continua…)

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martedì, 31 marzo 2015

Una casa editrice musicale: RueBallu

Una casa editrice musicale: RueBallu
Conversazione con Gae Pisani

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Entra nel sito della casa editrice musicale rueBallu - Musica e Teatro

a cura di Claudio Morandini

RueBallu è una piccola e coraggiosa casa editrice palermitana che dal 2007 pubblica testi di letteratura musicale, inseriti in collane dedicate a biografie, testimonianze, didattica o narrativa anche per ragazzi, e presenta un bel catalogo di titoli per niente ovvi. Abbiamo chiesto agli amici della redazione di rueBallu di illustrarci il loro progetto editoriale. Gae Pisani, a nome della redazione, ha risposto così ad alcune nostre domande.

- RueBallu Edizioni prende il nome dalla via parigina in cui si trovava lo studio di Nadia Boulanger. Si tratta di un riferimento forte a un’esperienza umana, didattica e artistica centrale nel Novecento. Che cosa è rimasto di quell’esperienza? Che cosa ci può ancora insegnare il magistero della Boulanger?

La forza del magistero di Nadia Boulanger è rimasta intatta nelle sue parole e nell’insegnamento trasmesso. In un filmato molto bello – Mademoiselle – di Bruno Monsaingeon, girato in occasione del novantesimo compleanno di Nadia Boulanger, è possibile entrare in relazione con il mondo di questa didatta straordinaria e sentirne in prima persona la profonda attualità per chiunque viva di musica e per la musica.

- L’Italia è una nazione di vasta tradizione musicale, ma, ahimè, di scarsa educazione e di scarsissima attenzione da parte delle istituzioni. Come si muove un editore come rueBallu in questo contesto poco favorevole, almeno all’apparenza, al discorso musicale?

La domanda è particolarmente pertinente, ciò che lei dice è profondamente vero, il progetto rueBallu non si muove in un contesto poco favorevole alla musica non solo apparentemente, ma nella sostanza. Il percorso della casa editrice, totalmente indipendente nelle scelte editoriali e nella ricerca delle risorse finanziarie, è ardito se si riflette con attenzione alla struttura dell’intera filiera editoriale. Un ruolo dominante, come è noto, viene esercitato dai grandi gruppi di distribuzione direttamente collegati alle grandi librerie, trovare degli spazi di visibilità non è un lavoro semplice, né tanto meno ricevere un’attenzione mediatica che ordinariamente viene riservata ai grandi gruppi editoriali. Il nostro lavoro, come quello di altre realtà analoghe, è un cammino controcorrente; anche se non amiamo molto parlare degli aspetti pratici del lavoro che stiamo portando avanti, né delle “evidenti assurdità” in cui siamo totalmente immersi. Preferiamo dar voce con dedizione e rispetto a chi ha manifestato qualcosa di veramente straordinario nella vita e nell’arte, mescolarlo con altro riteniamo non sia utile.

– Secondo lei, che cosa può fare la letteratura per aiutare (diciamo così) la musica colta a superare lo scollamento drammatico con il grande pubblico di questi ultimi decenni e tornare ad allacciare un rapporto di reciproca curiosità? (continua…)

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venerdì, 9 gennaio 2015

COME MACCHINE IMPAZZITE

letteratura-e-musica

Nuovo appuntamento con il forum permanente di Letteratitudine intitolato LETTERATURA E MUSICA, coordinato con il supporto dello scrittore Claudio Morandini.

* * *

Gianpiero Capra e Stephania Giacobone
Come macchine impazzite
Agenzia X, 2014

di Claudio Morandini

kinaÈ un’interessante operazione “Come macchine impazzite”, scritto a quattro mani da Gianpiero Capra e Stephania Giacobone attorno a quello che il sottotitolo definisce “il doppio sparo dei Kina”: “doppio” nel senso che l’avventura musicale del gruppo punk di Aosta viene tracciata con cordiale precisione da Capra, che della band è stato uno dei fondatori e il bassista, mentre in capitoli alternati a questi di Capra la Giacobone racconta, più narrativamente e anche con maggiore enfasi, la scoperta dei Kina diversi anni dopo e la ricerca delle loro tracce attraverso dischi, cassette, ma anche riviste, fanzine, testimonianze di conoscenti comuni.
Per essere precisi: Stephania nasce “un anno dopo l’uscita del secondo album dei Kina”, “tre anni dopo il primo album dei Kina e quattro anni dopo i loro primi concerti del 1983”. Scegliere di amarli “è stata una lotta in provincia e in città” (cioè in Valle d’Aosta e a Torino): “quelle lotte che aprono gli occhi, creano divari, scelgono per te, ti insegnano a tirare fuori i denti e a strappare la carne dai tendini per nutrirti”. Il libro è insomma la ricostruzione fedele di due momenti storici assai simili: il passare degli anni non ha reso distanti o distaccati i due testimoni-scrittori. Nell’accostare i due piani temporali, “Come macchine impazzite” rivela quanto poco sia cambiato nella provincia tra le Alpi: rivela anche quanto le inquietudini cantate dai Kina non appartengano all’archeologia, ma siano ben radicate e in un certo senso endemiche.
A questo proposito, chiedo un po’ provocatoriamente a Stephania Giacobone se si può considerare “storicizzata” l’esperienza dei Kina e di altri gruppi affini, se la si può leggere solo attraverso il ricordo, o se invece prosegue anche oggi.
“L’esperienza dei Kina” mi risponde Stephania “a mio parere ha subito un processo di storicizzazione diverso dal consueto sedimentarsi nel ricordo di generazioni che ormai si vergognano di cosa erano e cosa ascoltavano. Durante la mia ricerca di tracce e testimonianze ho potuto vedere negli occhi di chi raccontava uno slancio di vitalità che prosegue anche oggi. I Kina non suonano più ma vivono ben oltre il solo ricordo. Spero che in questo senso la struttura che abbiamo scelto per la stesura del libro e la presenza di una voce, la mia, anagraficamente distante dagli inizi dei Kina, possa dimostrare quanto sia ancora vivo, urgente e necessario questo genere di musica.”
(continua…)

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sabato, 25 ottobre 2014

SALVARE MOZART, di Raphaël Jerusalmy

letteratura-e-musicaNuovo appuntamento con il forum permanente di Letteratitudine intitolato LETTERATURA E MUSICA, coordinato con il supporto dello scrittore Claudio Morandini.

Protagonista del post è SALVARE MOZART, romanzo di Raphaël Jerusalmy, pubblicato dalle edizioni e/o.

Di seguito la recensione di Claudio Morandini).

Massimo Maugeri

* * *

SALVARE MOZART, di Raphaël Jerusalmy, edizioni e/o (traduzione di Gaia Panfili)

di Claudio Morandini

“Salvare Mozart” di Raphaël Jerusalmy, tradotto in modo eccellente da Gaia Panfili, racconta lo scontro tra due diverse concezioni della musica (e della vita, in buona sostanza). Da una parte troviamo il protagonista Otto J. Steiner, che malato, sconfitto, burbero, recluso in un sanatorio cascante, confida i suoi umori alle pagine di un frammentario diario destinato al figlio lontano. Ci troviamo a Salisburgo, tra il 1939 e il 1940 (Salisburgo? Una voce narrante “burbera”? Non siamo lontani dai rimuginii di Thomas Bernhard): l’Austria ha aderito con allarmante entusiasmo all’annessione con la Germania di Hitler, e il nazismo imperversa ovunque. All’inizio Steiner, che vivrebbe circondato dalla musica, se potesse, se gli lasciassero il grammofono, e ascolta fino a consumarli i pochi dischi che gli sono rimasti, scopre di condividere l’amore per la musica con i nazisti – e questo lo preoccupa, lo riempie di dubbi. Prima del ricovero va ad assistere a un concerto (“Il ratto dal serraglio” diretto da Böhm, “un’interpretazione… brillante, poderosa, immensa”), si trova circondato da ufficiali nazisti, c’è anche Hitler in un palco. Perché perseguitati e persecutori condividono gli stessi gusti? Le differenze emergeranno chiare, definitive, più avanti, quando il kitsch dei nazisti e dei loro complici infetterà Salisburgo e il suo Festival, trasformandolo in “una sagra di militari in libera uscita e buzzurri impinguinati”, con direttori come Böhm e Léhar che brandiscono “le loro bacchette come randelli” e se ne stanno sul podio a dirigere “come caporali” (quest’ultima cosa la si dice di Heinz Hilpert, che però, a dire il vero, era regista, non direttore d’orchestra).
Agli antipodi del gusto di Steiner si trovano proprio i melomani di marca germanica, amanti di marcette e valzer, pronti a scattare sull’attenti allo squillo di una fanfara, prigionieri, per così dire, di una concezione militaresca della musica, incapaci di apprezzare le sfumature di un’esecuzione meditata e invece esaltati da interpretazioni tronfie, retoriche – lontanissimi da quel Mozart che per Steiner finisce per rappresentare l’ultima voce da preservare, l’ultima oasi di bellezza in un mondo in declino verso il brutto (e l’orrore). “Il nostro Mozart” scriverà verso la fine, “non il loro”: musica cioè che i gerarchi nazisti non sanno capire, anche se la ascoltano compunti, e che nemmeno i loro lacchè possono capire, anche se la sanno eseguire. Nelle sue proposte meno volgari ed effimere la musica tedesca è comunque intrisa di “lirismo esaltato, grandioso”, in nome di “una sorta di romanticismo esacerbato” di marca genericamente straussiana che al tempo stesso esprima “l’impeto del Reich” e si tenga lontano “dai patemi e dalla tetraggine” della musica non di regime. (continua…)

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venerdì, 25 giugno 2010

DIBATTITO SU LETTERATURA E MUSICA

imageQuesto post si è trasformato, nel tempo, in uno spazio permanente dedicato al dibattito sul rapporto tra letteratura e musica.
Si discuterà periodicamente su alcuni libri che rientrano nella tematica, coinvolgendo – laddove possibile – i rispettivi autori.
Ringrazio lo scrittore Claudio Morandini (consiglio la lettura di questa intervista sul blog “La poesia e lo spirito”), che mi darà una mano ad animare e moderare la discussione.
Massimo Maugeri
(11 ottobre 2010)

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POST ORIGINARIO DEL 25 GIUGNO 2010

letteratura-e-musicaVorrei avviare un nuovo e (spero) interessante dibattito su un tema particolare: il rapporto tra letteratura e musica…

Un rapporto che – a mio avviso – ha origini antichissime: basti pensare alla “musicalità” dei versi poetici o di certi testi narrativi (perché anche un romanzo deve “suonare” nella testa del lettore). Ma non mi riferisco solo a questo.
Mi piacerebbe poter prendere in considerazione, per poi analizzarli, i romanzi che si sono occupati di musica (e viceversa)… che hanno fatto vivere la musica all’interno delle loro pagine.

Di conseguenza, mi pongo (e vi pongo) alcune domande…

Che cosa hanno in comune letteratura e musica?
In cosa si differenziano nettamente?

In quali occasioni la musica è “entrata” nella letteratura (con particolare riferimento alla narrativa)?
Quali titoli di romanzi vi vengono in mente?

E in quali occasioni, viceversa, la musica ha “rappresentato” la letteratura?

Quale romanzo eleggereste come il più rappresentativo del rapporto tra musica e letteratura?

Per partecipare alla discussione inviterò alcuni autori che hanno scritto, di recente, romanzi che in un modo o nell’altro hanno a che fare con la musica.

Primi ospiti di questo forum (che spero possa diventare “permanente”) sono: Marta Morazzoni, Claudio Morandini e Achille Maccapani. Discuteremo dei loro nuovi libri e degli argomenti proposti.
Di seguito, le schede sui suddetti libri… e il contributo di Nicolò Carnimeo sul romanzo della Morazzoni.
Claudio Morandini mi darà una mano ad animare il post.

Mi raccomando… aspetto i vostri contributi.

Massimo Maugeri
(continua…)

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